Pisano, Lo strano caso del signor Mesina - Sardegna Cultura
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Capitolo XV<br />
La grazia negata<br />
Il giorno di sant’Ilaria, 12 agosto, il detenuto Graziano<br />
<strong>Mesina</strong> s’è svegliato alla solita ora: le cinque e mezzo.<br />
Ha acceso la tivù (televideo) e avviato le pulizie <strong>del</strong> suo<br />
domicilio coatto: cella numero 5, tre metri per uno e ottanta,<br />
secondo piano <strong>del</strong> carcere di massima sicurezza<br />
di Voghera, vista cielo. Che quella mattina era stranamente<br />
cupo, un tetto di nuvolaglia.<br />
La seccatura, in genere, riguarda i due mobiletti inchiodati<br />
al muro: non si sa da dove arrivi ma sono sempre<br />
pieni di polvere. Finito di rassettare cella e ritirata<br />
(water e lavandino protetti da una porticina, privilegio<br />
dei reclusi di lunga navigazione), <strong>Mesina</strong> s’è preparato<br />
l’unico caffè <strong>del</strong>la giornata, ha indossato jeans azzurri e<br />
una t-shirt nera un po’ elasticizzata: il che aiuta, visto<br />
che la muscolatura non è più quella di un tempo. Se è<br />
solo per questo, anche i capelli non sono più gli stessi:<br />
quelli nerissimi degli anni <strong>del</strong>la latitanza sono evasi mettendo<br />
in luce un cranio tondo, lucido.<br />
Alle 11,30 di quel giorno, proprio mentre incombeva<br />
la solita noia (solita, da quarant’anni), una guardia<br />
carceraria s’è materializzata davanti alla porta <strong>del</strong>la cella<br />
numero 5: «Ti vogliono all’Ufficio Matricola». In<br />
queste circostanze non è il <strong>caso</strong> di perdersi in chiacchie-<br />
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