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"ricerche logiche" di Martin Heidegger - FedOA - Università degli ...

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l’“essere-giallo”, cioè la veracità dell’essere-giallo della se<strong>di</strong>a, il suo essere realmente gialla 401 , e<br />

dunque la consistenza del rapporto con il vero (Wahrverhalt) in quanto identità tra l’inteso e<br />

l’intuito; in secondo luogo, si può far risaltare “l’essere-giallo” in quanto inerire del pre<strong>di</strong>cato al<br />

soggetto, dunque una proprietà dello stato <strong>di</strong> cose (o stato oggettivo, Sachverhalt),<br />

in<strong>di</strong>pendentemente dal suo realizzare o meno un’identificazione: “Qui è inteso l’essere della copula<br />

– la se<strong>di</strong>a è gialla. Con questo secondo concetto <strong>di</strong> essere non è intesa come con il primo la<br />

consistenza del rapporto con il vero, ma un momento strutturale dello stato <strong>di</strong> cose stesso. (…)<br />

Nell’espressione: “la se<strong>di</strong>a è gialla” sono intesi entrambi questi significati <strong>di</strong> essere – essere come<br />

fattore <strong>di</strong> rapporto dello stato <strong>di</strong> cose stesso ed essere come rapporto con il vero” 402 .<br />

Come si vede, <strong>Heidegger</strong> riassesta così fenomenologicamente anche la sua critica alla teoria<br />

lotzeana della copula e del giu<strong>di</strong>zio – ma, con essa, alle moderne teorie del giu<strong>di</strong>zio in genere –<br />

come valere <strong>di</strong> un pre<strong>di</strong>cato per un soggetto, cui egli stesso aveva un tempo aderito. Essa non è in<br />

linea <strong>di</strong> principio errata ma non considera o confonde i due aspetti summenzionati, implicati in ogni<br />

teoria del giu<strong>di</strong>zio, e in secondo luogo resta insufficiente quanto alla determinazione del concetto<br />

dell’essere come essere-vero (realtà, semplice presenza) della relazione <strong>di</strong> vali<strong>di</strong>tà che essa stessa<br />

presuppone e che si tratta, piuttosto, per <strong>Heidegger</strong>, <strong>di</strong> indagare ulteriormente 403 : “Nella misura in<br />

cui questi due significati non sono mai stati elaborati fenomenologicamente, domina una costante<br />

confusione nella teoria del giu<strong>di</strong>zio, cioè sono state costruite teorie del giu<strong>di</strong>zio senza tener <strong>di</strong>stinti<br />

questi due sensi dell’essere. Solo a partire da qui è possibile vedere come essi si con<strong>di</strong>zionino a<br />

vicenda nella loro struttura, e quali possibilità <strong>di</strong> espressione sussistano nella frase in quanto<br />

frase” 404 . Anche il rapporto tra intuizione ed espressione, pertanto, deve essere analizzato.<br />

Inoltre – e non a caso – proprio Husserl, che al concetto <strong>di</strong> vali<strong>di</strong>tà ancora si attiene, non<br />

avrebbe, secondo <strong>Heidegger</strong> <strong>di</strong>stinto a sufficienza il Wahrverhalt dal Sachverhalt, <strong>di</strong> fatto<br />

sovrapponendoli. La verità come identità, fa notare infatti <strong>Heidegger</strong>, riguarda sì uno “stato”<br />

401<br />

Qui <strong>Heidegger</strong> sottolinea: “Si osservi come possiamo alternare «reale» e «verace»”; ivi, p. 67.<br />

402<br />

Ibid; analogamente, il senso dell’essere espresso nella copula avrà nel corso della storia della metafisica – e<br />

<strong>Heidegger</strong> tornerà ripetutamente a decostruirlo – un carattere costitutivamente ambiguo del “che è” (daß, existentia) e<br />

del “che cos’è” (was, essentia); su questo cfr. in particolare M. HEIDEGGER, I problemi fondamentali della<br />

fenomenologia, cit., parte prima; id., Nietzsche, cit.<br />

403<br />

“Lotze, che ha introdotto nella logica il concetto <strong>di</strong> vali<strong>di</strong>tà, usa il termine «essere» in questo significato ristretto,<br />

secondo cui «essere» equivale a «presenza effettiva delle cose», «essere» uguale «realtà» (semplice presenza). Se<br />

dunque essere significa realtà, esso non può significare idealità, non si può cioè <strong>di</strong>re che le idee siano. (…) Io stesso, in<br />

una precedente ricerca sull’ontologia me<strong>di</strong>evale, ho accolto la <strong>di</strong>stinzione <strong>di</strong> Lotze, usando quin<strong>di</strong> l’espressione<br />

«effettiva presenza» per in<strong>di</strong>care l’essere, oggi quest’uso non mi sembra più corretto. Sorge la domanda, quale presenza<br />

effettiva (detto nel senso <strong>di</strong> Lotze) si debba attribuire alle idee. Si risponde che la forma <strong>di</strong> effettiva presenza delle idee<br />

è la vali<strong>di</strong>tà. L’ideale vale, il reale è. Lotze chiede quale presenza effettiva abbiano le idee. Noi chiederemmo quale<br />

essere abbiano le idee. Lotze pone questo problema circa il tipo <strong>di</strong> presenza effettiva delle idee o dell’ideale in un<br />

contesto che dobbiamo rendere preliminarmente chiaro per poter cogliere correttamente il modo in cui i problemi sono<br />

posti e risolti. (…) Tale contesto è quello in cui ci si chiede in che cosa consista la verità della conoscenza, più<br />

esattamente, come siano determinabili la verità e l’esser-vero”; M. HEIDEGGER, Logica. Il problema della verità, cit.,<br />

pp. 43-44.<br />

404<br />

M. HEIDEGGER, Prolegomeni alla storia del concetto <strong>di</strong> tempo, cit., p. 68.<br />

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