Pisano, Lo strano caso del signor Mesina - Sardegna Cultura
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– Conosceva <strong>Mesina</strong>?<br />
«No. Io ed Elio Ferralis abbiamo pensato a lui quando<br />
ci siamo accorti che non avremmo mai più rivisto i<br />
soldi che avevamo dato a Men<strong>del</strong>la. Di mio c’erano cinquecento<br />
milioni, soldi che mi hanno lasciato mio padre<br />
e mie zie. Ho detto tutto alla polizia francese, sono in<br />
collegamento con un ispettore».<br />
– Che doveva fare <strong>Mesina</strong>?<br />
«Farci restituire i soldi. Dai giornali abbiamo saputo<br />
che abitava ad Asti e allora siamo andati a trovarlo. <strong>Lo</strong><br />
abbiamo incontrato complessivamente quattro volte.<br />
Una volta gli ho detto che la polizia ci aveva pedinato fino<br />
a casa sua. Non importa, ha risposto».<br />
– Lei è, come si dice, un collaboratore di giustizia?<br />
«No, all’inizio pensavo lo fosse <strong>Mesina</strong>. Sì, proprio<br />
lui. Mi faceva pensare non vederlo preoccupato per tutta<br />
quella gente che avevamo attorno. Poi, durante il terzo<br />
incontro, ha domandato se potevamo fargli un favore.<br />
Aveva bisogno di sei caricatori per kalashnikov».<br />
– E in cambio si sarebbe occupato di Men<strong>del</strong>la?<br />
Anfossi: «No, no. Men<strong>del</strong>la era un discorso a parte.<br />
Elio gli aveva portato una sua pistola, regolarmente denunciata.<br />
Non ricordo se gliel’avesse chiesta <strong>Mesina</strong>.<br />
Ricordo invece che ci disse dove avremmo potuto trovare<br />
i caricatori. In Svizzera».<br />
– Quando avete comprato i caricatori?<br />
«Subito dopo. Li abbiamo sistemati in una busta di<br />
pane, dentro uno zainetto. Poi abbiamo telefonato dicendogli<br />
abbiamo cioccolatini per te. Sapevamo che<br />
avrebbe capito. Nella casa <strong>del</strong> suo datore di lavoro, in<br />
via Guttuari, siamo arrivati puntualissimi. Subito dopo<br />
di noi, i carabinieri. In quel momento ho pensato: Mesi-<br />
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na ci ha fregato. Cosa ricordo di quel momento? La<br />
confusione e la ricerca di armi, che non sono state trovate».<br />
– Dopo l’arresto le hanno chiesto di accusare <strong>Mesina</strong>?<br />
«No. È successo di peggio. Mi volevano implicare in<br />
storie strane. Per sessanta giorni non mi hanno fatto<br />
dormire. Mi insultavano dallo spioncino <strong>del</strong>la cella oppure<br />
facevano rumore. Ininterrottamente, senza smettere<br />
un attimo. Credevo di impazzire. Ricordo rumori<br />
metallici contro la parete. Tutta la notte. Tutta. Ogni<br />
tanto arrivava qualcuno che, senza qualificarsi, mi chiedeva<br />
di firmare verbali in cui mi autoaccusavo di aver<br />
compiuto azioni terroristiche».<br />
– La interrogavano uomini dei Servizi?<br />
«Servizi segreti, vuol dire? Non lo so. L’ho detto, era<br />
gente strana. Mi hanno riferito di aver perquisito la mia<br />
casa. Ho scoperto poi che l’avevano praticamente distrutta.<br />
Non ho dimenticato, continuo a fare indagini».<br />
– Indagini su cosa?<br />
«Su Men<strong>del</strong>la, perché il <strong>caso</strong> Men<strong>del</strong>la e quello di<br />
Graziano <strong>Mesina</strong> marciano insieme. Al momento opportuno<br />
dirò di più».<br />
Al processo, che si apre sette mesi dopo, non dirà affatto<br />
di più. Anzi, dovrà superare qualche momento di<br />
evidente imbarazzo. Per esempio quando l’avvocato<br />
Passeri gli chiede se è un confidente <strong>del</strong>le forze <strong>del</strong>l’ordine.<br />
«A questa domanda preferirei non rispondere»,<br />
dice rivelando sicuramente molto più di quel che avrebbe<br />
voluto.<br />
A parare i colpi <strong>del</strong>la dietrologia pensa il pubblico<br />
ministero, Francesco Saluzzo, soprannominato Saluzzo<br />
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