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Pisano, Lo strano caso del signor Mesina - Sardegna Cultura

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anza di una carezza. Scodinzola, non abbaia: non<br />

sembra tagliato per i compiti di vigilanza. Avesse pure<br />

una ciotola d’acqua a disposizione forse sembrerebbe<br />

meno depresso.<br />

Dopo il controllo dei documenti, il passaggio sotto il<br />

metal detector, le verifiche di legge, gli scricchiolii dei<br />

cancelli che si aprono con inesorabile lentezza; dopo le<br />

porte blindate, la musica sinistra di enormi chiavi d’ottone<br />

e il rumore dei passi amplificato dall’eco in gallerie<br />

deserte, si arriva finalmente alla sala-colloqui: un tavolo<br />

impolverato, una vecchia poltrona d’ufficio (sfondata),<br />

due sedie che gemono al minimo movimento.<br />

Graziano <strong>Mesina</strong> passa per essere un detenuto tranquillo.<br />

Perfino solitario non fosse per l’amicizia con l’unico<br />

altro recluso sardo di Voghera, Mauro Addis (di<br />

Carbonia, in galera per terrorismo). Addis è vegetariano,<br />

<strong>Mesina</strong> astemio: per ferragosto si sono organizzati<br />

un pranzo che era una via di mezzo tra gli hippy e le orsoline.<br />

«Però poi c’è il problema degli extracomunitari.<br />

Sono tanti, non hanno un centesimo e dunque non possono<br />

comprare niente allo spaccio. E che faccio, mi<br />

metto a mangiare mentre uno mi guarda? A questi, da<br />

baby sitter bisogna fargli».<br />

L’amministrazione carceraria passa la colazione (anche<br />

dietetica), un pranzo (primo, secondo e frutta),<br />

una cena da ospedale (minestrina e un pezzo di formaggio).<br />

Il vino c’è, si può acquistare un quarto di litro<br />

alla volta «ma fa talmente schifo che bere acqua diventa<br />

un piacere». Le celle singole sono in dotazione ai soli<br />

detenuti anziani, cioè a gente come <strong>Mesina</strong> che sconta<br />

l’ergastolo nonostante nessun Tribunale abbia pronunciato<br />

una sentenza di questo tipo contro di lui. Sta<br />

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pagando, e continuerà a pagare, per un’aberrazione<br />

giuridica che ha equiparato la somma di pene diverse<br />

all’ergastolo. Vecchia storia, non vale la pena di perderci<br />

la testa. «Non parlare di me, parla <strong>del</strong> sistema<br />

carcerario».<br />

È un <strong>Mesina</strong> senza vanità e gonfio di livore quello<br />

che avanza, a piccoli passi, da un androne lontano. Saluta,<br />

sorride stretto stretto ed entra direttamente nella<br />

saletta-colloqui lasciando una leggera scia di deodorante.<br />

Sessantadue anni: e stavolta, a parte gli occhi che<br />

sembrano senza tempo, si vedono tutti. «Faccio quattro<br />

ore di aria al giorno, due al mattino e due alla sera.<br />

Poi, qualche movimento in cella». Per tornare (o quasi)<br />

quello di una volta servirebbe ben altro. «È la vita sedentaria<br />

che ti frega».<br />

Si siede, mette lo sguardo a fuoco, dà un’occhiata alla<br />

copertina di un libro che racconta la sua storia (e che<br />

ha già letto), ridacchia osservando un collage di foto<br />

che lo riporta agli anni calibro 12, alla stagione <strong>del</strong> fuorilegge<br />

balente. Non aspetta domande, non gli interessa<br />

soddisfare curiosità di cronaca. Va subito al dunque,<br />

a valanga. Come se aspettasse da sempre di gridare due<br />

o tre cose all’altro mondo, oltre le sbarre.<br />

«<strong>Lo</strong> sapevo che non mi avrebbero concesso la grazia.<br />

Non regalano mai nulla a persone come me. Con le<br />

ultime due condanne dovevo scontare otto anni e tre<br />

mesi. Ne ho fatto dieci, non bastano?»<br />

– Un’ultima speranza, Ciampi.<br />

«Sì, ma ci sono complicanze legate alla grazia per<br />

Adriano Sofri. Comunque: se vogliono farmi tornare<br />

in libertà, per quello che sono e per la galera che ho<br />

fatto, bene. Altrimenti, pazienza. Io non chiedo più<br />

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