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"ricerche logiche" di Martin Heidegger - FedOA - Università degli ...

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movimento fondamentale non è quello che va dalla lingua al <strong>di</strong>scorso, ma quello che va dal <strong>di</strong>scorso<br />

alla lingua. (…) Il <strong>di</strong>scorso dev’essere riportato allo scoprimento per essere afferrabile come<br />

Þpófansij. La proposizione non è ciò in cui la verità è resa possibile, ma al contrario, la<br />

proposizione è possibile solo nella verità, quando si sia scorto il fenomeno che i Greci intesero<br />

come verità e che Aristotele per primo ha afferrato in modo concettualmente acuto. La proposizione<br />

non è il luogo della verità, ma la verità è il luogo della proposizione” 506 . Bisogna dunque chiarire<br />

quale sia la struttura del logos apofantico perché ad esso spetti costitutivamente la possibilità<br />

dell’essere vero o falso. Ebbene, “l’enunciazione – prosegue <strong>Heidegger</strong> prendendo ora il problema a<br />

partire dalla possibilità del falso – può essere vera, scoprire, solo perché essa può anche coprire,<br />

ossia perché come tale si muove a priori nell’«in quanto»” 507 .<br />

È dunque nella struttura “in quanto” del logos che bisogna guardare per comprendere, a partire<br />

dalla possibilità del falso, anche quella dell’essere vero, e poiché, come abbiamo visto, il logos<br />

apofantico – a <strong>di</strong>fferenza dell’atto, pure linguistico, dell’ñnomázein, del nominare, atto<br />

monora<strong>di</strong>ale per la fenomenologia – è sempre un légein ti katá tinoj, un “chiamare qualcosa in<br />

quanto qualcosa”, che mette quin<strong>di</strong> qualcosa insieme a qualcos’altro, <strong>Heidegger</strong> si rivolge ora al<br />

concetto aristotelico <strong>di</strong> synthesis, al quale tra<strong>di</strong>zionalmente ci si riferisce per denotare la verità come<br />

atto sintetico, appunto: “Aristotele <strong>di</strong>ce: tò gàr yeûdoj æn sunqései Þeí (De anima, 6, 430 b 1).<br />

Il coprimento infatti è (in quanto tale) sempre un «mettere insieme». Dice inoltre: ñ dè yeûdoj<br />

lógoj o÷qenój æstin ßplÏj lógoj (Met. D 29, 1024 b 31); il <strong>di</strong>scorso coprente, quando è, non è<br />

mai <strong>di</strong>scorso che non metta insieme qualcosa intorno a qualcosa. Dunque, quando c’è coprimento,<br />

c’è necessariamente nella struttura dell’enunciazione anche un «mettere insieme»” 508 .<br />

Ma, evidentemente, anche la verità deve, per poter essere tale, mettere insieme qualcosa a<br />

qualcos’altro, onde si vede subito come il carattere sintetico non sia prerogativa esclusiva della<br />

verità, ma possa appartenere altrettanto originariamente alla falsità, per cui “la sintesi è quin<strong>di</strong> il<br />

fondamento della falsità e della verità, ossia <strong>di</strong> quella verità al cui posto può esserci la falsità, vale a<br />

<strong>di</strong>re, la verità dell’enunciazione” 509 . Si tratta dunque <strong>di</strong> comprendere meglio <strong>di</strong> quanto sia stato fatto<br />

tra<strong>di</strong>zionalmente il senso aristotelico della sintesi. Poco oltre nel De anima Aristotele afferma<br />

infatti: “’Endécetai dè kaì <strong>di</strong>aíresij fánai pánta (430 b 3): adesso però si può anche definire<br />

tutto un separare, ogni sintesi è cioè una <strong>di</strong>aíresij e viceversa, ogni collegare un separare e ogni<br />

separare un collegare. Cosicché Aristotele in un passo decisivo, dove il lógoj come enunciazione<br />

costituisce il tema vero e proprio, può raccogliere le determinazioni incontrate fino a quel punto e<br />

<strong>di</strong>re: perì gàr súnqesin kaì <strong>di</strong>aíreín æsti tò yeûdój te kaì tò Þlhqéj (De interpretazione,<br />

506<br />

M. <strong>Heidegger</strong>, Logica. Il problema della verità, cit., p. 90.<br />

507<br />

Ivi, p. 91.<br />

508<br />

Ibid.<br />

509<br />

Ibid.<br />

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