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"ricerche logiche" di Martin Heidegger - FedOA - Università degli ...

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Duplicazione nella quale ancora affondava le sue ra<strong>di</strong>ci la teoria dei due mon<strong>di</strong> <strong>di</strong> Lotze e con<br />

essa tutte le filosofie dei valori, che pure nel valere avevano cercato <strong>di</strong> dare soluzione – per<br />

<strong>Heidegger</strong> in maniera insufficiente – al problema della ‘graduazione’ <strong>degli</strong> ambiti dell’essere,<br />

riconoscendo, cioè, all’ideale il suo specifico e autonomo modo d’essere in quanto valere. Di qui<br />

prenderanno avvio tutti i tentativi heideggeriani <strong>di</strong> decostruire la storia della metafisica come<br />

assunzione, ontologicamente ingiustificata, della presenza quale significato primario dell’essere<br />

unificante i due ambiti del reale e dell’ideale.<br />

Veniamo ora all’analisi heideggeriana del logos. Nel suo derivare dal verbo leghein, il logos non<br />

significa innanzitutto “scienza-<strong>di</strong>” come si ricaverebbe dai composti teo-logia, bio-logia e simili,<br />

bensì il semplice “parlare <strong>di</strong> qualcosa”. Ma qual è il senso greco <strong>di</strong> tale parlare? Spiega ancora<br />

<strong>Heidegger</strong>: “Légein non significa semplicemente produrre parole e recitare parole, ma il senso del<br />

légein è il deloûn, il rendere manifesto, rendere cioè manifesto ciò <strong>di</strong> cui si parla nel parlare e il<br />

modo in cui se ne deve parlare. Aristotele determina precisamente il senso del lógoj come<br />

Þpofaínesqai – far vedere qualcosa in se stesso e precisamente – Þpo –, a partire da se stesso<br />

nel parlare, nella misura in cui esso è genuino bisogna attingere ciò che viene parlato – Þpo –, a<br />

partire da ciò <strong>di</strong> cui si parla, in modo che la comunicazione <strong>di</strong>scorsiva, nel suo contenuto, in ciò che<br />

essa <strong>di</strong>ce, renda manifesto e renda accessibile all’altro ciò <strong>di</strong> cui essa parla. Questo è il senso<br />

rigoroso, funzionale del lógoj, come lo ha elaborato Aristotele” 477 .<br />

In quanto “comunicazione vocale espressa in parole”, il logos è inoltre definito come phoné,<br />

voce, ma nemmeno in quest’ultimo consiste il suo tratto essenziale, poiché, al contrario, anche il<br />

parlare si determina a partire dal senso primario del logos in quanto apophaninesthai, cioè come<br />

“qualcosa che [nel parlare] in<strong>di</strong>ca, qualcosa che fa vedere” 478 , come comunicazione.<br />

In senso ancora più generale il logos è dunque una phoné semantikè, “un elemento vocale che<br />

mostra qualcosa nel senso del significare, che offre qualcosa <strong>di</strong> comprensibile” 479 . Aristotele<br />

<strong>di</strong>stingue pertanto il logos semantikos, cioè il parlare in generale, <strong>di</strong> cui fanno parte ad esempio<br />

anche esclamazioni, preghiere, desideri, dal logos apophantikos, il quale è uno specifico modo del<br />

parlare, cioè quello che fa vedere il detto in se stesso, la modalità propriamente teoretica del<br />

mostrare che è implicita nel nome delle scienze quali teologia, biologia e simili: “Si tratta del lógoj<br />

come qewreîn, del parlare nel senso del comunicare che afferra concretamente e soltanto nel senso<br />

<strong>di</strong> questo afferrare concretamente, e in questo senso del lógoj Þpofantikój va preso anche il<br />

lógoj nella composizione terminologica «fenomenologia»” 480 .<br />

477<br />

M. HEIDEGGER, Prolegomeni alla storia del concetto <strong>di</strong> tempo, cit., pp. 105-106.<br />

478<br />

Ivi, p. 106.<br />

479<br />

Ibid.<br />

480<br />

Ivi, p. 107.<br />

119

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