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settembre 2012 – la <strong>Biblioteca</strong> <strong>di</strong> <strong>via</strong> <strong>Senato</strong> Milano 5<br />

L’Utopia: prìncipi e princìpi<br />

<br />

L’INFINITO DIMENTICATO<br />

DI LUDOVICO AGOSTINI<br />

L’utopia <strong>di</strong> un pensatore solitario<br />

1612. Nella vetusta<br />

rocca <strong>di</strong> Gradara, posta a<br />

29luglio<br />

guar<strong>di</strong>a dell’imbocco<br />

della pianura Padana, si spegne un<br />

uomo, vecchio e ormai cieco. E’ il<br />

governatore <strong>di</strong> questo castello, ultimo<br />

baluardo <strong>di</strong>fensivo del ducato <strong>di</strong><br />

Urbino. Ma attorno al suo capezzale<br />

non si trovano soldati: solo il figlio<br />

lo assiste nell’ultimo <strong>via</strong>ggio.<br />

Non è mai stato uomo d’armi, se<br />

non in gioventù quando - almeno<br />

così si mormora - aveva partecipato<br />

a uno scontro sul suolo tedesco, sotto<br />

il vessillo imperiale. E’ piuttosto<br />

un pensatore, incline per natura all’introspezione<br />

e alla speculazione<br />

teorica. Assillato da scrupoli religiosi<br />

e da mai sopiti sensi <strong>di</strong> colpa.<br />

Ad andarsene, nel <strong>di</strong>sinteresse generale,<br />

è Ludovico Agostini (1536-1612), una figura<br />

che, «sul piano dell’eticità, della critica sociale, della fede<br />

assillata dal rimorso e illuminata dalla speranza, riflette<br />

nel suo microcosmo quella che è, in tutti i tempi,<br />

‘l’aspra trage<strong>di</strong>a dello stato umano’». 1<br />

Morendo lascia al figlio i manoscritti delle sue<br />

Nella pagina accanto: copertina del volume Lo stato ideale<br />

della Controriforma <strong>di</strong> Luigi Firpo (Bari, Laterza, 1957)<br />

Sopra: copertina del testo Utopisti italiani del Cinquecento,<br />

a cura <strong>di</strong> Carlo Curcio, pubblicato nella<br />

“Collana degli Utopisti” dall’e<strong>di</strong>tore Colombo nel 1944<br />

GIANLUCA MONTINARO<br />

opere. E’ lo stesso Agostini a elencarle<br />

e a descriverle, in una lettera<br />

datata 13 gennaio 1591, in<strong>di</strong>rizzata<br />

a Francesco Maria II della Rovere.<br />

Presentando al duca la sua vasta<br />

produzione («Essendo io sempre<br />

stato inimico dell’otio, non sapendo<br />

come schivarlo in quei tempi ch’i<br />

travagli del mondo mi hanno lasciato<br />

in libertà, sono già molt’anni che<br />

io puosi mano allo scrivere») Agostini<br />

specifica che è scritta «in lingua<br />

volgare». Adducendo un mutamento<br />

delle «voglie varie de gli<br />

huomini», Agostini narra al duca<br />

come, qualche giorno ad<strong>di</strong>etro, fosse<br />

in procinto <strong>di</strong> dare alle fiamme il<br />

suo decennale lavoro «parendo essere<br />

queste creature vie più degne<br />

<strong>di</strong> morte che <strong>di</strong> vita». Fosse reale intenzione<br />

o un teatrale stratagemma per cercare <strong>di</strong> pubblicarle<br />

fortunatamente non lo sapremo mai: sicura è<br />

invece la richiesta che Agostini muove a Francesco Maria<br />

II. Pregandolo <strong>di</strong> «accettare lo carico <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>ce», e<br />

<strong>di</strong>chiarando <strong>di</strong> aver deciso <strong>di</strong> «non voler gir per le stampe»,<br />

propone <strong>di</strong> mandargli in visione una dopo l’altra le<br />

sue opere. Solo così il duca potrà decidere se conservarle<br />

nella propria «universale libraria» o piuttosto rimandarle<br />

in<strong>di</strong>etro unitamente alla “sentenza <strong>di</strong> morte” da<br />

eseguire me<strong>di</strong>ante il fuoco. Quale fosse il fine <strong>di</strong> Agostini<br />

si può forse intuire grazie a un particolare: il suggerimento<br />

<strong>di</strong> intraprendere la visione dei testi partendo<br />

dall’Infinito, opera che «termina alla platonica, in una

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