09.06.2013 Views

"ricerche logiche" di Martin Heidegger - FedOA - Università degli ...

"ricerche logiche" di Martin Heidegger - FedOA - Università degli ...

"ricerche logiche" di Martin Heidegger - FedOA - Università degli ...

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

Già dalla semplice lettura dei passi aristotelici nella traduzione heideggeriana si sarà compreso,<br />

sulla scorta <strong>di</strong> quanto visto nel precedente capitolo, quali sono i principali risultati cui<br />

l’interpretazione tende. Ma ve<strong>di</strong>amo in dettaglio l’analisi <strong>di</strong> <strong>Heidegger</strong>. Tema del libro è<br />

precisamente la connessione dei significati dell’essere – ousia, dynamis e energheia, aletheia –, ed<br />

è proprio a causa dell’incomprensione <strong>di</strong> tale connessione che si sono determinate le erronee<br />

interpretazioni poc’anzi richiamate, basate sulla convinzione che la tematica della verità sia<br />

incongruente col tema dominante del libro X, cioè quello della potenza e dell’atto, mentre la lettura<br />

heideggeriana mira precisamente a “mostrare come solo attraverso la caratterizzazione dell’essere a<br />

partire dall’Þlhqéj l’essere pervenga alla sua piena e propria determinazione e come in questo<br />

possibilità che la si prenda separatamente, mentre allo stesso modo qualche altro ente sa sempre <strong>di</strong>viso e non c’è<br />

nessuna possibilità che lo unisca, ci sono però enti che ammettono i due casi contrari, che possono stare e non stare<br />

insieme – (in quest’ultimo caso, bisogna allora rilevare che) l’essere in<strong>di</strong>ca lo stare-insieme (compresenza) e l’unità,<br />

mentre il non-essere il non-stare-insieme (non-compresenza) e molteplicità». b 13-17: «Nell’ambito e sulla base<br />

dell’ente che può stare insieme e stare <strong>di</strong>viso, la medesima opinione relativa a qualcosa in quanto qualcosa e la<br />

medesima in<strong>di</strong>cazione enunciativa <strong>di</strong> qualcosa in quanto qualcosa <strong>di</strong>ventano ora coprenti e scoprenti, e l’enunciazione<br />

stessa ora può scoprire, ora coprire; nell’ambito, però, <strong>di</strong> quel che non ha la possibilità <strong>di</strong> essere <strong>di</strong>verso da com’è,<br />

l’enunciazione non <strong>di</strong>venta ora scoprente, ora coprente, ma l’identico è sempre scoprente o sempre coprente». II. b 17-<br />

22: «Ma relativamente alle cose cui manca ogni composizione (Þσúnqeta) (e quin<strong>di</strong> anche l’unità della composizione)<br />

che cosa in<strong>di</strong>ca qui l’essere o il non-essere e l’essere scoperto e coperto? Non essendoci (qui) nulla che possa essere<br />

messo insieme, non si può parlare <strong>di</strong> essere quando qualcosa sta insieme e <strong>di</strong> non-essere quando qualcosa non sta<br />

insieme, come invece accade, lo stare-insieme, per esempio, per il bianco in rapporto al legno e per l’incommensurabile<br />

in rapporto alla <strong>di</strong>agonale. Così, inoltre, anche qui scoprimento e coprimento non avverranno nello stesso senso in cui<br />

avvengono in quel caso». b 22-33: «Piuttosto, l’esser-scoperto relativamente alle cose in cui non c’è composizione<br />

(Þσúnqeta) è altrettanto poco lo stesso quanto lo è l’essere, mentre l’eser-scoperto o coperto in<strong>di</strong>ca piuttosto il toccare<br />

e il considerare la cosa non-nascosta (giacché l’attribuire qualcosa a qualcosa e il semplice interpellare qualcosa non<br />

in<strong>di</strong>cano la stessa cosa), ma il non-percepire <strong>di</strong>ce altrettanto quanto non-toccare. Non è possibile, infatti, sbagliarsi<br />

nell’ambito dello scoprimento del puro che-cosa in se stesso, se non quando lo guardo cada su qualcosa che è presente<br />

insieme ad esso pur non appartenendogli. La stessa situazione si ha anche relativamente a ciò che è in se stesso<br />

presente, a ciò cui manca ogni composizione; qui non c’è alcuna possibilità <strong>di</strong> sbagliarsi. Anche tutte queste cose<br />

presenti nel modo <strong>di</strong> cose semplicemente e costantemente già presenti non sono qualcosa nel modo <strong>di</strong> un ‘non ancora’ e<br />

<strong>di</strong> un ‘subito prima <strong>di</strong>’; se fossero così, allora dovrebbero esse stesse nascere e perire, ora però l’essere né nasce né<br />

muore, perché altrimenti dovrebbe nascere da qualcosa (da un ente, l’essere nascerebbe da un ente). Tutto quel che<br />

palesemente è essere in se stesso ed è semplicemente già sempre presente, su questo non c’è confusione, ma solo un<br />

percepire o un non-percepire. In questo campo, si cerca piuttosto che cosa una cosa sempre sia, ma non se essa sia fatta<br />

così oppure no (se sia o non sia una certa cosa)». b 33-35: «Dunque, l’essere nel senso dello scoprimento e il non-essere<br />

nel senso del coprimento sono una sola cosa, unità dell’insieme. Scoprimento: quando le cose stanno insieme;<br />

coprimento: quando non stanno insieme. Ma quest’unità è possibile solo quando l’essere dell’ente stesso è così<br />

(determinato cioè dalla súnqesij)». 1052 a 1-4: «Quando però non è così (l’essere dell’ente determinato dall’insieme),<br />

allora allo scoprimento non appartiene neanche l’unità dell’insieme (non il <strong>di</strong>anoeîn, ‘in quanto’ proprio del<br />

determinare), allora lo scoprimento è semplicemente il percepire l’ente e il coprimento non esiste affatto, come non<br />

esiste confusione, ma solo non-percezione, quest’ultima per da intendersi non come cecità. La cecità è qualcosa cui nel<br />

campo della percezione (il cogliere e il determinare pensanti) corrisponderebbe la mancanza della possibilità del<br />

percepire. (Qui si è invece nell’ambito dell’\gnoia; si resta nel noeîn in quanto <strong>di</strong>anoeîn)». a 4-11: «Ma è anche<br />

palese che nel campo <strong>di</strong> quel che non muta, non ci si può sbagliare relativamente al ‘quando’ (al tempo), se sin<br />

dall’inizio lo si è inteso e compreso nella sua immutabilità. Per esempio, se qualcuno ritiene che il triangolo non muti<br />

quanto alla sua essenza, allora non penserà che in un dato tempo la somma dei suoi angoli interni sia uguale a due retti e<br />

in un altro tempo no, giacché in questo caso il triangolo dovrebbe mutare. Il senso <strong>di</strong> questa enunciazione può invece<br />

essere solo seguente: qualcosa è il possibile in-quanto-che-cosa per qualcosa, mentre non lo è per qualcos’altro, per<br />

esempio nessun numero pari è numero primo; alcuni numeri lo sono, altri no. Ma per quanto riguarda quel che in base al<br />

numero è solo un’unica cosa (sempre identica a quel che essa è), non esiste neppure questa possibilità della suddetta<br />

enunciazione. Non è infatti possibile ritenere che alcuni numeri consentano un certo in-quanto-che-cosa, alcuni invece<br />

no (non esiste infatti un ‘alcuni’), ma semplicemente o si scoprirà o si coprirà, in quanto l’ente non muta, ma si<br />

comporta sempre come esso è»”, ivi, pp. 117-119.<br />

134

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!