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"ricerche logiche" di Martin Heidegger - FedOA - Università degli ...

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Il rapporto tra l’apparizione e ciò cui essa rimanda viene infatti interpretato come un rapporto<br />

tra enti dei quali l’uno “sta <strong>di</strong>etro” l’altro laddove, peraltro, una chiarificazione del senso <strong>di</strong> tale<br />

“stare-<strong>di</strong>etro” (Dahinterstehen) non è possibile sulla base del richiamo fenomenologico<strong>di</strong>mostrativo<br />

alle cose stesse 474 .<br />

Non solo, ma tale rapporto ontico tra ciò che poi verrà denominato apparenza e cosa in sé<br />

nasconde per <strong>di</strong> più un privilegio, quanto al “grado d’essere”, accordato a ciò che solo si annuncia<br />

nell’apparizione: ciò che non appare è l’ente autentico, l’essenza, mentre l’apparizione, e con essa<br />

l’ambito del fenomenico senz’altro viene ontologicamente degradato a semplice apparenza: “Ci<br />

troviamo così <strong>di</strong> fronte a una duplice questione: da un lato apparizione puramente come<br />

connessione <strong>di</strong> riman<strong>di</strong>, senza che si concepisca ciò anzitutto onticamente in un determinato senso,<br />

dall’altro lato apparizione come titolo per una connessione ontica <strong>di</strong> riman<strong>di</strong> fra fainómenon e<br />

noúmenon, fra essenza e apparizione nel senso ontico. Se si assume ora questo ente degradato,<br />

l’apparizione <strong>di</strong> fronte all’essenza, così determinata, della semplice apparizione, allora si definisce<br />

questa semplice apparizione come apparenza. A questo punto la confusione giunge al culmine. Ma<br />

proprio <strong>di</strong> questa confusione si nutrono la gnoseologia tra<strong>di</strong>zionale e la metafisica” 475 .<br />

Ebbene, la fenomenologia, con la scoperta dell’intuizione categoriale, e dunque<br />

dell’intenzionalità che la rende possibile, liberava finalmente il campo per una nuova comprensione<br />

formale e universale del fenomeno come ciò che si manifesta – empiricamente o meno, per cui, alla<br />

fine, per la fenomenologia tutto è fenomeno fintantoché, a qualunque titolo, si mostra 476 – evitando<br />

così la duplicazione – che è anche una graduazione – ontologico-metafisica della totalità dell’ente in<br />

un modo sensibile (reale nel senso della res, eppure ‘meno essente’) e un mondo soprasensibile<br />

(ideale, essenziale, permanente, ‘più essente’, 3ντος 3n), come ad esempio l’ambito eidetico-<br />

categoriale.<br />

scienza»”; M. HEIDEGGER, Prolegomeni alla storia del concetto <strong>di</strong> tempo, cit., pp. 100-101; per una rapida visione della<br />

presenza dei temi nietzscheani nel giovane <strong>Heidegger</strong> si veda O. PÖGGELER, Le «Ricerche logiche» <strong>di</strong> <strong>Heidegger</strong>, cit.<br />

474<br />

“Per lo più non si può esperire dalla filosofia ciò che significa veramente questo stare-<strong>di</strong>etro”; ivi, p. 104.<br />

475<br />

Ivi, pp. 104-105; e proprio tale in<strong>di</strong>stinzione del carattere primario del fenomeno, confuso con quello derivato<br />

dell’apparizione, determinerà, a parere <strong>di</strong> un <strong>Heidegger</strong> sempre più severo col suo vecchio maestro, l’ennesimo<br />

frainten<strong>di</strong>mento della fenomenologia da parte <strong>di</strong> Rickert (cfr. H. RICKERT, Die Methode der Philosophie und das<br />

Unmittelbare. Eine Problemstellung, in «Logos», XII, 1923/24, pp. 235-280) come <strong>di</strong> una impossibile «filosofia<br />

dell’imme<strong>di</strong>ato»: “La critica <strong>di</strong> Rickert si fonda sulla sua affermazione che l’espressione apparizione possiede secondo<br />

il suo senso, in quanto apparizione <strong>di</strong> qualcosa che non è apparizione, <strong>di</strong> qualcosa dunque che non è dato<br />

imme<strong>di</strong>atamente, e poiché l’apparizione è sempre apparizione <strong>di</strong> qualcosa che si trova <strong>di</strong>etro ad essa, l’imme<strong>di</strong>ato non<br />

po’ essere colto, ma bisogna sempre metterlo già in relazione con un me<strong>di</strong>ato. La fenomenologia risulterebbe perciò<br />

inadeguata come scienza fondamentale della filosofia. Si vede anzitutto che il concetto <strong>di</strong> apparizione, <strong>di</strong> fenomeno è<br />

semplicemente raccattato, che non si è affatto cercato ciò che significa fenomeno in senso originario e nella<br />

fenomenologia, ma che il concetto tra<strong>di</strong>zionale <strong>di</strong> apparizione viene posto come fondamento, un concetto terminologico<br />

vuoto, a partire dal quale viene criticato il lavoro concreto <strong>di</strong> una ricerca”; ivi, pp. 111-112.<br />

476<br />

Solo così risulta comprensibile l’affermazione <strong>di</strong> <strong>Heidegger</strong> – che senza la conoscenza delle lezioni marburghesi<br />

dovè verosimilmente dare a<strong>di</strong>to a frainten<strong>di</strong>menti tra gli interpreti – secondo la quale da Husserl egli aveva “imparato <strong>di</strong><br />

nuovo il senso della «empiria» filosofica genuina”; M. HEIDEGGER, Essere e Tempo, cit., p. 524 (nota 11).<br />

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