"ricerche logiche" di Martin Heidegger - FedOA - Università degli ...
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esattamente del poter-essere-vero” 498 . Nel breve passo riportato, Aristotele attribuisce infatti solo<br />
alla proposizione enunciativa – dunque ad un particolare tipo <strong>di</strong> proposizione – la possibilità <strong>di</strong><br />
poter essere vera o falsa. Così recita il passo aristotelico: 1sti de lógoj –paj mèn semantikój,<br />
... Þpofantikòj dè o÷ pâj, Þll’æn Ñ tò Þlhqeúein $h yeúdesqai øpárcein. <strong>Heidegger</strong><br />
traduce nel modo seguente: “«Ogni <strong>di</strong>scorso informa infatti <strong>di</strong> qualcosa (significa comunque<br />
qualcosa)…, enunciativo, invece, non è ogni <strong>di</strong>scorso, ma solo quello in cui compare l’esser-vero o<br />
l’esser-falso» (come modo del <strong>di</strong>scorso)” 499 .<br />
Al <strong>di</strong>scorso in quanto tale spetta dunque la facoltà del significare, che <strong>Heidegger</strong> intende, come<br />
sappiamo, in senso delotico (mostrare, nel parlare, ciò <strong>di</strong> cui si parla), ma è solo il <strong>di</strong>scorso<br />
enunciativo che può trovarsi nell’alternativa tra il vero e il falso. Aristotele <strong>di</strong>stingue infatti il<br />
<strong>di</strong>scorso enunciativo da altre modalità <strong>di</strong>scorsive quali la preghiera, il desiderare, l’or<strong>di</strong>nare,<br />
l’interrogare, <strong>di</strong> cui si occupano la retorica e la poetica e a cui non pertiene una tale alternativa. Ma<br />
anche il riferimento aristotelico alla proposizione enunciativa, sottolinea <strong>Heidegger</strong>, va “compreso<br />
correttamente, ossia riferendosi al poter-esser-vero o falso. La verità da una parte e l’esser-vero e<br />
l’esser-falso dall’altra sono fenomeni interamente <strong>di</strong>versi. Secondo Aristotele, quest’alternativa tra<br />
vero e falso appartiene alla proposizione. La proposizione quin<strong>di</strong>, proprio secondo Aristotele, non è<br />
affatto quel che è richiesto perché la verità possa essere quel che è. E quando una proposizione è<br />
vera, lo è come qualcosa che può anche essere falso” 500 . Vengono così chiariti i due primi punti<br />
fondamentali: da un lato non è il <strong>di</strong>scorso in quanto tale (proposizione enunciativa) il luogo<br />
esclusivo della verità, anzi, semmai ne <strong>di</strong>pende; dall’altro, e a sostegno della precedente, si vede<br />
come non è solo l’esser-vero a poter caratterizzare la proposizione, poiché ad essa appartiene<br />
parimenti la possibilità <strong>di</strong> essere falsa. Va allora innanzitutto precisato che se in senso greco, come<br />
dovrebbe essere oramai chiaro, Þlhqeúein significa <strong>di</strong>s-velare, corrispettivamente yeúdesqai<br />
significa “ingannare, per esempio, ingannare un altro; mettere al posto <strong>di</strong> quello che egli si aspetta<br />
<strong>di</strong> vedere qualcosa <strong>di</strong> <strong>di</strong>verso le cui sembianze sono simili a…” 501 , vale a <strong>di</strong>re, coprire il fenomeno<br />
con un’apparenza.<br />
Anche lo øpárcein dell’affermazione aristotelica va inteso allora in senso filosofico pregnante<br />
come “«quel che è presente fin da principio»” 502 e che infatti Boezio traduce “con ragione” con inesse<br />
503 , per cui la traduzione ultima del passo aristotelico dovrebbe essere, nell’interpretazione<br />
heideggeriana, la seguente: “«Dichiarando fa vedere (enunciazione) solo il <strong>di</strong>scorso in cui il<br />
498 Ivi, p. 86<br />
499 Ibid.<br />
500 Ivi, pp. 86-87.<br />
501 Ivi, p. 88.<br />
502 Ivi, p. 89.<br />
503 Cfr. ibid.<br />
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