Pisano, Lo strano caso del signor Mesina - Sardegna Cultura
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sintegrati. Salvo rarissime eccezioni, a sparare non è chi<br />
cerca un riscatto sociale. La povertà non è un detonatore<br />
<strong>del</strong>la violenza, almeno di quella che si lancia sul fronte<br />
dei sequestri.<br />
<strong>Lo</strong> sa bene Emilio Pazzi, poliziotto dall’alluce ai capelli,<br />
uno che potrebbe raccontare trent’anni di fatti e<br />
misfatti. Questore a Cagliari (dopo Nuoro e Oristano),<br />
ha diretto la Criminalpol per lungo tempo, inviato speciale<br />
<strong>del</strong> governo in Aspromonte per combattere la<br />
’ndrangheta. Con la testa e non col mitra.<br />
Perché Pazzi, buon conoscitore di Graziano <strong>Mesina</strong>,<br />
indagini su un centinaio di sequestri alle spalle, è poliziotto<br />
di testa. «Mai dato uno schiaffo», giura.<br />
È una sfinge, affila gli occhi fino a farli diventare due<br />
fessure, sorriso da cerimonia e una granitica educazione<br />
al silenzio. Potrebbe fare il paio con Antonio Serra. Servitore<br />
fe<strong>del</strong>e <strong>del</strong>lo Stato, non carnefice. E durissimo con<br />
la sociologia d’accatto che tenta di trovare una qualche<br />
giustificazione ai rapimenti. Conosce molto bene la<br />
campagna di annientamento psicologico <strong>del</strong>l’ostaggio,<br />
la violenza segreta, la sottile cru<strong>del</strong>tà tra carcerieri e prigioniero,<br />
i meccanismi che regolano l’industria <strong>del</strong> sequestro<br />
di persona. Ritiene che il «romanticismo interpretativo<br />
<strong>del</strong> mondo criminale finisca per essere fiancheggiatore<br />
e dunque complice».<br />
La realtà, quella che la cronaca non può raccontare,<br />
è terribile. Pupo Troffa, imprenditore sassarese rapito<br />
nell’inverno <strong>del</strong> ’78 e liberato nella primavera <strong>del</strong>l’anno<br />
successivo, è stato tenuto legato a una catena<br />
per duecentocinquanta giorni, più di otto mesi. Occhi<br />
bendati, neppure un momento distensivo. Mai. Perfino<br />
il giorno <strong>del</strong> rilascio ha fatto capolino la ferocia, il<br />
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disprezzo. «Eravamo in un <strong>caso</strong>lare, ero legato mani e<br />
piedi». Arriva il bisogno improvviso, irresistibile di fare<br />
pipì. Troffa, industriale inossidabile e buon giocatore<br />
di bridge, ha superato da tempo certi pudori: durante<br />
la prigionia non possono esserci più segreti coi<br />
custodi. «L’uomo è un animale che si abitua a tutto. E<br />
perfino con rapidità. Sulle prime, l’umiliazione è palpitante:<br />
penso a quando dovevo soddisfare, sempre<br />
bendato, le mie necessità fisiologiche sotto l’occhio attento<br />
di due carcerieri. Non l’ho dimenticato ma rammento<br />
anche che col passare dei giorni, <strong>del</strong>le settimane,<br />
tutto diventa routine, senza trascurare però il<br />
bisogno di alimentare l’odio e la sete di vendetta. Tra<br />
me e me cercavo spunti, argomenti per tenere viva e<br />
bruciante questa mia rabbia. Che non s’è spenta. In<br />
diverse occasioni, hanno anche tentato di stabilire un<br />
dialogo, quattro parole per ingannare il tempo che<br />
non passava mai. Io non sono stato capace neanche di<br />
fare questa piccola concessione. Preferivo parlare con<br />
me stesso piuttosto che col carceriere».<br />
In quella mattina, nel <strong>caso</strong>lare dove sarebbe stato liberato,<br />
Troffa avverte la luce <strong>del</strong> sole attraverso la benda<br />
scura che gli copre gli occhi. È sfinito, spaventato, tenuto<br />
in vita da una paura che crede di non aver lasciato<br />
intuire ai suoi custodi. Peccato per questa seccatura finale,<br />
peccato dover chiedere un’ultima cortesia ma proprio<br />
non ce la faceva più. «Per favore, mi slacci i pantaloni?»<br />
domanda a un implacabile secondino. L’ha chiesto<br />
centinaia di volte durante i mesi <strong>del</strong> sequestro. L’ostaggio,<br />
insaccato in una corda, non poteva far nulla da<br />
solo, nemmeno la pipì. «Mi hai sentito, mi slacci i pantaloni<br />
per favore? Sto male». La risposta è una risata sec-<br />
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