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"ricerche logiche" di Martin Heidegger - FedOA - Università degli ...

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ingre<strong>di</strong>enti soggettivi e come mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> funzionamento <strong>di</strong> un intelletto mitico, poiché i loro correlati,<br />

in quanto essere ideale, non posso essere trovati nel reale, nel sensibile, allora anche nel campo<br />

dell’enunciato sussiste l’idea e la possibilità del riempimento adeguato” 441 .<br />

In tal modo, la fenomenologia spazza “in un sol colpo l’antica mitologia – [che anche Lask, si<br />

ricorderà, aveva iniziato a scar<strong>di</strong>nare dall’interno del neokantismo, col suo principio della<br />

determinazione materiale della forma] – <strong>di</strong> un intelletto che compone e incolla la materia del mondo<br />

con le sue forme, (…) sia in senso metafisico o in senso gnoseologico come in Rickert” 442 . Le<br />

forme categoriali non sono infatti né creazioni soggettive, né determinazioni reali estrapolate dalle<br />

cose, ma contenuti oggettivi percepibili i quali “presentano questo ente reale proprio autenticamente<br />

nel suo «essere-in-sé»” 443 .<br />

La stessa deduzione kantiana delle categorie a partire dalla tavola dei giu<strong>di</strong>zi viene così rivista<br />

conformemente al principio fenomenologico <strong>di</strong> mostrare le cose a partire da esse stesse, e dunque<br />

“con la scoperta dell’intuizione categoriale si ricava per la prima volta la via concreta <strong>di</strong> una ricerca<br />

<strong>di</strong>mostrativa e autentica delle categorie” 444 . E si mette così fine, inoltre, – “almeno<br />

provvisoriamente” aggiunge <strong>Heidegger</strong>, lasciando intendere che nemmeno l’identificazione<br />

mostrante fondata sull’intuizione è l’ultima parola circa l’essenza della verità, come vedremo 445 –<br />

441<br />

Ivi, p. 86.<br />

442<br />

Ivi, p. 89. Si deve notare che, dopo Lotze, il quale pure aveva denunciato l’insufficienza del linguaggio filosofico<br />

tra<strong>di</strong>zionale ricorrendo al valere (gelten) per definire il modo d’essere dell’ambito ideale, anche Husserl – e poi<br />

<strong>Heidegger</strong>, in un ben più ra<strong>di</strong>cale corpo a corpo ‘<strong>di</strong>struttivo-appropriante’ (Destruktion e Erörterung) con il linguaggio<br />

della tra<strong>di</strong>zione metafisica e non – aveva concepito le sue <strong>ricerche</strong> come un lavoro <strong>di</strong> chiarificazione <strong>di</strong> concetti<br />

tra<strong>di</strong>zionali in<strong>di</strong>stinti, come ‘oggetto’, ‘percezione’, ‘intuizione’, ritenendoli tuttavia insuperabili quanto al loro valore<br />

esplicativo: “In realtà, alla domanda che chiede che cosa voglia <strong>di</strong>re il fatto che i significati categorialmente formati<br />

trovano un riempimento, che essi si confermano nella percezione, possiamo dare soltanto questa risposta: ciò non vuol<br />

<strong>di</strong>re altro se non che essi sono riferiti all’oggetto stesso nella sua messa in forma (Formung) categoriale. (…) Perciò,<br />

non appena vogliamo spiegare che cosa si abbia <strong>di</strong> mira quando si parla <strong>di</strong> riempimento, che cosa esprimano i significati<br />

formati ed in essi i loro elementi formali, che cosa sia l’oggettività unitaria o unificante che corrisponde ad essi, ci<br />

imbattiamo inevitabilmente nell’«intuizione», ovvero nella «percezione», e nell’«oggetto». Di queste parole, il cui<br />

senso ampliato è naturalmente manifesto, non possiamo fare a meno. In che altro modo mai potremmo infatti designare<br />

il correlato <strong>di</strong> una rappresentazione-<strong>di</strong>-soggetto (Subjectvorstellung) non sensibile o che contenga forme non sensibili se<br />

ci è preclusa la parola oggetto; in che modo potremo chiamare il suo essere attuale «essere dato» o il suo manifestarsi<br />

come «dato» se ci è preclusa la parola percezione?”; E. HUSSERL, Ricerche Logiche, cit., II, p. 445.<br />

443<br />

Ibid. A tal proposito osserva ancora molto lucidamente la Ripamonti: “Il nodo della questione rimane dunque<br />

l’oggetto intenzionale nella sua valenza ontico-ontologica: onticamente esso <strong>di</strong>ce che cosa è il qualcosa che sta <strong>di</strong><br />

fronte, mentre ontologicamente <strong>di</strong>ce la presenza del qualcosa stesso. Qui si apre la possibilità <strong>di</strong> una nuova lettura<br />

dell’essenza, che conduce al chiarimento del suo statuto ontologico. Essa non è più interpretabile come ciò che si<br />

intenziona e che, in quanto intenzionato, permette poi <strong>di</strong> cogliere l’ente; al contrario, essa viene a coincidere con la<br />

manifestazione dell’ente. In quanto tale l’essenza <strong>di</strong>verrebbe nulla senza l’ente, e questo a sua volta senza l’essenza non<br />

sarebbe ente (cioè «uno»), non sarebbe. In questo sta l’identità delle due eccedenze, cioè la giustificazione della tesi che<br />

l’ente è in virtù del suo manifestarsi: ciò che una cosa è fa tutt’uno col presentarsi della cosa stessa, non avendo<br />

l’essenza alcun altro statuto ontologico se non quello <strong>di</strong> essere in quanto «pensata», ossia in quanto manifestazione <strong>di</strong><br />

qualcosa”; D. RIPAMONTI, Alla ra<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> “Sein und Zeit”: la presenza <strong>di</strong> Husserl nelle “Marburger Vorlesungen”, cit.,<br />

p. 452.<br />

444<br />

M. HEIDEGGER, Prolegomeni alla storia del concetto <strong>di</strong> tempo, cit., p. 90; ricerca che, come noto, <strong>Heidegger</strong> non<br />

intraprenderà mai più, se non si vuole vedere tale ricerca nell’elaborazione delle ‘categorie’ della vita, cioè <strong>degli</strong><br />

esistenziali.<br />

445<br />

L’intera seconda parte (Parte principale) del corso che stiamo analizzando è infatti de<strong>di</strong>cata alla Analisi del<br />

fenomeno del tempo e conseguimento del concetto <strong>di</strong> tempo, la quale costituisce <strong>di</strong> fatto la prima stesura dell’analitica<br />

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