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22 la Biblioteca di via Senato Milano – settembre 2012 cepibile già dalle pubblicità, quasi Malaparte volesse riconquistare con questi fascicoli un posto di spicco nella società intellettuale fascista dopo il confino di Lipari e Ischia. La preponderanza del materiale fotografico e i contenuti a volte propagandistici fanno passare in secondo piano l’importanza di chi vi scrive. A parte il fedelissimo Tamburi, che cura l’edizione (impaginazione e illustrazioni) almeno a partire dal n. 2, e Alberto Consiglio, redattore capo dal n. 4-5 (sulla politica estera di Mussolini, dove scrive numerosi articoli firmandosi Historicus), tra i collaboratori si trovano: Mino Maccari (lo “strapaesano” amico di sempre), Carlo Bernard, Libero de Libero, Giacomo Baldini, Arrigo Benedetti, Augusto Mazzetti, Elio Vittorini (che firma anche la pubblicità del libro di Malaparte Sangue), Vittorio Emanuele Bravetta, Lamberti Sorrentino, Enrico Falqui, Elsa Morante, Alberto Savinio (con alcuni disegni), Asvero Gravelli, Renato Guttuso. Senza dubbio, però, è la seconda serie a decretare per il nostro scrittore quel ruolo di faro intellettuale che tutta l’intellighenzia italiana, fascista certo, ma anche quella non schierata, gli riconoscerà per molti anni. Indubbio il suo carisma, la sua capacità di mettere in relazione le persone, di scegliere i migliori tra coloro che gli si presentano. Difficilmente si adatta prendendo collaboratori che non siano all’altezza, esigente verso gli altri come verso se stesso. La nuova serie procede dalla prima con il numero 8 (15 ottobre 1939) sino al n. 10 (15 dicembre). Formato e prezzo sono diversi (3 lire), diversa la carta (color paglierino e di minor qualità), la copertina, la paginazione (20/28 pagine) e la grafica, rendendo la rivista più sobria e conforme alla «nuova disciplina che le autorità competenti – per le necessità eccezionali dell’economia di guerra in Italia e in Europa – hanno imposto a tutte le pubblicazioni, giornali e riviste». Collaboratori fissi sin dall’inizio: Guglielmo Petroni e soprattutto Luisa Pellegrini, che per anni sarà, come segretaria di redazione, la fedele custode della rivista. Il titolo del n. 8 (primo della nuova serie) è Senso Vietato e vuole intendere come vi sia un senso solo nella difesa della civiltà occidentale: «Non è vero che, durante le guerre, i valori intellettuali decadano, né che i popoli in guerra disprezzino la cultura e la pongano, per così dire, in quarantena, considerandola uno strumento inutile, se non proprio dannoso, al conseguimento della vittoria… Il corso della civiltà occidentale segue una sola strada, in una sola direzione: una one way street, un sens unique. Specialmente in Italia, che della civiltà occidentale è origine e costante misura, non si può dissociare il concetto di potenza da quello di cultura…» (C. Malaparte). Nei quartini di carta colorata che, avvolgendo le pagine degli articoli, raggruppano le pubblicità, una nuova rubrica, Regie Poste Letterarie, riporta gli indirizzi degli scrittori italiani più famosi: seguitissima, ad ogni numero verrà ampliata e aggiornata e sarà un vanto potervi essere inclusi. Il 1940 (anno IV) interrompe la vecchia numerazione e ne inaugura una nuova. Il primo numero si intitola Il surrealismo e l’Italia. Nel presentare il tema, cercando di mostrare la posizione della letteratura italiana nei con- Copertina del raro fascicolo di presentazione della rivista (inizio 1937)

settembre 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano 23 A sinistra: copertina del n. 4-5, dedicato alla polticia estera di Mussolini; a destra: copertina del n. 1 del 1940 fronti del surrealismo francese, Malaparte ne traccia con precisione storia ed evoluzione, sottolineandone l’importanza anche per la nostra cultura: «Ai fini della nostra esperienza letteraria l’importanza del surrealismo consiste nell’aver ripreso, in senso inverso, il processo creativo della lingua, il processo formativo delle parole associate in sintassi, in grammatica. Cioè di aver intrapreso un processo di disgregazione del linguaggio. La scrittura automatica, l’analogia verbale, la scomposizione delle parole, la fortuita associazione di parole, l’indagine dei rapporti misteriosi fra il nome e la cosa, e la creazione di nuovi rapporti, son tutti elementi di una tecnica, di cui la giovane letteratura italiana mostra di tenere conto. La lingua italiana essendo una lingua refoulée: che ha bisogno, se vuol tornare a essere viva, di rivelare, di esprimere tutto ciò che essa stessa si inibisce di rivelare e esprimere». Le uniche critiche che egli riserva al movimento riguardano l’approdo dei suoi componenti alla dottrina marxista: «Nulla può, infatti, giustificare un moto di liberazione dalla logi- ca, una reazione al razionalismo cartesiano-kantiano, che si concluda nella “prigione gratuita” del marxismo». Il numero riporta un compendio bibliografico a cura di G. Vigorelli (che elenca anche le principali riviste e film surrealisti) e ospita interventi e scritti di Bo, Anceschi, Solmi (su Raymond Roussel), Berto Vani (Kafka e il surrealismo), Luzi, Ferrata, Bigongiari, Savinio (la pittura surrealista). Vigorelli traduce le Note sulla poesia di Breton e Éluard, mentre, inaspettatamente, Moravia introduce e traduce il Conte di Lautréamont. Per Moravia l’autore dei Canti di Maldoror è, del surrealismo, imprescindibile precursore “per eccesso di temperamento”: la sua scrittura parte da una sorta di sadismo “sulla sublimità romantica e vittorughiana” arrivando a una perfezione di stile, libera da ogni derivazione. Ne esalta la «minuzia realistica nel sogno, la logica nel disordine, l’ironia nella tetraggine, il distacco metafisico, l’allegoria sessuale, e la mitologia tutta moderna che poi ritroveremo in certi scrittori e pittori moderni… Trattasi di una congerie di roba otto-

settembre 2012 – la <strong>Biblioteca</strong> <strong>di</strong> <strong>via</strong> <strong>Senato</strong> Milano 23<br />

A sinistra: copertina del n. 4-5, de<strong>di</strong>cato alla polticia estera <strong>di</strong> Mussolini; a destra: copertina del n. 1 del 1940<br />

fronti del surrealismo francese, Malaparte ne traccia con<br />

precisione storia ed evoluzione, sottolineandone l’importanza<br />

anche per la nostra cultura: «Ai fini della nostra<br />

esperienza letteraria l’importanza del surrealismo consiste<br />

nell’aver ripreso, in senso inverso, il processo creativo<br />

della lingua, il processo formativo delle parole associate<br />

in sintassi, in grammatica. Cioè <strong>di</strong> aver intrapreso un processo<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>sgregazione del linguaggio. La scrittura automatica,<br />

l’analogia verbale, la scomposizione delle parole,<br />

la fortuita associazione <strong>di</strong> parole, l’indagine dei rapporti<br />

misteriosi fra il nome e la cosa, e la creazione <strong>di</strong> nuovi rapporti,<br />

son tutti elementi <strong>di</strong> una tecnica, <strong>di</strong> cui la giovane<br />

letteratura italiana mostra <strong>di</strong> tenere conto. La lingua italiana<br />

essendo una lingua refoulée: che ha bisogno, se vuol<br />

tornare a essere viva, <strong>di</strong> rivelare, <strong>di</strong> esprimere tutto ciò che<br />

essa stessa si inibisce <strong>di</strong> rivelare e esprimere». Le uniche<br />

critiche che egli riserva al movimento riguardano l’approdo<br />

dei suoi componenti alla dottrina marxista: «Nulla<br />

può, infatti, giustificare un moto <strong>di</strong> liberazione dalla logi-<br />

ca, una reazione al razionalismo cartesiano-kantiano, che<br />

si concluda nella “prigione gratuita” del marxismo». Il<br />

numero riporta un compen<strong>di</strong>o bibliografico a cura <strong>di</strong> G.<br />

Vigorelli (che elenca anche le principali riviste e film surrealisti)<br />

e ospita interventi e scritti <strong>di</strong> Bo, Anceschi, Solmi<br />

(su Raymond Roussel), Berto Vani (Kafka e il surrealismo),<br />

Luzi, Ferrata, Bigongiari, Savinio (la pittura surrealista).<br />

Vigorelli traduce le Note sulla poesia <strong>di</strong> Breton e<br />

Éluard, mentre, inaspettatamente, Mora<strong>via</strong> introduce e<br />

traduce il Conte <strong>di</strong> Lautréamont. Per Mora<strong>via</strong> l’autore<br />

dei Canti <strong>di</strong> Maldoror è, del surrealismo, imprescin<strong>di</strong>bile<br />

precursore “per eccesso <strong>di</strong> temperamento”: la sua scrittura<br />

parte da una sorta <strong>di</strong> sa<strong>di</strong>smo “sulla sublimità romantica<br />

e vittorughiana” arrivando a una perfezione <strong>di</strong> stile, libera<br />

da ogni derivazione. Ne esalta la «minuzia realistica<br />

nel sogno, la logica nel <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne, l’ironia nella tetraggine,<br />

il <strong>di</strong>stacco metafisico, l’allegoria sessuale, e la mitologia<br />

tutta moderna che poi ritroveremo in certi scrittori e<br />

pittori moderni… Trattasi <strong>di</strong> una congerie <strong>di</strong> roba otto-

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