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Saua ARTE LETTERATURA SPETTACOLO<br />
T<br />
R4 N4<br />
o TRIMESTRE <strong>2008</strong><br />
Poste Italiane S.p.a. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L.<br />
27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, - CNS/CBPA-NO/GE - n. 4 anno 1 - contiene I.R.
SaTuRa<br />
Trimestrale<br />
di arte letteratura e spettacolo<br />
Redazione<br />
Sandra Arosio, Milena Buzzoni,<br />
Vico Faggi, Luigi Fenga,<br />
Gianluigi Gentile, Mario Napoli,<br />
Mario Pepe, Veronica Pesce,<br />
Giuliana Rovetta, Andrea Scarel,<br />
Stefano Verdino, Guido Zavanone<br />
Redazione milanese<br />
Simona De Giorgio<br />
Via Farneti,3<br />
20129 Milano<br />
Tel.: 02 74 23 10 30<br />
e-mail: simodergiorgio@libero.it<br />
Direttore responsabile<br />
Gianfranco De Ferrari<br />
Segreteria di Redazione<br />
Rita Di Matteo<br />
Collaboratori di Redazione<br />
Erika Bailo, Barbara Cella,<br />
Maura Ghiselli, Irene Mele,<br />
Elisa Rampone<br />
Editore<br />
SATURA associazione culturale<br />
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SATURA Piazza Stella 5, 16123 Genova<br />
Tel.: 0102468284<br />
cellulare 338-2916243<br />
e-mail: saturanews@satura.it<br />
sito web: www.satura.it<br />
Progetto grafico<br />
Elena Menichini<br />
Stampa<br />
Sorriso Francescano<br />
Via Riboli 20, 16145 Genova<br />
Quota di abbonamento <strong>2008</strong><br />
un numero: euro 6,00<br />
annuale: euro 20,00<br />
sostenitore: euro 50,00<br />
C/C Banca Intesa Cod. IBAN:<br />
IT37 G030 6901 4950 5963 0260 158<br />
Anno 1 n° 4<br />
Quarto trimestre<br />
Autorizzazione del tribunale<br />
di Genova n° 8/<strong>2008</strong><br />
In copertina<br />
Luigi Grande<br />
Motociclista
sommario<br />
03 FRANCO CROCE<br />
Una lettura di Franco Croce:<br />
Giovanni Pascoli:<br />
Il lampo e il tuono<br />
a cura di Caterina Bardi<br />
06 PASCOLI E GLI ARTISTI<br />
Illustrazioni per la III<br />
edizione di Myricae<br />
Veronica Pesce<br />
23 QUATTRO POESIE<br />
Guido Zavanone<br />
23 Al lettore<br />
23 Uomo<br />
24 La tempesta<br />
24 La statua della fontana<br />
25 IL SIGNOR<br />
BONAVENTURA<br />
Andrea Scarel<br />
35 TRE POESIE<br />
Marco Gasperini<br />
35 A Cannigione<br />
35 Notte al bois de Bulogne<br />
35 Tre candele<br />
36 IL SANGUE E<br />
L’INCHIOSTRO<br />
Giuliana Rovetta<br />
46 TRE SCRITTI DI VICO FAGGI<br />
46 1. Inferiae di marzo<br />
(Genova <strong>2008</strong>)<br />
47 2. Inferiae di aprile<br />
(Genova <strong>2008</strong>)<br />
49 3. Inferiae di maggio<br />
(Genova <strong>2008</strong>)<br />
51 ANGKOR E LA GRAZIA<br />
DELLE ROVINE<br />
Milena Buzzoni<br />
63 PROSPEZIONI<br />
Caracreatura<br />
di Simona De Giorgio<br />
Seurat, Signac<br />
e i neoimpressionisti<br />
di Simona De Giorgio<br />
Per la poesia di Margherita<br />
di Vico Faggi<br />
La poesia di Quartero<br />
di Vico Faggi<br />
Non può durare in eterno<br />
di Luigi Fenga<br />
Francesco Casorati a Genova<br />
di Luigi Fenga<br />
Clara Malraux:<br />
una vita con De André<br />
di Giuliana Rovetta<br />
73 INTERVISTA<br />
Luigi Grande<br />
Cieli rossi<br />
Franco Ragazzi<br />
81 SPECIALE MILANO<br />
Expomilano 2015<br />
Gianluigi Gentile<br />
87 RECENSIONI MILANO<br />
Serena Vanzaghi<br />
93 RECENSIONI GENOVA<br />
Erica Bailo e Mario Pepe<br />
95 VETRINA<br />
Giorgio Levi<br />
Il visibile e l’invisibile<br />
Barbara Cella<br />
97 Gabriella Pastorino<br />
Astratta<br />
Erika Bailo<br />
99 Lucia Pasini<br />
Mario Pepe<br />
102 Pietro Pignatti<br />
Sunset Boulevard multicolor<br />
Ross Elliot
FRANCO CROCE<br />
Una lettura di Franco Croce<br />
Giovanni Pascoli: Il lampo e Il tuono<br />
a cura di Caterina Bardi 1<br />
F R A N C O C R O C E<br />
Leggerò dieci poesie di dieci poeti italiani del Novecento: va però subito<br />
detto che non saranno delle lezioni. Il mio modo di leggere non somiglierà a<br />
quello correttissimo di un buon dicitore, ma sarà la lettura dilettantesca di un<br />
appassionato di poesia; il mio commento non sarà quello che professionalmente<br />
dovrei fare, perché professore lo sono, ma sarà invece il commento di<br />
un appassionato di poesia, che chiacchiera con qualcuno cercando di farne un<br />
altro appassionato; e, come non sistematica sarà la metodologia dei miei commenti<br />
e non aulica sarà la mia lettura, così l’antologia che vi propongo non avrà<br />
alcuna ambizione di esemplarità.<br />
La poesia del Novecento ha avuto tanti scrittori importanti, più di dieci,<br />
ma ne ha avuto alcuni grandissimi, e se davvero si volesse fare sul serio<br />
un’operazione di salvataggio di ciò che tiene, bisognerebbe concentrarsi sui<br />
grandissimi. Se proprio dovessi dire la mia opinione, mi concentrerei soltanto<br />
su un libro compatto, su una sezione compatta di un grandissimo libro: leggerei,<br />
nel cuore del Novecento, le poesie dedicate da Montale alla seconda<br />
guerra mondiale, alla grande tragedia che attraversa la metà del nostro secolo;<br />
leggerei la sezione Finis terrae de La bufera, e avrei la ferma convinzione di<br />
fare l’operazione giusta.<br />
Quello che invece qui facciamo è un’altra cosa: è un’esplorazione lungo<br />
l’arco del Novecento, puntando su testi scelti, ora per la loro centralità dentro<br />
i poeti che li hanno scritti, ora invece tendenziosamente. Questa esplorazione<br />
un po’ arbitraria non avrà tanto lo scopo di far conoscere la grande<br />
poesia del Novecento, quanto di utilizzarla come pretesto, per condurre un<br />
certo discorso sul secolo che si è finalmente concluso; un arco quindi ampio<br />
che affonda in una zona di poesia non pienamente novecentesca, ma tocca<br />
quegli scrittori tra Ottocento e Novecento che in parte preludono ai toni novecenteschi,<br />
senza, né cronologicamente né ideologicamente, appartenere totalmente<br />
al secolo XX. [...continua...]<br />
1 Testo tratto dalla trasmissione di Radio due Alle otto della sera del 7 agosto 2000. È questa la prima delle<br />
conversazioni radiofoniche del prof. Franco Croce, in cui egli, oltre ad esaminare le poesie di Pascoli, illustra<br />
brevemente i criteri a cui si atterrà durante il ciclo delle letture.<br />
3<br />
Caterina Bardi Una lettura di Franco Croce. Giovanni Pascoli: il lampo e il tuono
6 P A S C O L I E G L I A R T I S T I<br />
Veronica Pesce Illustrazioni per la III edizione di Myricae<br />
PASCOLI E GLI ARTISTI<br />
Illustrazioni per la III edizione di Myricae<br />
di Veronica Pesce<br />
Se la collaborazione con Plinio Nomellini 1 è il più maturo, alto e compiuto<br />
dialogo artistico intrattenuto da Giovanni Pascoli con un suo illustratore, occorre<br />
precisare che a quell’esito si arriva solo al termine di un graduale e variegato<br />
percorso in cui il gusto visuale-figurativo del poeta di San Mauro si modifica<br />
ed evolve, al pari del suo linguaggio e della sua poetica. Non sarà inutile<br />
dunque ritornare indietro, con un salto temporale, alle prime Myricae, e quindi<br />
a quell’iniziale interesse artistico pascoliano che va di pari passo al desiderio<br />
di vedere illustrata la propria poesia.<br />
Pascoli dimostra una certa attenzione ‘artistica’ fin da quando è studente<br />
universitario a Bologna, dove oltre all’interessata frequentazione dei corsi di Edoardo<br />
Brizio, docente di archeologia 2 , entra in contatto con due artisti, dei quali non<br />
si dimenticherà negli anni seguenti. Si tratta di Attilio Pratella, a sua volta studente<br />
dell’Accademia di Belle Arti, e del futuro scultore Tullo Golfarelli.<br />
[...continua...]<br />
1 All’artista si devono, oltre a varie illustrazioni a singoli componimenti pascoliani su periodici, la<br />
parziale realizzazione del progetto grafico dei Poemi del Risorgimento, editi postumi nel 1913. Per un quadro<br />
più complessivo della collaborazione tra Nomellini e Pascoli, rimando a “<strong>Satura</strong>”, a. I, n. 1.<br />
2 L. Manzi, Giovanni Pascoli e le arti figurative, “Scena Illustrata”, a. 87, n. 10, ottobre 1972, p. 23.<br />
3 Come noto il 1895 è un anno cruciale della biografia del poeta: Giovanni Pascoli si trasferisce a<br />
Castelvecchio di Barga, a seguito del matrimonio della sorella Ida e della nomina a professore straordinario<br />
di grammatica greca e latina all’Università di Bologna.<br />
4 Per una dettagliata ricostruzione della genesi delle Myricae rimandiamo, oltre all’edizione critica<br />
(Giovanni Pascoli, Myricae, edizione critica a cura di Giuseppe Nava, Sansoni, Firenze 1974) e alla successiva<br />
edizione commentata di Giuseppe Nava, (Giovanni Pascoli, Myricae, edizione commentata a cura<br />
di Giuseppe Nava, Salerno Editore, Roma 1978), alla più recente antologia curata da Cesare Garboli nella<br />
collana dei “Meridiani” Mondadori (Giovanni Pascoli, Poesie e prose scelte, Progetto editoriale introduzione<br />
e commento di Cesare Garboli, Mondadori, Milano 2002), dove la raccolta risulta smembrata negli originari<br />
Opuscoli per nozze.
GUIDO ZAVANONE<br />
Quattro poesie<br />
AL LETTORE<br />
La poesia non è nata sulla Terra<br />
viene da qualche lontano pianeta<br />
stele misteriosa<br />
portata dalle comete<br />
Le giriamo intorno stupiti<br />
senza sapere cos'è<br />
né se pur essa un giorno<br />
scomparirà con noi<br />
O se il suo canto<br />
risuonerà ancora<br />
sulla Terra deserta<br />
Forse solo un fruscio<br />
da qualche vecchio disco<br />
per l'orecchio di un dio<br />
[...continua...]<br />
Q U A T T R O P O E S I E<br />
23<br />
Guido Zavanone Quattro Poesie
IL SIGNOR BONAVENTURA<br />
di Andrea Scarel<br />
“E una sera al caffè, sul marmo di un tavolino, nacque – quasi per una distrazione<br />
– il nuovo eroe... Fu bianco e rosso perché al momento della sua nascita non<br />
avevo a mia disposizione che un lapis rosso e il marmo bianco del tavolino. E la sua<br />
foggia restò quella” 1 Queste parole, citate da un’intervista del 1928, narrano l’atto<br />
di nascita del signor Bonaventura; era il 1917, poco tempo dopo la disfatta di Caporetto<br />
e Tofano si trovava a Roma nella doppia veste di militare e di vignettista del<br />
“Corriere dei Piccoli”. E fu proprio in contrapposizione al più famoso 2 tra gli eroi del<br />
“Corrierino”, l’Happy Hooligan (in italiano Fortunello) di Frederick Burr Opper, che<br />
Tofano elaborò il signor Bonaventura: “Perché, mi dissi, non contrapporre all’americano<br />
Fortunello, eterna vittima della malasorte, un italiano Bonaventura, beniamino<br />
a tutti i costi della buona sorte?” 3<br />
Se il signor Bonaventura fu rosso e bianco per caso, quasi allo stesso modo<br />
nacque il bassotto; difatti durante la stesura della prima avventura Tofano si era arenato<br />
ai versi: “troppo sportosi di fuore / per raccogliere quel fiore / capitombola di<br />
sotto...” 4 e solo dopo qualche esitazione concluse con “lui col fido suo bassotto” 5 .<br />
Fu dunque un’esigenza metrica a donare a Bonaventura un compagno talmente inseparabile<br />
che Tofano, quando ebbe l’infelice idea di farlo morire, dovette, sotto le<br />
pressioni dei bambini, correre ai ripari e resuscitarlo 6 . Come ha scritto Silvio d’Amico<br />
il fatto che il bassotto sia nato dalle contingenti necessità di una rima, ricorda come<br />
la scrittura in versi spesso non sia semplicemente uno stile, ma soprattutto “un’assidua<br />
fonte di immagini, una ispiratrice di idee, e addirittura di complesse visioni” 7 .<br />
[...continua...]<br />
I L S I G N O R B O N A V E N T U R A<br />
1F. Iannucci, Chi si rivede, Bonaventura, in “Il Messaggero”, 22 aprile 1995.<br />
2Si ricordi che Petrolini recitava i Salamini nelle vesti di Fortunello.<br />
3B. Mosca, Recita da mezzo secolo il padre di Bonaventura, in “Gente”, n. 14, marzo 1959.<br />
4cfr. F. Vicino, Favole ed altri scritti di Sergio Tofano, Pescara, Edizioni Tracce, 1994, p. 15.<br />
5cfr. Ibidem.<br />
6 cfr. P. Novelli, Qui comincia l’avventura di mio figlio Bonaventura..., in “Gazzetta del Popolo, 17 settembre<br />
1961.<br />
7S. d’Amico, L’ottimismo di Bonavetnura, in “Il tempo” ed. di Roma”, 16 gennaio 1954.<br />
8cfr. -, Qui comincia l’avventura di sto Bonaventura, in “Tuttolibri”, inserto de “La Stampa”, febbraio 1993.<br />
25<br />
Andrea Scarel Il Signor Bonaventura
MARCO GASPERINI<br />
Tre poesie<br />
A CANNIGIONE<br />
Qui si arroventano le ombre<br />
sotto il fuoco di un cielo<br />
tirato a lucido, dove sembrano quasi<br />
perdersi abbacinati<br />
i cormorani<br />
prima di venire giù ad infilarsi<br />
tra gli sguardi sorpresi dei bambini.<br />
Disteso su questa sabbia sarda<br />
sacrifico pensieri al sole<br />
e lentamente mi oscuro.<br />
NOTTE AL BOIS DE BOULOGNE<br />
Era grande il falò al Bois de Boulogne,<br />
tutti a portare qualcosa da ardere<br />
(roba da ogni parte del mondo).<br />
Era un fuoco sessantottino,<br />
d’agosto ma forse ancora di maggio.<br />
In una notte piena di fumo che<br />
sembrava poter durare per sempre,<br />
nel chiaroscuro sui volti infiammati<br />
e negli alti zampilli di fuoco.<br />
[...continua...]<br />
T R E P O E S I E<br />
35<br />
Marco Gasperini Tre poesie
36<br />
Giuliana Rovetta Il sangue e l’inchiostro<br />
I L S A N G U E E L’ I N C H I O S T R O<br />
IL SANGUE EL’INCHIOSTRO*<br />
di Giuliana Rovetta<br />
“Che coli il mio sangue<br />
piuttosto che il mio inchiostro”<br />
Pierre Drieu La Rochelle<br />
“ Que faut-il pour être heureux?<br />
Un peu d’encre”<br />
Jacques Rigaut<br />
Quando nell’agosto 1923 Pierre Drieu la Rochelle pubblica nella prestigiosa<br />
Nouvelle Revue Française un racconto intitolato allusivamente La valise<br />
vide 1 , l‘ambiente letterario parigino riconosce nella figura del protagonista<br />
Gonzague il discusso –e tuttavia amato- Jacques Rigaut, scrittore dal controverso<br />
talento, capace di catalizzare con la sua marcata personalità, l’attenzione<br />
di illustri estimatori. Paul Éluard, a cui il racconto è dedicato, accettando di<br />
buon grado l’amichevole omaggio, prende le distanze dallo stile, a suo dire,<br />
troppo caricaturale del ritratto, mentre Philippe Soupault, allora direttore della<br />
rivista Littérature, riscontra tra le pagine, al di là della vena ironica, una buona<br />
dose di invidia, inconfessato sentimento che Drieu, l’autore, nutrirebbe nei<br />
confronti della inimitabile, fascinosa allure del personaggio Rigaut 2 . Non a<br />
caso Adieu à Gonzague, brano commemorativo scritto da Drieu sotto l’impulso<br />
di un tardivo rimorso per la scomparsa dell’amico appena trentenne, ci consegna<br />
un’immagine del giovane Jacques durante i preparativi per un’uscita serale<br />
che allude al suo (immeritato?) successo presso il pubblico femminile:<br />
“Riavviavi i tuoi bei capelli un po’ mossi e uscivi: nei salotti, nei bar, e una sensazione<br />
di amore impossibile, funesto, pungeva il cuore di qualche donna”,<br />
ma puntualizzando subito dopo: “Pas de toutes”... 3 .<br />
[...continua...]<br />
* Così si intitola il primo dei due saggi di Pierre Drieu La Rochelle, Le Jeune Européen, edizioni NRF, 1927.<br />
1 PDLR, La valise vide, ora in Nouvelle Revue Française, n. 571, ottobre 2004, a cura di Jean-Luc Bitton.<br />
2 Vedi il parziale ritratto che questo autore ha dedicato a J. Rigaut in En Joue!, Grasset, 1925.<br />
3 PDLR, Adieu à Gonzague, Gallimard, 1959, p. 177.
46<br />
Vico Faggi Inferiae di marzo<br />
T R E S C R I T T I D I V I C O F A G G I<br />
TRE SCRITTI DI VICO FAGGI<br />
7 marzo - Le visite di mio zio mi lasciavano molto perplesso. Non capivo<br />
– avevo due anni – perché vestisse, lui maschio, in quello strano modo. Ignoravo<br />
l’esistenza della categoria dei sacerdoti, i loro vestimenti.<br />
Mi dissero poi, i miei genitori, che, per distinguere quello zio dagli altri<br />
parenti, lo chiamavo “Al zio con la stanèla”, cioè con la sottana. Ma questo significa<br />
che, piccolo com’ero, io parlavo in dialetto e precisamente nel dialetto<br />
di Pavullo nel Frignano, che era il dialetto di mia madre.<br />
Ancor oggi mi capita di uscire in qualche detto dialettale, e di usarlo<br />
pure in poesia, seppure in rarissime occasioni. Ma questa persistenza del ricordo,<br />
mi dico, non può non essere portatrice di un significato.<br />
Cerco qualche verifica. Prendo la poesia Dalla casa paterna, leggo il suo<br />
incipit, “Gli scocci, i ciappini…”, e rilevo che le due parole sono di fonte dialettale.<br />
Scocci sta per scozz, ciappini per ciapìn ….Di origine dialettale ma italianizzate.<br />
E la poesia è dedicata ai miei genitori, respira l’aria di casa, il suo<br />
sapore antico, non dimenticato, non dimenticabile. Sono parole di mia madre,<br />
e la memoria, che le ha fatte sue, me le restituisce.<br />
Altra poesia L’infante perduto. La sua prima strofa<br />
Nanin pupin, la voce,<br />
bada bene, diceva, non blisgare<br />
se strabucchi t’inzucchi…<br />
Nanin pupin è un vezzeggiativo pavullese; non blisgare vuol dire non scivolare;<br />
se strabucchi t’inzucchi significa se inciampi ti rompi la testa. È la mia<br />
casa che parla, è la voce di mia madre che risuona nel mio orecchio interiore.<br />
14 marzo - Il verso che apre la mia Poetica II (“Hominem sapit: sappia<br />
la tua pagina”) suona gradevole al mio orecchio, e spero di non sbagliarmi,<br />
non illudermi, non cedere al narcisismo; e per tutelarmi vorrei spiegare a me<br />
stesso quali fattori stiano alla base della mia sensazione.<br />
Un poco c’entra, è indubbio, la citazione latina, che debbo a Marziale:<br />
“hominem pagina nostra sapit”. Ancor più c’entra l’ordine delle parole che si<br />
snoda alternando sdrucciole e piane (A B B A). Del resto anche in Marziale la<br />
combinazione sillabica c’è, con due sdrucciole seguite da due piane. E sappiamo<br />
quale frutto un poeta possa trarre da siffatte costruzioni eufoniche.<br />
[...continua...]
ANGKOR E LA GRAZIA DELLE ROVINE<br />
di Milena Buzzoni<br />
A N G K O R E L A G R A Z I A D E L L E R O V I N E<br />
Per noi della generazione degli anni cinquanta, Cambogia significa<br />
guerra, napalm, attacchi khmer in mezzo alla giungla, il genocidio di Pol Pot,<br />
le mine. Ecco perché quando Lorenzo ci ha proposto un viaggio in Cambogia,<br />
non riuscivo ad associarlo a un percorso di svago, né immaginavo che il sito<br />
archeologico di Angkor, di cui avevo solo vagamente sentito parlare, avrebbe<br />
esercitato su tutti noi un fascino così potente. In fondo ero più attratta dai tre<br />
giorni a Bangkok che già conoscevo e che mi avrebbero garantito un allegro<br />
soggiorno nel permanente bailamme di una città sempre sveglia e sempre in<br />
vetrina con il suo ininterrotto schieramento di bancarelle e di ogni sorta di<br />
merce in vendita. Fede, al contrario, era attratto proprio dall’evocazione della<br />
guerra e da quello che appunto aveva significato per la nostra generazione.<br />
Alla fine ci troviamo al check-in della Thai, scalo a Bangkok per Phnom<br />
Penh, arrivo non troppo stanchi nel caldo umido e nel sole velato di una stagione<br />
secca quasi finita. Il pulmino che ci preleva da un aeroporto sobrio dove non mi<br />
piacciono le divise verde-palude che circolano qua e là, si ferma davanti a un albergo<br />
enorme con un blocco centrale dal classico tetto a pagoda e due lunghe ali<br />
laterali: è il Cambodiana Hotel. Le piante nelle aiuole e le vasche d’acqua dalle<br />
quali emergono in raffinata solitudine fiori di loto chiusi e aperti, la hall, le stanze<br />
ampie ben arredate non riescono a dissimulare la severità un po’ sinistra di un’architettura<br />
da soviet, quel freddino di una struttura di regime. Ma siamo contenti.<br />
Cerchiamo subito la piscina, non molto grande, con anfore di terracotta che versano<br />
acqua. Il prato che la ospita scende con un dislivello di erba tenera al Tonle<br />
Sap, un fiume lento, quasi immobile che accoglie le acque azzurre del Mekong e<br />
le mischia alle sue dense e fangose. Nel punto in cui si mescolano le correnti, si<br />
intersecano striature di turchese e marrone creando una superficie variegata<br />
come quella di un gelato a due gusti: pistacchio e cioccolato. Il fiume dà una<br />
strana sensazione di quiete, più di meditazione su ciò che è stato che d’attesa.<br />
Su una terrazza laterale sono disposti larghi letti quadrati con baldacchini<br />
coperti da bianche tele velate che fluttuano a una brezza leggera. Alte<br />
palme attorno alla piscina si muovono appena. Elena, la figlia di Lorenzo, legge<br />
nella vasca idromassaggio e i suoi capelli biondi trattenuti da una treccia scintillano<br />
nel sole. Sotto l’ombrellone qualcuno, sopraffatto dalla stanchezza del<br />
viaggio, azzarda un sonnellino.<br />
[...continua...]<br />
51<br />
Milena Buzzoni Angkor e la grazia delle rovine
PROSPEZIONI<br />
Letture di Simona De Giorgio, Vico Faggi, Luigi Fenga, Giuliana Rovetta<br />
CARACREATURA<br />
di Simona De Giorgio<br />
Una lunga serie di nomi di donna riempie la<br />
quarta di copertina dell’ultimo libro di Pino<br />
Roveredo. Sono le donne della sua esistenza,<br />
quelle che gli hanno insegnato ad amare se<br />
stesso e la vita. Tra i diversi nomi primeggiano<br />
quello di Evelina, sua madre, colei che ha<br />
dovuto patire sofferenze simili a quelle di Marina,<br />
protagonista del romanzo, e Luciana, la<br />
madre dei suoi figli, in grado di sostenerlo nei<br />
suoi momenti più cupi. A loro si affiancano<br />
figure meno centrali nella sua vita ma non per<br />
questo marginali: Suor Pina che lui chiama<br />
“madre che non ha avuto figli”, Cecilia, incontrata<br />
novantenne in un manicomio, e addirittura<br />
alcune prostitute che egli definisce<br />
“venditrici d’amore”. È a tutte loro che Roveredo<br />
dedica il suo Caracreatura, perché è grazie<br />
a loro che scrivendo ha potuto sentirsi donna,<br />
e ancora di più madre.<br />
Il romanzo narra, infatti, la storia di una madre<br />
la cui vita è ormai pura sopravvivenza, abbandono<br />
alla noia e al ripetersi di giorni sempre<br />
uguali. Palcoscenico di questa monotonia<br />
sono le quattro mura della casa familiare dove<br />
la donna è ormai costretta a vivere senza alcuna<br />
compagnia e che è diventata la tana della<br />
sua solitudine. Qui Marina vive senza curarsi<br />
della mancanza della luce elettrica, dell’umidità<br />
che ricopre le pareti e del frigo vuoto,<br />
anche le visite che riceve sono vissute come<br />
un tentativo d’intrusione nella sua realtà alienante<br />
e statica. Il quadro di estrema sofferenza<br />
emerge dalla voce della stessa protagonista,<br />
che si agita in un lungo flusso di coscienza,<br />
ripescando nella memoria più o meno remota<br />
le varie tappe di un’esistenza giunta ormai<br />
a un profondo livello di degradazione.<br />
La somatizzazione di questo stato di dolore ha<br />
le sue radici già nell’infanzia della donna,<br />
quando ella è fatta oggetto di perverse attenzioni<br />
da parte del patrigno prima e del fratellastro<br />
poi. Di fronte a tutto ciò la costituzione<br />
del suo nucleo familiare appare come una speranza<br />
di salvezza, una campana di vetro dove<br />
Marina crede di essere immune al dolore. La felicità<br />
è per lei la tranquillità della vita familiare,<br />
la sola vicinanza dei suoi affetti: il marito,<br />
Federicomio, e il figlio Gianluca, Caracreatura.<br />
Ma il mantenimento di questa tranquillità è più<br />
apparente che reale, anzi rende ancora più scioccante<br />
la rivelazione di alcune verità che Marina<br />
vorrebbe ignorare, seguendo l’illusione che<br />
ciò che non viene detto smette di esistere. È in<br />
questo modo che la donna nega la giusta importanza<br />
all’isolamento volontario del figlio, alla<br />
sua scarsa socievolezza e infine a quel primo<br />
spinello che viene considerato solo una “ragazzata”.<br />
Inizia così il lungo cammino della tossicodipendenza<br />
di Gianluca, con cadute e illusorie<br />
riprese, cammino dal quale emerge tutta la<br />
forza che una donna può trovarsi dentro per<br />
amore di un figlio. Quello della droga è un percorso<br />
che l’autore ha vissuto in prima persona:<br />
Roveredo non fa mistero del suo passato da alcolista<br />
e tossicodipendente, al contrario lo rende<br />
esemplare della possibilità di riscattarsi, che<br />
a lui è giunta anche attraverso la letteratura. Nonostante<br />
ciò questo romanzo non può essere<br />
liquidato come un romanzo sulla tossicodipendenza<br />
e il disagio giovanile, esso è molto di più.<br />
Questo sfondo è usato come espediente per raccontare<br />
gli stati d’animo di Marina in un climax<br />
sempre più commovente. Il culmine di questo<br />
percorso è raggiunto con il sacrificio finale della<br />
donna che, trovatasi ad affrontare da sola la<br />
dipendenza del figlio dopo la morte del marito,<br />
si priva del suo amore facendolo incarcerare,<br />
sapendo così di permettergli di riprendere<br />
in mano la sua vita.<br />
L’intera vicenda narrataci come flash back nel<br />
monologo della protagonista è quella che ha<br />
condotto alla profonda disperazione sulle cui<br />
note si apriva il romanzo. È una situazione che<br />
ormai sembra definitiva e irreparabile e che<br />
invece permette all’autore di rendere ancora<br />
più sorprendente lo spiraglio di luce che si può<br />
intravedere solo nelle ultime pagine.<br />
[...continua...]<br />
P R O S P E Z I O N I<br />
63<br />
Simona De Giorgio Caracreatura
LUIGI GRANDE, CIELI ROSSI<br />
Le ultime opere di Luigi Grande evidenziano il malessere e il pessimismo<br />
a cui è giunto il pittore.<br />
Conosco Grande e la sua pittura da molto tempo. Seguo la sua<br />
attività, qualche volta ne ho anche scritto e mi sono occupato del<br />
suo lavoro condividendo la sua insularità mediterranea (Le carte<br />
delle isole, 1997), attraversando i territori della libertà insidiata e<br />
perduta degli indiani d’America (Desiderio di diventare indiano,<br />
2001), rivisitando la memoria di Garibaldi (Garibaldi nell’immaginario<br />
Popolare, 2007), simbolo di speranza e emancipazione<br />
dalle ingiustizie, per comprendere che se la sua pittura è giunta<br />
all’attuale drammaticità questo non possa considerarsi casuale.<br />
Nella pittura, come in tutte le forme del linguaggio e della comunicazione,<br />
vi è un rapporto diretto e consequenziale fra i temi e<br />
le modalità espressive con le esigenze di significato, siano esse<br />
consce o inconsapevoli, nate dal ragionamento, da una visione<br />
razionale o da automatismi della mente. E questo è particolar-<br />
Auto in fiamme, olio su tela, 100x100 - 2007<br />
I N T E R V I S T A 73<br />
Franco Ragazzi Luigi Grande, cieli rossi
74<br />
Franco Ragazzi Luigi Grande, cieli rossi<br />
I N T E R V I S T A<br />
Auto sotto il cielo rosso, olio su tela, 100x100 - <strong>2008</strong><br />
mente vero per un artista della realtà<br />
e per una pittura di “istinto” come<br />
quella di Luigi Grande, un pittore che<br />
esalta la fedeltà del proprio metodo<br />
tecnico fatto di segni, colori, tele e<br />
pennelli come un prolungamento<br />
sincero e oltremodo scoperto della<br />
propria coscienza al quale affida la<br />
manifestazione evidente della sua<br />
personalità, della sua emotività e dei<br />
suoi pensieri.<br />
Le sue tele qui pubblicate, realizzate<br />
in gran parte nel <strong>2008</strong>, ci restituiscono<br />
luoghi e situazioni di un mondo<br />
devastato colto nel suo precario<br />
equilibrio che lo conduce verso la catastrofe.<br />
Paesaggi illuminati da sinistri<br />
bagliori rossastri, nubi velenose,<br />
onde, venti e moti della natura ammalati<br />
che si sostituiscono alle vitali<br />
turbolenze atmosferiche di qualche<br />
anno fa. Vi è insomma un “program-<br />
ma” ben definito nel codice linguistico impiegato dall’artista che<br />
avverte il bisogno di farci partecipi del suo pensiero.<br />
Da sempre la pittura di Grande è fondamentalmente etica, espressione<br />
della sua immaginazione e specchio fedele del suo spirito e<br />
delle sue riflessioni. In questo caso non è eccessivo definire questi<br />
dipinti la manifestazione di una condizione dell’anima profondamente<br />
turbata e angosciata. Vico Faggi, forse il suo critico più<br />
profondo, sostiene che la pittura di Luigi Grande proceda sin dagli<br />
anni Sessanta, “entro il solco di una stretta coerenza”. Una coerenza<br />
che si ritrova nella scelta di codici linguistici appartenenti<br />
ad un universo iconografico figurale, di paesaggi e di ritratti, di<br />
notevole forza emozionale risolta attraverso una immediata capacità<br />
d’espressione, di una pittura profondamente interiorizzata,<br />
inquieta, emotiva, ricca di contrasti cromatici e di asprezze formali<br />
in cui luce e ombra, colore e materia fanno vibrare i nervi e<br />
i sensi di un linguaggio concitato che, come ha scritto Gianfranco<br />
Uomo che parla al vento, olio su tela, 70x100 - 2005<br />
I N T E R V I S T A<br />
75<br />
Franco Ragazzi Luigi Grande, cieli rossi
76<br />
Franco Ragazzi Luigi Grande, cieli rossi<br />
I N T E R V I S T A<br />
La nube rossa no. 1, olio su tela, 100x100 - <strong>2008</strong><br />
Bruno, “ha scelto la strada espressionista come via d’accesso a ciò<br />
che non è apertamente rivelato dal visibile”.<br />
Una coerenza che si ritrova nel persistente riferirsi di Grande alla<br />
rappresentazione dell’individuo e al paesaggio in cui esso si<br />
muove e partecipa attivamente alla vicenda umana secondo<br />
eventi o storie che spesso portano l’artista ad evidenziare il suo<br />
impegno civile. Ora, invece, la medesima rigorosa coerenza, conduce<br />
Grande ad una pittura da cui scompare la figura umana.<br />
“Negli anni passati”, racconta Luigi Grande parlando delle sue opere<br />
più recenti, “ho preferibilmente usato la figura per rappresen-<br />
I N T E R V I S T A<br />
tare i conflitti fra gli uomini e negli uomini. Oggi anche la natura,<br />
e dunque il paesaggio, ha in sé il veleno che serpeggia tra gli esseri<br />
umani e mi diventa anch’essa necessaria all’espressione, usandola<br />
non più come sfondo ma in qualità di protagonista”.<br />
E aggiunge: “Nei miei recenti dipinti le nubi arrivano dal mare.<br />
Hanno fantastiche sfumature; cosa le compone? Sono le stesse di<br />
tanti anni fa o ci portano piogge acide, concentrazioni elettromagnetiche,<br />
polvere radioattiva?”<br />
Motociclista, olio su tela, 70x90 - 1998<br />
77<br />
Franco Ragazzi Luigi Grande, cieli rossi
78<br />
Franco Ragazzi Luigi Grande, cieli rossi<br />
I N T E R V I S T A I N T E R V I S T A<br />
Le tele di Grande illustrano i<br />
suoi itinerari attorno al paesaggio<br />
come ieri ci raccontavano<br />
quelli intorno al corpo<br />
umano. Sono racconti di presenze<br />
inquietanti e di assenze,<br />
di materia e di spirito, con immagini<br />
sempre emozionanti,<br />
enigmatiche e ambigue, capaci<br />
di comunicarci un mistero che<br />
può essere svelato solo nella<br />
profondità dell’animo umano.<br />
Per ritrovare la figura umana occorre<br />
andare più indietro, ad un<br />
Uomo che parla al vento del<br />
2005, un quadro dal duplice significato,<br />
dell’inutilità di parlare, di<br />
sprecare parole con chi non vuole<br />
ascoltare, di parlare a vuoto<br />
senza essere ascoltati, oppure di<br />
parlare comunque, come ho letto<br />
in un blog sulla rete: “parlare al<br />
cielo... alle nuvole... alle onde del<br />
mare... l’importante è parlare... e<br />
se nessuno ti sente, pazienza... tu<br />
parla lo stesso! alcune persone<br />
dovrebbero poter sentire la tua<br />
voce anche senza bisogno di parlare...”.<br />
Ma sono proprio gli ingredienti<br />
di una maieutica del “parlare<br />
al vento” in cui compaiono i<br />
fantasmi di Kafka che bevono i<br />
baci contenuti nelle lettere, o<br />
l’ombra del vento ritrovata nel<br />
“Cimitero dei Libri Dimenticati”<br />
di Ruiz Zafón, che lasciano intuire<br />
che solo pochi anni fa Grande<br />
nutriva ancora qualche fiducia<br />
sulla possibilità di comunicare e,<br />
forse, mutare l’esistente.<br />
La pittura di Grande è una pittura<br />
di vento. In una sua mostra<br />
del 1998 si scriveva di “un<br />
vento espressionista” e Giorgio<br />
Seveso, fra il “senso turbolento<br />
del dipingere”, ribollimenti<br />
d’immagine, suggestioni<br />
di pennellate inquiete, ci dice<br />
come nelle sue tele soffi “un<br />
vento inaudito” a sconvolgere<br />
le sue immagini e, con esse, le<br />
convinzioni e i codici sui quali<br />
reggono le nostre esistenze.<br />
E’ un vento che soffia incessante<br />
sul mare.<br />
In Vento di settembre sul mare<br />
alimenta il rogo del mare e del<br />
cielo come se l’acqua fosse invasa<br />
da petrolio incendiato e l’aria<br />
da gas mefitici. Nella Ragazza e<br />
il mare il vento schiuma le onde<br />
e corrompe l’esile corpo femminile<br />
di un perduta preziosità di<br />
frammenti dorati.<br />
Il vento è anche una figura tragica<br />
ed emozionante dell’anima<br />
che alimenta le fiamme dei cieli<br />
o, nelle notti visionarie, come<br />
confessa l’artista quando vorrebbe<br />
“sognare che tutte le auto del<br />
mondo brucino improvvisamente<br />
per autocombustione come le<br />
giraffe di Dalì”, come in Auto sotto<br />
il cielo rosso e Auto in fiamme,<br />
ma è soltanto un sogno e neppure<br />
molto “consolatorio giacché<br />
contribuirebbe ad aumentare<br />
i veleni dell’effetto serra”.<br />
I paesaggi dipinti di un rosso allucinato,<br />
i corpi e le spiagge<br />
d’oro, i cieli e i mari azzurri e cobalto<br />
secondo Grande stanno a<br />
significare che “gli inquinamenti<br />
non stroncano all’istante”,<br />
ma, sostiene ancora il pittore, “ci<br />
consentono di ammirare ancora<br />
per qualche tempo i colori<br />
della natura nel loro variare”.<br />
Si tratta infatti di capire, per<br />
quanto tempo.<br />
Sono i colori che traboccano dalla<br />
coscienza e invadono le tele<br />
a dirci che esiste una bellezza<br />
anche nella tragedia. “Spero”,<br />
Vento di Settembre sul mare, olio su tela, 100x100 - <strong>2008</strong><br />
dice l’artista, “che in queste tele l’amore per il colore non allontani<br />
dall’inquietudine che lo emana”.<br />
Una inquietudine che si fa ancora più serrata quando l’artista immagina<br />
un personaggio on the road, sulla sella di una rombante<br />
motocicletta. Un tema già sviluppato nel passato ma che ora acquisisce<br />
un significato diverso, maggiormente allarmante, con il<br />
suo viso appena rivolto all’indietro verso un cielo in fiamme sempre<br />
più incombente e devastante. Ma come la moglie di Lot non<br />
seppe resistere alla tentazione di vedere che cosa accadeva alle sue<br />
spalle e trovò il coraggio di voltarsi indietro pagando la sua tra-<br />
79<br />
Franco Ragazzi Luigi Grande, cieli rossi
80<br />
Franco Ragazzi Luigi Grande, cieli rossi<br />
I N T E R V I S T A<br />
sgressione, anche questo personaggio si volge a salutare il passato<br />
riuscendo (forse) a guardare in avanti.<br />
“Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati”<br />
“Dove andiamo?”<br />
“Non lo so, ma dobbiamo andare”.<br />
(Jack Kerouac, On the Road, 1957).<br />
Franco Ragazzi<br />
La ragazza sul mare, olio su tela, 70x100 - <strong>2008</strong><br />
EXPOMILANO 2015<br />
di Gianluigi Gentile<br />
L’area destinata ad ospitare l’Exo si attesta<br />
nella zona nord ovest della città,<br />
lungo la direttrice storica del Sempione<br />
che, insieme all’altra direttrice<br />
di nord est della Valassina, costituisce<br />
uno dei principali collegamenti con i<br />
bacini industrializzati della Brianza e<br />
che, in un passato più recente, hanno<br />
raccolto i flussi d’inversione della<br />
tendenza insediativa.<br />
Indipendentemente dall’analisi critica<br />
che sarà possibile compiere su ogni singolo<br />
episodio architettonico, l’Expo rappresenta,<br />
in divenire, uno degli interventi<br />
più strettamente connessi alla<br />
crescita urbana lungo le arterie di<br />
penetrazione.Episodi insediativi di<br />
questo tipo, in cui l’immagine della torre<br />
o quella della grande piazza giocano<br />
un ruolo determinante, costituiscono<br />
l’evidente paradigma di un processo<br />
di sviluppo funzionale ed architettonico<br />
che si riversa sui poli secondari<br />
dell’hinterland, oltre i confini comunali,<br />
ad ulteriore dimostrazione, se fosse<br />
necessario, della necessità di strumenti<br />
di pianificazione regionali che,<br />
a distanza d’anni dalla formulazione<br />
L’area dell’Expo<br />
S P E C I A L E M I L A N O<br />
del primo Piano Intercomunale, tardano<br />
ad essere attuati.<br />
Milano è senz’altro storicamente predisposta<br />
ad accogliere eventi espositivi<br />
di livello internazionale, collocata<br />
in un’area d’influenza mitteleuropea e,<br />
in ambito territoriale, nel baricentro tra<br />
un nord fortemente industrializzato e<br />
una zona sud a vocazione prevalentemente<br />
agricola.<br />
Nel 1881 la prima Esposizione Nazionale<br />
dava la conferma della posizione<br />
di preminenza assunta dalla città ai<br />
giardini pubblici di porta Venezia.<br />
Due anni dopo, a pochi passi da piazza<br />
del Duomo, s’ inaugurava la prima<br />
centrale termoelettrica, con<br />
l’illuminazione della Galleria Vittorio<br />
Emanuele. Il mondo della produzione<br />
industriale si presentava in società in<br />
modo autocelebrativo, attraverso icone<br />
apertamente encomiastiche, col<br />
supporto delle banche del Cordusio,<br />
che riciclavano in investimenti industriali<br />
i capitali originati dalla produzione<br />
agricola della Brianza.<br />
La parola progresso attraversava i salotti<br />
che contavano e le pagine dei giornali,<br />
mentre alla Scala il balletto Excelsior<br />
celebrava eventi come il taglio del<br />
canale di Suez e il traforo del Cenisio,<br />
sul modello delle esposizioni<br />
d’oltralpe, in cui l’architettura costruiva<br />
un teatro celebrativo, come nel<br />
Palais du Champ de Mars, del 1878, o<br />
la Porte Monumentale, il Crystal Palace<br />
o la Galérie des Machines e la stessa<br />
Tour Eiffel. A Milano L’Esposizione<br />
Internazionale del Sempione, tenutasi<br />
nel 1906, celebrava il completamento<br />
del tunnel che collegava la città a Pa-<br />
81<br />
Gianluigi Gentile EXPOMILANO 2015
82<br />
Gianluigi Gentile EXPOMILANO 2015<br />
C R I T I C A<br />
rigi.<br />
Per una beffarda contraddizione della<br />
storia, al palazzo del Senato il mondo<br />
delle arti rendeva omaggio alla cultura<br />
pittorica tradizionale, mentre cadeva nel<br />
vuoto l’illusione futurista di compiere la<br />
saldatura fra progresso tecnico ed evo-<br />
Umberto Boccioni, la città che sale, 1910, MOMA<br />
luzione sociale ed umana, così come in<br />
anni più recenti, lo stesso Movimento<br />
Moderno attuava il suo programma<br />
linguistico con una coralità che nel dopoguerra<br />
coinvolse i baluardi dell’autoritarismo<br />
culturale, mentre il suo programma<br />
produttivo ed urbanistico è sta-<br />
to vanificato dal pragmatismo liberista.<br />
La più importante struttura espositiva milanese nasce nel 1920, sviluppandosi con<br />
continuità fino ad oggi, salvo un’interruzione di tre anni nel periodo bellico, ed<br />
assumendo il ruolo di testimone della crescita del nostro Paese, a cominciare significativamente<br />
dagli anni cinquanta, attraverso gli anni sessanta, quando il connubio<br />
fra il mondo degli affari e la mondanità portò a configurare l’immagine ormai<br />
appannata della Milano “da bere”.<br />
Nel 1950 s’inaugura il primo eliporto civile europeo, il Leonardo da Vinci, nel<br />
1957, in occasione della giornata della chimica viene presentato il moplen, prodotto<br />
dalla Montecatini in collaborazione con la facoltà d’Ingegneria chimica del<br />
Politecnico, mentre nella saletta del “Club aux Nations” si riunisce l’esecutivo<br />
del Comitato Internazionale Televisione, con la partecipazione Francia, Germania,<br />
Inghilterra, Italia e Olanda. L’anno dopo, per la prima volta in Italia, viene<br />
presentato il vaccino Salk, e viene organizzata la prima mostra sui viaggi nello<br />
spazio; la prima mostra sulle applicazioni dell’energia nucleare si apre nel 1959,<br />
La fiera campionaria nel 1960<br />
mentre nel 1964 si allestisce quella sul tema “acqua dolce dal mare”<br />
e viene organizzato un convegno con la partecipazione di cinquecento<br />
fra scienziati e tecnici, mentre altri eventi significativi potrebbero<br />
essere citati, fino al trasferimento della Fiera nell’attuale sede.<br />
Il progetto dell’Expo nasce come prospettiva d’integrazione morfologica<br />
e funzionale con l’attuale polo di Rho-Pero. L’obiettivo finale<br />
del programma è di suturare un vuoto territoriale, alienato per<br />
la frammentazione dovuta alla presenza delle infrastrutture che<br />
formano un perimetro intorno all’area, isolandola dal contesto metropolitano.La<br />
saldatura si affida ad un disegno che assume come<br />
parametri fondativi i riferimenti all’acqua e al verde, che acquistano<br />
particolare rilevanza.<br />
La sequenza dell’integrazione morfologica ha origine dall’apertura<br />
della Porta Ovest, connessione principale col polo fieristico attuale,<br />
con la metropolitana e con la ferrovia la funzione di cerniera<br />
di questo collegamento verrà enfatizzata da una torre di duecento<br />
metri. Sospendendo il giudizio nel merito dell’inserimento<br />
di un grattacielo nello sky line milanese come simbolo<br />
d’integrazione, la torre rappresenta il punto di convergenza di due<br />
edifici lineari che andranno a costituire la futura Piazza Expo, fu-<br />
C R I T I C A<br />
83<br />
Gianluigi Gentile EXPOMILANO 2015
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Gianluigi Gentile EXPOMILANO 2015<br />
C R I T I C A<br />
Masterplan dei padiglioni tematici<br />
tura sede degli eventi più rappresentativi.<br />
La struttura del collegamento sarà funzionalmente assolta da un<br />
ponte pedonale allo stesso livello della piazza, a circa dodici metri<br />
di quota.<br />
I PADIGLIONI TEMATICI<br />
I temi espositivi corrispondono ad altrettanti padiglioni, da progettare<br />
secondo il criterio della massima flessibilità, per consentire<br />
una rapida riconversione delle strutture in attrezzature<br />
d’interesse pubblico come impianti sportivi, luoghi di spettacolo,<br />
o spazi espositivi d’attualità. Le aree occupate dai padiglioni temporanei<br />
delle varie nazioni verranno riutilizzate per la realizzazione<br />
di residenza e servizi, sulla trama dei percorsi e delle opere<br />
d’urbanizzazione predisposte per l’Expo come strutture funzionali<br />
di base.<br />
Lo studio di fattibilità scenografica è stato affidato alla società francese<br />
Confino, specializzata in allestimenti museali ed espositivi, di cui<br />
riportiamo le linee programmatiche relative ad una serie di temi:<br />
The spiral of food, o la relazione Uomo-Natura e l’evoluzione storica<br />
e culturale dell’approccio al cibo, un momento di confronto<br />
con il mondo animale e le sue differenze dalla razza umana. La proposta<br />
è un percorso articolato a spirale attraverso suoni, luci ed<br />
installazioni. Negli spazi esterni vi saranno campioni di piante che<br />
in tutto il mondo offrono cibi direttamente utilizzabili.<br />
The stories of soil, water and air, o la relazione fra la qualità dell’ambiente<br />
e la qualità dei prodotti, un confronto fra le culture contadine<br />
nel mondo in rapporto alle modificazione del paesaggio in<br />
funzione della diffusione delle colture specifiche, come quella del<br />
vino in Italia, quelle spartane del sud del Sahara, quella del riso in<br />
oriente, o la cultura del tè in India. Verranno esemplificati diversi<br />
contesti ambientali, dai più aridi a quelli più umidi, con immagini<br />
proiettate su moduli bianchi volumetrici, mentre negli spazi<br />
esterni verranno ricostruiti esempi di climi differenti.<br />
The right to eat right, o le conseguenze degli squilibri sociali relativi<br />
alla nutrizione. Mettere in evidenza l’esistenza di questi problemi,<br />
che assumono dimensioni critiche ad esempio nel Darfour o nel<br />
Bronx meridionale, in un padiglione che si trova a poca distanza da<br />
quelli del Sudan e degli Stati Uniti, potrà costituire un problema<br />
d’importante rilevanza politica, dal momento che questi Paesi considerano<br />
gli squilibri nutrizionali come questioni d’ordine interno.La<br />
scenografia prevede l’esposizione propedeutica di situazioni di crisi,<br />
in successione con l’allestimento di stand modulari in cui le organizzazioni<br />
governative documenteranno la loro attività.<br />
The art of food, o il superamento dell’approccio alla nutrizione come<br />
necessità fisiologica di base. Gli eventi previsti sono orientati alla spettacolarizzazione<br />
dell’argomento, come Hollyfood, che farà rivisitare<br />
scene di film connessi all’argomento, come “Babette’ feast” o “La<br />
grande bouffe”o “Poule au vinagre”, come Foodart, una carrellata<br />
diacronica sulle opere d’arte ispirate al tema del banchetto, o l’evento<br />
Il planivolumetrico dell’Expo<br />
C R I T I C A<br />
85<br />
Gianluigi Gentile EXPOMILANO 2015
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Gianluigi Gentile EXPOMILANO 2015<br />
C R I T I C A<br />
musicale On the rocks, con l’esecuzione di brani con la formula del<br />
festival permanente. E’ prevista la possibilità di realizzare gli eventi<br />
tramite la ricostruzione di un set cinematografico, un locale per<br />
la degustazione degli stessi piatti che si vedranno sullo schermo, una<br />
galleria d’arte ed uno spazio per l’organizzazione dei concerti.<br />
Il tema della flessibilità attraversa la concezione di tutti gli allestimenti<br />
come ipotesi di lavoro irrinunciabile, inducendo ad alcune considerazioni<br />
di carattere programmatico: se da un lato si assume come possibilità<br />
positiva la flessibilità, nei suoi aspetti di conversione funzionale,<br />
d’altro lato bisogna riconoscere che lo stesso concetto implicitamente<br />
può condurre ad una forma d’agnosticismo nei confronti dello spazio<br />
progettato e dell’architettura degli interni che conduce ad una concezione<br />
del linguaggio architettonico in senso bidimensionale. Non è<br />
più lo spazio fruibile ad essere progettato, ma è la texture del suo contenitore,<br />
approccio già emerso nella recente storia dell’architettura, ma<br />
che ora trova, almeno nelle intenzioni dichiarate, una formalizzazione<br />
esemplare, proponendosi come strumento coerente delle istanze<br />
della società dello spettacolo che investono l’architettura nel suo rapportarsi<br />
con la città, L’architetto nel suo operare è sospinto verso un<br />
nuovo orizzonte formalista, dove l’etica si ridimensiona a puro rigore<br />
semantico. L’apertura problematica che la crisi delle avanguardie ha<br />
indotto nella cultura architettonica contemporanea, configura un nuovo<br />
ambito disciplinarmente composito, una contaminazio dei ruoli in<br />
cui la creatività architettonica assume nuovi stimoli dalla complessità<br />
interdisciplinare dei rapporti che, sia pure in modo discordante, si<br />
propongono, in alternativa alla rincorsa di una dimensione professionale<br />
forse definitivamente perduta.<br />
Gianluigi Gentile<br />
RECENSIONI MILANO di Serena Vanzaghi<br />
GABRIELE ARRUZZO - AS HIMSELF<br />
Antonio Colombo Arte Contemporanea<br />
20 novembre-fine gennaio<br />
G. Arruzzo, Leone III e Carlo Magno fanno<br />
visita allo studio del pittore, smalto e acrilico<br />
su tela, <strong>2008</strong>. Courtesy Antonio Colombo<br />
Arte Contemporanea.<br />
tazione) della propria parte nella loro vita.<br />
GUIDO BAGINI - ASTRAL SIGNS<br />
The Flat-Massimo Carasi<br />
13 novembre-7 gennaio<br />
Il torinese Guido Bagini, alla seconda personale<br />
presso The Flat, mostra i risultati della sua<br />
recente ricerca artistica orientata verso un<br />
nuovo spazio che sfida i limiti della bidimensionalità<br />
(su cui, comunque, continua a lavorare)<br />
e verso l’impiego di materiali innovativi.<br />
Gli esiti di questa indagine sono le multicolori<br />
sculture-installazioni di Corian (un impasto<br />
di resina e marmo in polvere), reinterpretazioni<br />
a tre dimensioni delle geometrie degli smalti<br />
su cartone. I paesaggi, le strutture e<br />
l’oggetto di design sempre presenti nelle opere<br />
dell’artista assumono così, nella loro tangibile<br />
fisicità, una rilevanza totemica e metafisica,<br />
quasi fossero segni astrali.<br />
In gennaio la galleria ospiterà una personale<br />
dell’artista newyorkese Michael Bevilacqua, in<br />
cui verranno esposte le sue opere più recenti.<br />
Guido Bagini, Up, <strong>2008</strong>, corian, 144x30x47 cm, Courtesy The Flat-<br />
Massimo Carasi_Milano<br />
R E C E N S I O N I M I L A N O<br />
Attraverso il medium della pittura Gabriele<br />
Arruzzo trasporta lo spettatore in<br />
situazioni immaginarie, al limite del possibile.<br />
In un continuo turbinio di voli pindarici<br />
nel tempo, nella mitologia, nella<br />
storia, nell’arte e nella letteratura, lo<br />
spettatore diventa partecipe di una<br />
“messa in scena” creata dall’artista, condita<br />
di dualismi e contrasti. Curioso il titolo<br />
della mostra che prende in prestito<br />
un vocabolo usato prettamente in ambito<br />
teatrale: così come l’attore recita “as<br />
himself” (cioè interpretando se stesso),<br />
anche i personaggi che vivono nelle tele<br />
di Arruzzo vengono colti nell’interpretazione<br />
(oppure nella rinuncia all’interpre-<br />
87<br />
Serena Vanzaghi Recensioni Milano
88<br />
Serena Vanzaghi Recensioni Milano<br />
R E C E N S I O N I M I L A N O<br />
ALBERTO BURRI<br />
Triennale<br />
11 novembre-8 febbraio<br />
A.Burri, Combustione-Sacco, 1956.Courtesy<br />
Triennale Milano.<br />
Dopo ventiquattro anni di assenza<br />
espositiva nel capoluogo lombardo,<br />
Alberto Burri, uno dei grandi talenti<br />
artistici del Secondo Dopoguerra, viene<br />
celebrato attraverso un’articolata<br />
retrospettiva che raccoglie anche alcuni<br />
pezzi inediti. Burri, considerato<br />
uno dei primissimi pionieri della Neo-<br />
Avanguardia in Italia, si è sempre mostrato,<br />
attraverso la sua continua ricerca<br />
extrapittorica, un artista al passo<br />
con le più ardite avanguardie internazionali<br />
dagli anni Cinquanta in poi.<br />
I Catrami, i Sacchi, i Legni, le Combustioni,<br />
i Cellotex, i Cretti, i Monotex sino<br />
alle ultime opere testimoniano la<br />
sua pedissequa indagine verso le nuove frontiere della materia e dello<br />
spazio, irriducibile ai limiti del quadro.<br />
GREGORY CREWDSON - DREAM HOUSE<br />
Photology<br />
Si è da poco conclusa la<br />
mostra Dream House,<br />
l’importante anteprima europea<br />
composta da dodici<br />
fotografie di Gregory<br />
Crewdson. Con abilità da<br />
regista, Crewdson crea<br />
complesse immagini che<br />
sembrano riproporre una<br />
sequenza filmica. Gli attori,<br />
chiamati ad essere protagonisti<br />
degli scatti (Tilda<br />
Swinton, Julianne Moore,<br />
Philip Seymour Hoffman,<br />
Gregory Crewdson, Dylan and dinnertable, Dream House,<br />
2002, Digital Prints Cm 63 x 100, Edition of 15, Copyright<br />
Gregory Crewdson.<br />
William H. Macy e Gwyneth Paltrow), si aggirano in un set desolato:<br />
una casa disabitata del Vermont, in cui ogni cosa è rimasta come<br />
l’ultimo proprietario l’ha lasciata. Dall’apparente tranquillità della<br />
provincia americana traspare un’atmosfera carica di mistero, inquietudine<br />
e turbamento, accentuata dall’utilizzo di luci teatrali e di un<br />
particolare stile narrativo, attraverso cui Crewdson porta la tradizione<br />
della staged photography ad un livello sempre più avanzato.<br />
ALBERO DI FARFALLE<br />
Marco Rossi-Spirale Arte Contemporanea<br />
20 novembre-18 gennaio<br />
Hidetoshi Nagasawa, Disegno (Rame), <strong>2008</strong>, Collage di rame<br />
su carta e acido, cm 70x100, Courtesy Marco Rossi-Spirale<br />
Arte. Arte Contemporanea, Milano<br />
Quindici opere su carta e<br />
una nuova opera in marmo<br />
(dal poetico titolo Albero<br />
di Farfalle) compongono<br />
la mostra personale<br />
di Hidetoshi Nagasawa.<br />
L’artista giapponese, maestro<br />
della scultura Zen,<br />
presenta appositamente<br />
per gli spazi della galleria,<br />
una grande stele di marmo<br />
di Carrara che sembra<br />
sfidare, nella sua imponente<br />
grandezza, un sen-<br />
so di leggerezza e, allo stesso tempo, di impossibile equilibrio.<br />
Le opere di Nagasawa si collocano nello spazio del “Ma” (luogo fisico<br />
e mentale in cui si concentrano tutte le energie) e sono fortemente<br />
permeate di filosofia e tradizione artistica orientale. Ne risultano<br />
creazioni contraddistinte da semplicità e essenzialità che, tuttavia,<br />
sprigionano una forza evocativa dirompente.<br />
DAN GRAHAM - SAGITARIAN GIRLS<br />
Francesca Minini<br />
13 novembre-15 gennaio<br />
In occasione della sua mostra milanese<br />
Dan Graham presenta un padiglione site-specific<br />
ideato per gli spazi della galleria.<br />
La sua ventennale ricerca sullo<br />
spazio, basata sulla creazione di strutture<br />
praticabili in vetro, prosegue attraverso<br />
l’utilizzo del vetro a riflessione<br />
differenziata (materiale che mescola riflessione<br />
e trasparenza) e attraverso la<br />
predilezione per le superfici curve. Lo<br />
spettatore viene chiamato ad interagire<br />
con e dentro la stessa creazione artistica,<br />
in un continuo gioco di riflessi e di<br />
sovrapposizioni di immagini. Il punto<br />
di vista soggettivo dello spettatore e la<br />
R E C E N S I O N I M I L A N O<br />
Dan Graham, Half Square Half Crazy,<br />
2004 Two-way mirror, stainless steel 240<br />
x 600 x 600 cm, Foto Pino Musi, Courtesy<br />
Galleria Massimo Minini, Brescia<br />
sua percezione rispetto allo spazio e agli altri individui diventano elementi<br />
di fondamentali importanza nell’opera di Graham.<br />
89<br />
Serena Vanzaghi Recensioni Milano
90<br />
Serena Vanzaghi Recensioni Milano<br />
R E C E N S I O N I M I L A N O<br />
ALFREDO JAAR - IT IS DIFFICULT<br />
Hangar Bicocca-Spazio Oberdan<br />
3 ottobre -25 gennaio<br />
Convinto che la cultura debba<br />
avere un ruolo attivo e socialmente<br />
responsabile, l’artista cileno<br />
Jaar, attraverso l’adozione<br />
di svariati linguaggi, scuote il<br />
pubblico mettendo in mostra,<br />
con acuta critica, scomode realtà.<br />
I suoi progetti relativi all’Africa<br />
- teatro di atroci violenze<br />
e speculazioni economiche -<br />
mettono in crisi l’idea disincan-<br />
A. Jaar, Geography = War, installazione, 1991. tato-esoterica (prodotta anche<br />
dai media) di questo continente.<br />
Jaar ci invita a riflettere su<br />
come l’equilibrio (che è anche disequilibrio) mondiale sia regolato da<br />
dinamiche ben poco etiche, fonti di ingiustizie ed emergenze umanitarie.<br />
Con il progetto pubblico Questions Questions lo spettatore viene<br />
inoltre sollecitato a rispondere a domande semplici e dirette dalle risposte<br />
non sempre scontate: “Cos’è la Cultura?”<br />
ALEX KATZ<br />
Monica De Cardenas<br />
20 novembre-31 gennaio<br />
Ritratti essenziali e nitidi, piani<br />
di colori intensissimi, prospettiva<br />
bidimensionale e spiccato interesse<br />
per i mass-media, i fumetti<br />
e la fotografia. Queste le caratteristiche<br />
delle opere di Alex<br />
Katz, artista newyorkese che dipinge<br />
in uno stile, come lui stesso<br />
afferma, “totalmente americano”,<br />
sintesi tra l’astrattismo dell’Espressionismo<br />
Astratto e il<br />
realismo della Pop Art, le due tendenze<br />
artistiche principali nell’America<br />
del Secondo Dopo-<br />
Alex Katz, Reflection with Kirsten, <strong>2008</strong>, oil on canvas,<br />
cm 185 x228, Courtesy Galleria Monica De<br />
Cardenas, Milano<br />
guerra. Attraverso una freddezza formale che, di primo acchito, sembra<br />
impedire qualsiasi connotazione sentimentale, Katz apre una finestra<br />
sulla sua vita, presentandoci con devozione e attenzione i suoi<br />
affetti famigliari, gli amici, i poeti, gli artisti e i musicisti che orbitano<br />
attorno al suo mondo.<br />
MONDINO AND FRIENDS<br />
Aldo Mondino, Roberto Coda Zabetta, Federico Guida, Davide Nido.<br />
Poleschi Arte<br />
30 ottobre <strong>2008</strong>- 21 febbraio 2009.<br />
A. Mondino, Turcata, 2000, olio su linoleum.<br />
Courtesy Poleschi Arte.<br />
Una ricca mostra antologica celebra la<br />
carriera di Aldo Mondino (1938-2005),<br />
artista che ha indagato diverse tematiche<br />
e tecniche dagli anni Sessanta sino<br />
alla sua scomparsa. Mondino, che mai<br />
si è riconosciuto in un’unica chiesa artistica,<br />
ha spaziato dai Collages, alle<br />
Turcate e Tauromachie su linoleum,<br />
dalle sculture e i tappeti di eraclite e gli<br />
Iznik su vetro alle opere realizzate con<br />
cioccolatini. Una versatilità che cela<br />
molte fonti d’ispirazione, provenienti<br />
sia dalla Storia dell’Arte sia dalle culture<br />
orientali, ma anche dalla vita quoti-<br />
diana, reinterpretata attraverso la sua caratteristica curiosità. In mostra<br />
sono presenti anche opere di tre dei suoi assistenti, oggi riconosciuti<br />
a livello nazionale ed internazionale.<br />
HIDETOSHI NAGASAWA<br />
STEPHANIE NAVA<br />
CONSIDERING A PLOT (DIG FOR VICTORY)<br />
Via Farini-Organization for Contemporary Art<br />
3 novembre-20 dicembre<br />
Anni di elaborazione teorica e di lavoro<br />
manuale hanno portato alla<br />
formazione dell’opera-installazione<br />
di disegni al tratto dell’artista francese<br />
Stephanie Nava. Un work in<br />
progress che tenta di creare, lentamente<br />
nel tempo, un giardino, con<br />
le dinamiche, i tempi e la cura che<br />
questo spazio richiede nelle sue<br />
molteplici diramazioni, verso l’alto<br />
e verso il basso. Il giardino, con la<br />
sua caratteristica profusione di<br />
specie e di piante, è un bacino inesauribile<br />
di vita visibile e invisibile.<br />
Così, Stephanie Nava,, consapevole<br />
delle innumerevoli simbologie di<br />
cui il giardino si fa portatore, cura<br />
R E C E N S I O N I M I L A N O<br />
Stéphanie Nava, Considering a plot (dig for<br />
victory), giugno – luglio <strong>2008</strong>, veduta dell’installazione<br />
del Centre d’Art de la Ferme<br />
du Buisson, Marne la Vallée<br />
con amorevole attenzione, alla stregua di un giardiniere-progettista,<br />
la sua creazione artistica.<br />
91<br />
Serena Vanzaghi Recensioni Milano
92<br />
Serena Vanzaghi Recensioni Milano<br />
R E C E N S I O N I M I L A N O<br />
MAGDA TOTHOVA<br />
ALS DER ZUFALL ZU ZWEIFELN BEGANN<br />
Quando la Coincidenza inizia a dubitare.<br />
Federico Bianchi Contemporary Art-Lecco.<br />
29 novembre-14 febbraio<br />
Magda Tothova, Als der Zufall zweifeln begann, <strong>2008</strong>.<br />
Courtesy Federico Bianchi Contemporary Art<br />
Cosa accadrebbe se la<br />
Coincidenza, sorella dell’Imprevedibilità,iniziasse<br />
a colorarsi di una propria<br />
personalità e a interrogarsi<br />
su se stessa, sulla<br />
propria natura? Quali<br />
conseguenze se sparisse<br />
dalle nostre vite, dalla<br />
Storia? Nulla sarebbe più<br />
dettato dal caso, tutto<br />
sarebbe deciso a priori.<br />
Niente più “splendide” o<br />
“nefaste” coincidenze a farci sussultare. Attraverso un’installazione<br />
a tre parti, Magda Tothova, artista slovacca di adozione viennese,<br />
sviluppa per gradi la presa di coscienza di questo fenomeno, improvvisamente<br />
calatosi in vesti e pensieri umani. Una riflessione intensa<br />
sull’incidenza che il Caso ha sulla società, un’incidenza -troppe<br />
volte- data per scontata.<br />
RECENSIONI GENOVA<br />
di Erika Bailo e Mario Pepe<br />
LUCIO FONTANA. LUCE E COLORE<br />
Palazzo Ducale<br />
22 ottobre <strong>2008</strong> -15 febbraio2009<br />
Lucio Fontana, Concetto spaziale, 1959. Fondazione Lucio Fontana, Milano<br />
R E C E N S I O N I G E N O V A<br />
Sono oltre 100 le opere esposte a Palazzo Ducale del celebre artista<br />
italo-argentino fondatore dello Spazialismo. Il percorso della mostra<br />
inizia con la ricostruzione dell'opera “Struttura al neon” che fu esposta<br />
nel 1951 sullo scalone del Palazzo dell'Arte in occasione della IX<br />
Triennale di Milano. Si tratta di un tubo al neon della lunghezza di<br />
100 metri che crea un groviglio luminoso sospeso nell'atrio del palazzo.<br />
L'utilizzo del neon nasce dalla volontà di Fontana di adeguare<br />
il linguaggio artistico alle tematiche scientifiche del novecento.<br />
L'esposizione continua nelle sale del palazzo seguendo un percorso<br />
cromatico, in ogni sala infatti sono presenti opere di diversi periodi<br />
accomunate tra loro dal colore. Sono presenti anche le“Nature”, serie<br />
di sculture in materiali quali bronzo e terracotta che evocano oggetti<br />
naturali. Le ceramiche a forma di coccodrilli, farfalle e stelle<br />
marine chiudono la mostra. Troviamo esposti i vari“Concetti Spaziali”dai<br />
Buchi alle“Attese”, le celebri tele su cui Fontana produce tagli<br />
netti, profondi, ritmicamente scanditi alla ricerca di uno spazio pluridimensionale.<br />
93<br />
Erika Bailo e Mario Pepe Recensioni Genova
94<br />
Erika Bailo e Mario Pepe Recensioni Genova<br />
R E C E N S I O N I G E N O V A<br />
SHOZO SHIMAMOTO<br />
SAMURAI, ACROBATA DELLO SGUARDO 1950-<strong>2008</strong><br />
Museo d'Arte Contemporanea Villa Croce<br />
13 novembre <strong>2008</strong>-8 marzo 2009<br />
Lucio Fontana, Concetto spaziale, 1959. Fondazione Lucio Fontana, Milano<br />
Shozo Shimamoto fu uno dei fondatori del gruppo“Gutai Bijutsu<br />
Kyokai” (associazione dell'arte concreta) creato ad Osaka nel 1954.<br />
Questo gruppo di artisti si poneva come obiettivo l'enfatizzazione<br />
del gesto attraverso una spettacolarità sviluppata successivamente<br />
dagli Happenings degli anni Sessanta.<br />
Al Museo di Villa Croce si ripercorre la carriera artistica del maestro<br />
giapponese dagli anni '50 fino ad oggi, attraverso le sue opere<br />
pittoriche e la proiezione di diversi filmati. In occasione dell'inaugurazione<br />
della mostra è stata realizzata una performance in<br />
collaborazione con Philip Corner, artista Fluxus e compositore<br />
americano. Dall'alto di una gru, il maestro Shimamoto ha lanciato<br />
bicchieri e bottiglie di vetro, contenenti colori acrilici, su di una tela<br />
di 10 metri per 10 metri distesa al centro di piazza Matteotti su<br />
cui sono stati posizionati diversi oggetti in legno quali un armadio,<br />
un tavolino, una scala, che hanno subito, come la tela, l'azione dell'artista.<br />
GIORGIO LEVI<br />
Il visibile e l’invisibile<br />
di Barbara Cella<br />
Il percorso artistico di Giorgio Levi (Genova,<br />
1930) attraversa gli ultimi 40<br />
anni della nostra storia sviluppandosi<br />
attorno alla ricerca continua della conoscenza,<br />
al di là del visibile, cogliendo<br />
la bellezza e la plasticità del microcosmo<br />
e trasferendolo sulla tela.<br />
Essendo uomo di scienza conosce molto<br />
bene ciò di cui tutta la natura è formata<br />
e cioè la cellula. Sarà questo il leit-motiv<br />
che lo accompagnerà sempre.<br />
E infatti vediamo, già a partire dagli<br />
anni ’70, il primo nucleo della sua pittura,<br />
un sole contaminato, intercetta-<br />
II - <strong>2008</strong><br />
V E T R I N A<br />
to, interrotto da griglie e tabulati in un<br />
formalismo mondriano che vira quasi<br />
subito dalla rigidità geometrica dei<br />
primi lavori a quella fluidità materica<br />
che sarà poi la sua caratteristica principale.<br />
E il cerchio del singolo sole si<br />
disfa in tanti microrganismi cellulari<br />
fluttuanti sulla tela dove il colore si fa<br />
intenso, protagonista.<br />
Questa evoluzione lo porta alla produzione<br />
degli anni ’80 dove i richiami a Burri<br />
e a Fontana sono evidenti ma sempre<br />
collocati in quella dimensione di ricerca<br />
dove c’è sempre qualcosa sotto i ta-<br />
95<br />
Barbara Cella Giorgio Levi. Il visibile e l’invisibile
96<br />
Barbara Cella Giorgio Levi. Il visibile e l’invisibile<br />
V E T R I N A - G I O R G I O L E V I<br />
gli, oltre le bruciature, dietro le saracinesche<br />
di cartone ondulato:<br />
un’altra realtà oltre quella visibile.<br />
E le opere si fanno materiche, dense.<br />
Levi usa con rara maestria la pla-<br />
III - <strong>2008</strong><br />
IV <strong>2008</strong><br />
Reseorch (Microcosmo) - 1997<br />
stica a evidenziare membrane ultracellulari<br />
che uniscono e separano, la colora, la<br />
brucia, usa il cartone ondulato e lo rompe,<br />
lo frammenta. Usa resine, pietre, smalti,<br />
legni, vernici. Nelle sue mani la materia<br />
si fonde e confonde, diventa respiro e forza<br />
espressiva.<br />
Agli inizi degli anni ‘90 evolve verso una<br />
nuova espressività figurativa dove alla materia<br />
aggiunge la fotografia e da essa parte<br />
per descrivere la natura: paesaggi mai<br />
classici, mai iconoclastici inseriti in una sorta<br />
di collage dove le onde sono plastica e<br />
i girasoli si fondono con oli e resine e la corteccia<br />
diventa un modulo che ritorna ad essere<br />
unico e ripetuto nel micro come nel<br />
macrocosmo.<br />
La fotografia, le lastre mediche, i vetrini del<br />
microscopio ricorreranno in tutta la produzione<br />
dell’ultimo decennio dove Levi si<br />
pone come attento osservatore, dell’infinitamente<br />
piccolo ma anche, della vita di<br />
questi nostri anni che viene denunciata attraverso<br />
opere che ricordano i graffitismi<br />
americani degli anni ’80, dove la poetica<br />
pop si mescola a segni criptici e ripetitivi<br />
che inglobano le foto.<br />
La modernità continua nelle opere di “laboratorio”<br />
dove la cellula ritorna per essere<br />
attaccata dall’ago che la modifica geneticamente<br />
o da una non ben specificata materia<br />
scura che entra nella tela e la contamina.<br />
Ma il quadro di rottura con il suo stesso passato<br />
è l’insieme di più opere che Levi rompe<br />
e ricrea denominandolo appunto “Rinascita”<br />
e che lo porta, nel suo ultimo percorso creativo,<br />
a spogliarsi dei supporti fotografici, della<br />
materia e della realtà, mantenendo la cellula<br />
come protagonista in un contesto di pura<br />
fantasia, e dove ritorna alle sue origini usando<br />
solo l’olio a supporto del gesto creativo che<br />
ora è ampio e dà respiro ad un’entità finalmente<br />
libera.<br />
Barbara Cella<br />
GABRIELLA PASTORINO<br />
Astratta<br />
di Erika Bailo<br />
L’arte si svincola dalla riproduzione naturalistica<br />
del mondo, sviluppando<br />
una pittura non figurativa fatta di segni,<br />
colori e forme che diventano<br />
espressione di una realtà interiore.<br />
Sono questi gli elementi di partenza<br />
dell’Astrattismo, tendenza artistica<br />
che mette in atto un capovolgimento<br />
dell’arte come “imitazione della realtà”<br />
e rappresenta il momento conclusivo<br />
di un processo che trova le sue radici<br />
nell’epoca romantica.<br />
Le opere di Gabriella Pastorino sono<br />
prevalentemente composizioni astratte<br />
che trasfigurano la realtà attraverso<br />
un processo di sintesi geometrica,<br />
Messico<br />
V E T R I N A<br />
tesa ad indagare il mondo nelle sue forme<br />
originarie.<br />
Queste opere trovano ispirazione nel<br />
lavoro di alcuni artisti francesi conosciuti<br />
durante i soggiorni periodici che<br />
l’artista compie nel sud della Francia.<br />
In particolare il cerchio quale figura<br />
geometrica perfetta senza inizio né<br />
fine, sarà uno dei primi elementi studiati<br />
dall’artista e porterà alla realizzazione<br />
di soggetti quali pavoni e uccelli,<br />
tra le poche figure riconoscibili<br />
nelle sue opere.<br />
Il colore assume un ruolo fondamentale,<br />
è denso, puro e brillante, prevalgono<br />
i toni caldi quali rosso, arancio-<br />
97<br />
Erika Bailo Gabriella Pastorino. Astratta
98<br />
Erika Bailo Gabriella Pastorino. Astratta<br />
V E T R I N A - G A B R I E L L A P A S T O R I N O<br />
Sognando il futuro<br />
Riflessi sul golfo<br />
Incontri nel bosco<br />
ne e giallo a cui vengono accostate<br />
campiture dorate che ne accentuano la<br />
luminosità.<br />
Gabriella Pastorino affianca alla pittura<br />
la decorazione di ceramiche dalla<br />
forma ad uovo. Uovo quale simbolo di<br />
totalità, rappresentazione del mondo<br />
secondo Paracelso, ma anche stadio<br />
successivo al caos ed elemento originario<br />
di qualcosa che diverrà.<br />
Si avverte quasi una volontà di controllo<br />
attraverso la riduzione della realtà<br />
oggettiva ad elementi semplici della<br />
geometria e delle regole matematiche<br />
che ne stanno alla base.<br />
Un linguaggio che non si distacca dalla<br />
realtà, ma al contrario la penetrata attraverso<br />
le forme della ragione.<br />
Queste composizioni animate da colori<br />
vivaci e brillanti e da forme simboliche,<br />
sono pervase da una vena giocosa,<br />
leggera e sempre ironica, che attraggono<br />
lo spettatore in un tempo ed un luogo<br />
sospesi nel mondo immaginario<br />
dell’artista.<br />
Erika Bailo<br />
LUCIA PASINI<br />
di Mario Pepe<br />
Quando Lucia invita i suoi numerosi amici<br />
nella sua bella villa sulle colline di Genova,<br />
dove ama coltivare fiori e ortaggi<br />
e curare persino un vitigno, è festa grande<br />
non solo per il palato ma anche per<br />
gli occhi. In questi ultimi anni siamo stati<br />
tutti testimoni delle sue vivaci ricerche<br />
pittoriche che, distaccandosi ben presto<br />
Senza titolo, tecnica mista<br />
V E T R I N A<br />
dalla verosimiglianza di soggetti ispirati<br />
alla natura, sono sfociate nell’elaborazione<br />
di elementi astratti legati all’espressività<br />
del colore, passando attraverso un<br />
periodo di stratificazione “materica” e arrivando<br />
più recentemente a stesure più<br />
delicate, dai toni smorzati e quasi trasparenti<br />
come tonalità di acquerello.<br />
99<br />
Mario Pepe Lucia Pasini
100<br />
Mario Pepe Lucia Pasini<br />
V E T R I N A - L U C I A P A S I N I V E T R I N A - L U C I A P A S I N I 101<br />
Senza titolo, tecnica mista<br />
Sebbene sia molto difficile entrare nello specifico dell’artista, tuttavia<br />
possiamo coglierne i riferimenti formali che, nel caso di Lucia<br />
Pasini, per la costruzione dello spazio e la gestualità del segno,<br />
c’è un evidente richiamo agli espressionisti astratti americani ed<br />
anche alla lezione di Klee.<br />
L’arte astratta crea immagini che sembrano non appartenere alla<br />
nostra esperienza visiva, cercando di esprimere i propri contenuti<br />
nella libera composizione di linee, forme, colori, senza imitare<br />
la realtà concreta in cui viviamo. Vuole esprimere contenuti e significati<br />
comunicativi, senza prendere in prestito nulla dalle immagini<br />
già esistenti intorno a noi, ma adoperando processi di astrazione<br />
molto simili nella sostanza a quelli da cui sono nate le parole,<br />
i numeri, i segni della comunicazione visiva.<br />
Come per gli espressionisti astratti che hanno una visione libera da contingenze<br />
storiche e sociali, anche per Lucia l’arte consiste nell’atto stesso<br />
del dipingere. Al centro del lavoro è la sua individualità, che si pone<br />
in una condizione di rischio, mette in gioco la propria esistenza in senso<br />
psicologico e spirituale. Lo spazio del quadro diventa il luogo libe-<br />
ro da convenzioni estetiche, in cui<br />
l’artista convoglia le proprie emozioni e<br />
la propria energia vitale. L’urgenza dell’azione<br />
si traduce in movimento gestuale<br />
che esprime significati esistenziali.<br />
L’artista sceglie di agire anche senza un<br />
progetto, lasciando che il quadro nasca<br />
e si riveli al momento.<br />
La ricerca di Lucia Pasini è rivolta alla rappresentazione<br />
immediata della propria<br />
interiorità. La sua pittura si evolve da una<br />
prima esperienza “materica” vicina all’espressionismo<br />
astratto di Rothko, anche<br />
se le dimensioni più ridotte delle sue<br />
tele spostano l’equilibrio dall’invadenza<br />
espressionista verso una più meditata comunicazione<br />
intimista. Mentre Rothko<br />
sceglie di lavorare per tonalità cromatiche<br />
sovrapposte, eliminando i contrasti<br />
di colore e procedendo per successive velature<br />
sottilmente modulate, Lucia Pasini<br />
opera nette stesure materico-tattili con<br />
tecniche miste acrilico e olio su grumi di<br />
cera o di gessi, ottenendo in questo modo<br />
strutture plastiche semplificate. Dalla rielaborazione<br />
di forme naturali come i corpi<br />
umani, percepiti esclusivamente come<br />
dicotomia vuoto-pieno, nascono sorprendenti<br />
immagini spaziali, mediante<br />
decostruzione dei segni figurativi e conseguente<br />
liberazione di elementi di essenzialità,<br />
che diventano i parametri visivi di<br />
sostegno alla forma della costruzione<br />
astratta. L’architettura pittorica definita<br />
dalla luce e dai piani di colore è scandita<br />
da una struttura semplice, priva di segni<br />
superflui. Il periodo “materico” di Lucia<br />
è ricco di rossi su sfondi scuri abissali<br />
con improvvise ferite di bianco accecante<br />
che verticalizzano lo spazio. E’ una<br />
pittura che provoca stati d’animo di<br />
grande equilibrio liberando forme che inducono<br />
l’immaginazione percettiva alla<br />
contemplazione di paesaggi interiori<br />
puramente emozionali. I suoi lavori trasmettono<br />
informazioni percettive che stimolano<br />
una reazione di tipo gestaltico riu-<br />
Senza titolo, tecnica mista<br />
scendo a comunicare con la psicologia<br />
dell’osservatore. Con un procedimento<br />
che diviene totale invenzione, Lucia è capace<br />
di trasmettere agli altri la propria<br />
esperienza esistenziale come testimonianza<br />
dell’essere al mondo in un particolare<br />
momento e contesto.<br />
La sua più recente produzione, pur<br />
sempre coerente con le premesse iniziali,<br />
si sviluppa semplificando notevolmente<br />
la costruzione pittorica, abbandonando<br />
lo spessore materico dell’intervento<br />
a favore di stesure di colore<br />
più delicate. Resta intatta la sua<br />
matrice fondamentalmente espressionistica,<br />
tesa a suscitare emozioni interiori,<br />
utilizzando la capacità dei colori<br />
di trasmettere delle sensazioni. Si<br />
direbbe che l’artista sperimenti una<br />
fase minimalista del suo segno, alla ricerca<br />
di costruzioni più essenziali, che<br />
ottiene passando sulla tela un pennello<br />
largo imbevuto in acqua dove ha<br />
sciolto le terre e le ocre. Il risultato ricorda<br />
gli acquerelli astratti di Klee,<br />
dove i colori si smorzano e le atmosfere<br />
rarefatte si ricollegano ai colori della<br />
natura da cui Lucia era partita.<br />
Mario Pepe<br />
Mario Pepe Lucia Pasini
102<br />
Ross Elliot Pietro Pignatti. Suneset Boulevard multicolor<br />
V E T R I N A<br />
PIETRO PIGNATTI<br />
Sunset Boulevard multicolor<br />
di Ross Elliot<br />
“Penetrando nel regno della visione,<br />
ci muoviamo nell’immateriale armonia degli angeli”<br />
Henry Miller, Art in Cinema<br />
Niente nero alla nitro. Nessuna scrittura di luce. Nessuna liquida trasparenza.<br />
Non un accenno di orpellosa criminosità simbolica. La tecnica<br />
elaborata (inventata) da Pietro Pignatti non raggela le sue fotocolor<br />
incastonandole in un fondale perfettamente teatrale. Non le destruttura<br />
freddamente da scienziato dell’arte. Negli accumuli di gruppo<br />
o nelle aperture zoommate, nella dualità soggetto e scena di fondo,<br />
si avverte come uno sguardo che naviga limpidamente dall’altezza<br />
di un dirigibile, la nave fotografica di Pignatti che investe, con inusitato<br />
abbandono, alchimie costruite dal suo computer.<br />
Sunset dinner<br />
Ceccarancio<br />
Questa a conti fatti l’immediata riflessione<br />
che scaturisce dai suoi lavori.<br />
Una ricerca che però non si lega quasi<br />
mai al senso di vertigine, di volo folle<br />
e “sballato” che identifica spesso la<br />
cyber art. Di più conta la piena, pastosa<br />
ed omogenea integrazione di elementi<br />
urbani e architettonici con volti,<br />
sguardi, presenze corporee che il<br />
computer ritaglia ed assembla in<br />
modo che ha dell’avventuroso e dello<br />
psichedelico. Tanti visi di amici, ripre-<br />
Das giuliano a quezzi<br />
V E T R I N A - P I E T R O P I G N A T T I<br />
si impudicamente, in serena allegrezza<br />
o in solitarie illuminazioni.<br />
Così il futuro, la dimensione utopica,<br />
il multiculturalismo, la serialità che<br />
sono tra i paradigmi dell’arte oggi, vengono<br />
ricreati senza schematismi artistico<br />
modaioli.<br />
Priorità? Il senso del discorso, l’accenno<br />
ad una narrazione sospesa tra un<br />
passato immaginario ed un presente<br />
misterioso: siamo a Genova, in cielo,<br />
nel deserto del Nevada o dentro i microchip<br />
di un potentissimo calcolatore<br />
elettronico?<br />
Non c’è neanche da sfogliare la classica<br />
margherita fluorescente. Una pervasiva<br />
way of life ci presenta storie che sono ancora<br />
da raccontare. Non storie realistiche<br />
in senso stretto ma accesi Sunset boulevards<br />
dalla memoria meccanica e multicolor.<br />
Come i fumetti, come i film di Julian<br />
Temple, Jonathan Demme e di Robert<br />
“Bob” Altman, per citare alcuni dei<br />
riferimenti culturali affini.<br />
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Ross Elliot Pietro Pignatti. Suneset Boulevard multicolor
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Ross Elliot Pietro Pignatti. Suneset Boulevard multicolor<br />
V E T R I N A - P I E T R O P I G N A T T I<br />
El quinto sol<br />
Ecco, in piena crisi cosmica, nell’atomizzazione<br />
dei desideri e<br />
dei bisogni, Pignatti pare riflettere<br />
con estrema pacatezza sul<br />
migliore dei mondi possibili: i cieli<br />
losangeleni, le buie gallerie<br />
percorse nella notte, le serate passate<br />
a bere nei locali, i contrastati<br />
atteggiamenti che il carattere e<br />
il tempo ci innervano nella pelle<br />
e nel viso.<br />
Quasi un credito di giovinezza che,<br />
profeticamente, diventa “qualche<br />
cosa di travolgente” (Something<br />
La strada 6<br />
wild, 1986, di J. Demme, con una<br />
strepitosa Melanie Griffith) estorto chissà come dagli innumerevoli scatti<br />
che Pietro ha fissato, con la perfidia e l’ottimismo del collezionista,<br />
sui supporti magnetici delle macchine fotografiche vecchie e nuove.<br />
Le immagini sul fondo della caverna platonica sono specchiature<br />
irriconoscibili; questo purtroppo lo sapevamo. Pignatti ci dimostra<br />
che le fantasmagorie, immaginarie o reali che siano, possono avere<br />
la forma sbarazzina e affascinante di giovani donne intente a<br />
guardarci negli occhi.<br />
Tocca a noi rispondere al loro sguardo di osservatori stellari.<br />
Ross Elliot