Pisano, Lo strano caso del signor Mesina - Sardegna Cultura
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scheletriche. Per esempio, quanti omicidi ha commesso?<br />
«Uno, <strong>signor</strong> presidente».<br />
– Uno solo?<br />
«Uno solo. Sono stato assolto dall’accusa di aver colpito<br />
a morte due poliziotti durante un conflitto a fuoco».<br />
– Vedo tra queste carte anche una storia di occultamento<br />
<strong>del</strong> cadavere d’un certo Miguel Alberto Asencio<br />
Prados Ponte…<br />
«Quello è il suo nome vero, lungo lungo. Per noi era<br />
Miguel, Miguel Atienza. Non ho occultato il suo cadavere,<br />
l’ho semplicemente sepolto. Dopo un’evasione,<br />
era rimasto ferito seriamente in uno scontro coi “baschi<br />
blu”. Non ce l’ha fatta. Ho avvertito il padre, ma non si<br />
è portato via la salma. È sepolto nel cimitero di Nuoro,<br />
povero Miguel».<br />
– Cosa rimprovera alla società?<br />
Ci sarebbe moltissimo da dire, ma è meglio sfumare.<br />
«Nulla da obiettare. Rispetto e chiedo rispetto. Avrò bisogno<br />
di tempo. Per <strong>strano</strong> che possa sembrare, sento la<br />
necessità di riposarmi».<br />
La sentenza arriva nella tarda mattinata. Poi, portandosi<br />
dietro una borsa gonfia di fascicoli, Fornace corre<br />
nel suo ufficio blasonato. L’anticamera è tappezzata di<br />
vecchie locandine, molte <strong>del</strong> teatro La Scala, che creano<br />
un’atmosfera particolare, molto ufficiale e nello stesso<br />
tempo accogliente, quasi informale. Dietro un’enorme<br />
scrivania, il magistrato conferma d’aver fatto una scommessa.<br />
Crede in <strong>Mesina</strong>, e avrà modo di dimostrarlo durante<br />
il rapimento di Farouk Kassam. In quella occasione<br />
gli darà carta bianca, una libertà di movimento senza<br />
vincoli di sorta.<br />
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«Missione <strong>Sardegna</strong>», scherzava coi giornalisti. E<br />
quando la superprocura di Cagliari inizierà a mugugnare<br />
sulla presenza e sul ruolo di Graziano in quella vicenda,<br />
la risposta sarà secca, durissima: «Per quel che ne so,<br />
il <strong>Mesina</strong> non soltanto non sta creando problemi ma anzi<br />
sta dando una mano a risolverli». La replica, un esposto<br />
al Consiglio superiore <strong>del</strong>la magistratura, lo lascia<br />
indifferente. Questo <strong>strano</strong> sorvegliato speciale lo affascina,<br />
gli dà la certezza che non si tratti di un bluff. Sa<br />
che la carta-Farouk può significare la grazia e in qualche<br />
misura un piccolo contributo a raggiungere questo<br />
obiettivo può darlo arche lui. <strong>Mesina</strong> non veniva forse<br />
definito la primula rossa <strong>del</strong> Supramonte? Bene, sguinzagliarlo<br />
in una storia di sequestro a scopo di estorsione<br />
(dopotutto è il suo ramo, no?) non potrà che dare risultati<br />
incoraggianti.<br />
Ci crede, ci si butta impegnandosi personalmente<br />
con dichiarazioni di simpatia. Sarà una bruciante <strong>del</strong>usione<br />
professionale. Ma questo, la mattina di quel 18 ottobre,<br />
Fornace non lo sa. Ascolta con aria solidale, da<br />
giudice di grande esperienza qual è, le parole che Gabriella<br />
Banda, difensore <strong>del</strong>l’ex ergastolano, affida alle<br />
agenzie di stampa con qualche emozione: «Il verdetto<br />
sulla liberazione condizionale non è solo un atto di giustizia.<br />
Credo che <strong>Mesina</strong> abbia abbondantemente pagato<br />
il suo debito con la società. Tanto più che nella sua<br />
trentennale permanenza nei penitenziari italiani non ha<br />
mai goduto di un provvedimento, come dire?, di benevolenza.<br />
Oggi ha il diritto di rifarsi una vita».<br />
Graziano lo sa. Per questo, nella lunga notte a casa di<br />
Ballore, mentre Crescentino dorme, accetta, lui che<br />
odia l’alcol, di fare un brindisi. Alza il bicchiere, bagna<br />
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