Pisano, Lo strano caso del signor Mesina - Sardegna Cultura
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so anche per <strong>Mesina</strong> che, in un primo momento, chiede<br />
soccorso a un suo vecchio legale (Giannino Guiso), poi<br />
sceglie di essere difeso da un avvocato d’ufficio.<br />
Non sono frammenti di storia personale, questi.<br />
Non sono spezzoni di vita privata. È che dopo la vicenda<br />
<strong>del</strong> sequestro Kassam, la buona stella di Graziano<br />
declina velocemente: la liberazione di Farouk si trasforma<br />
in un boomerang. Scontro aperto tra chi giura che<br />
l’impresa è tutta sua e chi invece lo accusa di averci speculato.<br />
Affidandosi a un’antica e ipocrita certezza: un<br />
bandito è sempre un bandito.<br />
Tempo dopo ad Asti, a un processo per armi e sequestro<br />
di persona, c’è scarso interesse, pochi inviati seguono<br />
le udienze che si trascinano stancamente fino alla<br />
sentenza di condanna. <strong>Lo</strong> stesso giornale di Montanelli<br />
non dà grande rilievo alla notizia, addirittura non pubblica<br />
una riga il giorno <strong>del</strong> verdetto. <strong>Mesina</strong> non fa più<br />
titolo? Qualcosa non quadra. Forse circola sottobanco<br />
l’indiscrezione che prova la sua colpevolezza: insomma<br />
in quel pasticcio c’è dentro fino al collo, ha peccato di<br />
onnipotenza, di presunzione e di certezza <strong>del</strong>l’impunità.<br />
Ore e ore di intercettazioni telefoniche sono lì a dimostrarlo.<br />
Un’ipotesi di questo genere spiegherebbe le<br />
ragioni <strong>del</strong>l’insolito disinteresse verso un personaggio<br />
che ha fatto girare al massimo le rotative.<br />
Il mito pare finire a pezzi, miseramente scivolato su<br />
una buccia di banana ha rivelato la sua anima: di gesso.<br />
Ha tradito la fiducia di molte persone, dunque fa bene il<br />
pubblico ministero a definirlo “<strong>del</strong>inquente abituale” e<br />
a ironizzare pesantemente su un dio minore che rotola<br />
verso il disastro. «Per uno come lui non posso chiedere<br />
una condanna lieve, non sarebbe rispettoso».<br />
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Nel fuggi fuggi generale, più o meno dignitoso, c’è<br />
una donna che resiste. E continua a scrivergli, anche<br />
adesso che sembrano essere perduti perfino gli ultimi<br />
scampoli di libertà. È Valeria Fusè, milanese. Il suo nome<br />
vien fuori nella primavera <strong>del</strong>l’85. Allo scadere di<br />
un permesso di dodici ore, <strong>Mesina</strong> non rientra nel carcere<br />
di Vercelli. I carabinieri lo sorprendono con questa<br />
ragazza, carnagione chiara e sguardo smarrito, in un<br />
appartamentino di Vigevano. L’amante <strong>del</strong> bandito: al<br />
processo per direttissima arrivano tivù e giornali di<br />
mezza Europa. Per Graziano è una clamorosa affermazione<br />
di balentìa («l’uomo è uomo») con una qualche<br />
pennellata di colore da rotocalco ultrapopolare. Valeria<br />
Fusè schiva l’attenzione generale e rientra («assolta<br />
perché il fatto non costituisce reato») nella casa dove<br />
vive coi genitori. Nel ’91, quando <strong>Mesina</strong> acquista la libertà<br />
– sia pure dimezzata da orari ristretti e rigidissimi<br />
limiti di movimento – un incontro a due mette a fuoco<br />
“un bellissimo rapporto d’amicizia”.<br />
Amicizia commovente e profonda che resta in piedi,<br />
quasi solitaria, anche mentre infuria una terribile tempesta,<br />
giudiziaria e umana.<br />
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