"ricerche logiche" di Martin Heidegger - FedOA - Università degli ...
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1. L’interpretazione-<strong>di</strong>struzione fenomenologica del logos apofantico in Aristotele.<br />
Nel capitolo precedente abbiamo ricordato, per bocca dello stesso <strong>Heidegger</strong> 493 , come questi<br />
tornasse ai greci, e ad Aristotele in particolare, con una rinnovata comprensione fornitagli dalla<br />
chiarificazione del senso della fenomenologia raggiunto nei primi anni friburghesi grazie al lavoro<br />
al fianco <strong>di</strong> Husserl. Di pari passo con l’analisi <strong>di</strong> ciò che per <strong>Heidegger</strong> costituiva il carattere<br />
innovativo della fenomenologia con le sue principali scoperte, si è iniziato a chiarire, inoltre, in che<br />
senso essa portasse a nuovo splendore la modalità dell’interrogare conforme ai fenomeni e la<br />
concezione della verità tipicamente greci.<br />
La fenomenologia, infatti, mostra fin nella composizione dei suoi termini, fenomeno e logos, il<br />
suo carattere delotico primario, cioè il suo attenersi, mostrandoli, ai fenomeni come ciò che si dà a<br />
vedere da se stesso. Ma si è anche visto come ciò che da se stesso si mostra può anche manifestarsi<br />
nella forma dell’apparenza, la quale pure è fenomeno nel suo senso primario – il mostrarsi – e<br />
tuttavia mostra qualcosa in quanto ciò che esso non è, qualcosa in quanto qualcos’altro. Per questo<br />
motivo <strong>Heidegger</strong> insiste sul carattere eminentemente metodologico della fenomenologia, che pure<br />
fu fraintesa come una forma <strong>di</strong> intuizionismo, nel senso <strong>di</strong> una mera tecnica descrittiva la quale solo<br />
‘registra’ ciò che si offre imme<strong>di</strong>atamente all’intuizione.<br />
Evidentemente <strong>Heidegger</strong> non intendeva in questo modo il metodo fenomenologico, come<br />
risulta chiaro precisamente dall’aver mostrato la costitutiva possibilità del fenomeno <strong>di</strong> assumere il<br />
carattere manifestativo dell’apparenza, la cui chiarificazione decostruttiva costituisce, anzi, un<br />
compito essenziale della fenomenologia. Sempre nei Prolegomeni egli chiarisce infatti come “ciò<br />
che in se stesso è <strong>di</strong>mostrabile e deve essere esibito, può essere nascosto. (…) Ciò che è fenomeno<br />
secondo la possibilità, non è <strong>di</strong>rettamente dato come fenomeno, ma solamente da darsi. La<br />
fenomenologia è proprio come ricerca il lavoro del far-vedere <strong>di</strong>svelante nel senso della<br />
decostruzione, condotta metodologicamente, dei velamenti. L’essere-velato è il concetto opposto al<br />
fenomeno, e i velamenti sono proprio il tema più prossimo della considerazione fenomenologica.<br />
(…) Il velamento può essere <strong>di</strong>verso: una volta un fenomeno può essere velato nel senso che in<br />
generale è non ancora svelato, che non fornisce alcuna conoscenza e alcun orientamento riguardo<br />
alla propria consistenza. Ma un fenomeno può anche essere seppellito. Ciò significa: è stato in<br />
precedenza scoperto, ma è precipitato nuovamente nel velamento. Non si tratta <strong>di</strong> un nascon<strong>di</strong>mento<br />
totale, poiché ciò che è stato svelato in precedenza è ancora visibile, sebbene solo come<br />
apparenza” 494 . È sulla scorta <strong>di</strong> tali riflessioni che <strong>Heidegger</strong> può affermare la corrispondenza del<br />
metodo fenomenologico al senso greco della verità, concepita infatti a partire dal suo carattere<br />
493<br />
V. cap. II, nota 68.<br />
494<br />
M. <strong>Heidegger</strong>, Prolegomeni alla storia del concetto <strong>di</strong> tempo, cit., pp. 108-109.<br />
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