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"ricerche logiche" di Martin Heidegger - FedOA - Università degli ...

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Per far meglio comprendere il carattere categoriale e dunque non reale dello stato <strong>di</strong> cose<br />

esplicitato nell’enunciato esplicativo, si può prendere ad esempio – l’esempio <strong>di</strong> Husserl 430 ripreso<br />

da <strong>Heidegger</strong> – un particolare tipo <strong>di</strong> enunciato esplicativo, quello, cioè, in cui ad essere<br />

esplicitamente enunciata nel pre<strong>di</strong>cato è una relazione reale, la quale è già data imme<strong>di</strong>atamente<br />

nell’intuizione: “date due <strong>di</strong>fferenti lamine colorate chiare”, si può esplicitare che “A è più<br />

luminoso <strong>di</strong> b”. In questo caso, il “più-luminoso-<strong>di</strong>” come “correlato dello stato <strong>di</strong> cose in quanto<br />

rapporto categoriale è esso stesso una relazione e precisamente una relazione reale” 431 , mentre<br />

“l’essere-più-luminoso-<strong>di</strong> è al contrario accessibile in un nuovo atto del rapportare pre<strong>di</strong>cativo” 432<br />

come un rapporto non reale e dunque ideale, nel quale però lo stesso rapporto reale “più-luminoso-<br />

<strong>di</strong>” è presente come “contenuto <strong>di</strong> un correlato nel tutto dello stato <strong>di</strong> cose stesso”.<br />

Tuttavia, questo secondo rapporto categoriale ideale non è ancora colto tematicamente come<br />

tale, cosa che necessiterebbe <strong>di</strong> una nuova forma enunciativa resa possibile dalla<br />

“nominalizzazione” del rapporto stesso, cioè nella forma “questo rapporto <strong>di</strong> luminosità tra A e b è<br />

più facilmente osservabile rispetto a quello fra c e d. (…) Questa nominalizzazione dev’essere però<br />

separata dal semplice rilevamento del «più-luminoso-<strong>di</strong>». C’è così la possibilità che una relazione<br />

reale, quella del più-luminoso-<strong>di</strong>, possa essere rilevata nelle cose stesse in una relazione dello stato<br />

<strong>di</strong> cose ideale” 433 .<br />

Ciò <strong>di</strong>mostra, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che il richiamo realistico-empiristico alla<br />

realtà poggia in fondo su un malinteso senso del reale in quanto totalità dell’esperibile e<br />

dell’oggettivabile 434 e che, specularmente, ogni idealismo delinea un “intelletto mitico” se intende il<br />

categoriale come applicato ad un materiale sensibile <strong>di</strong> per sé amorfo: “Se <strong>di</strong>ciamo che il rapporto<br />

dello stato <strong>di</strong> cose è ideale, ovvero non reale, questo non significa affatto – e questo è l’elemento<br />

decisivo – non oggettivo o anche solo, per lo meno, meno oggettivo dell’elemento già dato<br />

realmente. Piuttosto, sulla via della comprensione <strong>di</strong> ciò che è presente nell’intuizione categoriale,<br />

oggetto offerente. La sintesi non è un connubio fra oggetti, ma súnqesij e <strong>di</strong>aíresij offrono oggetti. Il fattore<br />

decisivo è che in questa sintesi il q si mostra esplicitamente come appartenente a S, la semplice totalità <strong>di</strong> S si mostra<br />

esplicitamente”; Ibid.<br />

430<br />

Cfr. E. HUSSERL, Ricerche Logiche, cit., II, pp. 460.<br />

431<br />

M. HEIDEGGER, Prolegomeni alla storia del concetto <strong>di</strong> tempo, cit., p. 82.<br />

432<br />

Ibid.<br />

433<br />

Ibid.<br />

434<br />

D’altro canto, il richiamo fenomenologico all’intuizione quale giustificazione ultima dell’evidenza, non deve far<br />

pensare ad essa come ad una nuova e più ra<strong>di</strong>cale forma <strong>di</strong> “sensualismo”, come dovrebbe ormai risultare chiaro<br />

dall’analisi <strong>degli</strong> atti categoriali. Eppure, la fenomenologia non dovette essere al tempo esente da frainten<strong>di</strong>menti in tal<br />

senso, se ancora <strong>Heidegger</strong> si premura qui <strong>di</strong> riba<strong>di</strong>re, in uno specifico paragrafo de<strong>di</strong>cato alla Prevenzione <strong>di</strong> malintesi,<br />

quanto segue: “Bisogna perciò essere molto cauti nella consuetu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> imputare alla fenomenologia un sensualismo, <strong>di</strong><br />

pensare che si tratti unicamente <strong>di</strong> dati sensibili. La sensibilità è un concetto fenomenologico formale e intende, rispetto<br />

al concetto proprio del categoriale, cioè del vuoto formale, oggettuale, tutta la cosalità materiale così come è data dalle<br />

cose stesse. La sensibilità è quin<strong>di</strong> il titolo per la consistenza complessiva dell’ente che è dato nella sua cosalità. La<br />

materialità in generale, la spazialità in generale sono concetti sensibili, sebbene nell’idea della spazialità non c’è nulla<br />

dei dati delle sensazioni. Questo ampio concetto <strong>di</strong> sensibilità sta a fondamento <strong>di</strong> questa <strong>di</strong>fferenza fra intuizione<br />

sensibile e categoriale”; Ivi, p. 88.<br />

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