La Terapia Gestaltica parola per parola - Istituto Gestalt Bologna
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<strong>La</strong> <strong>Terapia</strong> <strong><strong>Gestalt</strong>ica</strong> <strong>parola</strong> <strong>per</strong> <strong>parola</strong> (Frederick S. Perls)<br />
Scheda di Massimiliano Sarti<br />
Organismo e carattere<br />
Noi siamo un organismo. Un organismo è "ogni essere vivente provvisto di organi, che sia capace<br />
di autoregolarsi internamente". L'organismo scambia con l'ambiente sostanze di varia natura, sia<br />
materiale che sociale. Noi non abbiamo un fegato, un cuore, noi siamo fegato, cuore.. Tuttavia,<br />
non siamo una somma di parti, ma un "coordinato estremamente complesso", non esiste la salute<br />
dei singoli organi ma esiste la salute del coordinato.<br />
L'organismo e l'ambiente sono profondamente connessi. Non si può considerare l'organismo<br />
indipendentemente dal contesto ambientale e culturale in cui si trova. Il suo confine non è<br />
qualcosa di determinato, dipende da ciò che <strong>per</strong>cepiamo come "altro". L'aria che respiriamo o il<br />
cibo che ingeriamo è dentro o fuori di noi? Se il confine si irrigidisce, allora divienta carattere,<br />
corazza.<br />
Noi ci identifichiamo con le cose... il lavoro, il corpo, le <strong>per</strong>sone, la famiglia, la storia, i luoghi, la<br />
politica, ecc.. I confini entro cui ci riconosciamo sono determinati anche dalle nostre<br />
identificazioni. Dentro il confine troviamo la sicurezza, il conosciuto, fuori l'estraneità, il mistero.<br />
Da qui seguono le polarità amico/nemico, attrazione/rifiuto, appetito/disgusto. Più è rigido il<br />
confine e più è forte la polarità. Qualcosa minaccia l'organismo, è fuori dall'organismo. Qualcosa lo<br />
nutre, sta fuori, ma può diventarne parte. Il carattere è la difesa di un confine, difesa che non<br />
accoglie la possibilità di scambio, di relazione, d’integrazione. Il carattere è la parte dura di noi, la<br />
parte che non accetta il contatto, lo scambio, l'integrazione. Il carattere ci rende prevedibili,<br />
poichè è fatto di comportamenti ripetitivi, modi di essere che si sono pietrificati nel tempo. <strong>La</strong><br />
<strong>per</strong>sona più ricca, più produttiva e più creativa è la <strong>per</strong>sona che ha meno carattere.<br />
Autoregolazione organismica<br />
L'organismo sa cosa fare <strong>per</strong> stare bene. <strong>La</strong> mente crede di sa<strong>per</strong>lo, ma non lo sa. Ogni volta che ci<br />
irrigidiamo in un'idea o in un atteggiamento smettiamo di essere in contatto con l'interezza e la<br />
complessità dell'organismo, smettiamo di seguire i suoi bisogni, ciò che gli serve <strong>per</strong> stare bene. <strong>La</strong><br />
terapia gestalitca è una terapia che insegna ad ascoltare il corpo, le emozioni, i desideri e tutti i<br />
bisogni della <strong>per</strong>sona, insegna a fidarsi dell'intelligienza dell'organismo (autoregolazione<br />
organismica). L'idea è che se impariamo ad ascoltare l'interezza di tutto ciò che siamo, sappiamo<br />
esattamente come muoverci <strong>per</strong> rigenerarci e crescere.<br />
"Persecutore" e "vittima"<br />
<strong>La</strong> nostra <strong>per</strong>sonalità spesso si divide in vittima e <strong>per</strong>secutore ("underdog" e "topdog"). Il<br />
<strong>per</strong>secutore comanda e dirige, è saccente, si aspetta determinate cose, ci proietta un immagine di<br />
noi. Il <strong>per</strong>secutore ci manipola con richieste seguite da minacce: "se non lo fai.. non sarai amato...<br />
non andrai in paradiso...". <strong>La</strong> vittima ci manipola difendendosi, scusandosi, adulando, frignando. <strong>La</strong><br />
vittima riesce sempre ad avere la meglio sul <strong>per</strong>secutore, poichè è più primitiva di lui. Entrambe<br />
lottano <strong>per</strong> il controllo. Più è duro il <strong>per</strong>secutore e più è forte la vittima. Più sono grandi le nostre<br />
aspettative <strong>per</strong>fezionistiche e più ci sentiamo impotenti. Più pretendiamo e più ci lamentiamo.<br />
L'illusione del controllo<br />
<strong>La</strong> maggior parte delle <strong>per</strong>sone si proietta costantemente in un ideale di vita. In questo modo lotta<br />
<strong>per</strong> controllare la realtà, <strong>per</strong> piegare se stessa e gli altri a un disegno prestabilito. Da qui nasce<br />
l'incapacità a stare in relazione con la realtà delle cose. Ebbene, il controllo noi non lo abbiamo,<br />
poichè chi controlla non siamo noi, ma le situazioni della vita. Se noi capiamo la situazione in cui ci<br />
troviamo e lasciamo che a controllare le nostre azioni siano le situazioni, allora abbiamo imparato<br />
ad affrontare la vita.
Il processo di maturazione<br />
Il fatto di recitare sempre la stessa parte, di seguire uno schema fisso di comportamento ostacola<br />
le <strong>per</strong>sone a maturare e a utilizzare tutto il proprio potenziale umano. I bambini imparano a<br />
ottenere l'attenzione dei genitori recitando una parte poi da adulti imparano un modo <strong>per</strong><br />
manipolare l'ambiente. Il nostro potenziale si basa invece su un atteggiamento particolarissimo:<br />
vivere e riconsiderare ogni momento come un istante a sè. Ma in questo caso diventiamo<br />
imprevedibili, mentre il ruolo di "buon cittadino", bramoso di sicurezza, esigie la prevedibilità. Ci<br />
adattiamo <strong>per</strong> essere accettati dalla società. Ci sediamo sulle certezze e riempiamo il vuoto con<br />
queste. Cerchiamo l'identità <strong>per</strong>chè è più sicura del mutamento.<br />
Ogni individuo ha lo scopo innato di realizzarsi <strong>per</strong> quel che è. <strong>La</strong> rosa non ha nessuna intenzione<br />
di realizzarsi come canguro. Le nostre idee di come dovremmo essere <strong>per</strong> stare bene e <strong>per</strong><br />
crescere sono solo idee, e, come tali, ci allontanano da noi stessi. Il processo di maturazione<br />
consiste piuttosto nel diventare sempre meno dipendenti dalle idee e dalle aspettative degli altri.<br />
Il processo di maturazione è un passaggio dal sostegno ambientale (la famiglia) all'autosostegno. Il<br />
fine della terapia consiste nel far sì che il paziente dipenda sempre meno dall'approvazione degli<br />
altri e diventi consapevole di poter fare molte più cose di quelle che crede.<br />
L'impasse e le fantasie catastrofiche<br />
Nella gestalt si cerca di mostrare alle <strong>per</strong>sone quello che sono i loro blocchi, quello che non<br />
vedono di sè. Il nevrotico lotta contro le montagne <strong>per</strong> non vedere il granello di sabbia che ha<br />
negli occhi. Quando sentiamo di non riuscire a vedere noi stessi o a fare qualcosa di diverso da<br />
quello che continuiamo a fare, siamo nell'impasse, una situazione di congelamento, di paura<br />
trattenuta, tenuto in piedi e nutrito da fantasie catastrofiche. Immaginare che, se <strong>per</strong> caso<br />
iniziassimo ad agire <strong>per</strong> quello che sentiamo, ci succederebbe qualcosa di brutto. Queste fantasie<br />
ci impediscono di vivere e di assumere i rischi che sono parte integrante della crescita e della vita.<br />
I due pilastri della <strong>Gestalt</strong>: il "qui ed ora" e il "come"<br />
Non esiste nulla al di fuori del qui ed ora. Il passato e il futuro sono qui ed ora. Il passato, sotto<br />
forma di memoria e il futuro, sotto forma di proiezione. Non si può vivere solo nel qui e ora,<br />
poichè vivere significa stare nella tensione tra l'accaduto e ciò che deve ancora succedere. <strong>La</strong><br />
musica della vita si genera proprio grazie a questa tensione. Tuttavia, la puntina del disco tocca<br />
sempre e solo il qui ed ora, poiché lì siamo nell'es<strong>per</strong>ienza, nella partecipazione, nel fenomeno,<br />
nella consapevolezza.<br />
Del futuro nessuno di noi sa nulla, ma lo anticipiamo con visioni e progetti; proiettiamo davanti a<br />
noi immagini rassicuranti <strong>per</strong>ché il futuro ci fa paura. Riempiamo lo spazio vuoto del futuro con<br />
polizze di assicurazione, status quo, identità… Sembra impossibile vivere senza mete, senza<br />
preoccuparsi di cosa succederà, poter restare a<strong>per</strong>ti a qualsiasi cosa. Se ci aprissimo al futuro,<br />
potrebbe succedere qualcosa di nuovo, di emozionante, che ci <strong>per</strong>metterebbe di crescere…<br />
Meglio camminare come mezzi cadaveri che vivere <strong>per</strong>icolosamente e capire che la <strong>per</strong>icolosità è<br />
molto di più di una vita priva di rischi.<br />
Secondo il modello analitico le situazioni irrisolte del paziente devono essere ricondotte a traumi.<br />
Tuttavia, molti traumi le <strong>per</strong>sone se li inventano <strong>per</strong> salvare la propria auto stima; spesso i traumi<br />
sono bugie alle quali ci si attacca <strong>per</strong> giustificare la propria non disponibilità a crescere e si piange<br />
una vita intera su un evento al solo scopo di farsi compatire. Il responsabile della malattia non è il<br />
passato, ma è il paziente. Tutti gli eventi hanno più di una causa. Il "<strong>per</strong>chè" porta spesso a una<br />
spiegazione astuta ma mai alla comprensione; porta a un'indagine senza fine sulla causa della<br />
causa della causa, ma mai a lavorare responsabilmente su come siamo. Per questo la <strong>Gestalt</strong><br />
propone di focalizzare l'attenzione sul: il "qui ed ora" piuttosto che sul passato e sul "come"<br />
piuttosto che sul "<strong>per</strong>chè".
Struttura della nevrosi<br />
1 -‐ Livello dei clichè (buon giorno, stretta di mano, ecc..)<br />
2 -‐ Livello in cui facciamo giochi e recitiamo parti (<strong>per</strong>sona importante, duro, bambino, bravo ecc.)<br />
3 -‐ Livello sintetico. In questo livello si cerca di colmare una mancanza con un atteggiamento, un<br />
modo di essere. <strong>La</strong> maggior parte di noi mette su un'esibizione fatta di cose che non è.<br />
4 -‐ Livello di paralisi in cui ci contraiamo e implodiamo. Una volta entrati in contatto con<br />
quest’aspetto l'implosione diventa esplosione, e la <strong>per</strong>sona torna a essere autentica, capace di<br />
esprimere le proprie emozioni. Ci sono quattro esplosioni: dolore, rabbia, orgasmo e gioia.<br />
<strong>La</strong> responsabilità<br />
Noi agiamo in modo responsabile quando agiamo in modo autonomo, liberi dalle aspettative o<br />
proiezioni che abbiamo sugli altri o dall'adeguarci a quelle degli altri. Responsabilità significa<br />
riconoscersi <strong>per</strong> quello che si è trovare la capacità di rispondere, di essere vivi, di sentire, di<br />
esercitare la propria sensibilità. Come dire: "Io sono io; in me ho raccolto e sviluppato quello che<br />
posso essere". In altre parole, responsabilità significa rispondere alle situazioni prendendo<br />
decisioni con sè stessi, restando centrati, responsabili nei confronti di se stessi e di nessun altro.<br />
<strong>La</strong>voro sui sogni<br />
I sogni nella <strong>Gestalt</strong> non vengono interpretati ma rivissuti e s<strong>per</strong>imentati nel presente; la <strong>per</strong>sona<br />
recu<strong>per</strong>ando il processo del sogno e entrando nelle proprie emozioni e arriva a maturare qualcosa<br />
di importante senza usare la mente che interpreta. In genere il sogno ci pone di fronte ad un<br />
chiaro messaggio su quel che manca alla nostra vita, su quel che evitiamo di fare e di vivere. I sogni<br />
ripetuti, come le coazioni a ripetere, sono gestalt incomplete, figure che continuano a venire fuori,<br />
che non possono retrocedere nello sfondo. Tutte le <strong>per</strong>sone e gli elementi di un sogno<br />
rappresentano parti di noi, sono nostri <strong>per</strong>sonaggi interni. Un metodo di lavoro sui sogni consiste<br />
nell’immedesimarsi in tutti gli elementi e recitarli, farli parlare; in questo modo emerge un<br />
conflitto che ad un tratto si risolve. Si può lavorare anche su un singolo frammento che contiene<br />
un'es<strong>per</strong>ienza da cui è possibile ricavare molto. Lo stile di Perls è rapido e veloce nel porre le<br />
giuste domande quando la <strong>per</strong>sona si <strong>per</strong>de nelle sue elucubrazioni mentali, <strong>per</strong>dendo di vista se<br />
stesso; di qui l’esigenza di portarlo sulla via che conduce a un sentire profondo e sincero.<br />
Appartiene a Perls la strategia di provare e riprovare fino a quando non trova un varco nel vissuto<br />
dell’altro, ecco allora che vi s’insinua <strong>per</strong> puntare dritto al problema.<br />
Il conflitto<br />
Quando una <strong>per</strong>sona espone un suo problema, in genere il questo si esplica nei termini di un<br />
"vorrei, ma non posso". Per risolvere un problema la prima cosa è trasformare il "ma" in un "e", la<br />
scissione in un'integrazione. Per esempio, due opposti classici sono la vittima e il presecutore, <strong>per</strong><br />
cui l'una vuole una cosa e l'altra un'altra. Fintanto che preferiamo una di queste due parti il<br />
cambiamento non avviene. Mettendo in dialogo le due parti come parti inalienabili di noi, invece,<br />
possiamo scoprire di avere un centro, una realtà intermedia.<br />
<strong>La</strong> seggiola vuota<br />
<strong>La</strong> seggiola vuota è uno strumento attraverso cui far parlare le varie parti di noi. Queste parti<br />
possono essere il <strong>per</strong>secutore e la vittima, una parte del corpo, un'emozione, un sogno, un<br />
elemento di un sogno, il pubblico, un parente, un amico, il terapeuta stesso, ecc.. <strong>La</strong> <strong>per</strong>sona<br />
seduta davanti alla seggiola parla alla cosa o <strong>per</strong>sona in questione come se le stesse di fronte,<br />
dopodichè si siede sulla seggiola vuota e risponde come se fosse quella cosa o <strong>per</strong>sona. Nella<br />
stessa seduta è possibile attuare diversi dialoghi passando da un elemento ad un altro, anche se<br />
sono diversi <strong>per</strong> genere (es: da un sogno ad una <strong>per</strong>sona reale, ecc..).
L'alienazione e la proiezione nei verbi sostantivati<br />
Durante la seduta l'uso del sostantivo al posto di un verbo ha come effetto quello di raffreddare<br />
un processo vitale e di renderlo una proiezione inanimata. Qualcosa di noi viene ucciso e gettato<br />
fuori dal nostro organismo. Se alieniamo qualcosa che ci appartiene finisce che ci impoveriamo,<br />
<strong>per</strong>diamo vitalità, diventiamo dei robot. L'esso, il sostantivo, va a finire nella proiezione. Una volta<br />
che questo "potenziale", questo frammento di vita diviene una proiezione, esso si rivolge contro di<br />
noi, così, invece di giudicare gli altri ci sentiamo giudicati, invece di ascoltare proiettiamo la<br />
capacità di ascoltare all'esterno, invece di mobilitare la nostra eccitazione ci aspettiamo che gli<br />
altri siano eccitanti, ecc.. Per riappropriarci di ciò che abbiamo alienato dobbiamo iniziare a<br />
cambiare linguaggio e dire: "non è quella cosa lì, ma sono io". Oppure.. "non è quella <strong>per</strong>sona che<br />
ha quella qualità, ma sono io". Ogni volta che si trasforma un esso, un sostantivo in un io, in un<br />
verbo si torna in possesso del proprio potenziale vitale.<br />
L'imbarazzo del vuoto<br />
Certe <strong>per</strong>sone provano un imbarazzo esistenziale a stare senza risposte. Come mai c'è l'essere e<br />
non il non essere? In genere si vuole rispondere dando una spiegazione o fornire certi ideali di vita.<br />
Noi non sappiamo nulla del <strong>per</strong>chè le cose sono, del <strong>per</strong>chè sono proprio così come sono e di com<br />
sia iniziato il mondo. Questo fatto comporta una sensazione di vuoto e di mistero. Gertrude Stein<br />
dice: "Una rosa è una rosa è una rosa". Il vuoto, quando vissuto senza volerlo riempire a tutti i<br />
costi, diventa "vuoto fertile". Stare nel vuoto genera nuova vita. Quando invece cerchiamo di<br />
colmare il vuoto con progetti, aspettative, risposte, ecc.. non facciamo altro che <strong>per</strong>durare nella<br />
condizione di un "vuoto sterile."<br />
Il cambiamento<br />
Nella <strong>Gestalt</strong> la base di ogni lavoro è il presente. Alle <strong>per</strong>sone viene chiesto di parlare a partire da<br />
quello che sentono nel presente e non da quello che vorrebbero essere o fare o sentire. Tutti<br />
quanti vorremmo cambiare ed essere diversi. Il problema è che <strong>per</strong> farlo ci facciamo dei<br />
programmi. Il fatto è che un cambiamento intenzionale non funziona mai. Non appena diciamo<br />
"voglio cambiare", cioè ci facciamo un programma, si crea una forza uguale e contraria che ci<br />
impedisce di cambiare. Il cambiamento è una cosa che succede da sola. Se entriamo più a fondo in<br />
quello che siamo accettandolo con responsabilità allora il cambiamento sopravviene da solo.<br />
Finchè ci ostiniamo a combattere col sintomo il sintomo peggiora.