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Pisano, Lo strano caso del signor Mesina - Sardegna Cultura

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d’Italia? Impossibile azzardare un pronostico, disegnare<br />

un finale che resta tutto da scrivere.<br />

Al di là dei confini fra teorie e verità, è comunque<br />

una nuova, pesante mattonata sui denti. Un bombardamento<br />

che non si ferma neppure dopo il ritorno in carcere<br />

<strong>del</strong> ’93. Qual’è il vero Graziano <strong>Mesina</strong>? Al palazzo<br />

di giustizia di Cagliari (e non solo) sono fermamente<br />

convinti che il vecchio bandito non sia mai morto. Dicono:<br />

è vero che appartiene alla vecchia generazione criminale<br />

ma è anche uno che sa adeguarsi rapidamente ai<br />

tempi: e se il traffico di droga ha sostituito i reati d’un<br />

tempo, perché non tentare?, perché non provarci? Dopotutto,<br />

ritengono in Procura, le coincidenze sono troppe<br />

per non destare sospetti.<br />

L’altra immagine è profondamente diversa: tratteggia<br />

un <strong>Mesina</strong> diverso dal fuorilegge che è stato in gioventù,<br />

rivela un vinto che da molti anni ha riscattato se<br />

stesso e che, soprattutto, ha scontato tutto ma proprio<br />

tutto. Quanto dovrà attendere perché un nuovo tribunale<br />

lo dichiari colpevole o lo assolva?, quanto possono<br />

valere le dichiarazioni (senza riscontro) di un pentito?<br />

Forse eccedono quelli che parlano di persecuzione<br />

giudiziaria: il fatto è che non se ne vede la fine. Tra clan<br />

Ritrovato e clan Tornaghi, tra armi custodite nel posto<br />

più sbagliato <strong>del</strong> mondo e fantasiosi progetti per sequestri<br />

internazionali, la figura di <strong>Mesina</strong> appare dilatata,<br />

ancora più mitica di quella relegata alle imprese in Supramonte.<br />

C’è da chiedersi quanto debba durare il purgatorio<br />

di un uomo, se quarant’anni di carcere non siano<br />

un’equa punizione. Proseguire su questa strada si-<br />

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gnifica mostrare la faccia incarognita di uno Stato che<br />

non sa perdonare e che in ogni <strong>caso</strong> non è stato in grado<br />

di favorire manco un’ombra di redenzione.<br />

È intorno a queste riflessioni che nasce con tutta<br />

probabilità l’idea di cedere, alzare bandiera bianca e<br />

chiedere la grazia. Se ne parlava da un po’, da quando a<br />

Torino gli avvocati Banda e Bucci l’avevano messo in<br />

conto nel <strong>caso</strong> fosse stata respinta l’istanza di revoca<br />

<strong>del</strong>l’ergastolo. Il problema è che <strong>Mesina</strong> non ne vuol sapere.<br />

Resiste alle pressioni dei familiari e pare quasi un<br />

“prigioniero politico” che voglia far arrivare alle estreme<br />

conseguenze, far esplodere, le contraddizioni di un<br />

sistema che da un lato ripudia la pena di morte e dall’altro<br />

finisce per applicarla, sia pure chiamandola in un altro<br />

modo e senza la distaccata assistenza di un boia. Nei<br />

primissimi mesi <strong>del</strong> 2003 continua a rifiutare incontri<br />

coi giornalisti e, visto che c’è, anche con avvocati che di<br />

volta vengono incaricati di ammansirlo, mostrargli l’unica<br />

via di salvezza: quattro righe indirizzate al Presidente<br />

<strong>del</strong>la Repubblica.<br />

Graziano prosegue coi suoi rifiuti («Ho detto no e<br />

no») e finirebbe col farcela se non commettesse un piccolo<br />

errore: sottovaluta la cocciuta testardaggine di una<br />

<strong>signor</strong>a che da qualche anno va a trovarlo con regolarità.<br />

E che sul tema <strong>del</strong>la grazia inizia a fargli il lavaggio<br />

<strong>del</strong> cervello.<br />

Greca Deiana è una sarda che abita da tempo a Modena.<br />

Sposata, madre di due figlie, è vecchia amica di famiglia<br />

dei <strong>Mesina</strong>. Non proprio lei ma suo padre, a voler<br />

essere precisi. Un incontro, che poi è una folgorazio-<br />

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