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"ricerche logiche" di Martin Heidegger - FedOA - Università degli ...

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dall’inizio la problematizzazione <strong>di</strong> fondo. Questa è un’ulteriore prova che una via sbagliata, ma<br />

ra<strong>di</strong>cale e percorsa con rigore scientifico, è incomparabilmente più fruttuosa per la ricerca <strong>di</strong> una<br />

dozzina <strong>di</strong> cosiddette mezze verità, nelle quali tutto quanto, cioè un bel niente, trova il suo buon<br />

<strong>di</strong>ritto” 545 .<br />

Sarebbe interessante e proficuo, per il tema specifico <strong>di</strong> questo stu<strong>di</strong>o, prendere dettagliatamente<br />

in considerazione l’interpretazione heideggeriana <strong>di</strong> Kant, ma anche rispetto a tale proposito<br />

dobbiamo in questa sede soprassedere. Tuttavia, come annunciato, ci soffermeremo più<br />

realisticamente sull’interpretazione della celebre tesi <strong>di</strong> Kant sull’essere che <strong>Heidegger</strong> fornisce nei<br />

Problemi fondamentali della fenomenologia, corso del semestre estivo del ’27, considerato da<br />

<strong>Heidegger</strong> stesso “«una nuova rielaborazione della terza sezione della prima parte <strong>di</strong> Essere e<br />

Tempo», in sostanza <strong>di</strong> quella sezione teoretica della sua opera maggiore che <strong>Heidegger</strong> non ha mai<br />

pubblicato unitamente alla parte storica” 546 .<br />

Ciò al fine, da un lato, <strong>di</strong> verificare ulteriormente l’appropriazione heideggeriana del metodo<br />

fenomenologico e la sua applicazione alle interpretazioni kantiane, così come si è fatto per<br />

Aristotele; dall’altro, <strong>di</strong> far emergere ulteriormente i motivi d’insufficienza della concezione<br />

fenomenologico-husserliana della verità come identificazione mostrante fondata in ultima istanza<br />

sull’intuizione. Ebbene, la tesi kantiana è rinvenibile in due luoghi della sua opera, lo scritto del<br />

periodo precritico su L’unico argomento possibile per una <strong>di</strong>mostrazione dell’esistenza <strong>di</strong> Dio<br />

(1763), e nella Logica trascendentale della Critica della ragion pura (1781 e 1787).<br />

Per comprendere la tesi kantiana è necessario, secondo <strong>Heidegger</strong>, chiarire l’uso terminologico<br />

kantiano del concetto <strong>di</strong> esistenza, che Kant designa con Dasein, termine col quale egli tradurrebbe<br />

il concetto scolastico <strong>di</strong> existentia ed in sostituzione del quale usa a volte anche quello <strong>di</strong><br />

Existenz 547 . Tale concetto <strong>di</strong> Dasein-Existenz, ovvero ciò che oggi si designa comunemente in<br />

tedesco con Wirklichkeit, la realtà effettiva o semplicemente l’effettività, non va confuso con quello<br />

545<br />

Ivi, p. 52; tale passaggio <strong>di</strong> tenore anti-filologco fa il paio con il riconoscimento, nel corso sul Sofista, a Natorp,<br />

deceduto poco prima, <strong>di</strong> aver stimolato, con il suo Platos Ideenlehre, una comprensione più ra<strong>di</strong>cale del pensiero<br />

platonico: “Questo libro [La dottrina platonica delle idee] ha influenzato in modo determinante gli stu<strong>di</strong> platonici <strong>degli</strong><br />

ultimi vent’anni. Ciò che contrad<strong>di</strong>stingue quest’opera è il livello della comprensione filosofica al quale ambisce e che<br />

realizza con ineguagliata unilateralità (Einseitigkeit). Tale unilateralità non è intesa come un <strong>di</strong>fetto, al contrario essa<br />

denota l’intensa forza <strong>di</strong> penetrazione del libro. Esso fornisce la precisa consapevolezza che il semplice<br />

padroneggiamento del materiale non è sufficiente per una comprensione autentica, e che quest’ultima non può essere<br />

realizzata per mezzo <strong>di</strong> notizie filosofiche correnti scelte a caso”, id., Sophistes, cit., p. 1.<br />

546<br />

C. Angelino, Introduzione a M. <strong>Heidegger</strong>, Die Grundprobleme der Phänomenologie, Frankfurt a.M., 1975, trad. it.<br />

<strong>di</strong> A. Fabris, I problemi fondamentali della fenomenologia, Genova, 1999, p. VII.<br />

547<br />

<strong>Heidegger</strong> tiene inoltre a <strong>di</strong>stinguere l’uso kantiano del termine e del concetto <strong>di</strong> esistenza dal suo, cosa che può<br />

essere d’aiuto nel tentativo <strong>di</strong> comprendere la sua esplicazione del concetto kantiano <strong>di</strong> esistenza: “L’uso che noi<br />

facciamo <strong>di</strong> questi vocaboli, invece, è ben <strong>di</strong>verso, e risulta fondato, come si mostrerà, sulla cosa stessa. Ciò che Kant<br />

chiama col nome <strong>di</strong> Dasein o <strong>di</strong> Existenz e ciò che la scolastica chiama existentia, noi lo designiamo con l’espressione<br />

«esser-sussistente» ovvero «sussistenza» («Vorhandensein» oder «Vorhandenheit»). Questo termine in<strong>di</strong>ca il modo<br />

d’essere delle cose della natura intese nel senso più esteso. (…) Husserl si ricollega, nella sua terminologia, a Kant ed<br />

usa perciò il concetto <strong>di</strong> esistenza (Dasein) nel senso del mero sussistere. Per noi, invece, il termine Dasein non designa<br />

come per Kant il modo d’essere delle cose della natura, non designa anzi alcun modo d’essere, ma in<strong>di</strong>ca un ente<br />

determinato, l’ente che noi stessi siamo, l’esserci dell’uomo”, ivi, p. 25.<br />

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