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Pisano, Lo strano caso del signor Mesina - Sardegna Cultura

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ca, beffarda. Il bandito si avvicina e gli bisbiglia all’orecchio:<br />

«Pisciati addosso».<br />

Con Pupo Troffa la sindrome di Stoccolma, quel filo<br />

misterioso che lega la vittima al boia, non c’è. Semmai<br />

odio, un odio stratificato che, a dispetto d’una dichiarata<br />

militanza cristiana, non riesce a pronunciare o immaginare<br />

il perdono. Difficile dargli torto, giocare ambiguamente<br />

sul ritorno alla ragione. Otto mesi da cane li<br />

ha vissuti lui e lui soltanto. È perfino irriguardoso cercare<br />

di spiegargli a tavolino perché dovrebbe dimenticare.<br />

Troffa non ci sta. Ha portato dovunque questa sua<br />

storia, alla faccia di quegli accademici illuminati che discettano<br />

su attenuanti, generiche e specifiche, <strong>del</strong> sequestro.<br />

Emilio Pazzi, che su vicende come queste potrebbe<br />

scrivere un’antologia, assicura che non si tratta affatto<br />

di un’eccezione. Ha avuto occasione di verificare personalmente<br />

cosa sia la paura andando a fare l’emissario<br />

durante le indagini per alcuni rapimenti. Una volta,<br />

mentre parlava con un fuorilegge a notte fonda, gli è<br />

perfino cascato il registratore che teneva nascosto nel<br />

cappotto. L’ha salvato il buio, il bandito ha pensato a<br />

una sbadataggine legata all’emozione e non s’è chinato<br />

a vedere di cosa si trattava.<br />

Pazzi parla per esperienza personale. E non assolve,<br />

mai. Conosce ex ospiti <strong>del</strong>l’Anonima, come un penalista<br />

di Sassari, che dopo l’esperienza-sequestro si sono<br />

riconvertiti. «Non riusciva più a fare l’avvocato, a difendere<br />

sempre e comunque gente che stava su un’altra<br />

sponda».<br />

Sperando che nelle stanze alte <strong>del</strong> ministero degli Interni<br />

nessuno lo senta, il poliziotto Pazzi confessa «una<br />

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larvata simpatia per i <strong>del</strong>inquenti di ieri». Quelli nuovi,<br />

classe dirigente <strong>del</strong>l’orrore con la quale lo stesso Graziano<br />

<strong>Mesina</strong> dovrà fare i conti durante il rapimento <strong>del</strong><br />

piccolo Farouk Kassam, sono d’altro tipo. Non hanno<br />

debolezze e considerano il “fattore umano” un dettaglio<br />

irrilevante. L’ostaggio è soltanto un capitale in carne<br />

e ossa: come tale, bisogna renderlo redditizio, aiutarlo<br />

con immondi e terrificanti stimoli a trasformarsi in<br />

una macchina mangiasoldi, a diventare un gelido esattore<br />

dei beni di famiglia, un grottesco pubblico ministero<br />

che addossa a moglie e figli i ritardi <strong>del</strong>la sua liberazione.<br />

La violenza non è altro che un ingrediente <strong>del</strong> sequestro.<br />

Un lavoro di pressing, direbbero amabilmente nel<br />

mondo <strong>del</strong> calcio. Che spesso prevede lo stupro. Potrebbe<br />

testimoniare a questo proposito un professionista<br />

rapito a Punta <strong>Sardegna</strong> insieme alla moglie e alla figlia<br />

sordomuta. Pazzi ricorda che quando venne liberato,<br />

perché cercasse i soldi necessari al riscatto, era “una<br />

belva”. Strano, di solito il ritorno alla luce, alla libertà,<br />

stravolge gli ostaggi rendendoli euforici, allegri, ubriachi<br />

di gioia, di vita ritrovata.<br />

Quello no. Davvero una belva. Nessuna dichiarazione.<br />

Anzi, spara un cazzotto in pieno viso contro un reporter<br />

troppo insistente. Come mai? Poco prima di essere<br />

liberato, un bandito lo aveva sodomizzato davanti<br />

alla moglie e alla figlia aggiungendo poi un piccolo avvertimento:<br />

«Sbrigati a trovare i soldi, perché fino a<br />

quando tu non paghi questo lavoretto lo faremo anche a<br />

tua moglie e alla ragazzina». Promessa mantenuta. Per<br />

completezza d’informazione, va aggiunto che – dopo<br />

l’arresto – questo esuberante macellaio non è rientrato<br />

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