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26 la Biblioteca di via Senato Milano – settembre 2012 Due lettere delle tante che Ezra Pound inviava all’amico “Malapartissimo”, che questi poi pubblicava integralmente sulla rivista alla stessa maniera, lo scrittore pensa che il merito, forse, della sua generazione, nei confronti di quelle nuove, sia stato di sbriciolare e sminuzzare l’opera dei grandi che li hanno preceduti, rendendola «puro materiale da costruzione, nel recinto di un cantiere dove i giovani (e debbono sbrigarsi, poiché rimarranno giovani solo per breve tempo), si preparano a ricostruire dal nuovo la vecchia casa demolita, col materiale che noi abbiamo loro accumulato in tanti anni di liberi esperimenti, di prove e riprove coraggiose, di tentativi spesso utili, spesso necessari, sempre gratuiti». Sottolinenando che unico premio e onore della sua generazione è quello di potersi sotterrare da se stessi: «Di tutti i valori cristiani della nostra età, nei quali la mia generazione ha creduto, e crede ancora, forse sopravvive soltanto il “lasciate che i morti seppelliscano i morti” […]». L’anno quarto si conclude con un fascicolo molto ricco sulla poesia (n. 11-12, Misteri della poesia) che propone, dopo un saggio teorico del poeta americano Archibald MacLeish, alcuni componimenti dei giovani Luzi, Penna, Gatto, Sereni, accanto a quelli del più collaudato Montale, e, infine, una breve antologia di pensieri sulla poesia dei maggiori poeti spagnoli del tempo, da Machado (appena deceduto) e Jiménez sino ai più giovani Vicente Aleixandre e Pedro Salinas. Il quinto anno 1 , 1941, vedrà pubblicate nella rivista 7 liriche e 3 prose inedite di Campana (n. 14-15, febbraio-marzo 1941); soprattutto vedrà, con il n. 20-21 dell’agosto-settembre, il caratteristico fondo di Malaparte sostituito da quello di Pseudo, nom de plume di Moravia. Il suo primo intervento, che dà appunto il titolo al fascicolo, è Memoria del romanzo («Limitiamoci ad avvertire che la memoria, per essere valida e davvero poetica, ha da vagliare oro e non sabbia, sentimenti che sono stati il sangue di tutta la nostra vita e non minimi incidenti.»). La partecipazione di Moravia continua con L’uomo e il personaggio (n. 22, ottobre: «Per questo il romanzo non è morto. Ma aspetta un nuovo concetto dell’uomo per rinascere degnamente.»), Sincerità dei narratori (n. 23-24, novembre-dicembre), Particolari romanzeschi (n. 30-31, giugno-luglio 1942, dove afferma che la narrativa del tempo è tutta autobiografica, «intendendosi per autobiografia un riferimento costante, seppure talvolta segreto e mascherato, ai fatti che cadono sotto il controllo diretto della sensibilità
settembre 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano 27 Sotto: Malaparte e Moravia in una trattoria, probabilmente a Capri; a destra, la famosa lettera al Duce che Moravia scrisse nel 1942: in calce, in matita rossa, l’annotazione di Malaparte che non ne approvava l’invio dello scrittore.»), e infine La presenza, la prosa (n. 32-33, agosto-settembre: «Quando Stendhal parlava di una prosa da Codice civile, egli obbediva a una esigenza non tanto di semplicità […] quanto di perfetto dominio della materia, ossia di libertà.»). Il 1942 si chiuderà con un numero importante, il 34-36, dal titolo Le ultime anime belle. Il numero, introdotto da Galvano Della Volpe, è interamente dedicato al pensiero esistenzialista, e offre in prima traduzione italiana alcune pagine da Essere e tempo di Martin Heidegger (ancora inedito in Italia), oltre a un brano di Søren Kierkegaard (Il pensatore soggettivo, cioè: esistente), tradotti e annotati entrambi da Emilio Oggioni (1908- 1964) tra i primi in Italia, con Enzo Paci, a interessarsi a Husserl, Heidegger e a tutto il pensiero fenomenologi- co ed esistenzialista. Il titolo usato da Galvano Della Volpe (sottotitolo: Da Jaspers a Berdiaeff) è ispirato da Confessioni di un’anima bella (Bekenntnisse einer schönen Seele, ) di Goethe ed è spiegato nella citazione posta in esergo: «Al principio dell’ottavo anno ebbi uno sbocco di sangue, e da quel momento la mia anima divenne tutta sentimento e memoria… Nulla mi legava al mondo, ed ero convinta che mai vi avrei trovato la giustizia… La retta direzione del mio cuore verso Dio, le relazioni coi beloved ones, le avevo cercate e trovate…». Nel 1943 usciranno solo due fascicoli, il n. 37 (gennaio) e il seguente 38-39 (febbraio-marzo). Il primo prenderà il titolo dal brano di apertura di Leonardo Sinisgalli, O matematiche severe! che, derivato dal suo precedente Quaderno di geometria (1936), riassume
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Due lettere delle tante che Ezra Pound in<strong>via</strong>va all’amico<br />
“Malapartissimo”, che questi poi pubblicava integralmente<br />
sulla rivista<br />
alla stessa maniera, lo scrittore pensa che il merito, forse,<br />
della sua generazione, nei confronti <strong>di</strong> quelle nuove, sia<br />
stato <strong>di</strong> sbriciolare e sminuzzare l’opera dei gran<strong>di</strong> che li<br />
hanno preceduti, rendendola «puro materiale da costruzione,<br />
nel recinto <strong>di</strong> un cantiere dove i giovani (e debbono<br />
sbrigarsi, poiché rimarranno giovani solo per breve<br />
tempo), si preparano a ricostruire dal nuovo la vecchia<br />
casa demolita, col materiale che noi abbiamo loro accumulato<br />
in tanti anni <strong>di</strong> liberi esperimenti, <strong>di</strong> prove e riprove<br />
coraggiose, <strong>di</strong> tentativi spesso utili, spesso necessari,<br />
sempre gratuiti». Sottolinenando che unico premio<br />
e onore della sua generazione è quello <strong>di</strong> potersi sotterrare<br />
da se stessi: «Di tutti i valori cristiani della nostra età,<br />
nei quali la mia generazione ha creduto, e crede ancora,<br />
forse sopravvive soltanto il “lasciate che i morti seppelliscano<br />
i morti” […]».<br />
<br />
L’anno quarto si conclude con un fascicolo molto<br />
ricco sulla poesia (n. 11-12, Misteri della poesia) che propone,<br />
dopo un saggio teorico del poeta americano Archibald<br />
MacLeish, alcuni componimenti dei giovani<br />
Luzi, Penna, Gatto, Sereni, accanto a quelli del più collaudato<br />
Montale, e, infine, una breve antologia <strong>di</strong> pensieri<br />
sulla poesia dei maggiori poeti spagnoli del tempo,<br />
da Machado (appena deceduto) e Jiménez sino ai più<br />
giovani Vicente Aleixandre e Pedro Salinas.<br />
Il quinto anno 1 , 1941, vedrà pubblicate nella rivista<br />
7 liriche e 3 prose ine<strong>di</strong>te <strong>di</strong> Campana (n. 14-15, febbraio-marzo<br />
1941); soprattutto vedrà, con il n. 20-21<br />
dell’agosto-settembre, il caratteristico fondo <strong>di</strong> Malaparte<br />
sostituito da quello <strong>di</strong> Pseudo, nom de plume <strong>di</strong><br />
Mora<strong>via</strong>. Il suo primo intervento, che dà appunto il <strong>titolo</strong><br />
al fascicolo, è Memoria del romanzo («Limitiamoci<br />
ad avvertire che la memoria, per essere valida e davvero<br />
poetica, ha da vagliare oro e non sabbia, sentimenti che<br />
sono stati il sangue <strong>di</strong> tutta la nostra vita e non minimi<br />
incidenti.»). La partecipazione <strong>di</strong> Mora<strong>via</strong> continua<br />
con L’uomo e il personaggio (n. 22, ottobre: «Per questo il<br />
romanzo non è morto. Ma aspetta un nuovo concetto<br />
dell’uomo per rinascere degnamente.»), Sincerità dei<br />
narratori (n. 23-24, novembre-<strong>di</strong>cembre), Particolari<br />
romanzeschi (n. 30-31, giugno-luglio 1942, dove afferma<br />
che la narrativa del tempo è tutta autobiografica,<br />
«intendendosi per autobiografia un riferimento costante,<br />
seppure talvolta segreto e mascherato, ai fatti<br />
che cadono sotto il controllo <strong>di</strong>retto della sensibilità