Dispensa di Estetica a.a. 2011-2012 - pagina
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<strong>Estetica</strong> <strong>2011</strong>-<strong>2012</strong><br />
(M-FIL/04)<br />
Titolo del corso: Introduzione all’<strong>Estetica</strong><br />
n° ore: 50 – CFU: 8<br />
I e II semestre<br />
Il Corso si propone <strong>di</strong> introdurre allo stu<strong>di</strong>o dei temi e dei problemi fondamentali dell’<strong>Estetica</strong><br />
come <strong>di</strong>sciplina teoretica, storica e critica, intesa sia in senso unitario e circoscritto, sia in relazione<br />
ad altre <strong>di</strong>scipline filosofiche e non (in particolare, la letteratura).<br />
This course aims at provi<strong>di</strong>ng an introduction to the main themes and issues of Aesthetics as a<br />
theoretical, historical, and critical <strong>di</strong>scipline, both as a field in itself and in its relationship with<br />
other philosophical and non-philosophical fields (notably literature)<br />
Testi obbligatori per l’esame, che verrà sostenuto oralmente:<br />
1) A. Baeumler, <strong>Estetica</strong> e annotazioni sulla teoria dell’arte, Milano, Unicopli 2009 (NON<br />
ALTRE EDIZIONI).<br />
2) T. Mann, Doctor Faustus, Milano, Mondadori (e<strong>di</strong>zione <strong>2011</strong>).<br />
3) G. Moretti, Il genio. Origine, storia, destino, Brescia, Morcelliana, <strong>2011</strong>.<br />
Lezioni del Prof. Giampiero Moretti<br />
Raccolte da Lorena Jessica Alfieri<br />
Lezione 13/10/<strong>2011</strong><br />
La complessità <strong>di</strong> una <strong>di</strong>sciplina come l’<strong>Estetica</strong> è in primo luogo testimoniata dall’accoglienza<br />
che essa stessa mostra nei confronti <strong>di</strong> un duplice aspetto: oggettivo e soggettivo ruotano intorno ad<br />
un punto, scambiandosi un ruolo che probabilmente mai potrà essere fissato.<br />
È a partire da questo presupposto che si è evidenziata l’influenza che due mon<strong>di</strong> lontani e<br />
contrastanti – quello <strong>di</strong> Platone e quello <strong>di</strong> Aristotele – hanno avuto sullo sviluppo del concetto<br />
estetico.<br />
Da un lato Platone, il cui <strong>di</strong>to verso l’alto <strong>di</strong>pinto da Raffaello ne testimonia la vocazione verso il<br />
mondo Iperuranio, offre un’immagine della Bellezza ricavata da un’armonia: il Bello è ciò che si<br />
mostra ai nostri occhi proporzionato nelle parti che lo compongono. Il rapporto matematico<br />
portatore <strong>di</strong> Bellezza non è però ricavabile dall’esperienza: non siamo noi chiamati a verificare<br />
tecnicamente la proporzione; ciò che appare Bello è implicitamente e allo stesso tempo<br />
proporzionato ma, soprattutto, è la manifestazione della Verità.<br />
La sfera contrapposta alla Bellezza platonica è quella dell’Arte aristotelica. Aristotele parla <strong>di</strong><br />
Arte e lo fa a partire da una necessità tecnica: l’opera artistica, la cui finalità è quella <strong>di</strong> intervenire<br />
1
sulla realtà mo<strong>di</strong>ficandola, si fa portatrice <strong>di</strong> un messaggio in grado <strong>di</strong> trasformare lo spettatore<br />
attraverso il Momento Catartico.<br />
<strong>Estetica</strong> e Annotazioni sulla Teoria dell’Arte è il testo <strong>di</strong> Alfred Baeumler pensato proprio sulla<br />
base della <strong>di</strong>stinzione estetica tra i due mon<strong>di</strong> sopra citati: la Bellezza <strong>di</strong> Platone contrapposta<br />
all’Arte <strong>di</strong> Aristotele. Dopo le molte <strong>di</strong>fferenze, si finisce poi per evidenziare un’analogia: il<br />
principio imitativo come fondamento del Bello e dell’opera d’Arte. L’Artista imita ciò che è<br />
evidente nella natura e il Bello imita una Bellezza/Verità che rimanda ovviamente ad un mondo<br />
altro.<br />
Sarà solo tra l’Umanesimo e il Rinascimento che il rapporto tra opera d’Arte ed imitazione<br />
comincerà ad affievolirsi: altre prospettive <strong>di</strong> pensiero fanno largo all’esaltazione della soggettività<br />
umana.<br />
L’uomo intuisce <strong>di</strong> avere capacità creative e attribuisce all’imitazione la responsabilità <strong>di</strong> averle<br />
frenate fino a quel momento.<br />
Il Romanticismo rappresenterà il momento creativo per eccellenza, portatore <strong>di</strong> un bisogno <strong>di</strong><br />
soggettività, lo stesso che, in un processo inevitabilmente degenerativo, condurrà al successivo<br />
Nichilismo.<br />
Torniamo così all’aspetto duplice dell’<strong>Estetica</strong>. Vi è un tentativo <strong>di</strong> considerare il Sentimento,<br />
notoriamente frutto <strong>di</strong> una soggettività, come universalmente valido: la pretesa del consenso<br />
universale comporta un’oggettivazione del Sentire. È un tentativo che rispecchia un’ambiguità e<br />
che vuole farne una conoscenza: non vi è certo garanzia <strong>di</strong> riuscita.<br />
Il duplice e ambiguo aspetto estetico appena descritto ci sarà utile per la lettura del romanzo <strong>di</strong><br />
Thomas Mann: Doctor Faustus.<br />
Quest’opera infatti rappresenta la sfera soggettiva dell’esperienza dell’autore ma, allo stesso<br />
tempo, il tentativo <strong>di</strong> <strong>di</strong>pingere un affresco ampio, così da raffigurare la con<strong>di</strong>zione comune vissuta<br />
da tutta la Germania rispetto all’incalzante rivoluzione estetica. Un’esperienza che da soggettiva<br />
<strong>di</strong>viene oggettiva, e lo fa a partire da un’opera che si rende in<strong>di</strong>pendente dal suo autore per<br />
consegnarsi all’intera umanità: è una lettura che comporta un impatto complessivo che dà voce ad<br />
un’Universalità.<br />
Lezione 20/10/<strong>2011</strong><br />
L’anno a partire dal quale Mann inizierà la stesura del suo Doctor Faustus è il 1943. È questo un<br />
anno <strong>di</strong> particolare importanza: siamo alla fine della Seconda Guerra Mon<strong>di</strong>ale.<br />
Come tutti gli artisti e intellettuali del periodo, costretti dal regime a lasciare la Germania,<br />
Thomas Mann non si trovava in patria: aveva trovato rifugio in California così come era capitato ad<br />
altri numerosi letterati esiliati.<br />
Punto fondamentale intorno a cui ruota tutto il romanzo è il rapporto tra Malattia e Genialità<br />
artistica. L’interscambio quasi necessario che si evidenzia tra questi due elementi, il loro fluire<br />
l’uno dentro l’altro, trova in due personalità artistiche le principali fonti d’ispirazione a cui Mann fa<br />
riferimento per la scrittura del testo.<br />
La prima <strong>di</strong> queste personalità è Arnold Schönberg, la cui celebrità è legata soprattutto al suo<br />
rivoluzionario contributo alla musica: la scoperta della Dodecafonia.<br />
Adrian Leverkühn è l’immaginario compositore tedesco protagonista del romanzo <strong>di</strong> Mann e,<br />
la Dodecafonia, è proprio il risultato della sua Genialità. Ma, come detto prima, la Genialità è nel<br />
Doctor Faustus specchio della Malattia: Adrian è malato <strong>di</strong> sifilide.<br />
2
La Malattia, per giunta sessuale, contratta da Adrian in seguito al rapporto con una prostituta<br />
(episo<strong>di</strong>o preso in prestito dalla vita <strong>di</strong> Nietzsche), unito all’elemento demoniaco riprodotto nel<br />
celebre patto con Satana, infasti<strong>di</strong>sce non poco Schönberg al punto che il musicista, per vie legali,<br />
costringe l’autore ad inserire una nota alla fine del romanzo attraverso cui vuole prendere le<br />
<strong>di</strong>stanze dal protagonista del racconto e ritrovare la paternità dell’invenzione dodecafonica.<br />
La seconda personalità a cui Mann fa riferimento è Theodor Adorno. Sono infatti le teorie de<br />
La Filosofia della Musica Moderna e le lunghe conversazioni tra Mann ed Adorno ad aver posto le<br />
basi del romanzo. È evidente che Thomas Mann nella scrittura dell’opera si è occupato <strong>di</strong> questioni<br />
<strong>di</strong> teorie musicali e, per farlo, si è aiutato ispirandosi a quelle <strong>di</strong> Adorno.<br />
Memore dei problemi legali sorti con Schönberg, Mann decise <strong>di</strong> scrivere, nel 1949, Romanzo <strong>di</strong><br />
un Romanzo. Quest’opera, pensata con lo scopo <strong>di</strong> chiarire ed esporre le influenze che la filosofia<br />
<strong>di</strong> Adorno ha avuto sul Doctor Faustus, avrebbe evitato all’autore <strong>di</strong> avere altri <strong>di</strong>sagi futuri.<br />
Altra figura <strong>di</strong> particolare rilievo è certamente quella <strong>di</strong> Goethe. Ma <strong>di</strong>versamente da quanto si<br />
potrebbe imme<strong>di</strong>atamente pensare, non sono le loro omonime opere ad avere un rapporto <strong>di</strong>retto:<br />
sono gli stessi autori ad avere una qualche correlazione. Mann considera Goethe come un autore, la<br />
cui armonia complessiva, espressione <strong>di</strong> un’epoca priva delle contrad<strong>di</strong>zioni che invece hanno<br />
caratterizzato la sua, fa <strong>di</strong> lui l’unico suo grande predecessore.<br />
Nuove coor<strong>di</strong>nate storico-spirituali impe<strong>di</strong>vano a Mann <strong>di</strong> scrivere all’insegna della stessa<br />
armonia con cui lo faceva Goethe. La <strong>di</strong>stinzione tra bene e male, che Goethe poteva ancora<br />
confinare all’interno delle sue opere, era per Mann portatrice <strong>di</strong> un conflitto all’interno del quale il<br />
lettore viene scaraventato: si perde la <strong>di</strong>stanza della lettura e il tutto sembra a noi molto vicino.<br />
In altre parole: il Doctor Faustus è un’opera che tenta <strong>di</strong> fare i conti con la storia della cultura<br />
della Germania nella misura in cui essa ha influenzato quelle degli altri paesi. Il percorso preso in<br />
considerazione è quello che coinvolge l’età <strong>di</strong> Bach (1700) fino ad arrivare a quella <strong>di</strong> Hitler (1933)<br />
e, a partire da questo, l’obbiettivo <strong>di</strong> Mann è quello sollecitare una riflessione sulla con<strong>di</strong>zione fino<br />
ad allora vissuta prima dalla Germania e poi dall’Europa nel suo complesso.<br />
Lezione 27/10/<strong>2011</strong><br />
Dopo esserci inoltrati nel testo <strong>di</strong> Thomas Mann, è bene definire in termini più chiari (per quanto<br />
ci è possibile) la <strong>di</strong>sciplina <strong>di</strong> cui ci stiamo occupando in questa sede.<br />
Si può iniziare a parlare <strong>di</strong> <strong>Estetica</strong> intesa come <strong>di</strong>sciplina autonoma e, dunque, come <strong>di</strong>sciplina i<br />
cui presupposti, meto<strong>di</strong> e obbiettivi sono determinati e chiariti, a partire dalla seconda metà del<br />
settecento.<br />
Nel 1750 fu infatti Baumgarten a scrivere in latino Aesthetica: è a partire da questa data e da<br />
questa opera che si inaugura quella che sarà poi definita <strong>Estetica</strong> moderna.<br />
Il testo <strong>di</strong> Baeumler si occupa <strong>di</strong> costruire una sorta <strong>di</strong> storiografia dell’<strong>Estetica</strong>: partendo dal<br />
concetto <strong>di</strong> Bello contrapposto a quello <strong>di</strong> Arte realizza una bipartizione con la quale cercherà <strong>di</strong><br />
portare or<strong>di</strong>ne in una <strong>di</strong>scussione che, proprio perché estetica, <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne sembra averne ben poco.<br />
Ai primi spiragli <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> estetici, la Bellezza e l’Arte venivano fatte viaggiare su due poli<br />
completamente opposti. Parliamo <strong>di</strong> <strong>Estetica</strong> Classica quando la Bellezza è intesa come la nota<br />
essenziale dell’Essere che, nonostante sia profondamente legata alle cose sensibili, lascia comunque<br />
scorgere la luce dell’Idea: l’importanza dell’elemento della visione fa emergere l’idea della Vista<br />
legata alla Conoscenza. Il passo successivo sarà quello <strong>di</strong> avvicinare come non mai la riflessione<br />
filosofica alla visione della Bellezza. Ma una prima ed enorme contrad<strong>di</strong>zione è già evidente: da<br />
sempre la filosofia è impegnata a scre<strong>di</strong>tare più che può l’elemento sensibile. I sensi infatti sono<br />
3
considerati in termini filosofici come dannosi e fuorvianti ai fini <strong>di</strong> un’autentica conoscenza; eppure<br />
ora è proprio il caso <strong>di</strong> <strong>di</strong>re: l’Occhio vuole la sua parte; attraverso <strong>di</strong> esso possiamo vedere la<br />
Bellezza e dunque possiamo conoscere l’Essere.<br />
La nuova connotazione ontologica legata alla Bellezza si fa spazio e con lei la filosofia è<br />
costretta a fare posto all’elemento sensibile: i sensi iniziano la loro scalata verso una nobilitazione.<br />
Tale scalata sarà però bruscamente interrotta da un improvviso ritorno ad una concezione negativa<br />
della sensibilità: i sensi sono nuovamente inferiori e ad<strong>di</strong>rittura tra<strong>di</strong>tori e lo saranno fino a quando,<br />
proprio nella seconda metà del settecento, essi completeranno quella scalata precedentemente<br />
interrotta. È con il passaggio ad un’<strong>Estetica</strong> moderna che i sensi meriteranno <strong>di</strong> avere una vali<strong>di</strong>tà<br />
conoscitiva: la riflessione scientifica <strong>di</strong> tipo estetico testimonia un’atten<strong>di</strong>bilità finalmente<br />
riconosciuta all’elemento sensibile.<br />
Ma continuando sulla linea <strong>di</strong> Baeumler c’è da <strong>di</strong>re ancora che l’idea classica del Bello, ancora<br />
contrapposta a quella <strong>di</strong> Arte, e che ovviamente vede in Platone l’esempio più calzante, dovette fare<br />
i conti con la montagna del pensiero pitagorico: il Bello è numero, è proporzione; in altre parole: il<br />
Bello è nascosto.<br />
Un altro elemento che però va preso sicuramente in considerazione è l’accostamento, o meglio<br />
ancora, la completa corrispondenza, del Bello con il Buono. Platone infatti, pensa il Bello<br />
concretamente e rispetto al concetto <strong>di</strong> Polis: è sua consuetu<strong>di</strong>ne parlare <strong>di</strong> Città Bella, Leggi Belle<br />
e Giovane Bello (inteso come buon citta<strong>di</strong>no).<br />
Lasciamo per adesso la Bellezza e de<strong>di</strong>chiamoci al concetto <strong>di</strong> Arte. Quest’ultima è<br />
sostanzialmente legata a tutto ciò che è produzione umana: si pensi per esempio alle Poetiche degli<br />
artisti. Esse sono l’esternazione scritta <strong>di</strong> riflessioni legate alle produzioni artistiche: la riflessione<br />
estetica può prescindere da queste ma ha inevitabilmente a che fare con l’Opera d’Arte la quale, una<br />
volta creata, acquista autonomia e si espone ad ogni tipo <strong>di</strong> vicissitu<strong>di</strong>ne.<br />
Ed è proprio l’autonomia (dall’artista) ciò che caratterizza il concetto <strong>di</strong> Arte. Essa è inoltre<br />
<strong>di</strong>letto, imitazione, sapere unito alla riflessione sul fare. Detto questo <strong>di</strong>viene inevitabile riferirsi ad<br />
Aristotele: è lui a parlare <strong>di</strong> Agire Poietico inteso come agire con lo scopo <strong>di</strong> creare per migliorare e<br />
purificare, siamo così giunti alla Catarsi.<br />
In seconda analisi introduciamo l’altro testo in programma non ancora citato: Il genio <strong>di</strong><br />
Giampiero Moretti. All’interno <strong>di</strong> questo lavoro si presenta un aspetto, appunto quello della<br />
Genialità, particolarmente legato all’ambito estetico e <strong>di</strong> cui l’<strong>Estetica</strong> si occupa da sempre. È<br />
inoltre proprio la nozione <strong>di</strong> genio ciò che si è manifestata come aspetto cruciale ai fini della<br />
comprensione dell’evoluzione della nozione <strong>di</strong> Soggetto in Occidente.<br />
Il capitolo terzo <strong>di</strong> questo testo ha per titolo «Lo spartiacque Kantiano». A partire dal 1790 (data<br />
della pubblicazione della Critica del Giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> Kant) − e con il grande contributo precedente <strong>di</strong><br />
Baumgarten – si contribuisce a mettere in chiaro tante cose: i sensi, come <strong>di</strong>cevamo, sono nobilitati<br />
e resi atten<strong>di</strong>bili e l’<strong>Estetica</strong>, in primo luogo, da aggettivo passa ad avere una nuova e più concreta<br />
considerazione <strong>di</strong> sostantivo.<br />
Con Kant, partendo dalla riflessione sulla natura, si arriva alle riflessioni sull’<strong>Estetica</strong> e<br />
sull’Arte: è un cammino che porterà alla totale emancipazione della sfera artistica da quella<br />
naturale.<br />
Nell’introduzione, Giampiero Moretti si occupa <strong>di</strong> delineare l’evoluzione dell’idea <strong>di</strong> genio e<br />
della Genialità: in primo luogo la <strong>di</strong>mensione sottolineata era quella spirituale ma poi,<br />
successivamente, si è iniziato a parlare <strong>di</strong> Genialità intesa non più come extra-soggettiva. Con Kant<br />
infatti questa <strong>di</strong>mensione esterna viene per così <strong>di</strong>re travasata nell’Uomo-Genio: la Genialità passa<br />
dalla sfera naturale a quella in<strong>di</strong>viduale. Se in un primo momento era la <strong>di</strong>mensione spirituale ad<br />
essere principalmente presa in considerazione al punto che Benedetto Croce sosteneva:<br />
«L’Universale è in Noi […]» (introduzione pag. 5), ora invece si parla <strong>di</strong> «solitu<strong>di</strong>ne» ontologica<br />
4
dell’ente uomo (introduzione pag. 9). Con questa affermazione si vuole sottolineare il sostanziale<br />
cambiamento avvenuto nell’epoca moderna: l’uomo presenta un nuovo approccio verso se stesso.<br />
La sua nuova visione del mondo è sua e basta: l’elemento spirituale viene meno e il Divino si<br />
allontana (o forse è meglio <strong>di</strong>re che è l’Uomo/Genio che lo fa).<br />
Il nuovo obbiettivo dell’Uomo/Genio solo e moderno è quello <strong>di</strong> assoggettare la<br />
natura: la Genialità non appartiene più a questa ma giace nell’in<strong>di</strong>viduo ed è interna<br />
ad esso. Il nuovo uomo moderno ha dentro <strong>di</strong> sé la Genialità e la <strong>di</strong>mensione della<br />
soggettività ma, il prezzo da pagare è quello della solitu<strong>di</strong>ne: il cielo degli antichi è<br />
abitato dagli Dei, quello dei moderni è vuoto.<br />
Lezione 03/11/<strong>2011</strong><br />
Nella lezione precedente è stato già presentato il caso in cui alcuni artisti decidono <strong>di</strong> scrivere<br />
delle Poetiche: si tratta <strong>di</strong> esternare in forma scritta quelle riflessioni legate alle loro stesse<br />
creazioni. L’artista che inizia a valutare l’ipotesi <strong>di</strong> realizzare una Poetica è ovviamente<br />
consapevole del fatto che l’Originalità sia una caratteristica propria della sua creazione: il ricorso<br />
alla Poetica, intesa come fatto <strong>di</strong> Originalità, testimonia l’alterazione del concetto artistico<br />
rinascimentale che prende le <strong>di</strong>stanze da quello me<strong>di</strong>evale.<br />
Ricor<strong>di</strong>amo infatti che l’artista me<strong>di</strong>evale era solito de<strong>di</strong>carsi esclusivamente ad un lavoro <strong>di</strong><br />
Imitazione: l’Originalità, intesa come peccato <strong>di</strong> vanità, era completamente ban<strong>di</strong>ta perché<br />
portatrice <strong>di</strong> cambiamento e, dunque, <strong>di</strong> Turbamento. Il Me<strong>di</strong>oevo proibisce all’artista <strong>di</strong> creare dal<br />
nuovo: il suo compito è quello <strong>di</strong> lasciare il più possibile che le cose restino invariate, evitare <strong>di</strong><br />
introdurre novità e, dunque, <strong>di</strong> Turbare. Ciò che si cerca a tutti i costi <strong>di</strong> fare è <strong>di</strong> assicurare il<br />
mantenimento della sicurezza della Creazione Divina: il Turbamento si fa portavoce dell’elemento<br />
Diabolico nella misura in cui porta scompiglio, ambiguità ed incertezza.<br />
La sicurezza dell’universalità della religione, tipicamente me<strong>di</strong>evale, si trova a fare i conti con<br />
l’avvento della Riforma Protestante: l’Europa occidentale vede strappato alla religione il classico<br />
ruolo <strong>di</strong> punto <strong>di</strong> unificazione, lo stesso che fino a quel momento si sforzava <strong>di</strong> mantenere una<br />
con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> stabilità.<br />
L’artista in termini rinascimentali dunque, <strong>di</strong>stinto profondamente da quello me<strong>di</strong>evale, è un<br />
artista artefice. Leonardo e Dürer sono esempi <strong>di</strong> questa nuova concezione <strong>di</strong> mestiere artistico<br />
offerti da Baeumler nel suo manuale: sono espressione <strong>di</strong> un sapere, creano manualmente perché<br />
posseggono particolari competenze dottrinali.<br />
Ecco che qui fa capolino un'altra delle principali caratteristiche che allontanano il mondo<br />
rinascimentale da quello me<strong>di</strong>evale: è nel Rinascimento che inizia a farsi spazio l’idea della<br />
manualistica. La necessità dell’utilizzo del manuale testimonia la rivalutazione dell’elemento<br />
conoscitivo: ora si cerca il cambiamento e questo è da ottenersi solo me<strong>di</strong>ante un certo tipo <strong>di</strong><br />
conoscenza.<br />
In altre parole: se in un primo momento, nel Me<strong>di</strong>oevo non ci si preoccupava <strong>di</strong> rime<strong>di</strong>are<br />
all’ignoranza ma, anzi, la si voleva mantenere come garanzia <strong>di</strong> stabilità, nel Rinascimento fiorisce<br />
l’idea che è necessario un certo tipo <strong>di</strong> conoscenza che consenta <strong>di</strong> accrescere, <strong>di</strong> integrare, <strong>di</strong><br />
migliorare ciò che già c’è; tornando alla sfera religiosa: si può <strong>di</strong>re che con la conoscenza si vuole<br />
migliorare nel nome <strong>di</strong> Dio.<br />
5
Ma torniamo alle Poetiche. Baeumler ci presenta Vasari come il primo autore che si interessa in<br />
maniera sistematica alle vite degli artisti: ciò lascia sin da ora trapelare l’idea <strong>di</strong> un artista a cui è<br />
concesso essere originale.<br />
È in un certo senso possibile accostare il Doctor Faustus <strong>di</strong> Mann all’idea <strong>di</strong> Poetica <strong>di</strong> un<br />
artista. Serenus infatti si occupa <strong>di</strong> curare la Poetica del suo amico Adrian e, in questa operazione, il<br />
suo obbiettivo è quello <strong>di</strong> consentire al lettore <strong>di</strong> trarne un insegnamento: si racconta la singolarità<br />
<strong>di</strong> una vita il cui legame con l’Arte è da considerarsi totalmente sganciato da ogni altro elemento<br />
umano.<br />
Abbiamo già parlato del pensiero estetico dei Pitagorici definendolo come la “montagna” con cui<br />
lo stesso Platone ha dovuto fare i conti: se da un lato il pensiero <strong>di</strong> Platone è legato all’idea classica<br />
<strong>di</strong> un’estetica della visione, per i Pitagorici invece si parla <strong>di</strong> Bello nascosto: è la proporzione colei<br />
che, nel suo ruolo <strong>di</strong> Unità invisibile, consente la produzione <strong>di</strong> molteplici esempi visibili.<br />
L’artista è colui che partecipa, con le sue creazioni, alla visibilità della proporzione: produce<br />
esempi visibili <strong>di</strong> una più alta Unità invisibile.<br />
La Perfezione è l’esempio riuscito e finalizzato della regola proporzionale: è una relazione tra le<br />
parti armonizzata appunto perfettamente.<br />
Ancora nei limiti dell’<strong>Estetica</strong> Classica non ci è consentito parlare <strong>di</strong> Stile e <strong>di</strong> Gusto se non<br />
ovviamente in termini profondamente <strong>di</strong>versi da quelli che siamo soliti attribuire a partire<br />
dall’<strong>Estetica</strong> Moderna. L’<strong>Estetica</strong> della visione infatti, pensa questi concetti in termini per così <strong>di</strong>re<br />
oggettivi nella loro formulazione compiuta e definita. Il Gusto e lo Stile sono, in termini <strong>di</strong> <strong>Estetica</strong><br />
Classica, dei canoni metastorici.<br />
È la nozione <strong>di</strong> Soggetto che, con la sua intromissione, porta con sé una certa storicità intesa<br />
come sentimento malinconico del passare del tempo, lo stesso che provoca un annientamento: il<br />
Soggetto conosce vita e morte.<br />
L’<strong>Estetica</strong> Moderna nasce proprio nel momento in cui si ottiene consapevolezza <strong>di</strong> tutto ciò: a<br />
partire da questo cambiamento lo Stile ed il Gusto nel nome della soggettività e, dunque, della<br />
storicità devono fare i conti con l’elemento temporale che impe<strong>di</strong>sce loro <strong>di</strong> essere armonicamente<br />
definiti. Essi iniziano così a <strong>di</strong>fferenziarsi e talvolta entrano in contrasto: si parla <strong>di</strong> Conflittualità<br />
degli Stili a testimonianza del fatto che viene meno l’Unità a cui si intendeva un tempo risalire.<br />
A proposito <strong>di</strong> questo, sarà bene citare l’esempio <strong>di</strong> Winkelmann. Egli si occupa <strong>di</strong> inserire<br />
l’elemento storico nel concetto <strong>di</strong> Arte ma, allo stesso tempo, non rinuncia all’idea <strong>di</strong> Modello:<br />
in<strong>di</strong>vidua nell’Arte greca il modello supremo mettendo fine però all’idea platonica del Bello Eterno;<br />
è così che la storicità incide sul concetto <strong>di</strong> Bellezza.<br />
A partire da Winckelmann e, dunque, dalla morte dell’idea platonica <strong>di</strong> Bellezza Eterna sarà il<br />
critico d’arte colui che si farà carico <strong>di</strong> stabilire le <strong>di</strong>fferenze tra gli Stili in<strong>di</strong>viduando quello che<br />
merita <strong>di</strong> essere preso a Modello.<br />
Il Romanticismo è stato, possiamo <strong>di</strong>re, l’ultimo tentativo <strong>di</strong> unificazione e <strong>di</strong> armonizzazione: è<br />
la ricerca <strong>di</strong> qualcosa che possa porre termine al conflitto. Tale conflitto invece è stato moltiplicato<br />
proprio dal fragile romantico esperimento: dallo Stile Artistico si è passati allo <strong>di</strong> Stile <strong>di</strong> Vita che si<br />
traduce nella pretesa <strong>di</strong> far corrispondere Arte e Vita. Non mancano però casi in cui questa volontà<br />
non si vuole o non si può portare a compimento: non saranno più gli Stili Artistici ad essere in<br />
contrasto bensì saranno veri e propri Stili <strong>di</strong> Vita ad opporsi.<br />
L’elemento <strong>di</strong>scordante risulterà utile anche ai fini <strong>di</strong> una nuova definizione del concetto <strong>di</strong><br />
Ragione: liberata dall’antica patina illuministica, essa verrà ora considerata come la potenza umana<br />
che consente proprio <strong>di</strong> tenere a bada il conflitto. Nel Rinascimento insomma la Ragione è<br />
l’elemento funzionale alla creazione artistica: essa è qualcosa <strong>di</strong> composto e finito.<br />
Se torniamo ancora per un attimo al testo <strong>di</strong> Mann potremo evidenziare invece l’altro lato della<br />
medaglia: l’elemento infinito, considerato, nella sua natura <strong>di</strong>abolica, portatore <strong>di</strong> Turbamento. In<br />
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questo testo Mann fa della Musica il principale e più visibile componente della vastissima cultura<br />
tedesca.<br />
Per concludere aggiungiamo qui lo schema che ha accompagnato e sostenuto le ultime due<br />
lezioni presentate e che agevola la comprensione <strong>di</strong> ciò che è stato scritto in questa sede:<br />
Strumenti <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o<br />
ESTETICA: « <strong>di</strong>sciplina filosofica che ha per oggetto l’arte e la bellezza ».<br />
Aisthesis – aistheta: « fatti sensibili »<br />
Solo come riflessione filosofica <strong>di</strong>viene scienza: è <strong>di</strong>stinta dall’arte e dalla critica d’arte.<br />
ESTETICA<br />
Critica d’arte<br />
Implica:<br />
- giu<strong>di</strong>zio (filosofia)<br />
- gusto (partecipazione<br />
all’intuizione dell’artista;<br />
riuscita dell’opera)<br />
ARTE<br />
(comprende le poetiche: riflessioni degli<br />
artisti sulla propria arte, non è in<strong>di</strong>spensabile,<br />
non coincide con l’E). vi rientra: fare dell’uomo<br />
(technè, ars); <strong>di</strong>letto (chàris) (= condanna <strong>di</strong><br />
Platone perché è irrazionale e contrad<strong>di</strong>ttorio<br />
(Rep. X); produce purificazione, dottrina della<br />
catarsi (kàtarsis) in Aristotele).<br />
BELLEZZA<br />
Nota essenziale dell’essere (connotazione<br />
ontologica della bellezza), che ci impone <strong>di</strong><br />
considerare l’E come coeva alla filosofia. Anche<br />
se legata alle cose sensibili, lascia intravedere<br />
in esse la luce dell’idea.<br />
IDEA<br />
figura, aspetto <strong>di</strong> una cosa, connessa al vedere (ra<strong>di</strong>ce -id, verbo: idèin)<br />
vedere “ciò che è”, che si contrad<strong>di</strong>stingue come essere (connotazione ontologica)<br />
termini consimili:<br />
con medesimo significato è OUSIA: sostanza, essenza<br />
anche PHYSIS: la natura delle cose<br />
in Aristotele EIDOS: specie in rapporto al genere; ma usato anche con significato <strong>di</strong> forma e<br />
atto (che finiscono per coincidere).<br />
L’inizio della cultura greca: è nella forma dell’arte (Estetismo spontaneo, non riflesso) = MITO<br />
(plastico, politico, storico, cosmico, letterario)<br />
<strong>Estetica</strong> classica: estetica della visione (Simposio)<br />
(ideale estetico: intelligibilità del fenomeno)<br />
Già in Omero, Iliade: bellezza fisica e visibile = phaneròn (apparente) poi dei Sofisti (V sec.)<br />
[il contrario = aphanès = il nascosto - Pitagorici]<br />
Es. la statuaria greca affine a matematica e geometria<br />
(esprime la qualità nella quantità → lat. proportio, proportionalitas)<br />
PERIODI DELL’ESTETICA CLASSICA:<br />
7
1) estetica delle origini: embrionali accenni al concetto <strong>di</strong> bello che sarà proprio dell’estetica<br />
classica (nei poemi omerici e nei lirici).<br />
2) pensiero pitagorico che non sviluppa una vera e propria estetica (moralismo pitagorico =<br />
giu<strong>di</strong>care l’arte secondo con il metro dei valori morali) / estetica sofistico-attica (pan-estetismo =<br />
inserire valori estetici le attività umane quin<strong>di</strong> anche l’arte).<br />
3) trionfo del pitagorismo grazie a Platone e la condanna dell’arte (idea <strong>di</strong> idee).<br />
4) Aristotele contro le dottrine platonico-pitagoriche; fondazione della Poetica.<br />
5) correnti estetiche post-aristoteliche (peripatetici, stoici, cinici): rielaborano materiali e<br />
dottrine precedenti e <strong>di</strong> scuola aristotelica.<br />
BAEUMLER: <strong>Estetica</strong> e annotazioni sulla teoria dell’arte<br />
Collocare gli autori cronologicamente e negli ambiti <strong>di</strong> pensiero<br />
IDEA DEL BELLO<br />
(“montagna del pensiero pitagorico” =<br />
estetismo spontaneo+mito+numero)<br />
PLATONE<br />
- Simposio (bellezza figlia <strong>di</strong> Eros)<br />
- Fedro (bello come “idea corporea”)<br />
- Repubblica (condanna dell’imitazione).<br />
Arte: il fare dell’uomo è lontano dalla<br />
perfezione ideale ed è imitazione (mimèsis).<br />
Bellezza: idea eterna e immutabile;<br />
l’anima può contemplarla all’apice dello<br />
sforzo per raggiungerla.<br />
Bello + buono (kalón + agathón =<br />
kalokagathìa); ideale del kalós kagathós: i<br />
Greci ebbero chiara coscienza dei problemi<br />
dell’arte ben <strong>di</strong>stinta da quella dei problemi<br />
religiosi, morali, politici. Nella Grecia<br />
classica vi furono 2 tendenze :<br />
1) a giu<strong>di</strong>care l’arte secondo con il metro<br />
dei valori morali (moralismo estetico –<br />
Pitagorici, tema dell’armonia – Platone);<br />
2) a invadere con valori estetici le attività<br />
umane quin<strong>di</strong> anche l’arte (pan estetismo – V<br />
sec. Sofistica, negazione dell’identità tra<br />
bello e buono, e che l’arte debba avere un<br />
fine fuori <strong>di</strong> se stessa – Aristotele).<br />
Polemica tra Pitagorici e Sofisti condotta<br />
usando stessi termini= i Sofisti usano termini<br />
pitagorici, ma in funzione polemica.<br />
CONCETTO DELL’ARTE<br />
ARISTOTELE<br />
Dottrina dell’arte (technè, ars) è anche<br />
<strong>di</strong>letto, piacere produce purificazione,<br />
dottrina della catarsi (kàtarsis) in<br />
Aristotele).<br />
Scienze pratiche (agire che ha senso <strong>di</strong> sé<br />
in se stesso), poietiche (fare-produrre) e<br />
teoretiche (contemplare).<br />
Poièsis: produzione <strong>di</strong> un oggetto che<br />
rimane autonomo e estraneo rispetto a chi<br />
l'ha prodotto.<br />
Technè: arte (esercizio artistico) + sapere<br />
e riflessione sul fare.<br />
Distinzione tra artigiano e artista; agire<br />
(il fine è nell’attività dell’agente) e il<br />
produrre (il fine è nel prodotto).<br />
Mimèsis: fare come. “rappresentazione e<br />
approfon<strong>di</strong>mento conoscitivo” = l’arte<br />
rappresenta gli oggetti e i fatti dal punto <strong>di</strong><br />
vista universale, esprime possibilità; è<br />
“rappresentazione imitatrice”. Non è<br />
imitazione del bello.<br />
Ogni arte è imitazione della natura. In<br />
generale le arti sono tutte imitative:<br />
cambiano i mezzi dell’imitazione.<br />
RETORICA<br />
anche la retorica parla <strong>di</strong> stile e <strong>di</strong><br />
stilistica: questo non vuol <strong>di</strong>re che essa<br />
8
PLOTINO<br />
primo “teorico dell’estetica” - dottrina <strong>di</strong><br />
spirito e forma = parallelo tra il “fare” del<br />
Nous e il fare dell’artista (forma<br />
interiore/forma esteriore). Il bello appartiene<br />
all’essere. Concezione qualitativa della<br />
bellezza.<br />
AGOSTINO<br />
Le idee delle cose create stanno<br />
nell’intelletto <strong>di</strong>vino, tanto nella loro<br />
in<strong>di</strong>vidualità che in<strong>di</strong>vidualità.<br />
Termini chiave: Pulchritudo/Pulchra –<br />
Numerus – Summum Bonum – (Verum).<br />
MEDIOEVO<br />
estetica dell’espressione legata alla<br />
generazione, alla creazione, alla parola<br />
interiore e alla parola esteriore + termini<br />
chiave dell’estetica classica: unità, armonia,<br />
or<strong>di</strong>ne, convenienza, proporzione. Dio:<br />
“genio” della nuova estetica. Arte:<br />
imitazione della natura (creata da Dio). Ciò<br />
consente all’arte <strong>di</strong> sopravvivere al furore<br />
iconoclasta.<br />
RINASCIMENTO e sue prosecuzioni<br />
Caduta <strong>di</strong> Costantinopoli (1453) e arrivo<br />
dei grecisti.<br />
Accademia platonica (1470); Ficino:<br />
trionfo dell’eidos sulla materia,<br />
“schematismo” (elementi me<strong>di</strong>ani<br />
incorporali) che consente <strong>di</strong> mettere in<br />
rapporto l’idea <strong>di</strong> bellezza con la bellezza<br />
ravvisata nei corpi.<br />
Traduzioni <strong>di</strong> Pitagora, Platone (Ficino);<br />
scoperta <strong>di</strong> alcuni <strong>di</strong>aloghi; ritorno della<br />
Poetica <strong>di</strong> Aristotele e dell’estetica della<br />
visione.<br />
Anelito alla razionalità: Leonardo,<br />
Alberti, <strong>di</strong>scipline matematiche (Pacioli);<br />
valorizzazione della techne e delle arti<br />
meccaniche.<br />
Giordano Bruno: compresenza <strong>di</strong> elementi<br />
abbia un concetto <strong>di</strong> stile. Anche la scoperta<br />
teoretica del gusto rientra nella dottrina<br />
dello stile.<br />
DANTE<br />
primo uomo moderno: ha coscienza dello<br />
stile.<br />
RINASCIMENTO<br />
ALBERTI<br />
conquista della “realtà” da parte<br />
dell’arte: la prospettiva (basata sulla<br />
geometria euclidea); rapporto occhio (punto<br />
<strong>di</strong> vista dell’osservatore)-oggetto:<br />
“soggettivismo sobrio” del Rinascimento.<br />
LEONARDO/DÜRER<br />
VASARI<br />
l’idea è espressione dell’esperienza, sorge<br />
dalla conoscenza della realtà; l’idea<br />
comincia a <strong>di</strong>ventare “ideale” (Panofsky).<br />
SCALIGERO<br />
Poeta legislatore; imitazione legata ad<br />
una concezione “oggettiva” dell’opera.<br />
BELLORI (sec. XVIII)<br />
albori del classicismo il quale nasce dalla<br />
caduta dello stile (barocco: concetto<br />
<strong>di</strong>spregiativo): condanna <strong>di</strong> Bernini e<br />
Borromini ed esaltazione <strong>di</strong> Raffaello che<br />
<strong>di</strong>viene il punto <strong>di</strong> riferimento della nuova<br />
epoca che sta per iniziare; superiorità<br />
dell’idea sulla natura (L’idea della pittura...<br />
1664): l’idea si è trasformata in ideale<br />
(Panofsky) e l’arte è superiore alla natura.<br />
9
platonici (idea) e aristotelici (forma);<br />
riprende la triade biblica (numerus, pondus<br />
et mensura, Sapienza, XI, 21).<br />
WINCKELMANN<br />
fondatore della storia realistica dell’arte: con lui muore l’idea eterna <strong>di</strong> bellezza (nata con<br />
Platone). «Oggetto dell’opera è l’arte come essenza storica, non una bellezza senza tempo»;<br />
«scoperta dell’arte come fenomeno storico».<br />
Questi due ambiti confluiscono nel concetto <strong>di</strong> STILE/STILI – Hegel, Nietzsche – come<br />
formazioni storico-temporali, fenomeno oggettivi, creazioni <strong>di</strong> popoli (cfr. epilogo e introduzione).<br />
Lezione 10/11/<strong>2011</strong><br />
Si è già esposto il ruolo significativo che personalità come Schönberg e Adorno hanno avuto<br />
nella realizzazione del Doctor Faustus <strong>di</strong> Thomas Mann.<br />
Ma se facciamo riferimento all’autobiografia dell’autore scopriamo che sono state anche altre<br />
figure ad avere avuto uno spazio determinante non solo nell’opera in questione, ma nella<br />
complessiva produzione <strong>di</strong> Mann.<br />
Il primo <strong>di</strong> questi a cui è necessario fare riferimento è certamente Nietzsche. L’autore de La<br />
nascita della trage<strong>di</strong>a, la cui particolare esistenza sembra aver molto ispirato Mann nella<br />
caratterizzazione <strong>di</strong> Adrian Leverkühn, è stato inoltre determinante nella stessa formazione<br />
dell’autore del Doctor Faustus.<br />
Nella sua autobiografia Thomas Mann scrive appunto <strong>di</strong> Nietzsche, e lo fa in termini piuttosto<br />
ironici: dopo aver sostenuto l’impossibilità <strong>di</strong> credere letteralmente alle parole del filosofo finisce<br />
con il definirlo il superatore <strong>di</strong> se stesso. Con questa affermazione Mann palesa tutto il suo pensiero<br />
rispetto all’emblematica personalità <strong>di</strong> Nietzsche: lo definisce come il modello <strong>di</strong> colui che, vivendo<br />
perennemente in una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> insod<strong>di</strong>sfazione, è alla continua ricerca <strong>di</strong> un miglioramento.<br />
Parliamo però <strong>di</strong> un miglioramento ricercato nel conflitto e nel combattimento, contro una realtà<br />
che in fin dei conti non potrà mai offrire appagamento.<br />
Altra personalità <strong>di</strong> spicco a cui è necessario fare riferimento in questo contesto è Wagner.<br />
Quest’ultimo, definito da Mann nella sua autobiografia come autore <strong>di</strong> Opera d’Arte Totale,<br />
<strong>di</strong>mostra una particolare propensione per l’elemento teatrale. Il teatro soccorre Wagner perché si<br />
manifesta come la sede più adeguata per la rappresentazione delle sue opere. Il musicista infatti,<br />
pensa la sua opera come teatrale, la cui rappresentazione appunto non può limitarsi ad una semplice<br />
sala da concerto ma, a testimonianza della sua totalità, può trovare adeguata realizzazione solo su <strong>di</strong><br />
un palcoscenico.<br />
Ed è proprio Nietzsche colui che, fortemente attratto dalla musica <strong>di</strong> Wagner, fornisce un grosso<br />
apporto teorico all’idea wagneriana dell’opera intesa come totalità. La quasi completa adorazione<br />
che il filosofo <strong>di</strong>mostra per Wagner segnerà gli anni della stesura de La nascita della trage<strong>di</strong>a:<br />
siamo nel 1872 e Wagner offre alla popolazione/spettatrice opere, la cui eco mitologica è evocata<br />
dall’utilizzo <strong>di</strong> figure appartenenti alla mitologia germanica ed anglosassone.<br />
Il sodalizio tra Wagner e Nietzsche è destinato però a concludersi subito dopo la conversione al<br />
Cristianesimo da parte del musicista. Parsifal − l’ultimo dramma <strong>di</strong> Wagner − segna infatti il suo<br />
cambiamento <strong>di</strong> rotta: è qui adottato un eroe il cui legame al mondo cristiano spinge Nietzsche a<br />
1
innegare la sua passione per Wagner. Da questo momento, dopo aver accusato Wagner <strong>di</strong> essersi<br />
miseramente accasciato ai pie<strong>di</strong> della croce, Nietzsche <strong>di</strong>verrà un gran<strong>di</strong>ssimo avversario del<br />
musicista.<br />
Se quin<strong>di</strong> il Cristianesimo si è rivelato essere la ragione del <strong>di</strong>stacco <strong>di</strong> Nietzsche da Wagner, è<br />
stato il Buddhismo ad aver originato l’opposizione dello stesso verso l’ultima delle personalità che<br />
hanno segnato in primo luogo l’operato <strong>di</strong> Mann: stiamo parlando <strong>di</strong> Schopenhauer.<br />
Wagner e Schopenhauer hanno infatti rappresentato, all’interno de La nascita della trage<strong>di</strong>a, i<br />
perni − l’uno pratico e l’altro teorico − della rivoluzione <strong>di</strong> pensiero auspicata da Nietzsche.<br />
Saranno poi le rispettive fe<strong>di</strong> dei due, considerate da Nietzsche come forme metafisiche che devono<br />
essere assolutamente superate, ad annullare completamente la passione che il filosofo nutriva per<br />
loro.<br />
Sono stati evidentemente questi continui cambi <strong>di</strong> posizione che hanno condotto Thomas Mann a<br />
ricorrere ad un certo tipo <strong>di</strong> ironia nel riflettere sulla figura <strong>di</strong> Nietzsche.<br />
Resta il fatto che in ogni caso Nietzsche, Wagner e Schopenhauer rappresentano la costellazione<br />
in grado <strong>di</strong> fornire ispirazione a Thomas Mann.<br />
Un altro esempio <strong>di</strong> opera <strong>di</strong> Mann in cui le suddette tre personalità hanno giocato un ruolo<br />
fondamentale è Morte a Venezia. Qui la passione e la tensione <strong>di</strong> morte verso la Bellezza sono<br />
aspetti che richiamano il pensiero <strong>di</strong> Nietzsche, ma soprattutto <strong>di</strong> Wagner e Schopenhauer. Fu<br />
quest’ultimo inoltre, nel suo capolavoro Il mondo come volontà e rappresentazione, che riconobbe<br />
proprio alla Musica il ruolo <strong>di</strong> espressione del mondo: colei che contribuisce alla conoscenza vera<br />
della realtà. Questa propensione all’Arte e in particolare alla Musica manifestata da Schopenhauer<br />
fecero in modo che Wagner iniziasse ad ispirarsi al pensiero del filosofo e ad ammirarlo<br />
particolarmente.<br />
L’accesso tra i pre<strong>di</strong>letti <strong>di</strong> Wagner condannò Schopenhauer agli attacchi <strong>di</strong> Nietzsche il quale,<br />
non potendo prescindere dalla connessione tra i due, si ritrovò ad attaccarli entrambi.<br />
In opposizione a Nietzsche invece, Mann intendeva mantenere in armonia l’intera costellazione,<br />
tanto che, tutti i personaggi delle sue opere possono essere intese come la messa in atto <strong>di</strong> <strong>di</strong>aloghi<br />
tra queste tre personalità. In altre parole: Mann credeva fermamente che, nonostante le varie e<br />
contrastanti vicissitu<strong>di</strong>ni che avevano segnato le storie e i pensieri <strong>di</strong> Nietzsche, Wagner e<br />
Schopenhauer, essi non si escludessero reciprocamente.<br />
Questa possibilità <strong>di</strong> collaborazione e non esclusione <strong>di</strong> elementi <strong>di</strong>versi presenti negli stessi<br />
spazi è un’idea che Thomas Mann fa comparire in un’altra delle sue opere: La montagna incantata.<br />
Si tratta <strong>di</strong> un romanzo inteso come una vera e propria architettura <strong>di</strong> idee le quali, anche nel caso in<br />
cui dovessero essere <strong>di</strong>fferenti le une dalle altre, si trovano comunque a convivere all’insegna della<br />
totale collaborazione.<br />
L’importanza dell’idea della collaborazione a cui fa appello Mann, risiede nel fatto che la sua<br />
aspra critica dell’uomo borghese non si spinge mai fino alla volontà <strong>di</strong> un totale annichilimento<br />
della borghesia. Quest’ultima riveste per Mann il ruolo <strong>di</strong> un’entità malata e decadente ma, se ci si<br />
spinge fin al suo totale annientamento, risulterà essere innescato il meccanismo <strong>di</strong> totalitarismo: il<br />
risultato che teme Mann è quello <strong>di</strong> provocare il complessivo annientamento del mondo occidentale.<br />
I totalitarismi nati nel novecento infatti hanno visto le loro basi poste in particolare nell’intenzione<br />
<strong>di</strong> annientare il fenomeno borghese ottocentesco.<br />
Nel Doctor Faustus la malattia che affligge Adrian è un’estremizzazione non necessaria della<br />
malattia borghese: si presenta come naturalmente possibile e non inevitabile. Questa malattia<br />
dunque, può essere considerata come ciò che più <strong>di</strong> qualunque cosa preoccupava Mann, ciò che<br />
sarebbe seguito alla volontà <strong>di</strong> annientare la classe borghese: l’annientamento della società<br />
occidentale.<br />
11
La speranza che contrad<strong>di</strong>stingue Mann risiede nel fatto che, una volta superata la guerra in atto,<br />
una ricostruzione dell’Europa sarà pur sempre possibile: sarà pensabile il ritorno, grazie a<br />
quell’elemento sopravvissuto alla <strong>di</strong>struzione (lo stesso che passa nel legame tra Nietzsche, Wagner<br />
e Schopenhauer), alla cultura europea dei vecchi maestri.<br />
La Solitu<strong>di</strong>ne, concetto tra i fondanti del Doctor Faustus, è accostata alla figura <strong>di</strong> Adrian, essa<br />
stessa specchio della cultura tedesca precedente allo scoppio della guerra. Ma la solitu<strong>di</strong>ne sarà<br />
inoltre la con<strong>di</strong>zione vissuta dallo stesso Mann quando scriverà la sua opera: siamo nel 1943<br />
quando l’autore, per i motivi già precedentemente spiegati, si troverà lontano dalla sua terra – a Los<br />
Angeles – apprestandosi alla stesura del romanzo.<br />
La solitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> cui si sta parlando però non è da considerarsi una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> tipo psicologico<br />
o emozionale: si tratta <strong>di</strong> una solitu<strong>di</strong>ne ontologica, con<strong>di</strong>zione esistenziale accostabile a quella<br />
dell’Angoscia heideggeriana.<br />
Adrian – il musicista geniale che vuole essere malato e solo – è metaforicamente descritto da<br />
Mann come la punta più estrema <strong>di</strong> un movimento <strong>di</strong> solitu<strong>di</strong>ne che, a partire dalla Riforma<br />
Protestante, ha investito tutta la cultura tedesca europea.<br />
Sarà una solitu<strong>di</strong>ne che affliggerà la Germania tutta e che sarà il motivo del suo progressivo<br />
inasprimento e allontanamento dal resto dell’Europa.<br />
Così come Adrian, la cultura tedesca sembra essere stata protagonista <strong>di</strong> un patto con il Diavolo:<br />
la catastrofe del protagonista del Doctor Faustus si fa specchio <strong>di</strong> quella che, con il totalitarismo<br />
tedesco, coinvolgerà l’intera Europa.<br />
È chiaro che non potrà esistere storico in grado <strong>di</strong> in<strong>di</strong>care il collegamento fin qui descritto che<br />
può esserci tra un in<strong>di</strong>viduo protagonista <strong>di</strong> un romanzo e un’intera cultura. Il lettore si troverà<br />
dunque <strong>di</strong> fronte all’alternativa tra un’interpretazione storico-fattuale dell’opera la quale,<br />
limitandosi ad essere una semplice ricostruzione storica, <strong>di</strong>fficilmente potrà alludere a significati<br />
profon<strong>di</strong> della storia stessa; oppure potrà appunto immaginare <strong>di</strong> avere a che fare con un’opera che,<br />
pur non rinunciando all’elemento storico, si spinge a trovare al suo interno dei significati profon<strong>di</strong>.<br />
In alcuni appunti scritti da Thomas Mann nell’anno dell’inizio della stesura del romanzo egli<br />
<strong>di</strong>chiara <strong>di</strong> essersi de<strong>di</strong>cato alla scrittura <strong>di</strong> una biografia (appunto quella <strong>di</strong> Adrian) e non <strong>di</strong> un<br />
romanzo: è chiaro invece che la sua è una finzione letteraria dato che il Doctor Faustus è da<br />
considerarsi invece come un romanzo mascherato da biografia. Sarà poi all’interno <strong>di</strong> questo<br />
romanzo che l’autore inserirà un elemento ironico con lo scopo <strong>di</strong> creare un’ulteriore <strong>di</strong>stanza da<br />
ciò <strong>di</strong> cui si parla appunto ironicamente: si tratta <strong>di</strong> uno dei molteplici piani che caratterizzano il<br />
romanzo.<br />
La scelta <strong>di</strong> affidare ad un personaggio come Serenus la narrazione <strong>di</strong> questa vicenda rappresenta<br />
<strong>di</strong> per sé un ulteriore elemento <strong>di</strong> ironia: egli, tipico personaggio buono ed umanista, rappresenta<br />
infatti quanto c’è <strong>di</strong> più <strong>di</strong>stante dall’elemento <strong>di</strong>abolico. Mann affida a vie in<strong>di</strong>rette il compito <strong>di</strong><br />
descrivere la mostruosità e Serenus è una <strong>di</strong> queste: è, per così <strong>di</strong>re, l’espe<strong>di</strong>ente necessario affinché<br />
il lettore si possa tenere ad una certa <strong>di</strong>stanza dal tema demoniaco <strong>di</strong> cui il libro è pregnante. Con<br />
l’inserimento del narratore Serenus inoltre Mann ha la possibilità <strong>di</strong> raccontare usando due piani<br />
cronologici <strong>di</strong>stinti: l’epoca vissuta da Serenus e quella precedente alla guerra vissuta da Adrian.<br />
Serenus è costretto a fare i conti con paure legate sia alla con<strong>di</strong>zione vissuta dalla Germania in<br />
quell’epoca sia con altre legate invece alla mostruosità dei fatti <strong>di</strong> cui è narratore. La doppia natura<br />
dello spavento del narratore testimonia in effetti quell’elemento <strong>di</strong> ambiguità che necessariamente<br />
deve appartenere ad ogni opera d’arte che si rispetti.<br />
Abbiamo già evidenziato come la solitu<strong>di</strong>ne e la malattia siano gli obbiettivi ai quali<br />
maggiormente e paradossalmente aspira Adrian: il nostro protagonista vive inoltre una con<strong>di</strong>zione<br />
<strong>di</strong> gelida in<strong>di</strong>fferenza, la quale però si presenta come spontanea e non voluta. Assodato ciò risulterà<br />
dubbia l’originaria purezza della genialità del nostro Adrian.<br />
1
Prima <strong>di</strong> procedere è il caso <strong>di</strong> definire in termini più specifici il concetto <strong>di</strong> genialità associato a<br />
quelli <strong>di</strong> purezza e <strong>di</strong> impurità. È intorno al 1350 che inizia ad emergere il concetto <strong>di</strong> Genio:<br />
l’artista, proprio perché superiore rispetto al resto dell’umanità, si trova <strong>di</strong>ciamo così, separato da<br />
essa. A partire dalla metà del novecento invece, il genio inizia a perdere quell’accezione totalmente<br />
positiva: è lui ora ad essere il colpevole della sua stessa solitu<strong>di</strong>ne la quale, è il frutto <strong>di</strong> una colpa<br />
determinata dalla sua volontà <strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>re la <strong>di</strong>versità, la stessa che appunto lo separa e<br />
allontana dall’altro.<br />
La colpa <strong>di</strong> cui si è macchiata la Genialità le ha fatto assumere dei tratti impuri, gli stessi che ne<br />
giustificheranno l’accostamento all’elemento demoniaco.<br />
In conclusione emerge un ulteriore aspetto <strong>di</strong> ambiguità: è davvero possibile pensare il genio<br />
come colpevole della sua stessa <strong>di</strong>versità e soprattutto cosciente <strong>di</strong> questa colpevolezza? È un<br />
dubbio questo che affligge anche lo stesso Serenus il quale, alle primissime pagine del romanzo,<br />
<strong>di</strong>chiara: «Così si spiega la mia precipitata <strong>di</strong>ssertazione sulla <strong>di</strong>fferenza tra genio puro e impuro,<br />
<strong>di</strong>fferenza che riconosco soltanto per chiedermi imme<strong>di</strong>atamente se sussista a buon <strong>di</strong>ritto» (cit.<br />
pag. 5).<br />
Lezione 17/11/<strong>2011</strong><br />
Il secondo capitolo del Doctor Faustus è quello in cui il narratore Serenus introduce se stesso. È<br />
importante sottolineare che molti dei nomi dei personaggi del romanzo non sono stati scelti a caso:<br />
Serenus − nome latino che evoca lo stu<strong>di</strong>o della filologia (<strong>di</strong>sciplina a cui si è de<strong>di</strong>cato il<br />
personaggio) − vuole richiamare infatti una personalità de<strong>di</strong>ta alla contemplazione, il cui<br />
atteggiamento spirituale gli ha concesso <strong>di</strong> vivere la vita con un certo <strong>di</strong>stacco: gli eventi sembrano<br />
scorrere accanto a Serenus senza produrre in lui alcuna reazione. La svolta avviene però quando è<br />
Adrian a smuovergli l’animo: sarà così forte l’impatto che questo avrà su <strong>di</strong> lui che Serenus non<br />
potrà fare a meno <strong>di</strong> de<strong>di</strong>carsi alla scrittura della biografia del suo compagno dalla mostruosa<br />
esistenza.<br />
La serenità del narratore viene sconvolta dalla vicende <strong>di</strong> Adrian: la scrittura a cui Serenus<br />
decide <strong>di</strong> de<strong>di</strong>carsi sembra essere volta, in parte, anche al ritrovamento <strong>di</strong> questa serenità.<br />
Obbiettivo del narratore infatti sembra essere quello <strong>di</strong> allontanarsi dalle vicende raccontate: la<br />
con<strong>di</strong>visione con il lettore può in un certo senso consentirgli <strong>di</strong> ritrovarsi nella sua serenità<br />
alleggerendo il peso della conoscenza <strong>di</strong> quelle mostruosità. Inoltre l’effetto ottenuto è <strong>di</strong> tipo<br />
catartico: sarà lo stesso lettore che, allo stesso modo del narratore, avrà la possibilità <strong>di</strong> ritrovare<br />
serenità.<br />
La narrazione <strong>di</strong> queste vicende provoca in Serenus una certa agitazione: è uno stato d’animo che<br />
Mann riesce a trasferire alla scrittura e, in particolare, al momento in cui Serenus <strong>di</strong>chiara <strong>di</strong> temere<br />
<strong>di</strong> ritrovarsi nella con<strong>di</strong>zione non voluta <strong>di</strong> anticipare elementi narrativi – data l’emozione e il<br />
coinvolgimento – e <strong>di</strong> impe<strong>di</strong>re così al lettore <strong>di</strong> comprendere con facilità ciò che legge.<br />
La quasi deferenza che Serenus mostra nei confronti del suo amico Adrian lascia intendere che<br />
sia quest’ultimo ad avere più anni del primo. In realtà è Adrian ad essere più giovane <strong>di</strong> due anni.<br />
È un’epoca <strong>di</strong> contrasti e <strong>di</strong>visioni tra cattolici e protestanti quella che interessa la Germania nel<br />
tempo in cui è cresciuto Adrian.<br />
Siamo sempre nel secondo capitolo quando Serenus riflette a proposito dell’influenza che un<br />
evento come la Riforma Protestante ha avuto sulla vita dei cristiani. Se nella prima fase della storia<br />
del cristianesimo (il cui inizio coincide all’incirca con la <strong>di</strong>struzione del Tempio <strong>di</strong> Gerusalemme<br />
mentre la fine è riscontrabile tre secoli dopo) vi è una forte contrapposizione della nuova cultura<br />
1
cristiana a quella precedente greco-ellenistica, con il Me<strong>di</strong>oevo questa contrapposizione subisce un<br />
affievolimento: si tende a comporre un amalgama tra le due culture precedentemente in contrasto.<br />
È con l’avvento della Riforma Protestante però che le cose cambiano ancora una volta: con essa si<br />
vuole ban<strong>di</strong>re quel ruolo unificatore che era stato affidato alla chiesa <strong>di</strong> Roma, e lo si intende fare<br />
attraverso il ripristino della lettura in<strong>di</strong>viduale dei testi sacri. Adottando questa manovra la Riforma<br />
si poneva come riformatrice <strong>di</strong> quello spirito proto-cristiano antecedente al Me<strong>di</strong>oevo e, quin<strong>di</strong>, <strong>di</strong><br />
quell’antica contrapposizione tra cultura greca e cultura cristiana che l’avevano accompagnato.<br />
Se dunque il cristiano del Me<strong>di</strong>oevo si trova nella serena con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> vivere la sua fede con<br />
maggiore armonia, il cristiano protestante la vive invece con la libertà <strong>di</strong> poter sviluppare e coltivare<br />
il suo proprio pensiero in<strong>di</strong>viduale.<br />
L’iniziale vocazione per lo stu<strong>di</strong>o della teologia che pensa <strong>di</strong> avere Adrian sarà poi determinante<br />
per quella che seguirà per la musica.<br />
Serenus si trova poi successivamente a riflettere sulla questione dell’educazione. Secondo il<br />
punto <strong>di</strong> vista del narratore è il dotto (colui che si de<strong>di</strong>ca a stu<strong>di</strong> umanistici) e non lo scienziato<br />
colui a cui è affidata la missione dell’insegnamento. È un’ idea questa che, successivamente alla<br />
Seconda Guerra Mon<strong>di</strong>ale, inizia velocemente a perdere piede: Serenus è, <strong>di</strong> questo pensiero, tra gli<br />
ultimi sostenitori rimasti.<br />
A partire da questa considerazione del narratore sarà possibile cogliere il particolare rapporto che<br />
lo lega alla musica.<br />
Disciplina ambigua per la sua natura <strong>di</strong>fficilmente definibile, la musica è guardata da Serenus<br />
con un certo sospetto. Essa infatti, secondo il narratore, non appartenendo ad un ambito umanistico<br />
né tantomeno ad uno scientifico, potrebbe rivelarsi pericolosa perché testimone <strong>di</strong> una duplice<br />
natura: l’uomo potrebbe scorgere in essa la possibilità <strong>di</strong> far convivere due posizioni <strong>di</strong>verse.<br />
L’elemento <strong>di</strong>alettico che emerge si fa portatore <strong>di</strong> quello <strong>di</strong>abolico perché, in primo luogo, conduce<br />
necessariamente ad un cambiamento. È in questo modo che si giunge a quella ricerca <strong>di</strong><br />
interrelazione tra le <strong>di</strong>scipline tipica degli ultimi anni dell’ottocento: la musica finisce per tenere<br />
insieme l’elemento artistico e quello scientifico, i quali storicamente hanno invece sempre mostrato<br />
una facile propensione per la separazione assoluta.<br />
«[…] Più fervida ma stranamente inarticolata»(cit. pag. 9). È con queste parole che Serenus<br />
descrive la musica. La possibilità <strong>di</strong> suscitare in noi piacere ed emozione viene nella musica<br />
accompagnata paradossalmente dal mancato utilizzo <strong>di</strong> parole. È la parola infatti colei che con la<br />
sua articolazione ci porta piacere; la musica invece riesce a farlo privandosi delle parole: ne<br />
ignoriamo completamente il significato eppure questo non ci impe<strong>di</strong>sce <strong>di</strong> restarne colpiti.<br />
La condanna degli effetti della musica e della poesia da parte <strong>di</strong> Platone, che produrrebbero in<br />
noi il totale abbandono della ragione, è ripresa da Serenus che la giustifica attraverso la riflessione<br />
sull’elemento dell’inarticolato. Cosa <strong>di</strong>ce la musica? Il necessario ricorso alla parola da parte <strong>di</strong><br />
tutto ciò che è detto pedagogico fa si che Serenus sia alquanto sospettoso nei confronti<br />
dell’elemento musicale.<br />
Egli arriva alla conclusione che è attraverso la musica che Adrian dà voce a potenze demoniache.<br />
Non è <strong>di</strong>fficile immaginare che sia stata anche questa interpretazione ad aver suscitato in Schönberg<br />
un forte malcontento. La dodecafonia viene dunque interpretata come potenza prestata dal demonio<br />
per dare voce e significato ad un qualcosa che in origine non ne aveva.<br />
Instradare l’elemento <strong>di</strong>onisiaco nella vita or<strong>di</strong>nata dell’essere umano è ciò che Serenus<br />
definisce come scopo della cultura e della civiltà: le forze <strong>di</strong>stintive del <strong>di</strong>venire dovrebbero essere<br />
sempre riassorbite nella nuova forma <strong>di</strong> civiltà che si crea dopo il cambiamento. L’idea, tipica del<br />
pensiero hegeliano, che vede una tesi e un’antitesi unificate in ultimo in una sintesi, si traduce nel<br />
raggiungimento <strong>di</strong> una sintesi apollinea da parte dell’elemento conflittuale (o del cambiamento)e<br />
1
<strong>di</strong>struttivo del <strong>di</strong>onisiaco: è data così una forma ad un qualcosa che precedentemente, nel conflitto,<br />
non l’aveva e non poteva averla.<br />
Il Me<strong>di</strong>oevo è stato, senza alcun dubbio, il principale periodo della storia d’Occidente in cui si è<br />
tentato <strong>di</strong> eliminare l’elemento del cambiamento: la prospettiva teologica vigente era volta da un<br />
lato a sottolineare e garantire il principio <strong>di</strong>vino <strong>di</strong> immobilità e dall’altro ad allontanare quello del<br />
nuovo perché considerato come portatore del <strong>di</strong>abolico.<br />
Nelle pagine del terzo e del quarto capitolo invece Serenus si de<strong>di</strong>ca alla descrizione dei genitori<br />
<strong>di</strong> Adrian: Jonathan e Elsbeth Leverkühn. L’atteggiamento <strong>di</strong> devozione che quasi sfocia in un vero<br />
e proprio complesso <strong>di</strong> inferiorità da parte del narratore nei confronti <strong>di</strong> Adrian traspare anche nelle<br />
parole che egli stesso utilizza per presentare la propria famiglia contrapposta a quella del<br />
protagonista. Serenus descrive la sua famiglia come un insieme <strong>di</strong> persone or<strong>di</strong>narie. La quasi totale<br />
in<strong>di</strong>fferenza suscitata dal narratore e dai suoi garantisce quell’elemento <strong>di</strong> contemplazione <strong>di</strong> cui si<br />
è parlato in precedenza, lo stesso che si è detto appartenere serenamente proprio allo spirito <strong>di</strong><br />
Serenus.<br />
Il padre <strong>di</strong> Adrian è descritto come un uomo lettore <strong>di</strong> testi sacri e insieme scienziato auto<strong>di</strong>datta.<br />
L’unione dell’elemento religioso con quello scientifico testimonia ancora una volta quell’elemento<br />
ambiguo <strong>di</strong> cui abbiamo poche righe fa parlato. Jonathan Leverkühn era un uomo la cui propensione<br />
per la magia non <strong>di</strong>sdegnava però quella per la scienza. Era infatti interessato al passaggio dalla<br />
natura organica a quella inorganica: una zona limite che in tutta la sua ambiguità presta attenzione a<br />
quelle creature interme<strong>di</strong>e che esistono pur non appartenendo ad una categoria ben definita. Il padre<br />
<strong>di</strong> Adrian dunque manifesta una propensione ed una curiosità per l’elemento ambiguo che<br />
certamente sarebbe stato fonte <strong>di</strong> forte sospetto in epoca me<strong>di</strong>evale. Ma Jonathan non si<br />
accontentava <strong>di</strong> coltivare per sé questo suo ambiguo interesse: attraverso degli esperimenti egli<br />
cercava <strong>di</strong> sollecitare la sua stessa curiosità in altri. Il dubbio che ne deriva è ovviamente portatore<br />
<strong>di</strong> insicurezza e <strong>di</strong> turbamento: si rischia <strong>di</strong> provocare un allontanamento dalla fede.<br />
L’osservazione <strong>di</strong> creature che si trovano in una posizione <strong>di</strong> confine tra i regni naturali potrebbe in<br />
ultima analisi essere interpretata come uno sbaglio <strong>di</strong>vino: Dio avrebbe commesso un errore <strong>di</strong><br />
creazione che gli avrebbe impe<strong>di</strong>to <strong>di</strong> poterle posizionare in una precisa categoria.<br />
L’insolito accostamento della lettura attiva della Bibbia con la suddetta curiosità ambigua fa sì<br />
che il padre <strong>di</strong> Adrian da un lato desti non poca perplessità ma, dall’altro, sia senza dubbio reso<br />
affascinante agli occhi del lettore.<br />
Lezione 24/11/<strong>2011</strong><br />
La musica è l’elemento <strong>di</strong> primo piano che nel romanzo <strong>di</strong> Thomas Mann si conquista spazi<br />
sempre più ampi: è in particolare il settimo capitolo quello che la vede inserirsi pian piano nella<br />
vita del nostro Adrian.<br />
È a questo punto che si palesa un singolare interesse che determina l’ avvicinamento del<br />
protagonista all’elemento musicale: non si tratta <strong>di</strong> un attrazione mossa da una vera e propria<br />
passione. È un avvicinamento sollecitato da una fredda curiosità: l’incontro tra la musica ed Adrian<br />
ha luogo in una situazione casuale che determinerà un certo tipo <strong>di</strong> <strong>di</strong>stacco, lo stesso che<br />
principalmente qualificherà questa eccezionale relazione.<br />
L’ambiguo interesse che il signor Leverkühn nutre nei confronti dell’elemento della<br />
trasformazione sarà lo stesso che troveremo insito nel rapporto tra Adrian e la musica: si tratta <strong>di</strong><br />
considerare l’elemento musicale come l’accostamento seriale <strong>di</strong> passaggi, i quali con il loro<br />
movimento determinano per l’appunto ambiguità.<br />
1
Ciò che Adrian intende fare, attraverso una nuova sperimentazione, è cambiare il significato<br />
stesso della musica. Tuttavia Mann non intende interpretare questo atteggiamento come<br />
un’operazione progressista: Adrian si fa promotore <strong>di</strong> un’operazione reazionaria che mira, in un<br />
certo senso, ad un ritorno alle origini della musica.<br />
«[…] posso <strong>di</strong>re soltanto che da Adrian non ho mai u<strong>di</strong>to una parola, dalla quale si potesse<br />
dedurre che la sua giovane mente sia stata in qualche modo toccata dalla produzione <strong>di</strong><br />
quell’adepto o che, se questo era inverosimile, il fenomeno della musica come tale l’avesse in<br />
qualche modo colpito.» (cit. pag. 35). È da questa <strong>di</strong>chiarazione <strong>di</strong> Serenus che si può chiaramente<br />
evincere che è pura curiosità quella che muove Adrian verso la musica: non vi è alcun tipo <strong>di</strong><br />
emozione che essa è capace <strong>di</strong> suscitargli.<br />
La curiosità <strong>di</strong> Adrian si evolve nel tentativo <strong>di</strong> risolvere i problemi matematici a cui la musica fa<br />
da scenario: non è sana passione a muoverlo, è un mero atto <strong>di</strong> sfida. In altre parole: il nuovo<br />
obbiettivo <strong>di</strong> Adrian è quello <strong>di</strong> piegare l’universo musicale a se stesso, ed è esattamente con questo<br />
che Mann identifica l’elemento potenzialmente <strong>di</strong>abolico.<br />
Il tentativo <strong>di</strong> garantire un’armonia dell’insieme che prescinda dal movimento delle note è<br />
traducibile ancora una volta nella sfida tra l’elemento universale e quello particolare. Adrian<br />
intende trovare il modo <strong>di</strong> porre i suoni in un or<strong>di</strong>ne in cui la bellezza della musica sia conservata:<br />
la creazione <strong>di</strong> uno schema che resti armonico nonostante l’inserimento dell’elemento della<br />
<strong>di</strong>ssonanza. Quest’ultimo, specchio del <strong>di</strong>abolico, verrebbe dunque controllato e gestito grazie al<br />
suo inserimento in una specie <strong>di</strong> sortilegio.<br />
Il sesto capitolo, particolarmente breve e apparentemente secondario, mostra al lettore come<br />
Kaisersaschern – la citta<strong>di</strong>na in cui è cresciuto Adrian – abbia in qualche modo mantenuto un certo<br />
tipo <strong>di</strong> mentalità me<strong>di</strong>evale: gli abitanti conservano un eccentrico rapporto con il soprannaturale,<br />
con il continuo timore che questo nasconda un’origine demoniaca.<br />
«[…] nella casa dello zio Nikolaus Leverkühn il cui magazzino era occupato dal rinomato<br />
deposito <strong>di</strong> strumenti musicali.» (cit. pag. 42). È così che si conclude il sesto capitoletto. La casa<br />
dello zio − la stessa in cui Adrian verrà scoperto per la prima volta a suonare uno strumento – viene<br />
qui descritta come una sorta <strong>di</strong> magazzino: le stanze mancano <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne e al loro interno vi è riposto<br />
ogni tipo <strong>di</strong> strumento musicale. Il passaggio da una stanza all’altra, caratterizzata dal<br />
mescolamento degli strumenti, consente <strong>di</strong> entrare inconsciamente in atmosfere ogni volta <strong>di</strong>verse:<br />
è un’esperienza all’insegna dell’ambiguità, frutto <strong>di</strong> un’interconnessione tra mon<strong>di</strong> <strong>di</strong> natura<br />
<strong>di</strong>scorde, la quale si fa specchio <strong>di</strong> momenti inavvertiti <strong>di</strong> passaggio che consentono al bene ed al<br />
male <strong>di</strong> confluire l’uno nell’altro.<br />
L’immagine che è solita accompagnare la figura del genio musicista è quella <strong>di</strong> una personalità<br />
totalmente coinvolta nel fenomeno musicale. La lettura del romanzo invece ci presenta Adrian come<br />
genio insod<strong>di</strong>sfatto della musica stessa, intento a rinnovare costantemente quell’elemento <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>stacco che caratterizza il suo atteggiamento verso <strong>di</strong> essa: «[…] certo è che <strong>di</strong> fronte a quelle<br />
meraviglie mostrava un’in<strong>di</strong>fferenza accompagnata da scrollate <strong>di</strong> spalle, e alla mia ammirazione e<br />
alle mie esclamazioni rispondeva solo con una breve risata o con un – già, carino, − o – roba buffa<br />
– o – che cosa vanno mai a escogitare gli uomini! – oppure – meglio vendere questa roba che pani<br />
<strong>di</strong> zucchero.» (cit. pag. 47).<br />
Il punto <strong>di</strong> vista da cui Adrian osserva la musica è per così <strong>di</strong>re “laterale”: vi è una <strong>di</strong>stanza che<br />
gli consente <strong>di</strong> appropriarsene pur senza concedersi ad essa.<br />
È la musica dunque a subire in un certo senso il fascino <strong>di</strong> Adrian: egli, dal canto suo, è<br />
coinvolto “a <strong>di</strong>stanza” ma è lei in fin dei conti ad esserne attratta.<br />
Ad un certo punto del racconto Thomas Mann inserisce tra i personaggi Wendell Kretzschmar,<br />
l’organista del duomo: si tratta <strong>di</strong> una duplice personalità. È un musicista che non si limita soltanto<br />
a suonare ma, allo stesso tempo, si de<strong>di</strong>ca alla realizzazione <strong>di</strong> conferenze <strong>di</strong> argomento musicale.<br />
1
Sono anche queste stesse conferenze a testimoniare l’elemento del duplice che accompagna questo<br />
personaggio: non è solo dal punto <strong>di</strong> vista contenutistico che esse sono <strong>di</strong> <strong>di</strong>fficile comprensione<br />
(non a caso il pubblico che le segue è decisamente ristretto); Kretzschmar infatti soffre <strong>di</strong> balbuzie e<br />
le poche persone che si sottopongo al suo ascolto gli offrono costantemente l’aiuto necessario<br />
affinché possa completare la pronuncia della parola <strong>di</strong> turno su cui si è impuntato. L’elemento<br />
grottesco che ne viene fuori è lo stratagemma adoperato da Mann per alleggerire in qualche modo il<br />
quadro delle conferenze <strong>di</strong> Kretzschmar.<br />
«Voglio ammettere un’eccezione alla regola dell’ironico <strong>di</strong>sprezzo da lui nutrito per i doni e per<br />
le pretese della scuola: l’evidente interessamento ad una materia nella quale io mi <strong>di</strong>stinguevo così<br />
poco: la matematica. […] essa, in quanto logica applicata che rimane tuttavia nella pura ed alta<br />
astrattezza, occupa un singolare posto interme<strong>di</strong>o tra le scienze umanistiche e le scienze tecniche»<br />
(cit. pag. 50). È con questa <strong>di</strong>chiarazione che Serenus ci offre un’immagine <strong>di</strong> Adrian giovane<br />
studente: la facilità con cui apprendeva le <strong>di</strong>scipline lo portava a <strong>di</strong>sprezzarle. Ma Serenus, una<br />
volta scoperta la particolare propensione che Adrian mostrava nei confronti della matematica, si<br />
ritrovò ad essere felice per l’apparente passione che finalmente il suo amico iniziava a coltivare. Si<br />
trattava però <strong>di</strong> una passione per una zona interme<strong>di</strong>a, a metà tra la scienze umanistiche e quelle<br />
tecniche e, dunque, ambigua.<br />
Nella parte finale del settimo capitolo Adrian si ritrova a suonare uno strumento musicale ma ciò<br />
che lo ha spinto a farlo è solo la noia: «L’ozio – <strong>di</strong>sse – è il padre dei vizi. Mi annoiavo. E quando<br />
mi annoio vengo talvolta quassù e annaspo e strimpello.» (cit. pag. 51).<br />
La quasi passione che vede Adrian interessato alla musica senza un totale coinvolgimento<br />
provoca in Serenus un <strong>di</strong>sagio spirituale: Adrian intende offrire un sistema dell’ambiguità<br />
all’interno del quale, appunto, gli elementi ambigui possano essere controllati tanto da suscitare una<br />
con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> incantamento nella musica stessa, definita da Adrian come ambiguità elevata a<br />
sistema.<br />
Nell’intero romanzo (ed in particolare nel capitolo <strong>di</strong> cui ci stiamo occupando – quello settimo)<br />
Thomas Mann non manca <strong>di</strong> inserire alcuni elementi appartenenti al linguaggio della teoria<br />
musicale. Si tratta <strong>di</strong> una terminologia tecnica e dunque non a tutti familiare, per cui sarà il caso <strong>di</strong><br />
chiarire alcuni punti.<br />
Glissando è uno dei termini strettamente tecnici che è<br />
possibile incontrare durante la lettura del testo: si tratta<br />
<strong>di</strong> un’immagine sonora con cui si vuole in<strong>di</strong>care il<br />
passaggio da una nota all’altra effettuato però<br />
mantenendo un’assoluta continuità, facendo<br />
«sdrucciolare» (dal francese glisser) le <strong>di</strong>ta o l’intera<br />
mano sulla tastiera o sulle corde dello strumento. Una<br />
melo<strong>di</strong>a è generalmente realizzata me<strong>di</strong>ante l’utilizzo <strong>di</strong><br />
suoni cosiddetti <strong>di</strong>screti: si tratta <strong>di</strong> suoni le cui altezze<br />
sono ben definite e <strong>di</strong>stinte. Quando invece si produce<br />
un glissando vorrà <strong>di</strong>re che il passaggio da un suono<br />
all’altro, o meglio, da un’altezza sonora all’altra,<br />
avviene in tempi rapi<strong>di</strong>ssimi. La velocità con cui si<br />
compie il passaggio non consente <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguere bene i<br />
suoni: essi scivolano uno dopo l’altro, quasi privando<br />
totalmente l’ascoltatore <strong>di</strong> percepire il cambiamento.<br />
«E toccò un accordo, tutto <strong>di</strong> tasti neri, fa <strong>di</strong>esis, la <strong>di</strong>esis, do <strong>di</strong>esis, aggiunse un mi e<br />
smascherò l’accordo che era sembrato <strong>di</strong> fa <strong>di</strong>esis maggiore, rivelandone invece la natura <strong>di</strong> si<br />
maggiore, e precisamente il suo quinto grado ossia la dominante.» (cit. pag. 51). Con queste parole<br />
1
Serenus ci descrive il momento in cui Adrian gli in<strong>di</strong>ca concretamente come l’elemento ambiguo sia<br />
l’essenza della musica stessa. A questo punto e a partire da questa citazione introduciamo il Circolo<br />
delle Quinte. Si tratta <strong>di</strong> un sistema pensato con l’obbiettivo <strong>di</strong> rivelare le relazioni che ci possono<br />
essere tra tutte e do<strong>di</strong>ci le note che compongono la scala cromatica. Parliamo <strong>di</strong> relazioni tra suoni<br />
del sistema tonale, quello che a partire da Bach fino ad arrivare a Schönberg (o ad Adrian se<br />
parliamo nei termini del romanzo), è stato adoperato per le composizioni musicali.<br />
Sarà Mahler che spingerà sempre più questo linguaggio tonale fino ai limiti delle possibilità:<br />
con questo compositore (maestro <strong>di</strong> Schönberg) il tipico utilizzo delle scale e dei suoni comincia a<br />
cedere.<br />
Ciò che il sistema tonale da sempre si era<br />
proposto <strong>di</strong> fare era <strong>di</strong> esorcizzare l’elemento<br />
ambiguo della musica e, dunque, in un certo senso<br />
l’essenza della musica stessa. Ma il collegamento<br />
circolare mostrato dallo schema del Circolo delle<br />
Quinte ci mostra che non si poteva continuare ad<br />
ignorare l’elemento ambiguo della musica ancora<br />
per molto.<br />
Lo schema del Circolo delle Quinte consiste in<br />
una sorta <strong>di</strong> quadrante <strong>di</strong> orologio all’interno del<br />
quale si inseriscono le note a partire da Do in<br />
successione <strong>di</strong> intervalli <strong>di</strong> quinte giuste (sui quali<br />
già si fondava la scala <strong>di</strong> Pitagora poiché sono<br />
percepiti come più naturali dall’orecchio umano): in<br />
senso orario abbiamo i <strong>di</strong>esis e in senso antiorario i<br />
bemolle. Attraverso questa <strong>di</strong>sposizione sarà<br />
possibile ricavare le scale: ogni quinta <strong>di</strong> una nota <strong>di</strong>venta la chiave della nuova scala.<br />
Abbiamo detto che il circolo ha inizio con la nota Do. Essa riveste il ruolo <strong>di</strong> prima chiave <strong>di</strong><br />
scala. Seguirà la quinta <strong>di</strong> Do (Sol) ed essa sarà la chiave della nuova scala: si procede in questo<br />
modo. Tra l’una e l’altra scala vi è sempre una sola nota <strong>di</strong>fferente.<br />
L’ambiguità è evidente sin dal fatto che i suoni risultano essere intercambiabili: le scale possono<br />
mostrare <strong>di</strong>fferenze ma talvolta anche somiglianze.<br />
Questo sistema <strong>di</strong> passaggio da una scala all’altra può sicuramente portare confusione: il<br />
massimo dell’ambiguità è riscontrabile nell’omofonia tra le ultime tre scale con i <strong>di</strong>esis e le ultime<br />
tre con i bemolle:<br />
⦁ Do#= Reb<br />
⦁ Fa# = Solb<br />
⦁ Si = Dob<br />
Ciò che Schönberg farà poi con l’invenzione della Dodecafonia sarà in un certo senso palesare<br />
ancora più chiaramente l’ambiguità del sistema tonale già evidente nello schema del circolo delle<br />
quinte.<br />
D'altronde era lo stesso Adrian che, a proposito della relazione tra i suoni, sosteneva che per dare<br />
significato alla musica fosse necessaria la presenza contemporanea <strong>di</strong> più note : «Il rapporto è tutto.<br />
E se vuoi dargli un nome più preciso, chiamalo ambiguità.» (cit. pag. 52).<br />
1
Lezione 01/12/<strong>2011</strong><br />
Il capitolo ottavo del Doctor Faustus è quello in cui viene meglio presentato Wendell<br />
Kretzschmar: il maestro <strong>di</strong> musica a cui lo zio <strong>di</strong> Adrian decide <strong>di</strong> affidare il nipote.<br />
È un capitolo, questo, in cui – così come è successo in altri precedenti – compare un certa<br />
terminologia tecnica legata al mondo della teoria musicale.<br />
Il sistema tonale – sul quale si è riflettuto nella scorsa lezione – si è occupato <strong>di</strong> correlare<br />
l’elemento melo<strong>di</strong>co e quello armonico in modo da garantire una compenetrazione dalla quale<br />
potessero essere generate le forme musicali.<br />
Questa correlazione ha luogo in luce dell’accostamento <strong>di</strong>alettico e sistematico dei due elementi.<br />
A partire da questa considerazione introduciamo due esempi <strong>di</strong> quelle che potrebbero essere<br />
definite per l’appunto forme musicali: la forma-sonata e la fuga.<br />
La forma-sonata, comunemente considerata una forma musicale, si presenta piuttosto come<br />
l’insieme dei principi compositivi che struttura il primo movimento <strong>di</strong> una composizione musicale.<br />
Si tratta della ripartizione degli aspetti sonori ed armonici che costituiscono un brano musicale<br />
(parliamo <strong>di</strong> brani strumentali). Il principio applicato dalla forma-sonata è dunque <strong>di</strong> tipo<br />
or<strong>di</strong>nativo: è un’idea <strong>di</strong> sistemazione compositiva il cui obbiettivo è il raggiungimento <strong>di</strong><br />
un’organizzazione coerente ed unitaria.<br />
Procedendo in questo modo si è potuta ottenere la risoluzione <strong>di</strong> ogni contrasto tra i suoni<br />
musicali.<br />
Lo svolgimento dell’idea musicale che emerge ricorderà e riprenderà costantemente il suo stesso<br />
punto <strong>di</strong> partenza durante l’intera esecuzione della composizione.<br />
Le composizioni musicali create a partire dalla tecnica della forma-sonata prevedono l’utilizzo<br />
<strong>di</strong> tre tempi: una delle questioni che emergono dall’ottavo capitolo prende le mosse proprio da<br />
questa considerazione. In una delle sue conferenze Kretzschmar si chiede quale sia stato il motivo<br />
che ha spinto il maestro Beethoven a non aggiungere un terzo tempo alla sua sonata per pianoforte<br />
op. 111.<br />
Quello che accade con Beethoven in effetti consiste in una vera e propria svolta: la risoluzione<br />
dei contrasti che con la forma-sonata si pensava <strong>di</strong> aver finalmente ottenuto, in realtà si rivela<br />
pressoché momentanea: l’esecuzione musicale, raggiunto il punto massimo della sua bellezza,<br />
provvederà al contempo alla sua stessa <strong>di</strong>struzione. Si crea ma, inevitabilmente, in seguito si<br />
<strong>di</strong>strugge.<br />
È un tipo <strong>di</strong> estetica, quella che affiora, suggerita da alcune delle intuizioni <strong>di</strong> Nietzsche: il<br />
principio or<strong>di</strong>nativo − attore fondamentale della forma-sonata – scopre improvvisamente al suo<br />
fianco un principio <strong>di</strong>ssolutore che pretende per se stesso e in ugual modo il riconoscimento dei<br />
medesimi <strong>di</strong>ritti.<br />
Le forze in gioco sono dunque <strong>di</strong>sposte in maniera conflittuale: agli effimeri momenti or<strong>di</strong>nati <strong>di</strong><br />
avvicinamento fanno inevitabilmente seguito altri successivi momenti <strong>di</strong>ssolutivi. Dunque, quel<br />
principio or<strong>di</strong>natore <strong>di</strong> cui la forma-sonata si era fatta forte promulgatrice si scoprirà essere stato in<br />
grado <strong>di</strong> risolvere il conflitto solo in maniera illusoria e momentanea: a partire da Beethoven <strong>di</strong>fatti,<br />
non si sarà più in grado <strong>di</strong> rimuovere la <strong>di</strong>ssoluzione e si presenterà la necessità <strong>di</strong> accettare<br />
l’elemento della <strong>di</strong>ssonanza, la quale da semplice eccezione <strong>di</strong>viene ora una scomoda ma<br />
ugualmente importante compagna della consonanza.<br />
A questo proposito si rivela alquanto significativa l’estetica del brutto ideata da Rosenkranz.<br />
L’allievo <strong>di</strong> Hegel smantellò completamente l’idea che vedeva la sfera artistica in<strong>di</strong>ssolubilmente<br />
legata alla bellezza: l’elemento del brutto inizia a farsi spazio nell’arte proprio come accade per<br />
l’elemento della <strong>di</strong>ssonanza nell’ambito musicale.<br />
1
Si è dunque visto che la forma-sonata rappresenta la perfetta ma momentanea configurazione del<br />
rapporto tra melo<strong>di</strong>a (aspetto orizzontale) ed armonia (aspetto verticale). Essa è composta da una<br />
prima parte detta esposizione (talvolta preceduta da una introduzione), la quale può presentarsi<br />
come semplice (nel caso in cui il tema è sin da subito riconoscibile dall’ascoltatore) o complessa<br />
(laddove invece saranno necessari più tempo ed attenzione per in<strong>di</strong>viduare il tema). Quello svolto<br />
dall’esposizione è in un certo senso un ruolo <strong>di</strong> presentazione.<br />
Lo sviluppo è il momento che segue l’esposizione: si tratta della messa in atto <strong>di</strong> tutte le<br />
potenzialità del materiale precedentemente presentato.<br />
Terzo momento è infine la ripresa (talvolta seguita da una coda). Quest’ultima consiste nel<br />
ritornare al materiale presentato nell’esposizione consentendo all’orecchio dell’ascoltatore <strong>di</strong><br />
riconoscere ciò che aveva ascoltato in precedenza.<br />
Si potrebbe dunque affermare che le tre parti della forma-sonata già riman<strong>di</strong>no in qualche modo<br />
ai tre momenti della <strong>di</strong>alettica, in quanto il contrasto stabilitosi tra i due temi (la forma-sonata è<br />
bitematica) nell’esposizione e incrementatosi nello sviluppo viene infine neutralizzato nella ripresa<br />
(la quale non è quin<strong>di</strong> semplice ripetizione pe<strong>di</strong>ssequa <strong>di</strong> tutto il materiale precedentemente esposto<br />
ma suo riadattamento).<br />
Per garantire la sod<strong>di</strong>sfazione dell’ascoltatore è necessario che sia l’idea <strong>di</strong> conclusione a<br />
prevalere: in questo modo il <strong>di</strong>venire avrà avuto esito nell’essere evitando <strong>di</strong> rimanere incompiuto.<br />
È dunque anche nel momento della conclusione che il principio or<strong>di</strong>natore assume una certa<br />
funzione: sarà il momento in cui è data una forma, quella che sottrarrà l’uomo dal suo costante<br />
terrore per l’infinito.<br />
In altre parole: è il sentimento della conclusione quello che sod<strong>di</strong>sfa la finitezza dell’essere<br />
umano; quest’ultimo è posto <strong>di</strong>nnanzi a qualcosa con cui ha la possibilità <strong>di</strong> con<strong>di</strong>videre la sua<br />
stessa finitezza evitando ogni tipo <strong>di</strong> squilibrio.<br />
Questa necessità <strong>di</strong> rimozione dell’infinito fa appello alla concezione che nell’antichità greca<br />
vedeva appunto l’infinito come contrario ad ogni tipo <strong>di</strong> logica ed umanità: l’essere umano si<br />
considera libero solo nella misura in cui si trova ad essere in relazione con un’entità che come lui è<br />
finita.<br />
Sarà necessario ottenere un altro tipo <strong>di</strong> umanità e, dunque, il passare <strong>di</strong> un arco <strong>di</strong> tempo<br />
considerevole, affinché la libertà sia fatta coincidere con un’apertura senza fine nei confronti<br />
dell’universo. Tale cambiamento demolisce l’effetto cercato con la forma-sonata: le avanguar<strong>di</strong>e, ad<br />
esempio, si muoveranno proprio contro questo principio, da loro considerato restrittivo nei confronti<br />
della soggettività umana.<br />
Tornando a Beethoven: è con lui che lo schema della forma-sonata sarà sottoposto ad uno<br />
estremo stiramento: esso, come accade per una stoffa quasi del tutto consumata, si logorerà. La<br />
durata della composizione verrà amplificata a più non posso: essa sarà costretta a cessare solo<br />
quando e perché si sentirà estenuata.<br />
Ciò che congiunge la forma-sonata e la fuga è un particolare spazio che tra <strong>di</strong> esse si crea: vi<br />
sono tre fasi che regolano il peculiare rapporto che le lega.<br />
È infatti necessario <strong>di</strong>stinguere un momento precedente, uno contemporaneo ed uno successivo<br />
alla relazione tra forma-sonata e fuga. Sono fasi <strong>di</strong>aletticamente in rapporto tra <strong>di</strong> loro: non si tratta<br />
però <strong>di</strong> una <strong>di</strong>alettica propriamente hegeliana bensì <strong>di</strong> una <strong>di</strong>alettica ispirata alle teorie <strong>di</strong> Adorno.<br />
Ciò vuol <strong>di</strong>re che le tre fasi non seguono alcuno sviluppo, ma si trovano a vivere una con<strong>di</strong>zione<br />
<strong>di</strong> continuo conflitto che trova al loro interno soluzioni sempre <strong>di</strong>verse e che vede nella storia vari<br />
momenti <strong>di</strong> realizzazione.<br />
Ma è necessario spostare tutto ciò su cui si è finora riflettuto nel contesto del nostro romanzo: nel<br />
Doctor Faustus la cultura musicale si fa specchio della messa in <strong>di</strong>scussione del destino<br />
dell’Occidente e, più nello specifico, della storia della Germania.<br />
2
Se nella riflessione che ci ha finora coinvolto era il nome <strong>di</strong> Beethoven a comparire più spesso,<br />
per ciò che riguarda la fuga è Bach ad essere l’assoluto protagonista.<br />
Ciò che il compositore si occupa <strong>di</strong> fare non è propriamente inventare questa forma musicale:<br />
quello che la fuga vede realizzato con Bach è il grado massimo del suo compimento.<br />
Ma passiamo alle definizioni: la fuga è una forma musicale polifonica. Per polifonia si intende la<br />
compresenza contemporanea <strong>di</strong> più voci nata in origine come espressione musicale <strong>di</strong> lode per la<br />
creazione <strong>di</strong>vina. Ed è proprio questo lo spirito con cui Bach compirà sommamente la “sua” fuga.<br />
Ciò che invece avrà luogo con Beethoven sarà il venir meno <strong>di</strong> ogni tipo <strong>di</strong> lode per il creatore:<br />
l’aspetto spirituale e religioso che fino a quel momento qualificava la fuga si trova a fare i conti con<br />
il vuoto lasciato dall’intromissione del nuovo elemento della <strong>di</strong>ssoluzione.<br />
In altre parole: Beethoven inaugura una realtà soggettivamente nichilistica, la stessa che nel<br />
romanzo Adrian percepisce intorno a sé. Ecco che dunque lo scopo del protagonista del romanzo <strong>di</strong><br />
Mann è quello <strong>di</strong> recuperare l’aspetto religioso precedente a Beethoven; si tratta <strong>di</strong> un recupero<br />
modernizzato dell’inizialità spirituale della musica e, per sod<strong>di</strong>sfare il proprio intento, Adrian<br />
ricorrerà paradossalmente al patto con il Diavolo.<br />
Ma torniamo per un attimo alla fuga. Essa è una forma contrappuntistica: ad una melo<strong>di</strong>a<br />
inizialmente data se ne aggiungono altre che contrappuntano. Il risultato così ottenuto è una<br />
collaborazione tra tutte le voci che realizzano la composizione. Ma è una paritaria con<strong>di</strong>zione quella<br />
che lega tutte le voci: nessuna <strong>di</strong> loro ha il predominio sulle altre.<br />
Questo aspetto, che in termini politici potremmo definire un’anarchia spontanea, è ciò che in<br />
primo luogo <strong>di</strong>stingue la fuga dalla forma-sonata.<br />
Ancora, in termini del romanzo, possiamo accostare tutto ciò all’obbiettivo a cui principalmente<br />
punta Adrian: realizzare una sorta <strong>di</strong> spontanea pluralità, la quale può essere recuperata attraverso la<br />
riconsiderazione dell’elemento della <strong>di</strong>ssonanza.<br />
La fuga procede per stratificazione: le parti che confluiscono e collaborano non sono altro che<br />
veri e propri strati che interagiscono tra loro anche verticalmente.<br />
La fuga è tripartita come la forma-sonata ma al contrario <strong>di</strong> quest’ultima adotta un solo tema che<br />
prende il nome <strong>di</strong> soggetto, che viene introdotto e presentato − potremmo <strong>di</strong>re in una conversazione<br />
polifonica − nell’esposizione: le singole voci (le parti strumentali o vocali, che vanno da due a sei e<br />
sono <strong>di</strong> norma tre o quattro) entrano cioè una alla volta, presentando il soggetto non appena la voce<br />
precedente ha finito <strong>di</strong> esporlo ed alternandolo alla sua risposta (cioè alla sua imitazione in una<br />
<strong>di</strong>versa tonalità); una voce inoltre, dopo aver formulato un soggetto o una risposta, può talvolta<br />
proseguire con un breve e libero frammento, denominato coda, prima dell’attacco della voce<br />
seguente. Infine ciascuna voce che abbia già proposto il tema fondamentale accompagna<br />
l’imitazione <strong>di</strong> quest’ultimo da parte della voce subentrante intonando un controsoggetto, che<br />
costituisce un elemento tematico nuovo (a <strong>di</strong>fferenza della risposta che, come detto, è una semplice<br />
imitazione del soggetto) e tuttavia è comunque legato e logicamente conseguente al soggetto, che si<br />
trova così ad arricchirsi sotto una luce totalmente nuova.<br />
2
La seconda parte della fuga è detta svolgimento, costituito da un alternarsi <strong>di</strong> episo<strong>di</strong> e<br />
ripercussioni in numero variabile: nei primi si imita liberamente e con molteplici proce<strong>di</strong>menti il<br />
materiale tematico dell’esposizione o nuovo materiale appositamente enucleato; nelle seconde si<br />
ripresenta con maggior rigore il gioco imitativo <strong>di</strong> soggetto e risposta dell’inizio.<br />
Il termine stretto designa la parte finale della fuga: esso consiste in una serie <strong>di</strong> riprese (chiamate<br />
a loro volta primo, secondo, terzo stretto e così via) delle imitazioni fra soggetto e risposta<br />
dell’esposizione, ma <strong>di</strong>versamente da questa le voci qui subentrano una a ridosso dell’altra a<br />
<strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> volta in volta più ravvicinata, senza attendere che la precedente abbia concluso l’intero<br />
tema.<br />
All’interno della composizione seguono infine parti libere, la cui esecuzione è per l’appunto<br />
assolta dal seguire qualunque schema.<br />
Il contrappunto dunque non è una parte completamente <strong>di</strong>staccata e contrastante: è una voce che<br />
si intromette nella conversazione agganciandosi all’argomento <strong>di</strong> cui si sta <strong>di</strong>scutendo.<br />
Bach ci insegna che la forma musicale della fuga può essere realizzata con estrema complessità:<br />
si tratta <strong>di</strong> un’operazione <strong>di</strong> abbellimento della melo<strong>di</strong>a, la quale conduce ad una germogliazione<br />
delle forme.<br />
«Di che cosa parlava? Ecco, quello era capace <strong>di</strong> de<strong>di</strong>care un’ora intera al quesito «Perché<br />
Beethoven non ha aggiunto un terzo tempo alla sonata per pianoforte, op. 111» − » (cit. pag. 56).<br />
È questa la <strong>di</strong>chiarazione presente nell’ottavo capitolo da cui prende le mosse l’intero<br />
ragionamento che fino ad ora ha avuto luogo: nella sua conferenza Kretzschmar espone le sue<br />
perplessità e riflessioni a proposito del problema del terzo tempo nella sonata beethoveniana.<br />
«E come il tema <strong>di</strong> questo tempo, attraverso cento destini, cento mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> contrasti ritmici, finisce<br />
col perdersi in altitu<strong>di</strong>ni vertiginose che si potrebbero chiamare trascendenti o astratte – così l’arte<br />
<strong>di</strong> Beethoven aveva superato se stessa: dalle regioni abitabili e tra<strong>di</strong>zionali si era sollevata, davanti<br />
agli occhi sbigottiti degli uomini, nelle sfere della pura personalità – a un io dolorosamente isolato<br />
nell’assoluto, escluso anche, causa la sor<strong>di</strong>tà, dal mondo sensibile: sovrano solitario <strong>di</strong> un regno<br />
spirituale dal quale erano partiti brivi<strong>di</strong> rimasti oscuri persino ai più devoti del suo tempo, e nei<br />
cui terrificanti messaggi i contemporanei avevano saputo raccapezzarsi solo per istanti, solo per<br />
eccezione.» (cit. pag. 58).<br />
È da questa lunga citazione che emerge il grande cambiamento messo in opera da Beethoven: la<br />
<strong>di</strong>ssoluzione della forma-sonata coincide con l’apertura sull’infinito <strong>di</strong> cui la sua musica si fa<br />
portatrice, la stessa che darà luogo ad un vero e proprio ingigantimento dell’elemento della<br />
soggettività.<br />
Adrian non può evitare <strong>di</strong> fare sua la riflessione su Beethoven che Kretzschmar propone nella<br />
conferenza: sono interpretazioni, queste, che <strong>di</strong>verranno un elemento inconsapevole <strong>di</strong> sviluppo per<br />
la musica <strong>di</strong> Adrian.<br />
L’espressione personalistica a cui si è detto essere giunto Beethoven nella sua ultima fase<br />
musicale con l’elemento della <strong>di</strong>ssoluzione è paradossalmente inferiore rispetto alle composizioni<br />
centrali. Il personalismo della fase matura si è <strong>di</strong>mostrato essere in un certo senso dominatore: in<br />
grado <strong>di</strong> ridurre a sé tutti i temi dei pezzi. Nell’ultima fase invece il personalismo, benché sia<br />
comunque in una certa misura presente, si mostra in relazione ad un principio <strong>di</strong> <strong>di</strong>ssoluzione che si<br />
fa ora specchio dell’elemento della morte: «Invero nel periodo <strong>di</strong> mezzo Beethoven era stato molto<br />
più soggettivo, per non <strong>di</strong>re molto più personale, che non alla fine; era stato più attento ad<br />
assimilare nell’espressione personale tutti i convenzionalismi, tutte le formule, tutta la retorica che,<br />
come si sa, abbondano nella musica e a fonderli nel <strong>di</strong>namismo soggettivo.» (cit. pag. 58).<br />
2
In termini nietzschiani: la fase matura <strong>di</strong> Beethoven coinciderebbe col nichilismo della forza<br />
mentre, dal canto suo, quello dell’ultima fase, col nichilismo della debolezza.<br />
In effetti il soggettivismo dell’ultimo Beethoven, una volta incontrato il principio <strong>di</strong>ssolutivo<br />
della morte, ha la necessità <strong>di</strong> doversi <strong>di</strong>aletticamente confrontare con esso: la morte come<br />
<strong>di</strong>ssoluzione totale si fa specchio <strong>di</strong> un’oggettività messa in relazione con la presenza stessa del<br />
<strong>di</strong>vino. Ecco che il soggetto <strong>di</strong> Beethoven si ritrova a non essere più l’unico arbitro dell’esistenza:<br />
esso, superando se stesso, si è schiantato contro l’elemento oggettivo-<strong>di</strong>ssolutivo della morte.<br />
Il risultato è un ritorno alle origini della musica: il <strong>di</strong>vino riconquista quel ruolo centrale che<br />
precedentemente si vedeva attribuito nell’universo musicale.<br />
«Dopo aver u<strong>di</strong>to, <strong>di</strong>sse, tutta la sonata potevamo rispondere da soli a questa domanda. – Un<br />
terzo tempo? Una nuova ripresa… dopo questo ad<strong>di</strong>o? Un ritorno… dopo questi commiato?<br />
Impossibile. Tutto era fatto: nel secondo tempo, in questo tempo enorme la sonata aveva raggiunto<br />
la fine, la fine senza ritorno.» (cit. pag. 61).<br />
Ecco la risposta al quesito che Kretzschmar aveva posto nella sua conferenza. Non è necessario<br />
alcun terzo tempo nella sonata 111 <strong>di</strong> Beethoven: tutto è già compiuto nel secondo tempo e non vi è<br />
più alcuna possibilità <strong>di</strong> ritorno ad una nuova conclusione che sia in grado <strong>di</strong> dare un senso al<br />
percorso che la composizione ha fin lì eseguito.<br />
Il percorso compiuto dal brano musicale si fa qui specchio <strong>di</strong> quello dell’intera umanità: la forma<br />
musicale impe<strong>di</strong>sce il ritrovamento <strong>di</strong> un senso così come è alla stessa umanità che è impe<strong>di</strong>to<br />
trovarne uno nella sua esistenza.<br />
È nell’arte che l’uomo da sempre si appresta a cercare il senso della sua vita: il pubblico guarda<br />
l’opera artistica bramando <strong>di</strong> rispecchiarsi nel senso che sta rincorrendo. È un tentativo, questo,<br />
destinato al fallimento: con le avanguar<strong>di</strong>e il pubblico si smarrisce nella sua ricerca esistenziale<br />
poiché finisce con il confrontarsi con un tipo <strong>di</strong> arte in cui il senso è in primo luogo venuto meno.<br />
In ultima analisi, per attribuire per l’appunto un senso alla conferenza <strong>di</strong> Kretzschmar, sarebbe<br />
opportuno ipotizzare che l’unica persona verso cui in<strong>di</strong>rettamente quelle riflessioni erano instradate<br />
sia stato proprio Adrian: si sarebbe trattato dunque <strong>di</strong> un <strong>di</strong>alogo camuffato da conferenza.<br />
Lezione 15/12/<strong>2011</strong><br />
Si è già accennato a quanto Thomas Mann abbia tenuto conto <strong>di</strong> personalità intellettuali<br />
particolarmente centrali nell’epoca in cui ha iniziato la stesura del romanzo. L’inizio della<br />
frequentazione con Adorno da parte dello scrittore ha influito in special modo sulla scrittura<br />
dell’ottavo capitolo: nella figura <strong>di</strong> Kretzschmar si rispecchia per certi aspetti proprio quella <strong>di</strong><br />
Adorno, ed è possibile scorgere tra quelle righe le teorie adorniane sulla musica moderna che il<br />
filosofo enunciò allo scrittore durante i loro incontri.<br />
Quello che Mann instaurò con stu<strong>di</strong>osi del calibro <strong>di</strong> Adorno fu un certo tipo <strong>di</strong> rapporto<br />
scambievole: egli organizzava delle letture pubbliche nelle quali permetteva agli intellettuali <strong>di</strong><br />
leggere le parti del romanzo via via che le componeva e, in cambio, ciò che inconsciamente i<br />
filosofi fornivano a Mann erano spunti <strong>di</strong> riflessione ed intuizioni che l’autore era pronto ad<br />
afferrare per poi proiettare nelle pagine della sua creazione.<br />
Nel capitolo ottavo l’autore, nella versione originale tedesca, fa più volte uso della parola<br />
«kultur». Si tratta <strong>di</strong> un termine che nella versione italiana è tradotto con «cultura»; questo però<br />
accade solo nella prima parte del capitolo: a partire da un certo momento infatti la traduzione<br />
italiana fornisce al lettore la voce «civiltà». In tedesco «kultur» è un vocabolo che oscilla tra i nostri<br />
significati <strong>di</strong> «cultura» e «civiltà»: deve necessariamente esserci stato un cambiamento che ha<br />
2
indotto il traduttore a sostituire il termine «cultura» con quello <strong>di</strong> «civiltà», nonostante in tedesco<br />
sia sempre il vocabolo «kultur» ad essere adoperato.<br />
Ma proce<strong>di</strong>amo con or<strong>di</strong>ne. La ra<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> «kultur» è «kult»; essa è tradotta in italiano con<br />
«culto»: la <strong>di</strong>alettica che lega questi due vocaboli consente al traduttore italiano <strong>di</strong> adoperare in un<br />
primo momento il termine «cultura»; quando invece sarà «civiltà» a comparire vorrà <strong>di</strong>re che tale<br />
<strong>di</strong>alettica è venuta meno.<br />
In tedesco la voce «civilizzazione» ha un impronta particolarmente negativa: essa sta ad in<strong>di</strong>care<br />
la degenerazione della civiltà.<br />
È un termine, quest’ultimo, che nell’epoca in cui Thomas Mann si è formato era particolarmente<br />
adoperato: ricor<strong>di</strong>amo che nel 1918 infatti, un outsider della cultura dell’epoca ottenne un successo<br />
inaspettato con un’opera intitolata Il tramonto dell’Occidente. Stiamo parlando <strong>di</strong> Oswald<br />
Spengler, colui che, attraverso la sua opera, influenzò in maniera sorprendente l’intera cultura<br />
tedesca: ve<strong>di</strong>amo in che misura e perché.<br />
Il tramonto dell’Occidente (Der Untergang des Abendlandes) <strong>di</strong> Oswald Spengler fu pubblicato<br />
per la prima volta, significativamente, nel 1918, sul finire della Prima Guerra Mon<strong>di</strong>ale. Se in Italia<br />
l’opera subì la stroncante critica che Croce aveva precedentemente riservato ad altri autori come<br />
Johann Jakob Bachofen e Friedrich Hölderlin - non a caso tutti in relazione più o meno stretta e<br />
<strong>di</strong>retta con il movimento romantico -, si può ben affermare che essa fu invece in Europa uno dei<br />
primi gran<strong>di</strong> successi <strong>di</strong> testi filosofici: Spengler lavorò al Der Untergang des Abendlandes per<br />
quasi <strong>di</strong>eci anni così che, per risalire all’ambito <strong>di</strong> provenienza del materiale che vi è raccolto,<br />
risulta non poco importante guardare anche al XIX secolo con le nuove idee che lo attraversarono<br />
soprattutto a livello filosofico. La questione del Sentimento, della sua verità ovvero autenticità,<br />
sollevata proprio dalla Romantik, metteva in luce <strong>di</strong>fatti la necessità <strong>di</strong> un approccio <strong>di</strong>fferente<br />
anche in ambito storico-storiografico: questa istanza venne raccolta da Spengler che, rispetto a<br />
Bachofen, ebbe però come autore <strong>di</strong> riferimento anche Friedrich Nietzsche, per il quale era stata<br />
fondamentale l’idea <strong>di</strong> “decadenza” in relazione, ad esempio, agli esiti del mondo greco e del<br />
cristianesimo. Curiosamente, tuttavia, il termine “decadenza” non compare mai all’interno del<br />
grande volume spengleriano, per cui appare utile cercare <strong>di</strong> comprendere a che cosa voglia alludere<br />
l’Untergang che lo intitola e che più volte si ripresenta. Spengler non riflette sulla decadenza della<br />
forma dell’arte; egli ha una concezione della Storia tale da ricomprendere la Kultur, la civiltà. In<br />
tedesco, il termine che si oppone <strong>di</strong>aletticamente a Kultur è Zivilisation; quello della<br />
“civilizzazione” è già un tema <strong>di</strong> decadenza, i termini sono quasi sinonimi nell’idea, che fu pure <strong>di</strong><br />
Spengler, <strong>di</strong> una configurazione ciclica della Storia: decadenza e dunque civilizzazione sono il<br />
momento finale della Kultur, e con ciò pure dell’imperialismo. Lì dove le civiltà sono vive e vitali,<br />
quando cioè sono civiltà e non ancora civilizzazione, sebbene si verifichi il conflitto ad esempio<br />
nella guerra, tuttavia non si dà imperialismo: contrassegno della civiltà è <strong>di</strong>fatti la conservazione<br />
delle forze, che si manifesta pure nella capacità artistica <strong>di</strong> formarle; contenimento che invece<br />
l’imperialismo come per<strong>di</strong>ta della forma deve osteggiare. In ciò è presente <strong>di</strong> sicuro l’idea apollinea<br />
della realtà tipica della civiltà; ma quel che da subito preme a Spengler <strong>di</strong> sottolineare è una<br />
domanda, e la relativa risposta, grazie alle quali molto viene detto della sua opera in una delle due<br />
prefazioni: «Che cos’è la storia universale? Una possibilità spirituale, un postulato interno,<br />
l’espressione <strong>di</strong> un sentimento della forma. Questo sentimento della forma non è però ancora una<br />
forma compiuta». Si presenta così la possibilità <strong>di</strong> un’oscillazione, nella <strong>di</strong>alettica tra sentimento<br />
della forma e sentimento della forma compiuta: il primo è un’aspirazione, un’attenzione fortissima<br />
rivolta alla forma, è la volontà <strong>di</strong> formare cultura e <strong>di</strong> arginare le forze interne che la civiltà mette in<br />
campo portandole sulla scena della Storia mon<strong>di</strong>ale; il secondo s’impone subito dopo questo<br />
momento propositivo in cui la cultura sta per rassodarsi, quando cioè essa è <strong>di</strong>venuta forma<br />
compiuta ed è allora imme<strong>di</strong>ata la sua morte. Il compimento della civiltà dura un attimo. Ma ecco<br />
2
che l’orizzonte romantico si fa ancora più evidente: Spengler critica come sinnlos, senza senso, la<br />
sud<strong>di</strong>visione tra<strong>di</strong>zionale tra antichità, Me<strong>di</strong>oevo ed età moderna; il suo libro dovrebbe<br />
rappresentare l’inizio <strong>di</strong> una storiografia nuova, non un trattato, nella migliore delle ipotesi, <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>agnostica e <strong>di</strong> prognostica della società. In nome <strong>di</strong> questa nuova storiografia la sud<strong>di</strong>visione<br />
appare infondata, priva <strong>di</strong> verità perché contemporaneamente “non sentita”, non animata<br />
sentimentalmente, così poggiando unicamente sul mondo dei “fatti storici”. La storiografia sembra<br />
ricostruire il rapporto tra i tre termini solo a partire dalla massa dei “fatti morti” e dunque, in base a<br />
quanto ricordato, dalla conclusione della civiltà: le categorie tra<strong>di</strong>zionali derivano insomma<br />
esclusivamente dall’esame delle civilizzazioni. A permanere, tuttavia, è l’oscillazione. Il Sentimento<br />
è l’indeterminato per eccellenza a partire dall’età dei greci; la sfera oscura e contorta, intrecciata,<br />
non lineare, che la ragione ha il dovere <strong>di</strong> chiarificare. Riven<strong>di</strong>care la potenzialità illuminante<br />
proprio del Sentimento ha invece un significato anti-francese ed anti-metafisico - nel suo senso<br />
tra<strong>di</strong>zionale - ben preciso: basti pensare alla <strong>di</strong>stinzione cartesiana tra res cogitans e res extensa, con<br />
la subor<strong>di</strong>nazione della seconda alla prima, assieme culmine e punto <strong>di</strong> partenza <strong>di</strong> una millenaria<br />
costruzione del sapere. A ciò si riferisce il tentativo spengleriano <strong>di</strong> una “sostituzione del<br />
para<strong>di</strong>gma” in ambito storiografico: quando l’elemento sentimentale in qualità <strong>di</strong> elemento<br />
indeterminato entra nella Storia, l’apertura al relativismo è una deriva necessaria. Nel Tramonto<br />
dell’Occidente Spengler rinuncia fin dall’inizio ai valori <strong>di</strong> sviluppo, <strong>di</strong> progresso, <strong>di</strong> solito portanti;<br />
le singole civiltà vivono al proprio interno le fasi della nascita, del massimo sviluppo e della morte,<br />
ma nessuna <strong>di</strong> esse è migliore delle altre, non si dà un effettivo progresso, non viene presentato cioè<br />
un modello lineare. È interessante che l’idea <strong>di</strong> decadenza venga accostata all’impero romano: la<br />
romanità <strong>di</strong>viene un modello apprezzabile eppure costituisce un modello <strong>di</strong> civilizzazione, essendo<br />
ogni civiltà, nella Storia universale, portata a decadere; la romanità è il futuro stesso dell’Europa.<br />
L’introduzione del Sentimento entro la storiografia ha anche un altro importantissimo effetto, essa<br />
alza il livello d’osservazione dello stu<strong>di</strong>oso rispetto ai fatti ed alle loro concatenazioni così che oltre<br />
alla visione cui egli accede da una posizione semplicemente orizzontale, si eleva pure ad un’altra<br />
più indeterminata, la stessa con cui sempre combatte e che quasi sempre esclude: è la visione del<br />
destino, la possibilità che esso esista proprio con quei tratti <strong>di</strong> indeterminatezza che lo stu<strong>di</strong>oso<br />
respinge ritenendoli arbitrari. A questo punto, però, si chiarifica anche l’importanza del pensiero <strong>di</strong><br />
Nietzsche in Spengler, nella modalità <strong>di</strong> traduzione, da parte del morfologo della Storia, della sua<br />
visione destinale: la wille si presenta nell’atto stesso della scrittura, nell’atto appunto volontario che<br />
ferma la visione stessa. L’altezza e la profon<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> quest’ultima si sostituiscono all’orizzonte della<br />
Storia e costituiscono il destino che viene raccontato. Il gesto dello storico è forma, visione: la<br />
traduzione della visione è racconto, non descrizione <strong>di</strong> un insieme <strong>di</strong> fatti, e deve <strong>di</strong>venire una sorta<br />
<strong>di</strong> opera d’arte, deve assumere i tratti dell’antica trage<strong>di</strong>a greca. Il destino ha il compito <strong>di</strong> integrare<br />
la causalità, il gesto dello storico <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare “stile”, come “stile” è l‟apice <strong>di</strong> una civiltà. L’attimo<br />
in cui essa non si è ancora “ammalata <strong>di</strong> staticità” nella decadenza è il suo attimo stilistico, al quale<br />
lo storico corrisponde con un rinnovato gesto storiografico.<br />
L’inserimento <strong>di</strong> parole come «civilizzazione» nel romanzo <strong>di</strong> Mann non sorpresero il lettore<br />
me<strong>di</strong>o: Il tramonto dell’Occidente lo aveva già in un certo senso preparato all’incontro con quel<br />
lessico particolare.<br />
«Per sua natura la fuga appartiene a un periodo liturgico della musica ormai lontana da<br />
Beethoven; egli fu il grande maestro <strong>di</strong> un’epoca profana della musica, nella quale quest’arte si<br />
era emancipata passando dal terreno del culto a quello della cultura. Ma è probabile che questa<br />
emancipazione fosse pur sempre solo temporanea, mai completa.» (cit. pag. 66). Questa citazione ci<br />
consente <strong>di</strong> parafrasare in termini musicali il <strong>di</strong>scorso che abbiamo fino ad ora portato avanti: il<br />
culto si fa specchio della fuga e la cultura veste i panni della forma-sonata e del suo sviluppo, il cui<br />
sgretolarsi è infine configurato nella civilizzazione.<br />
2
I punti <strong>di</strong> riferimento sono ancora una volta Bach e Beethoven: il rapporto che intercorre tra ciò<br />
che precede e ciò che segue prima l’uno e poi l’altro musicista non può prescindere dalla<br />
<strong>di</strong>mensione religiosa, la quale si fa eco dell’esperienza della Riforma Protestante. Me<strong>di</strong>are tra<br />
l’umano e il Divino era proprio il compito che in origine era stato affidato alla musica: la<br />
storiografia musicale che collega Bach a Beethoven vede invece la realizzazione <strong>di</strong> un processo <strong>di</strong><br />
secolarizzazione. La forma-sonata incarna perfettamente tale processo: la sua degenerazione viene<br />
invece ricollegata alla crisi a cui è infine sottoposta quella configurazione laica o laicista che aveva<br />
preso vita nell’intera società. È il curioso riemergere delle spinte religiose, che sembravano<br />
completamente abbandonate, ciò che mette in crisi l’emancipazione che, con la forma-sonata, la<br />
musica sembrava aver finalmente ottenuto dalla sfera religiosa. Tale crisi appunto, si rispecchia<br />
invece perfettamente nel fenomeno degenerativo e beethoveniano della forma-sonata: la<br />
laicizzazione a cui si era giunti nella storia della musica − che si fa specchio <strong>di</strong> quella conquistata<br />
nell’intera società – viene rimessa in <strong>di</strong>scussione a partire da nuove ed invadenti esigenze spirituali.<br />
Beethoven con la sua forma-sonata si è allontanato in maniera estrema dalla fuga: l’elemento<br />
religioso perfettamente ra<strong>di</strong>cato in quest’ultima in e con lui è andato perduto.<br />
È possibile chiarire ancora meglio questo processo proprio a partire dalla <strong>di</strong>alettica <strong>di</strong> Adorno: la<br />
forma-sonata rappresenterebbe una sintesi, seppur momentanea, frutto <strong>di</strong> quel processo <strong>di</strong><br />
secolarizzazione; il ritorno inaspettato dell’elemento spirituale porta con sé una crisi che coinvolge<br />
la sintesi/forma-sonata: la tesi e l’antitesi, ormai svincolate, tornano libere <strong>di</strong> girovagare nella sfera<br />
musicale.<br />
Dal culto incarnato da Bach si è passati dunque alla cultura incarnata da Beethoven: la società<br />
smette <strong>di</strong> considerare la musica come lode al Divino ed inizia invece a interessarsi agli aspetti<br />
formali e conchiusi <strong>di</strong> essa, i quali si rispecchiano nelle forme ben educate della società prima<br />
cortese e poi borghese. L’esperienza laicista del fenomeno musicale prende forma nella nuova<br />
musica da camera: il violino ed il pianoforte sono i nuovi protagonisti <strong>di</strong> un puro e neonato<br />
soggettivismo musicale.<br />
«[…] la costante nostalgia della musica emancipata per le sue origini legate al culto, e gli<br />
immani sforzi <strong>di</strong> Beethoven per dominare la fuga furono la lotta <strong>di</strong> un grande <strong>di</strong>namico e<br />
suscitatore <strong>di</strong> commozioni al fine <strong>di</strong> raggiungere la forma freddamente artistica del tempo <strong>di</strong><br />
sonata, la quale, in un al <strong>di</strong> là delle passioni, rigoroso, altamente astratto, governato dal numero e<br />
dalla sonora <strong>di</strong>visione del tempo, si è buttata in ginocchio a lodare Id<strong>di</strong>o, or<strong>di</strong>natore del cosmo<br />
dalle molte vie.» (cit. pag. 66-67). È con queste parole che Kretzschmar riflette sulla relazione tra<br />
Beethoven e la fuga: la nostalgia che la musica inizia ad avere delle proprie sacre origini conduce<br />
inevitabilmente alla crisi <strong>di</strong> quella laica stabilità che si era instaurata in seguito al processo <strong>di</strong><br />
secolarizzazione.<br />
Riprendendo Adorno: il ritorno alle origini non sarà mai un processo che consentirà <strong>di</strong> recuperare<br />
la con<strong>di</strong>zione precedente in maniera identica. Il processo <strong>di</strong> recupero <strong>di</strong> un’origine <strong>di</strong> cui si ha<br />
nostalgia si fa inoltre portatore <strong>di</strong> un forte rischio <strong>di</strong> violenza: ce lo ricordano i regimi fascisti,<br />
nazisti e comunisti, i quali con le loro aspirazioni al recupero rispettivamente dell’antichità romana,<br />
germanica e russa, hanno fatto in modo che quel rischio <strong>di</strong>venisse realtà, con i danni che tutti noi<br />
conosciamo.<br />
«Senza dubbio, nonostante la pedanteria e forse anche l’impetuosità del suo modo <strong>di</strong> esporre<br />
egli era un uomo <strong>di</strong> spirito, e lo si poteva arguire dall’eccitazione suscitatrice <strong>di</strong> pensieri che le sue<br />
parole esercitavano su un giovane intelligente come Adri Leverkühn.» (cit. pag. 67). È qui che<br />
torna ad inserirsi l’elemento pedagogico <strong>di</strong> cui Serenus si fa promulgatore: è ovvio che a ragazzi<br />
dell’età <strong>di</strong> Adrian non era possibile intendere perfettamente ciò che Kretzschmar intendeva<br />
sostenere con le sue riflessioni; anche solo l’ascolto <strong>di</strong> esse però aveva una funzione educativa:<br />
apriva quella giovane mente verso formulazioni <strong>di</strong> pensiero autonome ed in<strong>di</strong>viduali.<br />
2
Ed infatti Serenus continua: «[…] la cosa che più lo aveva impressionato era la <strong>di</strong>stinzione che<br />
Kretzschmar aveva fatto fra perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> culto e perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> cultura, e così pure l’idea che il<br />
secolarizzarsi dell’arte, cioè il suo <strong>di</strong>stacco dal servizio <strong>di</strong>vino è solo superficiale ed episo<strong>di</strong>co.»<br />
(cit. pag. 67). Tale fu l’impressione che le parole <strong>di</strong> Kretzschmar esercitarono sull’arguta mente <strong>di</strong><br />
Adrian che il giovane quasi privo <strong>di</strong> esperienza pratica nel campo dell’arte, fantasticava a vuoto<br />
con parole saccenti fino a maturare un’intuizione frutto <strong>di</strong> una profonda ed autonoma riflessione:<br />
«[…] il <strong>di</strong>stacco dell’arte dalla liturgia, la sua emancipazione ed elevazione alla solitu<strong>di</strong>ne<br />
personale e all’autonomia culturale, le hanno imposto un peso <strong>di</strong> solennità e serietà assoluta, il<br />
peso <strong>di</strong> una passionalità dolorosa che, illustrata dalla paurosa apparizione <strong>di</strong> Beethoven nel vano<br />
della porta, non deve però necessariamente essere il suo destino costante, la sua perpetua<br />
<strong>di</strong>sposizione d’animo.» (cit. pag. 67). L’idea che Adrian inizia a maturare è che il cammino della<br />
secolarizzazione possa essere interrotto nella misura in cui, ritrovato lo spirito dell’originario<br />
servizio <strong>di</strong>vino, l’in<strong>di</strong>viduo, anziché essere malinconico, sia pronto a dominarlo. È proprio questo il<br />
piano su cui intende porsi il nostro Adrian: a partire da queste riflessioni, concepite in seguito<br />
all’impressione che le parole <strong>di</strong> Kretzschmar hanno avuto sulla sua giovane mente, sarà spinto a<br />
compiere il suo patto con il Demonio.<br />
Se da un lato dunque Serenus si mostra eterno sostenitore della cultura, dall’altro Adrian sostiene<br />
l’arrivo <strong>di</strong> una nuova religiosità della musica: in che modo sarà possibile ottenerla? Serenus,<br />
impensierito dalla tesi sostenuta dal compagno, inizia a porsi ed a porgli questioni <strong>di</strong> questa natura:<br />
il processo <strong>di</strong> cambiamento porta con sé il necessario ricorso alla violenza; per giungere alla nuova<br />
civiltà a cui punta Adrian sarà necessario attraversare l’esperienza della barbarie: «[…] dovremmo<br />
<strong>di</strong>ventare molto più barbari per essere civili.» (cit. pag. 68). Ma resta pur sempre il rischio <strong>di</strong> non<br />
vedere raggiunta la propria meta: chi è pronto a prendersi la responsabilità <strong>di</strong> riportare la barbarie<br />
solo perché c’è la possibilità (ma non la certezza) <strong>di</strong> giungere ad una nuova civiltà? Sono queste le<br />
questioni che Serenus pone ad Adrian nel suo tentativo <strong>di</strong> smuoverlo da una posizione che reputa<br />
quanto mai pericolosa: si ricor<strong>di</strong> che Serenus sta vivendo in prima persona l’esperienza della<br />
battaglia <strong>di</strong> Berlino quando si appresta a scrivere il racconto della vita del suo compagno; il<br />
narratore, dunque, ha sotto i suoi stessi occhi la <strong>di</strong>struzione a cui può condurre il reinserimento<br />
dell’elemento della barbarie.<br />
È possibile parafrasare ancora in termini nietzscheani la tesi sostenuta da Adrian: la <strong>di</strong>struzione<br />
dell’apollineo potrebbe condurre ad un <strong>di</strong>onisiaco migliore dell’apollineo stesso. Ma questo<br />
processo si fa accompagnare da un rischio altissimo, lo stesso che preoccupa il colto Serenus.<br />
La ricerca che impegna Adrian è la stessa − come ci insegna Schiller nel suo saggio Sulla poesia<br />
ingenua e sentimentale − verso cui si muove da sempre l’intera cultura tedesca: il richiamo<br />
nostalgico <strong>di</strong> ciò che è stato; l’ingenuo, l’incosciente, il naturale e ancora il libero. È appunto in<br />
questo senso che il ritorno alla barbarie, il regresso, si fa portatore dell’ingenuo e del non<br />
civilizzato.<br />
Ancora in termini nietzscheani e schilleriani: la ricerca dell’ingenuo porta con sé il rischio <strong>di</strong><br />
un’espansione irrefrenabile del principio <strong>di</strong>onisiaco in ogni elemento umano, il che provocherebbe<br />
il sorgere dell’orrendo nella società. Proprio come Conrad ci descrive nel suo Cuore <strong>di</strong> Tenebra: la<br />
barbarie potrebbe paradossalmente fagocitare le forme civili, quelle che si erano proposte come sue<br />
stesse civilizzatrici.<br />
La parola tedesca con cui si traduce «forme civili» è «gesittung». Si tratta <strong>di</strong> una voce costituita<br />
da tre parti in<strong>di</strong>pendentemente decifrabili: ge-sitte-ung: la centrale è quella che maggiormente ci<br />
interessa rispetto alla riflessione che stiamo portando avanti. «Sitte» infatti è traducibile con<br />
«convenzione» e «morale»: ciò che si in<strong>di</strong>ca, attraverso l’uso <strong>di</strong> questa parola, è un certo tipo <strong>di</strong><br />
opposizione alle forme morali vissute in maniera borghese e non spontanea. Ancora in termini <strong>di</strong><br />
teoria musicale: all’interno della storia della musica ci sono forme che vengono accettate seppur<br />
2
private della loro ra<strong>di</strong>ce originaria: si tratta <strong>di</strong> una ra<strong>di</strong>ce barbarica e non civile, una forma <strong>di</strong><br />
volontà <strong>di</strong> potenza. In altre parole: si tratta <strong>di</strong> un’originaria violenza <strong>di</strong>venuta gesittung con il<br />
trascorrere dei tempi. Dunque, ciò che Adrian intende recuperare è proprio quella <strong>di</strong>menticata<br />
origine barbarica delle forme civili in cui si sente immerso.<br />
«Non ricordo più esattamente il titolo; forse “I primor<strong>di</strong> della musica” o “La musica<br />
primor<strong>di</strong>ale” o “Gli elementi musicali” o qualcosa <strong>di</strong> simile.» (cit. pag. 72): con queste parole<br />
Serenus introduce l’ultima conferenza; quella in cui Kretzschmar presenta un curioso despota<br />
musicale. Si tratta <strong>di</strong> Beissel: religioso convertito alla passione per la musica, della quale si fa<br />
creatore <strong>di</strong> un personale or<strong>di</strong>namento, lo stesso da cui fa poi derivare un complessivo e <strong>di</strong>ttatoriale<br />
or<strong>di</strong>namento della società.<br />
La musica, per la libertà con cui si possono accostare le note, appare a Kretzschmar e ad Adrian<br />
come la forma d’arte attraverso cui è più facilmente possibile recuperare gli elementi primor<strong>di</strong>ali, e<br />
dunque ingenui, <strong>di</strong> cui ci si è messi alla ricerca. In altre parole: al musicista, più <strong>di</strong> qualunque altro<br />
artista, è concesso liberarsi delle tecniche musicali; lo stesso <strong>di</strong>ritto invece, ad un artista <strong>di</strong> altro<br />
tipo, non sarebbe riconosciuto con la stessa facilità: la tecnica che con il tempo egli avrà acquisito<br />
finirà inevitabilmente per imprigionarlo. È proprio a partire da questo presupposto che Beissel si<br />
de<strong>di</strong>ca alla composizione musicale rinunciando spontaneamente agli aiuti offerti dalle tecniche<br />
musicali: è una figura, la sua, che rispecchia molto bene quella tipologia <strong>di</strong> politici che, per assurdo,<br />
si occupano <strong>di</strong> politica prescindendo da ogni ragionamento politico ma puntando esclusivamente al<br />
loro principale obbiettivo: l’agitazione delle masse.<br />
Mentre Serenus considera Beissel come un fenomeno stravagante il cui assurdo ruolo non può<br />
avere prosecuzioni, «[…] l’atteggiamento <strong>di</strong> Adrian verso quel curioso fenomeno si <strong>di</strong>stingueva in<br />
un modo così significativo […], egli [si riservava], nell’ironia, la libertà del riconoscimento – il<br />
<strong>di</strong>ritto dunque, per non <strong>di</strong>re il privilegio − <strong>di</strong> tenere una <strong>di</strong>stanza che comprendesse in sé la<br />
possibilità <strong>di</strong> una benevola concessione, d’una approvazione relativa, d’una mezza ammirazione<br />
unita al motteggio e alla risata.» (cit. pag. 78). Adrian, allontanandosi ancora una volta dal pensiero<br />
del compagno Serenus, pensava che Beissel avesse agito ingenuamente: lo stesso principio<br />
attraverso cui lo strambo <strong>di</strong>ttatore musicale è riuscito a riattingere ai primor<strong>di</strong> della musica egli<br />
intende riutilizzarlo inseguito a qualche piccolo accorgimento. L’atteggiamento <strong>di</strong> Adrian si<br />
<strong>di</strong>stingue profondamente da quello che Serenus mostra nei confronti della musica: l’ironia e la<br />
<strong>di</strong>stanza con cui Adrian guarda ad essa sono accompagnati da un certo tipo <strong>di</strong> interesse: «Secondo<br />
te, l’amore sarebbe il sentimento più forte? (chiede Adrian a Serenus) Ne sai uno più forte?<br />
(risponde Serenus) Sì, l’interessamento. (ancora Adrian) Che sarebbe, immagino, un amore al quale<br />
si sia sottratto il calore animale, vero? (conclusione a cui giunge Serenus)» (cit. pag. 80).<br />
Attraverso questo atteggiamento <strong>di</strong> interesse appunto, Adrian penetra nella forma musicale, ci sta<br />
dentro garantendosi la possibilità <strong>di</strong> smontare e rimontare a suo piacimento i principi musicali:<br />
emerge qui un certo tipo <strong>di</strong> passione fredda, quella che avvicina e allo stesso allontana Adrian dalla<br />
sua figura paterna. Se è vero infatti che il signor Leverkühn mostrava una certa freddezza e<br />
titubanza nei confronti delle forme <strong>di</strong> confine a cui si interessava, è anche vero che però egli non<br />
intendeva affatto smontare e rimontare quella realtà a cui amava avvicinarsi.<br />
Lezione 12/01/<strong>2012</strong><br />
La Riforma Protestante è − a detta <strong>di</strong> Mann − l’episo<strong>di</strong>o che più <strong>di</strong> qualunque altro ha avviato<br />
il cambiamento spirituale a cui è stata sottoposta, appunto a partire dal 1500, la Germania.<br />
2
Quelle che seguono il capitolo ottavo del Doctor Faustus sono parti che approfon<strong>di</strong>scono proprio<br />
questo aspetto: che ruolo ha giocato la Riforma Protestante all’interno del processo <strong>di</strong> isolamento<br />
della Germania dal contesto europeo?<br />
Abbiamo già accennato a quanto la figura <strong>di</strong> Kretzschmar sia stata determinante rispetto alla<br />
formazione del giovane Adrian. L’esclusiva ascendenza che il musicista ha avuto sul nostro<br />
protagonista ha fatto sì che tutte le altre figure incontrate da quest’ultimo durante il suo percorso<br />
vengano inevitabilmente messe in secondo piano. Quando infatti Adrian lascerà la sua citta<strong>di</strong>na per<br />
frequentare altrove l’università saranno molteplici le personalità che, ciascuna a proprio modo,<br />
agevoleranno la germogliazione <strong>di</strong> quei semi che precedentemente era stato proprio Kretzschmar a<br />
seminare. Se da un lato però quest’ultimo si è visto attribuire il ruolo <strong>di</strong> singolo e singolare punto <strong>di</strong><br />
riferimento <strong>di</strong> Adrian, queste altre personalità si trovano a comporre tutte insieme una costellazione:<br />
a loro è dunque completamente impe<strong>di</strong>to concorrere con l’unicità della figura <strong>di</strong> Kretzschmar.<br />
Gli anni della formazione universitaria inseriscono Adrian in un panorama culturale<br />
particolarmente vasto: l’ascolto delle molteplici voci a cui sarà sottoposto gli consentirà <strong>di</strong><br />
sviluppare una particolare capacità comparatistica, la stessa che coinvolgeva ogni studente<br />
universitario tedesco vissuto agli inizi del novecento. La figura dello studente itinerante era dunque<br />
particolarmente comune: si sceglieva <strong>di</strong> lasciare la propria città, benché fosse essa stessa a<br />
possedere un’università, per seguire quelli che erano i propri interessi e dunque passare da un<br />
ateneo ad un altro a seconda dell’importanza dei docenti e delle lezioni che questi potevano offrire.<br />
Il sistema universitario tedesco era in quegli anni particolarmente favorevole a questo tipo <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o<br />
itinerante: è questo il principale motivo per cui Mann decide <strong>di</strong> ambientare il suo romanzo in<br />
Germania; in questo modo è garantito un certo grado <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>bilità.<br />
Il capitolo nono è quello in cui Serenus confessa una particolare nostalgia per gli anni degli<br />
stu<strong>di</strong> universitari con<strong>di</strong>visi con Adrian: il passaggio da un ascolto unitario (quello scolastico) ad uno<br />
a più voci (quello appunto universitario) consentì ai due compagni, novelli studenti universitari, <strong>di</strong><br />
scegliere per la prima volta il percorso da seguire. Se da un lato Serenus scelse <strong>di</strong> intraprendere lo<br />
stu<strong>di</strong>o delle Lettere Classiche, dall’altro Adrian decise <strong>di</strong> de<strong>di</strong>carsi a quello della Teologia, il cui<br />
fondamento filosofico consentì ai due compagni <strong>di</strong> con<strong>di</strong>videre ancora per qualche tempo i loro<br />
percorsi universitari.<br />
«Nel suo cielo spirituale Shakespeare e Beethoven erano i due astri gemelli la cui luce vinceva<br />
tutti gli altri, e molto gli piaceva far notare all’allievo curiose affinità e concordanze nei principi e<br />
nel metodo creativo dei due giganti […]» (cit. pag. 82). È questo il punto in cui, mentre Adrian sta<br />
maturando l’idea <strong>di</strong> volersi de<strong>di</strong>care allo stu<strong>di</strong>o della Teologia, Kretzschmar offre al giovane un<br />
ulteriore tassello che gli consentirà <strong>di</strong> comporre il vasto scenario in cui si avvia ad inserirsi la sua<br />
formazione culturale: lo stu<strong>di</strong>o e l’accostamento <strong>di</strong> due personalità come Shakespeare e Beethoven<br />
si scoprono essere utili per la ricostruzione della situazione culturale vigente in Germania intorno<br />
alla fine del settecento. Erano quelli gli anni in cui Shakespeare si inseriva prepotentemente nel<br />
panorama letterario e in particolare in Germania egli iniziava ad essere largamente apprezzato per<br />
l’aspetto rivoluzionario ed innovativo <strong>di</strong> cui si faceva promotore. Il poeta inglese dunque mostrò<br />
alla Germania la strada che essa si affannava a cercare: quella per staccarsi dalla tra<strong>di</strong>zione classicofrancese.<br />
Se Shakespeare ha tradotto un certo tipo <strong>di</strong> innovazione rispetto all’ambito letterario alla fine del<br />
settecento, Beethoven lo ha fatto a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> un secolo rispetto all’ambito musicale: entrambi<br />
incarnano un certo tipo <strong>di</strong> atteggiamento <strong>di</strong> ribellione che la Germania ha avuto nei confronti della<br />
classicità.<br />
Ma torniamo all’aspetto con cui è stata aperta la lezione o<strong>di</strong>erna: ciò che pensa Mann in realtà è<br />
che una primissima esperienza <strong>di</strong> ribellione abbia coinvolto la Germania già a partire dal<br />
cinquecento. In altre parole: è la figura <strong>di</strong> Lutero colei che ha anticipato e preannunciato quelle <strong>di</strong><br />
2
Shakespeare e Beethoven; con la Riforma Protestante <strong>di</strong>fatti non si è fatto altro che interrompere<br />
l’egemonia classica che fino a quel momento vigeva in Germania. È questa la tesi che Mann,<br />
attraverso le parole <strong>di</strong> Serenus, intende sostenere.<br />
«Spesso era pallido – e non solo nei giorni in cui l’emicrania ere<strong>di</strong>tata esercitava su <strong>di</strong> lui la sua<br />
conturbante oppressione. Evidentemente dormiva troppo poco, perché de<strong>di</strong>cava le ore della notte<br />
alla lettura.» (cit. pag. 82). Con queste parole Serenus confessa <strong>di</strong> essere preoccupato per la salute<br />
<strong>di</strong> Adrian, che da quest’ultimo appare trascurata per l’eccessiva attenzione riservata allo stu<strong>di</strong>o. A<br />
questo punto Serenus decide si rivolgersi a Kretzschmar, l’unica figura che nel corso degli anni si è<br />
mostrata capace <strong>di</strong> influenzare il nostro Adrian: «Confessai le mie apprensioni anche a Kretzschmar<br />
e gli domandai se non vedesse come me in Adrian un carattere bisognoso <strong>di</strong> freni spirituali<br />
piuttosto che <strong>di</strong> sproni. Il musicista invece, benché molto più vecchio <strong>di</strong> me, prese decisamente le<br />
parti dei giovani impazienti e affamati <strong>di</strong> sapere, che non si risparmiano, e si mostrò in genere<br />
uomo <strong>di</strong> una certa durezza idealistica e <strong>di</strong> una certa in<strong>di</strong>fferenza per il corpo e la sua salute che,<br />
secondo lui, avrebbe un valore molto prosaico, per non <strong>di</strong>r vile.» (cit. pag. 83). Nelle parole <strong>di</strong><br />
Kretzschmar è evidentemente riscontrabile il superamento della formula mens sana in corpore<br />
sano: Serenus non ha avuto alcun aiuto da parte del musicista che, al contrario, ha giustificato, oltre<br />
che capito, l’atteggiamento ossessivo del giovane Adrian.<br />
«Certo è che passava ore a collegare possibilmente in breve spazio accor<strong>di</strong> che contenevano<br />
tutte le note della scala cromatica, ma senza che gli accor<strong>di</strong> si spostassero cromaticamente e senza<br />
che ne derivassero durezze <strong>di</strong> suoni. Oppure si compiaceva <strong>di</strong> costruire urtanti <strong>di</strong>ssonanze e <strong>di</strong><br />
trovare tutte le possibili risoluzioni <strong>di</strong> esse, risoluzioni che però, appunto perché l’accordo<br />
conteneva tante note contrastanti, non avevano tra loro alcuna affinità, <strong>di</strong> maniera che il suono<br />
aspro, simile ad uno specchio magico, stabiliva rapporti tra i suoni e le tonalità più remote. Un<br />
giorno il principiante <strong>di</strong> armonia portò a Kretzschmar, con grande spasso <strong>di</strong> quest’ultimo, la<br />
scoperta personale del “doppio contrappunto”. Gli <strong>di</strong>ede cioè da leggere due voci simultanee,<br />
ciascuna delle quali poteva essere sia il canto sia l’accompagnamento, due voci scambiabili,<br />
insomma.» (cit. pag. 84-85). La superiorità e la sovranità che Adrian mostra avere nei confronti<br />
dell’elemento musicale si fa specchio delle ribellioni che, prima con Lutero, poi con Shakespeare e<br />
ancora con Beethoven, abbiamo detto aver coinvolto la Germania.<br />
«[…] parlava <strong>di</strong> musica come <strong>di</strong> un potere estraneo, <strong>di</strong> un fenomeno curioso che non lo toccasse<br />
personalmente, ne parlava tenendosi a <strong>di</strong>stanza critica e quasi dall’alto al basso[…]» (cit. pag. 86).<br />
Adrian conosceva ottimamente la materia musicale pur non essendo un vero appassionato: fu<br />
proprio questa mancata passione che gli consentì <strong>di</strong> mantenere una certa <strong>di</strong>stanza dalla musica e,<br />
ancora, <strong>di</strong> inserirsi completamente in essa, tanto da poterne sra<strong>di</strong>care anche la più profonda ra<strong>di</strong>ce.<br />
Il vero innovatore dunque non è colui che nutre passione per la sua materia: è il freddo <strong>di</strong>stacco<br />
(quello che Adrian mostra nei confronti della “sua” musica) a garantire la rivoluzione, poiché la<br />
passione e il coinvolgimento non permettono alcun cambiamento ma, al contrario, promuovono e<br />
producono la sola imitazione celebrativa. A partire da questo presupposto è interessante notare come<br />
il concetto <strong>di</strong> critica, totalmente mancante nel Me<strong>di</strong>oevo, sia derivato proprio dalla rivoluzione<br />
apportata da Lutero in Germania.<br />
«Classicismo: già; raffinata non è in nessun punto, ma è grande. Non <strong>di</strong>co: giacché è grande;<br />
esiste infatti anche una grandezza raffinata, ma questa in fin dei conti è molto più familiare. Di',<br />
che cosa ne pensi tu della grandezza? Secondo me, si prova un certo <strong>di</strong>sagio a guardarla negli<br />
occhi; è una prova <strong>di</strong> coraggio… si può mai reggere a quello sguardo? Non si regge, ma se ne<br />
rimane avvinti. Ve<strong>di</strong>, io sono sempre più <strong>di</strong>sposto a confessare che la vostra musica ha un che <strong>di</strong><br />
singolare. È una manifestazione <strong>di</strong> massima energia… tutt’altro che astratta, ma senza oggetto,<br />
un’energia pura nel limpido etere: dove trovare nell’universo un’altra cosa simile? […] Ti prego <strong>di</strong><br />
riflettere che questa è quasi la definizione <strong>di</strong> Dio. […] Ecco: il più energico, il più vario, il più<br />
3
avvincente susseguirsi <strong>di</strong> fatti, <strong>di</strong> movimenti, tutti nel tempo, basati solo sulla sud<strong>di</strong>visione del<br />
tempo, sul riempimento e sull’organizzazione del tempo, eccotelo portato in mezzo all’azione<br />
concreta me<strong>di</strong>ante il ripetuto squillo <strong>di</strong> tromba <strong>di</strong>etro il sipario. Tutto ciò è sommamente nobile e<br />
gran<strong>di</strong>oso, pieno <strong>di</strong> spirito e piuttosto sostenuto e freddo anche nei punti “belli”… non<br />
spumeggiante né stupendo né molto vivace <strong>di</strong> colori, ma appunto ineffabilmente magistrale. Il<br />
modo in cui tutto ciò è porto e girato e messo a posto; in cui si arriva a un tema e un tema è<br />
abbandonato, risolto, mentre nella risoluzione si prepara qualcosa <strong>di</strong> nuovo; in cui il riempitivo si<br />
fa fecondo eliminando ogni vuoto e ogni punto fiacco; il modo in cui il ritmo si sposta con<br />
elasticità, prende la rincorsa, accoglie affluenti da <strong>di</strong>verse parti, si gonfia e travolge e scoppia in<br />
un trionfo rombante, nel trionfo personificato, nel trionfo “in sé”… questo modo non lo <strong>di</strong>rò bello,<br />
perché la parola bellezza mi è sempre stata piuttosto antipatica, ha un aspetto piuttosto sciocco e la<br />
gente quando ne parla ci si bea e ha la bava alla bocca. Ma buono è, estremamente buono, e non<br />
potrebbe, forse non dovrebbe esser migliore…». (cit. pag. 90-91). Questa lunga citazione ci mostra<br />
quanto Adrian si trovi lontano dagli ideali classicisti: in particolare è il concetto <strong>di</strong> Bellezza quello<br />
da cui prende le <strong>di</strong>stanze. Quest’ultimo infatti, a suo <strong>di</strong>re, sarebbe da considerarsi come categoria astorica<br />
e astratta, colpevole <strong>di</strong> costringere e fermare l’arte anziché aprirla alla realtà e, dunque,<br />
consentirle <strong>di</strong> relazionarsi con il Buono e il Migliore. Ed è proprio la categoria del Buono, piuttosto<br />
che quella del Bello, ciò che principalmente Adrian intende perseguire: l’opera d’arte rivoluzionaria<br />
è quella capace <strong>di</strong> entrare in rapporto con la realtà e, procedendo in questi termini, sarà possibile<br />
sostituire i giu<strong>di</strong>zi estetici con quelli morali. Partendo da questo presupposto ci sarà finalmente<br />
possibile intuire la vera ragione per cui Adrian ha deciso <strong>di</strong> de<strong>di</strong>carsi allo stu<strong>di</strong>o della Teologia.<br />
Quest’ultima, facoltà che si pone totalmente al <strong>di</strong> sopra <strong>di</strong> tutte le altre, consente al nostro<br />
protagonista – cinico ed in<strong>di</strong>fferente nei confronti del raggiungimento della Bellezza − <strong>di</strong> percorre il<br />
solo cammino che gli interessa: quello che conduce al miglioramento del mondo.<br />
«[…] risultò che intendeva <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>are teologia.» (cit. pag. 92). Il fatto che quella <strong>di</strong> Adrian sia<br />
stata una decisione frutto <strong>di</strong> un risultato testimonia come l’esito non avesse alternativa. Quando<br />
Serenus apprende la decisione del compagno non nasconde un certo tipo <strong>di</strong> <strong>di</strong>sagio e ulteriore<br />
preoccupazione: se da un lato è contento per la superiorità e per la valenza della materia in<br />
questione, dall’altro teme che quella <strong>di</strong> Adrian sia stata una scelta dettata dalla superbia: «Queste<br />
cose mi passarono per la mente quando Adrian mi comunicò la sua risoluzione. Se l’avesse presa<br />
per un certo istinto <strong>di</strong> <strong>di</strong>sciplina spirituale, per il desiderio cioè <strong>di</strong> arginare entro la religione il suo<br />
intelletto freddo e ubiquitario, pronto e viziato dalla superiorità, e <strong>di</strong> piegarlo sotto il giogo<br />
religioso, ne sarei stato ben contento. […] Ma, infondo, io non credevo nell’umiltà dell’amico.<br />
Credevo nel suo orgoglio, del quale a mia volta ero orgoglioso, e tutto sommato non potevo<br />
dubitare che in questo fosse l’origine della sua decisione.» (cit. pag. 94). Serenus conosce molto<br />
bene Adrian: sa perfettamente la vera natura della ragione che lo ha spinto verso quegli stu<strong>di</strong>. Alla<br />
superbia si aggiunge dunque l’orgoglio: sono componenti, queste, che portano inevitabilmente<br />
verso la rovina e la <strong>di</strong>struzione. È questa un’altra delle consapevolezze <strong>di</strong> Serenus: sa da sempre<br />
che il destino dell’amato compagno non sarebbe potuto essere sereno e, in effetti, nel momento in<br />
cui Serenus si de<strong>di</strong>ca alla scrittura della terribile storia <strong>di</strong> Adrian la <strong>di</strong>struzione è già avvenuta. È<br />
questo un efficace espe<strong>di</strong>ente narrativo che consente all’autore <strong>di</strong> intrecciare il passato con il<br />
presente.<br />
La doppia natura dell’affetto che Serenus nutre nei confronti del suo compagno può per certi<br />
aspetti ricordare il sentimento kantiano del Sublime: si tratta <strong>di</strong> una miscela fatta <strong>di</strong> ammirazione e<br />
paura; fascino e terrore. L’orgoglio e l’ammirazione per una capacità intellettiva così singolare<br />
viaggia parallelamente al timore e alla preoccupazione per gli obbiettivi che potrebbero essere<br />
raggiunti attraverso la messa in atto <strong>di</strong> essa. Adrian dunque si trova, proprio come un fenomeno<br />
3
sublime o un eroe <strong>di</strong> una trage<strong>di</strong>a greca, in una con<strong>di</strong>zione interme<strong>di</strong>a tra l’elemento tragico e<br />
quello della grandezza.<br />
Lezione 19/01/<strong>2012</strong><br />
Condurre una riflessione intorno ad argomenti artistici e letterari si traduce molte volte con il<br />
coinvolgimento e la messa in <strong>di</strong>scussione <strong>di</strong> particolari concetti specifici, i quali – ognuno in<br />
modalità <strong>di</strong>verse – si vedono attribuire ruoli più o meno centrali all’interno <strong>di</strong> quelle che potrebbero<br />
essere definite delle vere e proprie storiografie dell’arte e della letteratura. Genialità è senza dubbio<br />
tra questi concetti e, per <strong>di</strong> più, sarebbe da considerarsi tra quelli <strong>di</strong> primo piano. Il genio è infatti il<br />
testo del professor Giampiero Moretti che, proprio partendo da questo presupposto, propone una<br />
riflessione storiografica e filosofica sul cambiamento a cui, a partire dell’età moderna, la<br />
concezione <strong>di</strong> Genialità è stata sottoposta.<br />
L’idea <strong>di</strong> genio e il relativo significato ad essa attribuito è tra quelle che consentono <strong>di</strong> delineare i<br />
profili <strong>di</strong> uomo antico e uomo moderno per poi scovarne e stu<strong>di</strong>arne le molteplici <strong>di</strong>fferenze. La<br />
nascita della Scienza Moderna (XVII secolo) e l’Illuminismo sono senza dubbio tra le tappe<br />
storiografiche più importanti che hanno condotto ad una nuova e <strong>di</strong>versa soggettività. Si tratta <strong>di</strong> un<br />
processo <strong>di</strong> cambiamento, i cui frutti saranno più chiaramente e ampliamente visibili in epoca<br />
Rinascimentale.<br />
Durante il Me<strong>di</strong>oevo si è considerata la Genialità come forza esterna all’umanità: il genio era<br />
colui che, solo per riflesso, godeva del privilegio <strong>di</strong> usufruire <strong>di</strong> questo elemento esterno<br />
appartenente alla natura o, in altri termini, alla Divinità.<br />
Quello che, come abbiamo già annunciato, a partire dall’Illuminismo inizia a verificarsi è una<br />
sorta <strong>di</strong> processo <strong>di</strong> interiorizzazione della Genialità; in altre parole: si passa da una degenializzazione<br />
ad una in-genializzazione. L’universalità che fino a quel momento aveva<br />
accompagnato il concetto <strong>di</strong> Genialità si tramuta ora in in<strong>di</strong>vidualità: l’uomo ha finalmente<br />
conquistato il <strong>di</strong>ritto alla soggettività ed ora il genio è tale nella misura in cui la sua Genialità è in<br />
esso stesso presente ed operante.<br />
Colui che più <strong>di</strong> tutti ha contribuito all’archiviazione della considerazione del genio come entità<br />
esterna all’uomo è stato senza dubbio Kant: non a caso il terzo capitolo de Il genio ha per titolo lo<br />
Spartiacque Kantiano; nome che molto bene traduce il grande ruolo che il filosofo ha giocato<br />
all’interno <strong>di</strong> questo emblematico processo.<br />
La personalità che prima <strong>di</strong> tutti ha piantato i semi che con Kant sono giunti alla completa<br />
germinazione è stato Agostino: è con lui che avviene la prima vera svolta, la quale consiste nella<br />
messa in <strong>di</strong>scussione del concetto <strong>di</strong> Genio inteso come spazio interme<strong>di</strong>o tra l’elemento umano e<br />
quello <strong>di</strong>vino. Il <strong>di</strong>stacco dall’antichità viene inaugurato con il sacrificio <strong>di</strong> un’armonia, quella che<br />
precedentemente caratterizzava la vita <strong>di</strong> ogni in<strong>di</strong>viduo relazionato – appunto armonicamente −<br />
con il mondo.<br />
All’uomo antico dunque era consentito avere un’esperienza imme<strong>di</strong>ata del mondo a cui egli<br />
stesso era chiamato a prendere parte: non si manifestava in lui alcuna necessità <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>are il <strong>di</strong>verso<br />
da sé poiché la separazione soggetto-oggetto non si era ancora verificata. Ciò che invece interessa<br />
all’uomo moderno è l’analisi e la conoscenza dell’oggetto che ha <strong>di</strong> fronte a sé: la lacerazione<br />
dell’antica unità è ormai avvenuta e l’atto critico attraverso cui il soggetto guarda al fenomeno<br />
alimenta maggiormente questa <strong>di</strong>stanza. A testimonianza <strong>di</strong> tale <strong>di</strong>stanziamento è interessante notare<br />
come la prospettiva, in quanto scoperta moderna, sia da considerarsi proprio l’affermazione della<br />
necessità <strong>di</strong> conoscenza dell’oggetto, quella che appunto l’uomo moderno inizia a sentire. È<br />
3
proprio a partire dall’introduzione del moderno stu<strong>di</strong>o prospettico della realtà che la riflessione <strong>di</strong><br />
Panofsky prende le mosse. Il grande storico d’arte interpreta la prospettiva come il riflesso della<br />
nuova <strong>di</strong>sposizione che l’uomo moderno ha verso il mondo. Sulla scia della riflessione panofskiana<br />
della prospettiva, Heidegger contribuisce con una nuova considerazione, quella con cui dà<br />
continuazione all’idea rinascimentale della prospettiva: l’unica modalità attraverso cui l’uomo può<br />
illudersi <strong>di</strong> conoscere il mondo è quella <strong>di</strong> farne esperienza me<strong>di</strong>ante la rappresentazione. In altre<br />
parole: all’impossibilità <strong>di</strong> una conoscenza che sia frutto <strong>di</strong> un’esperienza <strong>di</strong>retta l’uomo può solo<br />
rispondere attraverso lo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> ciò che <strong>di</strong> esso gli appare rappresentato. L’uomo − il<br />
rappresentante − ha nuova coscienza <strong>di</strong> se stesso; ed è a partire da questa coscienza che il mondo gli<br />
si mostra (rappresentato).<br />
Ancora: affinché l’oggetto possa essere da lui conosciuto l’uomo lo strappa dal contesto naturale<br />
pre<strong>di</strong>sponendolo al suo obbiettivo. È una vera e propria violazione della natura, la stessa necessaria<br />
ai fini della conoscenza umana.<br />
Ciò che a partire da Bacon è accaduto è la conversione della conoscenza ottenuta, in mezzi<br />
attraverso cui è possibile migliorare la con<strong>di</strong>zione dell’uomo: inizia il processo che inaugura la<br />
conoscenza scientifica. L’oggetto conosciuto dall’uomo (grazie alla natura) <strong>di</strong>viene prodotto da<br />
sfruttare, da rendere utile per sod<strong>di</strong>sfare esigenze: l’uomo impara dalla natura ma finisce per<br />
restituirle qualcosa <strong>di</strong> più perfetto, l’ideale. È a questo punto che si inserisce nuovamente l’idea<br />
heideggeriana della realtà intesa come rappresentazione: l’oggetto conosciuto e stu<strong>di</strong>ato dall’uomo<br />
è da questo riproposto come immagine nuova; come nuova rappresentazione.<br />
Una nuova interpretazione del soggetto la si è incontrata quando, con lo Sturm und drang, si è<br />
cercato <strong>di</strong> scorgere un nuovo nesso tra il sentimento e, appunto, la soggettività. Se in un primo<br />
momento estetica è interpretato come un aggettivo, successivamente invece esso finalmente riuscirà<br />
a conquistarsi uno spazio tra le <strong>di</strong>scipline filosofiche e potrà godere appieno della sua nuova natura<br />
<strong>di</strong> sostantivo. La svolta avviene nel 1750: Baumgarten pubblica Aesthetica. È arrivato il momento<br />
in cui i sensi possono finalmente aspirare ad una nobilitazione: l’uomo assiste al riconoscimento<br />
della sua possibilità <strong>di</strong> percepire sensibilmente, la quale è ora considerata affidabile ai fini <strong>di</strong> uno<br />
stu<strong>di</strong>o e <strong>di</strong> una conoscenza atten<strong>di</strong>bili.<br />
Abbiamo visto dunque come, se da un lato il processo <strong>di</strong><br />
interiorizzazione della Genialità sia senza dubbio da<br />
considerarsi come un importante progresso per l’umanità,<br />
dall’altro però questa conquista porti con sé un’altrettanto<br />
importante e grave per<strong>di</strong>ta. Il riversamento della Genialità<br />
nell’umano e la conseguente nascita della soggettività hanno<br />
provocato il taglio netto <strong>di</strong> quel legame che precedentemente<br />
univa l’uomo antico alla Divinità. Sempre <strong>di</strong> più si sente<br />
parlare <strong>di</strong> solitu<strong>di</strong>ne dell’uomo moderno e, proprio a questo<br />
proposito, Novalis ha definito il mondo «un mulino senza il<br />
mugnaio».<br />
Se le <strong>di</strong>vinità dell’antica Grecia rivestivano un ruolo<br />
centrale, vicino e presente nella vita dell’umanità, oggi invece<br />
Dio si è fatto sempre più metafisico: la sua è un’entità<br />
inafferrabile, la qui lontananza ha immerso la nuova e<br />
moderna umanità in una solitu<strong>di</strong>ne ontologica.<br />
Il nuovo obbiettivo dell’Uomo/Genio solo e moderno<br />
<strong>di</strong>viene quello <strong>di</strong> assoggettare la natura: la Genialità non<br />
appartiene più a questa ma giace nell’in<strong>di</strong>viduo ed è interna ad esso. Il nuovo uomo moderno ha<br />
3
dentro <strong>di</strong> sé la Genialità e la <strong>di</strong>mensione della soggettività ma, il prezzo da pagare è quello della<br />
solitu<strong>di</strong>ne: il cielo degli antichi è abitato dagli Dei, quello dei moderni è vuoto.<br />
Per concludere aggiungiamo qui lo schema-guida che ha accompagnato e sostenuto questa<br />
lezione e che agevola la comprensione <strong>di</strong> ciò che è stato scritto in questa sede:<br />
G. Moretti, Il genio. Origine, storia, destino, Brescia, Morcelliana, <strong>2011</strong><br />
Griglia <strong>di</strong> lettura<br />
Processo che procede verso la riconduzione del genio all’ingegno; progressivo affermarsi della<br />
soggettività (in senso moderno); passaggio da un universale “esterno” all’uomo (in rapporto con il<br />
<strong>di</strong>vino) ad un universale esclusivamente umano → dal tratto de-soggettivizzante del genio alla<br />
solitu<strong>di</strong>ne dell’ente (uomo) →dall’esperienza imme<strong>di</strong>ata del mondo verso l’immagine del mondo.<br />
I PARTE<br />
I capitolo: Antichità<br />
→ modernità umanistica<br />
p. 13: “primi passi del tramonto” = denota declino, per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> qualcosa e trasformazione in<br />
qualcos’altro.<br />
Wissowa (Genius/Juno) e Otto (principio originario unitario e immateriale; qualità maschile<br />
geniale → in<strong>di</strong>viduazione “personalizzante” dell’ente (soggettività) (pp. 16-17).<br />
me<strong>di</strong>oevo + cristianesimo: verso la “personalizzazione” dell’ente uomo con la per<strong>di</strong>ta dello<br />
spazio “esterno” come luogo d’incontro con la <strong>di</strong>vinità – Agostino: separazione mondo/uomo e<br />
Dio/genio (p. 21); prosegue, con mo<strong>di</strong>fiche, nel XVI secolo. Huarte: su una base psicofisiologica<br />
volge l’ingegno “verso terra” (pp. 23-24).<br />
Panofsky – Heidegger: idea e prospettiva (→ ideale) (geometrizzazione dello spazio = spazio<br />
sistematico) → rappresentazione (immagine del mondo = esperimento e ricerca) (pp. 24 e sgg.).<br />
Cartesio: superamento dell’esperienza, della contemplazione e dell’imitazione della natura →<br />
operativismo, soggettività in senso moderno. Tra i secc. XVI-XVII si consuma la lotta per il<br />
possesso dell’ente, lotta che si conclude con la conquista dell’ente della filosofia cartesiana.<br />
II capitolo: Seicento – Settecento<br />
Seicento: Corneille e l’applicazione delle regulae alla poesia (Aristotele e Cartesio) = buon<br />
gusto (p. 36: verosimiglianza, bienséance, unità artisteliche); Graciàn: passaggio verso la<br />
soggettività moderna, ricomparsa del “gusto”, ma non in chiave estetica (nota 4 p. 34).<br />
Fine Seicento: querelle tra antichi e moderni →Boileau: riflessione cartesiana + riflessione<br />
aristotelica (p. 37); Perrault: <strong>di</strong>stinzione tra ouvrier (artigiano = talento geniale)e ouvrage<br />
(lavoro, opera) (pp. 41-42).<br />
Leibniz: attenzione sistematico-filosofica all’elemento sentimentale-irrazionale → gusto.<br />
Settecento:<br />
Francia: Crousaz – Du Bos – Batteux (volontà sistematica <strong>di</strong> or<strong>di</strong>nare le arti secondo il<br />
principio dell’imitazione, vicinanza tra elemento naturale e genialità, pp. 45-47)– Diderot –<br />
Rousseau<br />
Inghilterra: [Shakespeare] [empirismo] Hutcheson – Young (genio virile, p. 54-55) – Dyden –<br />
Ad<strong>di</strong>son – Gerard<br />
3
Italia: p. 56: immaginazione, fantasia, intelletto = proprietà che rafforzano la soggettività.<br />
Muratori – Gravina – Vico (ingegno come facoltà dell’invenzione e del rinvenimento <strong>di</strong> quei nessi<br />
del-nel reale, pp. 58-59) – Bettinelli<br />
Germania: pp. 60-61:Baeumler: Geniestimmung – Gottsched (il Geist come metodo, p. 62) –<br />
Wolff – Baumgarten – Mendelssohn – Sulzer – Gellert (genio. Talento naturale che neppure l’arte<br />
può accrescere e l’artista è la fonte delle regole, p. 66) – Bodmer – Breitinger – Lessing (p. 70.<br />
Einbildungskraft)– Winckelmann – Moritz<br />
p. 73 Sturm und Drang. Sturm und Kant: Schlegel – Gerstenberg (nesso tra soggettività e<br />
sentimento, pp. 74-75) – Wagner – Bürger – Lavater – Goethe – Herder – Hamann – Jacobi<br />
II PARTE<br />
Lo spartiacque kantiano (pp. 93-107)<br />
Critica del giu<strong>di</strong>zio (1790). parr. 45 50 de<strong>di</strong>cati alla questione del genio: passaggio alla<br />
soggettivizzazione. «il genio è il talento -dono naturale- che dà la regola all’arte», p. 93.<br />
coincidenza <strong>di</strong> genio e spirito: vivificano l’animo ed esibiscono le idee estetiche (p. 98 e nota 14);<br />
paragone tra genialità artistica e sapere scientifico (p. 95), questione arte/verità (p. 101).<br />
Schiller: “traduce” la filosofia <strong>di</strong> Kant a Goethe (p. 103 2 sgg.); saggio sulla poesia ingenua e<br />
poesia sentimentale.<br />
III PARTE<br />
Ottocento – Novecento<br />
passo da Gadamer (p. 109).<br />
Fichte p. 111 e sgg. Essenza sovrannaturale del genio. Il sentire e l’immaginare non<br />
riconducibili alla costruzione kantiana della conoscenza.<br />
Costellazione romantica p. 115 e 122 e sgg. Einsbildungskrsft e sentire = elementi costitutivi<br />
della soggettività “ampliata” <strong>di</strong> Fichte. Novalis: <strong>di</strong>latazione e potenziamento spirituale del genio;<br />
desoggettivizzazione dell’Erlebnis; la produzione geniale si rivolge all’origine e non al prodotto;<br />
genio <strong>di</strong> tipo “sintetico”-a), e genio come spazio dell’anima -b) (pp. 123-124); ampliamento della<br />
sensibilità (p. 124).<br />
Hölderlin (p. 129 e sgg.): incontro con il genius in senso antico; poesia = l’essere in forma <strong>di</strong><br />
parola;<br />
Intorno all’Erlebnis (esperienza vissuta): Dilthay, Klages e George. Gadamer:Verità e metodo.<br />
Punto <strong>di</strong> collegamento tra l’orizzonte romantico-idealistico e l’ermeneutica tardo-ottocentesca (p.<br />
164 e sgg.). Dilthay (Espressione come comunicazione del contenuto della vita in forma artistica =<br />
soggettività intesa come contenente del contenuto nella forma dell’arte) – Klages (l’arte non è<br />
comunicazione, ma circolazione come la vita = soggettività come costante fluire che non può<br />
contenere nulla se non immagini – anch’esse fluide).<br />
Lezione 26/01/<strong>2012</strong><br />
«L’accordo non è go<strong>di</strong>mento armonico, è polifonia in sé, e i suoni che lo compongono sono voci.<br />
Ora io affermo che lo sono tanto più e che il carattere polifonico dell’accordo è tanto più evidente<br />
quanto più è <strong>di</strong>ssonante.» (cit. pag. 85). Tra le righe della citazione qui riportata possiamo <strong>di</strong>re<br />
trovarsi concentrato il pensiero che <strong>di</strong> lì a poco il nostro Adrian svilupperà con il compimento del<br />
3
suo “nuovo” sistema musicale. Si tratta <strong>di</strong> parole che ci avviano verso una riflessione<br />
particolarmente importante, le stesse a cui dunque è necessario prestare la massima attenzione.<br />
Non è possibile percepire separatamente le varie voci che compongono un accordo: la loro<br />
compresenza e simultaneità garantiscono un’armonia perfetta. Questa è la considerazione che si<br />
sviluppa, in termini <strong>di</strong> storiografia musicale, a partire da Bach. L’idea che Adrian oppone invece a<br />
questa tra<strong>di</strong>zionale è che le voci <strong>di</strong> un accordo debbano stabilire tra loro un rapporto <strong>di</strong> <strong>di</strong>ssonanza:<br />
è la <strong>di</strong>stinzione dei suoni che deve essere privilegiata, perché solo in questo modo sarà possibile<br />
raggiungere finalmente, appunto, la <strong>di</strong>ssonanza.<br />
L’obbiettivo che Adrian intende perseguire è quello <strong>di</strong> recuperare la <strong>di</strong>mensione musicale del<br />
culto: ritornare ad una musica che sia specchio <strong>di</strong> lode e celebrazione <strong>di</strong> Dio; l’unica musica che,<br />
dalle origini fino ad arrivare a Bach, ogni musicista poteva pensare <strong>di</strong> comporre.<br />
Si tratta <strong>di</strong> una volontà <strong>di</strong> recupero <strong>di</strong> un’originarietà nutrita dal peccato che molto bene abbiamo<br />
detto rappresentare il nostro protagonista: la superbia. Paradosso e tragicità sono quanto mai<br />
evidenti nel fatto che l’unica mano che offre aiuto ad Adrian è proprio quella del Demonio: il<br />
recupero dell’elemento religioso della musica, attraverso il risveglio della <strong>di</strong>ssonanza tra i suoni,<br />
può essere conseguito solo me<strong>di</strong>ante il sostegno del male.<br />
Halle è la città che fa da scenario agli anni universitari <strong>di</strong> Adrian e Serenus: è qui che i due<br />
compagni incontrano particolari personalità provenienti dall’ambiente del Protestantesimo. È infatti<br />
anche la Riforma Protestante a giocare un ruolo <strong>di</strong> primo piano nel pensiero <strong>di</strong> Thomas Mann: così<br />
come intende fare Adrian, è anche con la Riforma che ci si prefigge il ritorno ad un’originarietà. Se<br />
Adrian punta al recupero dell’elemento cultuale della musica, ciò che muoverebbe l’interesse <strong>di</strong><br />
Lutero sarebbe – nonostante gli aspetti liberali e progressisti della Riforma – il ritorno alle origini<br />
del Cristianesimo. Mann, attraverso le parole <strong>di</strong> Serenus, propone un’interpretazione che ci<br />
consente <strong>di</strong> scorgere la possibilità che la Riforma, appunto, sia stata orientata verso il superamento<br />
<strong>di</strong> un Cattolicesimo colpevole <strong>di</strong> essersi troppo soli<strong>di</strong>ficato nella tra<strong>di</strong>zione. Dall’altro lato invece,<br />
ciò che Adrian intende superare è quel periodo della storia musicale che va da Bach e che arriva<br />
fino a Beethoven.<br />
«Uomini come me non possono fare a meno <strong>di</strong> chiedersi se questi reiterati salvataggi d’una<br />
creatura che ha già un piede nella fossa siano da accogliere con gioia dal punto <strong>di</strong> vista della<br />
civiltà, o se i riformatori non siano piuttosto da considerarsi tipi reci<strong>di</strong>vi ed emissari della<br />
sventura. Ritengo che all’umanità si sarebbe indubbiamente risparmiato un infinito spargimento<br />
<strong>di</strong> sangue e il più orribile strazio della propria carne, se Martin Lutero non avesse ricostruito la<br />
chiesa.» (cit. pag. 101). Ancora una volta, attraverso le parole del moderatissimo Serenus, Mann<br />
inserisce una <strong>di</strong>chiarazione che non può <strong>di</strong> certo passare inosservata. Si ammette la possibilità che la<br />
volontà <strong>di</strong> riformare una religione – definita una creatura che ha già un piede nella fossa – sia in un<br />
certo senso forzata e che, forse, i riformatori avrebbero fatto meglio a lasciare la tra<strong>di</strong>zione piuttosto<br />
che ambire al ritorno <strong>di</strong> quel passato che, seppur migliore, non avrebbe mancato <strong>di</strong> portare con sé<br />
un futuro <strong>di</strong> morte e <strong>di</strong>struzione. Ricor<strong>di</strong>amoci che gli anni in cui scrivono, Serenus nella finzione<br />
letteraria e Mann nella realtà, rappresentano un momento particolarmente significativo per la<br />
Germania: essa ha iniziato ad indossare i panni <strong>di</strong> un’eroina che, in soccorso dell’Europa, si<br />
propone come miglioratrice <strong>di</strong> essa. Ma proprio come accade ad Adrian quando intende soccorrere<br />
la musica, mentre percorre la strada del miglioramento la Germania procura a se stessa<br />
un’inevitabile <strong>di</strong>struzione.<br />
Due dei professori che Serenus ed Adrian frequentano durante gli anni universitari sono<br />
presentati nel do<strong>di</strong>cesimo e nel tre<strong>di</strong>cesimo capitolo del romanzo. Il primo è Ehrenfried Kumpf:<br />
il più sapido oratore <strong>di</strong> tutta l’università e con la maggior affluenza <strong>di</strong> studenti <strong>di</strong> tutti i corsi,<br />
anche dalle altre facoltà. Nel do<strong>di</strong>cesimo capitolo infatti Mann ci presenta questa particolare<br />
personalità: si tratta <strong>di</strong> un uomo il cui rapporto con il demoniaco, a prima vista scherzoso, è in realtà<br />
3
molto serio e concreto. Basti pensare all’episo<strong>di</strong>o in cui, durante una cena a casa <strong>di</strong> Kumpf, Serenus<br />
e Adrian assistono, dopo che il professore ha avvistato il Demonio in casa sua, al <strong>di</strong>svelamento del<br />
rapporto che c’è tra i due: un rapporto <strong>di</strong>retto e ad<strong>di</strong>rittura quasi esorcistico.<br />
Il tre<strong>di</strong>cesimo capitolo invece è de<strong>di</strong>cato a Eberhard Schleppfuss, professore il cui corso <strong>di</strong><br />
stu<strong>di</strong> al contrario: «Era un corso <strong>di</strong> natura esclusiva e non contava per gli esami, sicché era<br />
frequentato soltanto da un gruppo <strong>di</strong> studenti, <strong>di</strong>eci o do<strong>di</strong>ci, <strong>di</strong> tendenze intellettuali e più o meno<br />
rivoluzionarie. Mi stupiva del resto che non fossero più numerosi, perché la materia offerta da<br />
Schleppfuss era abbastanza attraente per suscitare una più <strong>di</strong>ffusa curiosità.» (cit. pag. 113). Il<br />
corso del secondo professore presentatoci da Mann si occupa <strong>di</strong> psicologia della religione: una<br />
tematica che propone riflessioni in merito al rapporto tra la religione e la sessualità. Serenus si<br />
chiede come sia possibile che un corso che affronti un argomento simile − che secondo lui potrebbe<br />
senza dubbio apparire interessante ad un pubblico <strong>di</strong> giovani studenti – sia in realtà così poco<br />
frequentato.<br />
Ma non è solo il numero <strong>di</strong> studenti presenti ai corsi da loro tenuti ciò che <strong>di</strong>stingue Kumpf da<br />
Schleppfuss: alla carnalità del rapporto che lega il primo con il Demonio il secondo risponde con<br />
maggiore <strong>di</strong>stacco. Schleppfuss, durante le sue lezioni, si occupa <strong>di</strong> sottoporre ai sui studenti dei<br />
casi particolari: appare dunque evidente come sia in<strong>di</strong>rettamente che l’uomo si avvicini all’elemento<br />
demoniaco, solo ad una certa <strong>di</strong>stanza e non per esperienza <strong>di</strong>retta e personale.<br />
Ciò che Thomas Mann intende fare attraverso l’introduzione delle suddette due personalità e dei<br />
rispettivi rapporti che questi intersecano con il male è in un certo senso preparare il lettore<br />
all’incontro che <strong>di</strong> lì a poco si sarebbe verificato: quello tra Adrian e il Demonio.<br />
Sono due personalità − quelle dei professori – che ci avviano verso una nuova riflessione: il<br />
confronto delle <strong>di</strong>scipline con il tema del peccato non manca <strong>di</strong> interessare una facoltà come quella<br />
<strong>di</strong> Teologia ma, anzi, è soprattutto in ambito teologico che la vicinanza <strong>di</strong> due elementi come quello<br />
<strong>di</strong>vino e quello <strong>di</strong>abolico appare inevitabile oltre che ammissibile.<br />
Il tentativo <strong>di</strong> interrompere l’inesorabile ruota del tempo comporta necessariamente un<br />
fallimento ben più grande rispetto a quello che, se si fosse seguita la strada del progresso, sarebbe<br />
stato ottenuto: è una lezione, questa, che non sarà solo Adrian che con la sua storia finirà per<br />
insegnarci a sue spese; è la stessa Riforma Protestante che, sognando un ritorno alle origini del<br />
Cristianesimo, finisce per mettere in moto un meccanismo già <strong>di</strong> per sé demoniaco.<br />
Rapportare il concetto <strong>di</strong> Genio a quelli <strong>di</strong> Letteratura e Fantastico è ciò che si è cercato <strong>di</strong><br />
fare durante questa lezione e, più in generale, sarà la modalità attraverso cui ci approcceremo al<br />
testo <strong>di</strong> Giampiero Moretti.<br />
Il Genio; origine, storia, destino propone appunto un’analisi del concetto <strong>di</strong> Genialità ma, <strong>di</strong><br />
questo, partendo dalla comune idea che lo vede associato a quello <strong>di</strong> eccezionalità, prosegue in un<br />
oltrepassamento <strong>di</strong> essa.<br />
È piuttosto comune guardare alla Genialità come a qualcosa <strong>di</strong> sconfinante nella follia. Tale è<br />
l’eccezionalità del Genio che questa finisce per dare all’uomo comune la sensazione <strong>di</strong> trovarsi <strong>di</strong><br />
fronte a qualcosa <strong>di</strong> attraente ma repellente e talvolta pauroso allo stesso tempo.<br />
Il testo <strong>di</strong> Giampiero Moretti presenta, del concetto <strong>di</strong> Genio, un percorso analitico e<br />
interrogativo orientato verso due <strong>di</strong>verse modalità <strong>di</strong> approccio: tracciando una storiografia della<br />
Genialità nello sviluppo dell’Occidente non manca <strong>di</strong> interpretarne le problematiche che ne<br />
derivano.<br />
Ogni corrente letteraria ha mostrato, nel corso del tempo, un approccio <strong>di</strong>fferente nei confronti<br />
del concetto <strong>di</strong> cui ci stiamo occupando. Se da un lato vi è una letteratura cosiddetta verista, la quale<br />
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nel suo farsi specchio della società propone una narrazione fedelmente descrittiva della realtà e<br />
mostra poca attenzione verso il concetto <strong>di</strong> Genialità, dall’altro invece vi è una letteratura che a<br />
questa si oppone nel suo proporsi come eruzione <strong>di</strong> caratteri particolari – dove è appunto il<br />
sentimento dell’eccezionalità a prevalere – e che pone invece la Genialità in una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong><br />
primissimo piano.<br />
In termini storiografici è possibile inquadrare questo fenomeno <strong>di</strong> rivalutazione nel secolo che<br />
si estende dal 1750 al 1850 circa. Si tratta dello stesso secolo che fa da scenario alla nascita<br />
dell’<strong>Estetica</strong> intesa come <strong>di</strong>sciplina filosofica autonoma. Non parliamo <strong>di</strong> un’<strong>Estetica</strong> i cui unici<br />
interrogativi sono da in<strong>di</strong>viduare nel senso della Bellezza e nel destino dell’Arte: è il fenomeno della<br />
critica letteraria che inizia pian piano ad emergere. Se da un lato è bene considerare l’<strong>Estetica</strong> come<br />
<strong>di</strong>sciplina filosofica, dall’altro non è opportuno tralasciare la sua capacità <strong>di</strong> sconfinare in ogni<br />
singola arte. Pren<strong>di</strong>amo ad esempio l’<strong>Estetica</strong> della Letteratura: la sua congiunzione con la<br />
Genialità si manifesta nel suo porsi interrogativi sui fondamenti della scrittura e su quelli appunto<br />
dell’opera d’arte letteraria.<br />
Il Genio è un testo frutto del tentativo <strong>di</strong> scoprire la teoria della Genialità e l’<strong>Estetica</strong> della<br />
Letteratura come unite da un terzo elemento: tentativo che molto bene si può collocare nel secolo<br />
che, come detto, corre dal 1750 al 1850.<br />
È nella soggettività che il terzo elemento unificante viene in<strong>di</strong>viduato: ma in che modo questo<br />
si fa causa dell’unificazione? La risposta a tale quesito è da ricercarsi nelle origini della parola<br />
Genio. Eccezionalmente si tratta <strong>di</strong> un termine derivante dal latino: con «genius» i romani solevano<br />
in<strong>di</strong>care un’entità che, proprio come un angelo custode, aiuta, segue e conforta l’in<strong>di</strong>viduo con cui è<br />
nato e con cui, proprio allo stesso modo, morirà. Non si tratta <strong>di</strong> una categoria astratta bensì <strong>di</strong><br />
un’entità in<strong>di</strong>viduale e che dunque – ecco la risposta che poco più su stavamo cercando – interessa<br />
ciascuna soggettività umana.<br />
Quello che dunque nel secolo a cui stiamo facendo riferimento si verifica è un comune<br />
interessamento che, da un lato la letteratura e dall’altro la teoria della Genialità, mostrano avere nei<br />
confronti della soggettività.<br />
In ambito romano dunque Geniale è il comportamento dell’essere umano che dà retta al suo<br />
Genio; il quale Genio è però da considerarsi come figura autonoma nonostante con<strong>di</strong>vida la sua<br />
esistenza con l’essere umano che accompagna.<br />
Il percorso dell’Occidente, che proprio intorno al 1750 è portato a maturazione, vede la<br />
rivalutazione dell’entità-genio che da separata e autonoma dal soggetto <strong>di</strong>viene progressivamente<br />
parte integrante dello stesso: non si possiede più un Genio ma lo si è. È un punto <strong>di</strong> arrivo, questo<br />
rivalutativo del concetto <strong>di</strong> Genialità, che si raggiunge in un arco temporale piuttosto esteso: ci è<br />
voluto del tempo prima che l’essere umano occidentale riuscisse ad ottenere la certezza <strong>di</strong> essere il<br />
solo e unico attore dell’esistenza.<br />
Il passaggio dalla più totale passività umana (ogni cosa prodotta proviene da una forza<br />
esterna) ad un momento in cui progressivamente l’uomo pensa la Genialità come sua propria<br />
caratteristica, consente, nella storia della cultura occidentale, <strong>di</strong> tradurre il concetto <strong>di</strong> idea geniale<br />
con la possibilità tutta umana <strong>di</strong> agire con artificio. Ed è proprio questo il punto in cui va ad inserirsi<br />
l’idea <strong>di</strong> produzione, la quale si presenta come appartenente allo stesso modo sia alla Genialità che<br />
all’ingegnosità; concetti il cui rapporto molto bene esemplifica un certo tipo <strong>di</strong> ambivalenza. Quello<br />
che <strong>di</strong>fferenzia l’ingegno dal Genio rispetto al concetto <strong>di</strong> produzione è la sempre maggiore<br />
consapevolezza <strong>di</strong> una Genialità interna al soggetto che si trova ad accompagnare il concetto <strong>di</strong><br />
Genio. Il Genio, dal canto suo, tende invece a conservare un rapporto con l’esteriorità<br />
dell’in<strong>di</strong>viduo, <strong>di</strong>mensione da cui viene appunto fatta derivare ogni produzione. La stessa cosa è<br />
possibile affermare a proposito dell’ispirazione: il soggetto produce da sé ma solo nella misura in<br />
cui è qualcosa <strong>di</strong> esterno che lo induce a farlo, appunto ispirandolo.<br />
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Il passaggio che ha condotto l’uomo occidentale dalla con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> Genialità a quella<br />
d’ingegno si è verificato quando lo stesso si è mostrato maturo al punto da avere un’immagine <strong>di</strong> se<br />
stesso come soggetto autonomo e, dunque, consapevole che non vi è altro al <strong>di</strong> fuori <strong>di</strong> sé. Nel<br />
momento in cui l’essere umano si rivela in grado <strong>di</strong> dare delle leggi a se stesso egli potrà <strong>di</strong>rsi<br />
autonomo e, solo allora, soggetto. Parola chiave è dunque autonomia: essa, da caratteristica del<br />
Genio (autonomo dall’essere umano che accompagna) passa a <strong>di</strong>ventare caratteristica dell’uomosoggetto<br />
che la vede tradursi nel suo stesso ingegno.<br />
Ancora: è possibile riflettere questo processo nel fenomeno della secolarizzazione: l’uomo<br />
comincia a mostrarsi <strong>di</strong>sposto a rinunciare ad ogni esteriorità ed è nella per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> interesse per il<br />
<strong>di</strong>vino che si deve ricercare la causa <strong>di</strong> tale rinuncia. La strutturazione del soggetto non a caso si è<br />
verificata proprio in questo particolare momento della storia dell’Occidente: il sentimento del<br />
Divino assume caratteristiche sempre più legate all’interiorità dell’in<strong>di</strong>viduo.<br />
Facciamo un passo in<strong>di</strong>etro: nel Me<strong>di</strong>oevo la soggettività dell’in<strong>di</strong>viduo è sottoposta, quasi<br />
completamente, all’azione del Divino; l’essere umano interpreta se stesso come totalmente<br />
<strong>di</strong>pendente da qualcosa <strong>di</strong> esterno da sé e la porta del sovrasensibile rimane, per questa ragione,<br />
completamente spalancata.<br />
La natura pagana del concetto <strong>di</strong> Genialità è la ragione per cui Sant’Agostino si scaglia<br />
fortemente contro <strong>di</strong> esso: la colpa della Genialità è quella <strong>di</strong> frapporre qualcosa tra l’essere umano<br />
e Dio e, proprio perché legata alla paganità, essa, a detta <strong>di</strong> Agostino, non avrebbe più ragione <strong>di</strong><br />
esistere. Nel Me<strong>di</strong>oevo dunque ci si appropria della Genialità come mezzo attraverso cui è possibile<br />
scongiurare la minaccia del paganesimo.<br />
Nei termini della storia dell’arte è possibile in<strong>di</strong>viduare un momento particolare in cui si è<br />
iniziato a scorgere un primo segnale <strong>di</strong> cambiamento: la comparsa della prospettiva. Questa nuova<br />
applicazione traduce una grande conquista da parte dell’uomo occidentale, quella <strong>di</strong> pensare se<br />
stesso come soggetto che osserva il mondo e che osservandolo applica delle leggi matematicoaritmetiche.<br />
In altre parole: il soggetto ora <strong>di</strong>pinge il mondo dal suo punto <strong>di</strong> vista – l’unico ormai<br />
possibile – organizzando lo spazio in e per un occhio umano. È importante sottolineare che, benché<br />
non ne beneficiassero nelle loro esperienze artistiche, anche gli artisti me<strong>di</strong>evali conoscevano la<br />
prospettiva: quello che mancava loro era la volontà <strong>di</strong> concepire se stessi come in<strong>di</strong>pendenti dal<br />
mondo esterno, perché non ve ne era alcuna consapevolezza. Cartesio, Newton e Galilei sono<br />
certamente tappe fondamentali <strong>di</strong> quello che è stato il percorso che ha condotto ad una nuova<br />
interpretazione dei principi matematici e fisici della realtà: questi, liberati dalla sottomissione ad<br />
ogni legge <strong>di</strong>vina, possono finalmente essere considerati come appartenenti alla struttura stessa<br />
della realtà. La nuova conclusione raggiunta conduce inevitabilmente ad un’ennesima<br />
<strong>di</strong>fferenziazione tra soggetto umano e realtà naturale, quella che condurrà alla crisi del Barocco.<br />
Quest’ultimo, secolo della malinconia all’interno della quale il sapiente si trova a rapportarsi con il<br />
tempo che passa, è sede della sempre più drammatica separazione tra il creatore e il creato. Tale<br />
<strong>di</strong>stanziamento, ampliandosi sempre più, obbliga l’uomo a porsi inevitabilmente la questione circa<br />
la reale esistenza <strong>di</strong> Dio. L’epoca in tal modo inaugurata si presenta come quella che vede la<br />
religione sempre più delegata alla morale, così come la sfera del soprannaturale, ormai faccenda che<br />
riguarda solo l’artista, viene a quest’ultimo data in pasto ai fini della realizzazione della sua opera<br />
d’arte.<br />
La cultura protestante, la cui totale introiezione del Divino nell’umano può <strong>di</strong>rsi la<br />
caratteristica essenziale, fa scuola alla nuova considerazione della Genialità: è il soggetto stesso la<br />
sede in cui essa è contenuta. La contrapposizione tra Protestantesimo e Cattolicesimo segna<br />
profondamente l’uomo me<strong>di</strong>o settecentesco, il quale, trovandosi ad ere<strong>di</strong>tare entrambe le culture,<br />
può da un lato considerarsi un soggetto autonomo ma, dall’altro, soffre certamente <strong>di</strong> una<br />
<strong>di</strong>laniazione interiore, la quale viene chiaramente riflessa nell’imbarazzante tentativo kantiano <strong>di</strong><br />
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donare un’immagine unitaria dell’essere umano. L’epoca della Genialità si inaugura proprio<br />
parallelamente alla Critica del Giu<strong>di</strong>zio e al suo poco riuscito sforzo volto ad una ricomposizione<br />
umana.<br />
Romanticamente potremmo <strong>di</strong>re: il Genio ere<strong>di</strong>ta il tragico conflitto, quello che poi troverà<br />
nell’opera d’arte la sua eccellente sede. Ma la tragicità sta soprattutto nel destino che, da un lato<br />
l’artista e dell’altro l’opera d’arte, vedono riservarsi: il conflitto che si scatena in loro <strong>di</strong>viene un<br />
peso sempre più insostenibile. La follia a cui spesso giunge l’artista sembra essere proprio la<br />
conseguenza inevitabile dell’impossibilità <strong>di</strong> tollerare tutto ciò che la sua opera d’arte vorrebbe <strong>di</strong>re.<br />
Quella così ottenuta è dunque la struttura <strong>di</strong> un soggetto strappato al suo interno: quella<br />
definitivamente messa a punto, come detto, nel periodo della secolarizzazione. La psicoanalisi è<br />
un’ulteriore presa <strong>di</strong> posizione nei riguar<strong>di</strong> dell’umana lacerazione: proprio a testimonianza <strong>di</strong> un<br />
conscio separato da un inconscio, la Genialità − ormai completamente introiettata nell’in<strong>di</strong>viduo –<br />
viene fuori improvvisamente dando luogo a veri e proprio momenti <strong>di</strong> follia.<br />
Potremmo ritrovare nel fenomeno delle Avanguar<strong>di</strong>e artistiche la traduzione <strong>di</strong> questo <strong>di</strong>sagio<br />
psichico: l’incapacità dell’uomo <strong>di</strong> sopportare la sua stessa autonomia induce a sconfessare l’idea<br />
dell’artista inteso come Genio e salvatore. Il nuovo artista propone se stesso come araldo <strong>di</strong> caos e<br />
contrapposizione; elementi che invece precedentemente si cercava continuamente <strong>di</strong> smussare e<br />
racchiudere in una visione ampia dell’arte: Wagner ne è stato certamente un esempio.<br />
Il nichilismo delle Avanguar<strong>di</strong>e si mostra dunque come assoluto oppositore e <strong>di</strong>struttore <strong>di</strong><br />
tutto quello che, nell’esperienza artistica precedente, si era cercato <strong>di</strong> costruire.<br />
Pertanto: tracciare una storiografia della Genialità, che da consapevolezza e accettazione della<br />
separazione dell’essere umano dal Divino <strong>di</strong>viene nostalgia e tentativo <strong>di</strong> riavvicinamento ad esso, è<br />
quello che il testo <strong>di</strong> Giampiero Moretti si è proposto <strong>di</strong> fare.<br />
Lezione 08/03/<strong>2012</strong><br />
La nostra riflessione sul prossimo capitolo − quello quattor<strong>di</strong>cesimo – ci riporta ad uno dei<br />
concetti fondanti <strong>di</strong> tutto il romanzo <strong>di</strong> Thomas Mann: il profondo affetto che Serenus nutre per<br />
Adrian non è da questo corrisposto allo stesso modo. C’è certamente una <strong>di</strong>sparità nel rapporto che<br />
lega i due personaggi: Serenus è <strong>di</strong>sposto a seguire Adrian nel suo percorso universitario e, per<br />
farlo, non manca <strong>di</strong> accompagnarlo in alcune scelte <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o pur non con<strong>di</strong>videndo con lui la stessa<br />
facoltà. Serenus desiderava stare vicino ad Adrian, scortarlo, accompagnarlo nel suo cammino;<br />
quasi assumendosi un compito preciso, il quale però doveva scontrarsi con la consapevolezza che<br />
non ci sarebbe stato modo <strong>di</strong> veder premiato il suo lavoro. La verità con cui infatti Serenus deve<br />
fare i conti è l’impossibilità <strong>di</strong> intervenire efficacemente nella vita del suo compagno: non c’è<br />
niente che lui possa fare per evitare la piega che l’esistenza <strong>di</strong> Adrian <strong>di</strong> lì a poco avrebbe<br />
inevitabilmente preso. Tale triste consapevolezza fa in modo che, il sentimento <strong>di</strong> apprensione che<br />
Serenus nutre nei confronti <strong>di</strong> Adrian, finisca per essere accompagnato da quello della frustrazione.<br />
Il capitolo in questione ci consente inoltre, attraverso testimonianze <strong>di</strong> studenti dell’epoca, <strong>di</strong><br />
comprendere come nella prima metà del novecento in Germania il mondo accademico si ritrovò a<br />
vivere un momento <strong>di</strong> grande fermento. Si trattava infatti degli anni in cui le porte delle università<br />
iniziavano pian piano a spalancarsi verso un numero sempre più ampio <strong>di</strong> studenti e, soprattutto,<br />
sempre più ceti della società iniziarono finalmente a valutare l’ipotesi <strong>di</strong> de<strong>di</strong>carsi a stu<strong>di</strong><br />
universitari. Da qui l’incontro <strong>di</strong> studenti appartenenti ai ceti più <strong>di</strong>sparati: ragazzi <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi strati<br />
sociali iniziavano, in quegli anni, ad avvicinarsi e a relazionarsi gli uni con gli altri dando vita ad un<br />
4
fenomeno socialmente rilevante che solo in un contesto come quello universitario si poteva<br />
verificare.<br />
Frutto <strong>di</strong> questi incontri fu la fioritura <strong>di</strong> associazioni universitarie tedesche sud<strong>di</strong>vise per<br />
facoltà: cosa che molto ci <strong>di</strong>mostra come la Germania universitaria ere<strong>di</strong>tava un’esperienza<br />
me<strong>di</strong>evale molto evidente anche nel fenomeno dello stu<strong>di</strong>o itinerante. Se da un lato dunque una<br />
delle principali cause che spingevano la giovane popolazione tedesca allo spostamento era proprio<br />
lo stu<strong>di</strong>o universitario, dall’altro anche il servizio militare giocava un ruolo essenziale in questo<br />
senso. Ma se lo studente itinerante aveva la possibilità <strong>di</strong> scegliere liberamente le tappe del suo<br />
viaggio culturale, dall’altro invece il servizio militare interessava obbligatoriamente tutti i ceti –<br />
specie quelli più bassi – e precludeva ogni <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> scelta.<br />
L’associazione universitaria che coinvolge Adrian ha il nome <strong>di</strong> Winfried. Come abbiamo già<br />
detto, si trattava <strong>di</strong> associazioni sud<strong>di</strong>vise per facoltà ma, nonostante Serenus non appartenesse alla<br />
facoltà <strong>di</strong> Teologia, gli fu comunque data la possibilità <strong>di</strong> parteciparvi in veste <strong>di</strong> ospite. Il fatto che<br />
Adrian non frequentasse assiduamente l’associazione non impedì al giovane <strong>di</strong> conquistare la stima<br />
<strong>di</strong> tutti i membri: fu soprattutto la sua musicalità a riscuotere particolare successo dato che, la<br />
musica classica era uno dei principali interessi coltivati dagli studenti appartenenti a questo tipo <strong>di</strong><br />
associazioni. Non a caso la musica rappresentava anche la modalità attraverso cui Adrian riusciva a<br />
relazionarsi con i suoi compagni <strong>di</strong> associazione: era proprio suonando, piuttosto che parlando, che<br />
Adrian si rapportava agli altri.<br />
Caratteristica tra le più particolari <strong>di</strong> questo genere <strong>di</strong> associazioni era la capacità, da parte<br />
degli studenti, <strong>di</strong> organizzare autonomamente le loro attività, volte, oltre alla <strong>di</strong>scussione su<br />
tematiche <strong>di</strong> tipo filosofico, musicale e teologico, anche alla <strong>di</strong>fesa del rapporto con l’elemento<br />
naturale. L’aspetto propriamente spirituale si ritrovava associato ad uno legato alla materialità <strong>di</strong><br />
eventi come gite o passeggiate in campagna, i quali consentivano appunto ai giovani studenti <strong>di</strong><br />
coltivare il loro rapporto con la natura all’insegna dell’autenticità. Questo duplice aspetto può<br />
facilmente essere tradotto come il rispecchiamento dell’intera società tedesca dell’epoca: l’unione<br />
<strong>di</strong> aspetti spirituali ad altri materiali riusciva in essa a vivere in un amalgama che, in contesti <strong>di</strong>versi<br />
da questo non si arrivava neanche ad immaginare <strong>di</strong> poter realizzare.<br />
«Quando poi continuava a suonare inseguendo una sua idea fissa variandola e risolvendola,<br />
qualcuno degli astanti, per esempio il piccolo Probst, un vero can<strong>di</strong>dato, biondo, dai capelli<br />
piuttosto lunghi e oleosi, gli domandava: − Che cos’è? – Niente – rispose una volta scotendo<br />
brevemente il capo quasi col gesto <strong>di</strong> chi scaccia una mosca. – Come può essere niente se lo suoni?<br />
– Sta fantasticando – spiegò da inten<strong>di</strong>tore il lungo Baworinski. – Fantasticando! – esclamò Probst<br />
sinceramente spaventato, guardando con gli occhi celesti la fronte <strong>di</strong> Adrian quasi dovesse vederla<br />
ardere <strong>di</strong> febbre. [… ] − Come si fa a suonare quello che non c’è?» (cit. pag. 129-130). Mentre<br />
Adrian si esibisce al piano <strong>di</strong> fronte al pubblico dei suoi compagni <strong>di</strong> associazione uno dei presenti<br />
non riesce proprio a valutare l’ipotesi, così come Adrian <strong>di</strong>ce <strong>di</strong> star facendo, che si possa suonare<br />
fantasticando e, dunque, <strong>di</strong> non suonare qualcosa <strong>di</strong> precisamente esistente. Attraverso la risposta<br />
<strong>di</strong> Adrian all’incredulo ascoltatore, Mann intende farsi beffa <strong>di</strong> un suo tipico connazionale: la critica<br />
dell’autore sembra essere rivolta al prototipo <strong>di</strong> uomo borghese tedesco dell’epoca che egli stava<br />
vivendo. La domanda posta da Probst a proposito dell’impossibilità <strong>di</strong> suonare qualcosa <strong>di</strong><br />
inesistente apre le porte ad un problema che si avvia a <strong>di</strong>ventare <strong>di</strong> tipo linguistico e a cui Adrian<br />
riesce a dare una risposta filosofica: « − Caro Probst, tutto era niente una volta prima <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare<br />
qualcosa.» (cit. pag. 130).<br />
La <strong>di</strong>scussione tra i giovani studenti procede verso una riflessione volta a scoprire la relazione<br />
che due elementi come la natura e la musica nascondono: «La musica era molto considerata in<br />
quel circolo, sia pure in un certo modo rigoroso e imprecisato ad un tempo: vi si scorgeva un’arte<br />
<strong>di</strong>vina con la quale bisognava avere “una relazione”, una relazione romantico-religiosa, come con<br />
4
la natura: musica, natura e serena religiosità erano idee molto affini e programmatiche nel circolo<br />
Winfried ;[…]» (cit. pag. 130). La parola relazione può essere qui intesa come apertura e<br />
<strong>di</strong>sponibilità (all’ascolto): la necessità <strong>di</strong> essere dunque aperti e <strong>di</strong>sponibili ad una relazione con ciò<br />
che ci circonda, per evitare <strong>di</strong> subire una separazione dall’elemento sonoro come da quello naturale,<br />
è l’obbiettivo che più <strong>di</strong> tutti muove questa generazione <strong>di</strong> giovani universitari tedeschi, la cui<br />
formazione ha certamente avuto come punto <strong>di</strong> riferimento – ciò è evidente − due maestri come<br />
Schiller e Goethe. Difatti: l’essere umano è sì <strong>di</strong>staccato dalla natura, ma non gli è impe<strong>di</strong>to un<br />
ritorno ad essa. Si tratta <strong>di</strong> un <strong>di</strong>scorso schilleriano che dunque molto ha influenzato questi studenti<br />
nati nel 1885 circa: questa educazione consente loro <strong>di</strong> credere nell’importanza <strong>di</strong> un’apertura<br />
amichevole nei confronti <strong>di</strong> ciò che è naturale e ciò che è musicale. In altre parole: la natura è<br />
qualcosa <strong>di</strong> musicale nella misura in cui la musica è qualcosa <strong>di</strong> naturale e, l’uomo, solo imprestato<br />
alla vita della città ma originariamente legato alla vita dei campi, da giovane può godere <strong>di</strong> una<br />
apertura, ovvero <strong>di</strong> una <strong>di</strong>sponibilità, nei confronti della natura e, dunque, della musica.<br />
Così Schiller si esprime nelle sue celebri pagine: «[…] il sentimento che ci spinge ad amare la<br />
natura è così simile al sentimento con cui rimpiangiamo la perduta età dell’infanzia e<br />
dell’innocenza infantile. Essendo la nostra infanzia la sola natura integra che ancora sia possibile<br />
incontrare nell’umanità civilizzata, non c’è da stupirsi se ogni traccia della natura al <strong>di</strong> fuori <strong>di</strong> noi<br />
ci riconduce alla nostra infanzia.» 1 . E nel Doctor Faustus ecco le parole <strong>di</strong> uno degli studenti<br />
dell’associazione, il giovane Deutschlin: «A quei sorrisi conferiva qualche benevolenza o<br />
ad<strong>di</strong>rittura approvazione la nostra giovane età; e si può <strong>di</strong>re che la gioventù è il solo ponte<br />
legittimo fra il mondo borghese e il mondo della natura, uno stato preborghese dal quale deriva<br />
tutto il romanticismo studentesco, la vera e propria età romantica.» (cit. pag. 131). In questa<br />
definizione appare molto evidente la considerazione, profondamente schilleriana, che uno studente<br />
come loro aveva nei riguar<strong>di</strong> della gioventù. Quest’ultima, intesa come ponte legittimo che ha la<br />
possibilità <strong>di</strong> collegare mondo borghese con mondo naturale, è il solo ed unico momento della vita<br />
<strong>di</strong> un in<strong>di</strong>viduo in cui questi due elementi – normalmente <strong>di</strong>scordanti e separati – riescono a toccarsi<br />
senza contaminarsi reciprocamente e, dunque, senza <strong>di</strong>struggersi. In altre parole: ciò che un giovane<br />
ha la possibilità <strong>di</strong> fare, e che ad altri in<strong>di</strong>vidui invece non è possibile realizzare, è tenere<br />
concentrati dentro sé entrambi questi mon<strong>di</strong>, i quali, anziché ammalarsi fino ad uccidersi, riescono a<br />
convivere pacificamente.<br />
Alla tesi sostenuta dal collega però Adrian ne oppone una nuova e personale: «Si era partiti<br />
dal pensiero che la gioventù abbia con la natura rapporti più vicini che non l’uomo maturato in<br />
ambiente borghese; all’incirca dunque come la donna che a confronto dell’uomo sarebbe, a quanto<br />
si <strong>di</strong>ce, più vicina alla natura. Ma non sono d’accordo. Non mi pare che la gioventù abbia una<br />
particolare <strong>di</strong>mestichezza con la natura. Direi piuttosto che ne abbia un certo timore, che le sia<br />
estranea. Alla sua parte naturale l’uomo si avvezza soltanto con l’andar degli anni, e piano piano<br />
se ne dà pace. Invece proprio i giovani, intendo i giovani <strong>di</strong> qualità superiore, se ne spaventano, la<br />
<strong>di</strong>sprezzano, la osteggiano. Che cosa significa natura? Boschi e prati? Monti, alberi e laghi,<br />
bellezza dei paesaggi? Per questo ritengo che i giovani abbiano molto meno occhio che non gli<br />
uomini più anziani, più calmi. Il giovane non è molto <strong>di</strong>sposto a vedere e a godere la natura. Egli<br />
guarda piuttosto dentro <strong>di</strong> sé, è più spirituale, alieno dai sensi, secondo il mio pensiero.» (cit. pag.<br />
133-134). Lo spontaneo rapporto finora sostenuto tra gioventù, natura e musica non trova<br />
d’accordo Adrian.<br />
La gioventù, portatrice <strong>di</strong> un elemento <strong>di</strong> novità nella società borghese, si fa specchio <strong>di</strong> un<br />
elemento spontaneamente rivoluzionario: la società borghese si mostrava ben <strong>di</strong>sposta ad accogliere<br />
al suo interno la gioventù, poiché questa, con la sua novità, si considerava portatrice <strong>di</strong><br />
cambiamento. La società borghese dunque si rende conto <strong>di</strong> essere sulla via dell’invecchiamento: le<br />
1 F. Schiller, Sulla poesia Ingenua e Sentimentale, Piccola Enciclope<strong>di</strong>a SE, 2005<br />
4
sue inesorabili staticità e ripetitività però non le impe<strong>di</strong>scono <strong>di</strong> preparare dentro sé la novità<br />
giovanile. È questo il periodo in cui, proprio a proposito <strong>di</strong> ciò, iniziano a fiorire le prime ideologie<br />
socialiste e fasciste. Si tratta <strong>di</strong> movimenti interpretati come nuovi e dunque giovanili; cioè a <strong>di</strong>re:<br />
un nuovo vento <strong>di</strong> primavera che si presenta come in grado <strong>di</strong> rivoluzionare lo stato della cose. La<br />
stessa cosa si può <strong>di</strong>re in campo artistico a proposito delle cosiddette Avanguar<strong>di</strong>e.<br />
Questa la posizione ra<strong>di</strong>cale <strong>di</strong> Deutschlin il quale, ascoltata con attenzione la risposta <strong>di</strong><br />
Adrian, controbatte a sua volta: «Esser giovani vuol <strong>di</strong>re essere primitivi, essere rimasti vicini alle<br />
scaturigini della vita, poter insorgere e scrollare le pastoie d’una civiltà sopravvissuta, osare quello<br />
che gli altri non hanno l’ar<strong>di</strong>re <strong>di</strong> fare, cioè <strong>di</strong> rituffarsi nella elementarità. Il coraggio giovanile è<br />
lo spirito del “muori e <strong>di</strong>venta”, la coscienza della morte e della rinascita.» (cit. pag. 135). In<br />
questa affermazione è ar<strong>di</strong>re la parola che più <strong>di</strong> tutte risulta essenziale ai fini <strong>di</strong> una nostra<br />
interpretazione: l’ar<strong>di</strong>mento, a cui la gioventù è costantemente sottoposta, finisce per rappresentare<br />
il destino <strong>di</strong> <strong>di</strong>struzione che, inevitabilmente, è riservato ad ogni popolo. Ma non si tratta <strong>di</strong> una<br />
tragicità senza ritorno: proprio come una fenice che rinasce dalle sue ceneri, la gioventù è <strong>di</strong>sposta a<br />
morire per poi <strong>di</strong>ventare; <strong>di</strong>ventare qualcosa <strong>di</strong> nuovo, qualcosa che cambia. È importante non<br />
<strong>di</strong>menticare però che è ancora una volta lo spettro della Riforma Protestante ad aver avviato una<br />
riflessione <strong>di</strong> questo tipo: questi giovani tedeschi universitari – non a caso studenti <strong>di</strong> Teologia –<br />
rappresentano la rivolta giovanile <strong>di</strong> una nuova chiesa contrapposta a quella vecchia cristiana.<br />
Ma Adrian non è come loro: egli non è destinato a trasformarsi in borghese puro e semplice.<br />
Diversamente dai suoi giovani colleghi, Adrian non potrà mai <strong>di</strong>menticare le riflessioni, lo scambio<br />
<strong>di</strong> opinioni e i <strong>di</strong>scorsi che lo stanno coinvolgendo in questo momento, poiché lui, <strong>di</strong>versamente da<br />
loro, perduta la giovinezza, non finirà mai per rientrare nel mondo borghese che si sta criticando. Il<br />
destino <strong>di</strong> Adrian è quello <strong>di</strong> essere il vero rivoluzionario della musica: sarà lui ad inserire<br />
l’elemento della <strong>di</strong>ssonanza nell’armonia musicale. Il nostro protagonista è destinato ad affrontare<br />
l’elemento demoniaco e ra<strong>di</strong>cale della sovversione.<br />
«− I russi – fece Deutschlin in tono sentenzioso – hanno profon<strong>di</strong>tà ma non hanno forma. Gli<br />
occidentali hanno forma, ma sono senza profon<strong>di</strong>tà. L’una e l’altra le abbiamo soltanto noi<br />
tedeschi.» (cit. pag. 141). Da questa affermazione risulta molto chiaro che gli studenti tedeschi<br />
avevano un qualche tipo <strong>di</strong> rapporto che li legava alla situazione vissuta in Russia. Ciò che<br />
all’epoca si verificava tra gli studenti russi era una vera e propria migrazione verso la Germania:<br />
coloro i quali non stu<strong>di</strong>avano a San Pietroburgo – città certamente più occidentalizzata in Russia −<br />
decidevano <strong>di</strong> farlo proprio tra il popolo tedesco. Studenti russi e tedeschi dunque molto facilmente<br />
si trovavano a socializzare e ad instaurare dei rapporti personali.<br />
Nella citazione appena riportata ritroviamo utilizzata un certo tipo <strong>di</strong> terminologia filosofica<br />
che certamente non può passare inosservata: la <strong>di</strong>alettica <strong>di</strong>stintiva che è presentata tra i due<br />
concetti <strong>di</strong> forma e profon<strong>di</strong>tà ci consente <strong>di</strong> cogliere la maniera originale attraverso cui si<br />
evidenzia la <strong>di</strong>fferenza tra russi, occidentali e, in ultima analisi, tedeschi. I primi, primeggiano per<br />
profon<strong>di</strong>tà ma peccano per mancanza <strong>di</strong> forma mentre i secon<strong>di</strong> si ritrovano nella con<strong>di</strong>zione<br />
opposta. Gli unici che − sempre a detta <strong>di</strong> Deutschlin – hanno la capacità <strong>di</strong> trovare un equilibrio<br />
tra questi due elementi sono proprio i tedeschi; gli stessi che il giovane studente, a proposito <strong>di</strong><br />
questo, non fa rientrare neanche nella schiera degli occidentali. Questa complessa argomentazione è<br />
essenzialmente volta ad interpretare il tentativo <strong>di</strong> allargarsi verso est e l’invasione da parte <strong>di</strong> altri<br />
popoli che coinvolgeva la Germania in quel tempo può rappresentare un aiuto in questo senso.<br />
Memori della più essenziale interpretazione del romanzo che abbiamo più volte sostenuto – il<br />
destino del nostro Adrian inteso come destino dell’intero popolo tedesco – paragoniamo la<br />
solitu<strong>di</strong>ne della Germania ancora una volta a quella del protagonista del Doctor Faustus. Ciò che<br />
spesso capita al solitario è <strong>di</strong> sentirsi minacciato e, a testimonianza <strong>di</strong> ciò, la Germania durante le<br />
guerre mon<strong>di</strong>ali avverte certamente un certo tipo <strong>di</strong> minaccia da parte degli altri popoli. Quella che<br />
4
dunque si è realizzata tra il popolo tedesco, in risposta a questa minaccia, è stata l’organizzazione <strong>di</strong><br />
una sorta <strong>di</strong> contro movimento.<br />
Alla fine del quattor<strong>di</strong>cesimo capitolo Serenus con<strong>di</strong>vide assieme al lettore il preannunciarsi <strong>di</strong><br />
un’importante decisione che, <strong>di</strong> lì a poco, Adrian avrebbe definitivamente preso: «Già dall’inizio<br />
del second’anno notai da certi sintomi che il mio amico intendeva <strong>di</strong> interrompere lo stu<strong>di</strong>o della<br />
teologia prima <strong>di</strong> dare il primo esame.» (cit. pag. 144). Infatti sarà proprio nel capitolo seguente che<br />
Adrian lascerà Halle per <strong>di</strong>rigersi a Leipzig (attuale Lipsia) e qui inaugurare un nuovo percorso <strong>di</strong><br />
stu<strong>di</strong>.<br />
Sarà un incontro in particolare che consentirà ad Adrian <strong>di</strong> decidere definitivamente <strong>di</strong> lasciare<br />
i suoi stu<strong>di</strong> teologici per de<strong>di</strong>carsi completamente alla musica: quello con Kretzschmar.<br />
Quest’ultimo, unica personalità ad avere un certo tipo <strong>di</strong> influenza sul nostro protagonista, scambia<br />
con Adrian una serie <strong>di</strong> lettere che segneranno il percorso che condurrà alla decisione finale.<br />
Serenus ci racconta <strong>di</strong> queste lettere nel quin<strong>di</strong>cesimo capitolo.<br />
Conosciuta la scelta <strong>di</strong> Adrian Serenus ancora una volta manifesta la doppia natura dei suoi<br />
sentimenti verso il compagno. Se da un alto è infatti contento che questi abbia lasciato gli stu<strong>di</strong><br />
teologici − perché aveva in fondo sempre saputo che non era certo quello il destino dell’amico −<br />
dall’altro invece inizia a temere, quasi come un presentimento, che l’elemento musicale sarebbe<br />
stato quello che, successivamente, avrebbe condotto Adrian alla sua inesorabile <strong>di</strong>sgrazia.<br />
All’apprensione in Serenus ora si affiancano allo stesso tempo felicità e timore.<br />
Il trasferimento definitivo a Lipsia da parte <strong>di</strong> Adrian ha luogo nella parte finale del capitolo e,<br />
nel se<strong>di</strong>cesimo invece, si narrano episo<strong>di</strong> che vedono il giovane protagonista alle prese con<br />
situazioni per lui del tutto nuove. In uno <strong>di</strong> questi episo<strong>di</strong> si presenta l’occasione <strong>di</strong> avvicinare la<br />
figura <strong>di</strong> Adrian a quella <strong>di</strong> Nietzsche. Dopo essere stato condotto da un tassista in una casa <strong>di</strong><br />
tolleranza, Adrian si mette a suonare ad un pianoforte per scongiurare la situazione <strong>di</strong> imbarazzo in<br />
cui si era ritrovato. Ad un tratto una <strong>di</strong> quelle donne gli si avvicina e gli sfiora la guancia con il suo<br />
braccio nudo. Il giovane, per la prima volta alle prese con un mondo − quello femminile − che fino<br />
a quel momento era stato per lui del tutto estraneo, scappa.<br />
Il braccio nudo della donna che sfiora la guancia <strong>di</strong> Adrian si fa specchio delle <strong>di</strong>ta che,<br />
suonando il pianoforte, alternano suoni forti ad altri piani: proprio come Adrian ha suonato il<br />
pianoforte, la donna ha suonato Adrian e, pur se la reazione non è stata proprio quella che ci si<br />
aspettava, Serenus si <strong>di</strong>ce essere certo che il suo compagno sarebbe senz’altro ritornato in quel<br />
luogo.<br />
Lezione 15/03/<strong>2012</strong><br />
Nel XVII capitolo Serenus confessa al lettore le impressioni che la lettura della lettera <strong>di</strong><br />
Adrian gli ha suscitato. Quello del protagonista è stato un vero e proprio sforzo <strong>di</strong> confidenza: la<br />
parte centrale della lettera – l’incontro con la donna che gli sfiorato la guancia con il suo braccio<br />
nudo – viene quasi come posto in secondo piano rispetto al resto degli aneddoti raccontati a<br />
Serenus. Il tentativo <strong>di</strong> <strong>di</strong>ssimulare l’emblematico episo<strong>di</strong>o non riesce assolutamente: Adrian sa<br />
bene che un lettore come Serenus non potrebbe mai essere confuso e <strong>di</strong>stolto dal comprendere il<br />
vero nucleo <strong>di</strong> tutto il racconto. Serenus non avrà alcuna <strong>di</strong>fficoltà a cogliere la centralità<br />
dell’evento che Adrian gioca a mascherare.<br />
L’operazione <strong>di</strong> nascon<strong>di</strong>mento operata da Adrian segue un certo tipo <strong>di</strong> proce<strong>di</strong>mento<br />
artistico-letterario preciso e non poco frequente nelle scelte <strong>di</strong> un artista. È piuttosto comune infatti<br />
che un pittore, uno scultore, un letterato o un musicista decida <strong>di</strong> nascondere nella sua<br />
4
composizione qualcosa che solo pochi eletti saranno in grado <strong>di</strong> percepire. Si tratta <strong>di</strong> elementi<br />
nascosti a cui viene fatto rivestire il ruolo <strong>di</strong> segnali particolari dati in pasto al pubblico: l’autore<br />
suggerisce una verità che solo alcuni componenti del suo vasto pubblico riusciranno a cogliere; gli<br />
stessi che posseggono la giusta sensibilità, la quale traduce un’ affinità che li lega al destinatario del<br />
messaggio criptato.<br />
Ancora un volta il riferimento al linguaggio della nuova liturgia protestante sembra essenziale<br />
tanto da essere paragonato alle scelte linguistiche fatte da Adrian, volte alla sua operazione <strong>di</strong><br />
nascon<strong>di</strong>mento consapevole: «Per me era chiaro: il linguaggio usato ai tempi della riforma era<br />
stato scelto per la sua affinità storica col campo religioso in una lettera che doveva quell’aneddoto.<br />
Senza questo gioco come si sarebbe potuto scrivere la frase che pur doveva essere scritta: “pregate<br />
per me!” ? Non si può immaginare un migliore esempio <strong>di</strong> citazione che serva a coprire, <strong>di</strong> paro<strong>di</strong>a<br />
che faccia da pretesto. E poco prima c’è un’altra definizione che già alla prima lettura mi mise un<br />
brivido nelle membra e non ha niente a che vedere con l’umorismo, ma possiede anzi un timbro<br />
decisamente mistico, dunque religioso: la definizione “inferno <strong>di</strong> voluttà”.» (cit. pag. 166).<br />
Il gesto dello sfioramento del braccio nudo della donna si fa simbolo <strong>di</strong> una promessa <strong>di</strong> una<br />
sessualità sconfinata. Si tratta <strong>di</strong> un gesto che si lascia alle spalle ogni pu<strong>di</strong>cizia per celare al suo<br />
interno una decisa ambiguità, quella che vede l’elemento della carne come assoluto protagonista.<br />
Tra nascon<strong>di</strong>menti e <strong>di</strong>ssimulazioni Adrian descrive il carattere sessuale <strong>di</strong> quello sfioramento, la<br />
cui straor<strong>di</strong>naria forza lo costrinse, dopo averlo ricevuto, a scappare via da quella per lui insolita<br />
situazione. Il carattere <strong>di</strong> cui si sta parlando può per certi aspetti <strong>di</strong>rsi simile a quelle estasi<br />
tipicamente attribuite a figure <strong>di</strong> sante: posto <strong>di</strong> fronte a quelle statue o a quei <strong>di</strong>pinti lo spettatore<br />
potrà facilmente cogliere l’ambiguità <strong>di</strong> quell’esperienza. Appunto come poco prima <strong>di</strong>cevamo: è il<br />
corpo a garantire quest’ambiguità. La santa infatti necessita del corpo per percepire l’estasi, la quale<br />
a sua volta è percezione del Divino. In altre parole: quello che inevitabilmente viene ad inserirsi<br />
nell’esperienza estatica è un certo elemento peccaminoso.<br />
L’esperienza della santa in estasi si fa specchio <strong>di</strong> quella <strong>di</strong> Adrian alle prese con quel falso<br />
pu<strong>di</strong>co sfioramento: la riflessione sul doppio e ambiguo aspetto del corpo è quella che coinvolge<br />
Serenus nelle pagine che stiamo leggendo. Il nostro narratore infatti finisce per ritrovarsi in una<br />
situazione <strong>di</strong> ansia e irritazione: sa che il suo giovane amico non può <strong>di</strong>fendersi <strong>di</strong> fronte a quella<br />
donna e, a testimonianza <strong>di</strong> ciò, si rammarica <strong>di</strong> non averlo potuto proteggere; cosa che da sempre<br />
aveva desiderato fare.<br />
«Le nature come quella <strong>di</strong> Adrian non hanno molta “anima”.» (cit. pag. 169). Con questa<br />
citazione si introduce la tra<strong>di</strong>zionale tripartizione della cultura occidentale che vede l’anima<br />
rivestire un ruolo <strong>di</strong> cesura. Essa, interposta tra corpo e spirito, ha il potere <strong>di</strong> preservare dal<br />
conflitto <strong>di</strong> questi due elementi. Come una sorta <strong>di</strong> cuscinetto, l’anima si frappone tra essi<br />
garantendo una protezione dall’altrimenti irrime<strong>di</strong>abile opposizione. La mancanza <strong>di</strong> anima <strong>di</strong><br />
Adrian finisce per caratterizzare il giovane come estremista nel suo essere completamente spirito o,<br />
viceversa, completamente corpo. Quello che succede alle persone che godono <strong>di</strong> una maggiore<br />
spiritualità è <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare più facilmente prigioniere dei piaceri della corpo quando si avvicinano ad<br />
essi. Proprio come accade al nostro Adrian infatti: la mancanza <strong>di</strong> anima traduce l’impossibilità <strong>di</strong><br />
trovarsi in una situazione interme<strong>di</strong>a ed equilibrata tra corpo e spirito; quella che manca è la<br />
capacità <strong>di</strong> muoversi liberamente tra queste due nature umane.<br />
L’essere umano in quanto corpo non potrà mai essere totalmente spirituale: non si potrà mai<br />
prescindere dal corpo ma, semmai, lo si potrà fare dallo spirito. Ciò che dunque l’anima ha il<br />
compito <strong>di</strong> fare è <strong>di</strong> dare al corpo una forma spirituale e, viceversa, dare allo spirito una<br />
configurazione fisica. Questo sarà quello che ad Adrian, nella sua estremizzazione, non sarà<br />
concesso <strong>di</strong> ottenere.<br />
4
«Per me Adrian non era sfuggito, e solo transitoriamente, questo è certo, si considerò tale. La<br />
superbia dello spirito aveva subito il trauma dell’incontro con l’istinto privo <strong>di</strong> anima. Adrian<br />
doveva ritornare nel luogo dove l’imbroglione l’aveva condotto.» (cit. pag. 170). È questa la<br />
considerazione con cui Serenus decide <strong>di</strong> chiudere il capitolo: il narratore si <strong>di</strong>ce essere certo del<br />
fatto che il suo compagno sarebbe tornato lì per incontrare colei che lo aveva sfiorato, colei che gli<br />
avrebbe fatto perdere la certezza <strong>di</strong> essere capace <strong>di</strong> governare la sua carne. Adrian dovrà fare i<br />
conti con la mancanza <strong>di</strong> un’anima intesa come plasmatrice e zona interme<strong>di</strong>a: non c’è niente che<br />
potrà farsi carico del conflitto del suo spirito e del suo corpo; l’ opposizione che si produrrà sarà<br />
causa del totale abbandono della superbia dello spirito <strong>di</strong> Adrian: il gesto dello sfioramento (in<br />
apparenza pu<strong>di</strong>co e delicato) ha piantato nel nostro protagonista i semi <strong>di</strong> una potentissima<br />
battaglia: quella che lo avvicinerà alla rivalutazione della sua capacità <strong>di</strong> governare i bisogni della<br />
carne.<br />
«Da tempo non era più un principiante dello stu<strong>di</strong>o della musica, mestiere stranamente<br />
cabalistico, giocoso a un tempo severo, ingegnoso e profondo, quando a Lipsia si sottomise <strong>di</strong><br />
nuovo alla <strong>di</strong>rezione, alla guida, alla sorveglianza <strong>di</strong> Wendell Kretzschmar. I suoi rapi<strong>di</strong> progressi<br />
accelerati da un’intelligenza che afferrava tutto al volo […]» (cit. pag. 171). Queste parole sono<br />
quelle con cui Serenus descrive al lettore la particolare intelligenza del suo compagno Adrian. Si<br />
tratta <strong>di</strong> una genialità anticipatrice, la quale gode della possibilità <strong>di</strong> precorrere i tempi, <strong>di</strong> afferrare<br />
ancor prima degli altri i segni dell’innovazione.<br />
Il capitolo in questione è il XVIII: in queste pagine tutti i rami della professione del<br />
compositore sono delineati e, come si vedrà nella lettura, sono molteplici i termini legati alla teoria<br />
musicale che incontreremo.<br />
Prima <strong>di</strong> de<strong>di</strong>carci più nello specifico alla parte tecnica è bene decifrare alcune delle<br />
espressioni che Serenus utilizza in questo capitolo.<br />
Nell’immagine del dente morto, ad esempio, si intende racchiudere una tra<strong>di</strong>zione che, seppur<br />
superata, non deve mai essere <strong>di</strong>menticata dal compositore. Gli stu<strong>di</strong> musicali che proprio in quel<br />
momento stanno coinvolgendo il nostro Adrian sono orientati proprio in questa <strong>di</strong>rezione. Le teorie<br />
da questi apprese vengono applicate nella sua prima composizione: Luci sul mare. Benché non ci<br />
sia ovviamente possibile ascoltare tale composizione, non è <strong>di</strong>fficile immaginare che è proprio al<br />
cosiddetto filone del dente morto che essa appartiene: è una composizione che, profondamente<br />
tra<strong>di</strong>zionale, rientra tra quelle che non hanno nulla <strong>di</strong> nuovo da <strong>di</strong>re. Nonostante la mancanza <strong>di</strong><br />
novità, è necessario sottoporre al novello compositore lo stu<strong>di</strong>o e l’applicazione <strong>di</strong> tali tecniche:<br />
sarà solo così che si potrà ottenere la padronanza dei meto<strong>di</strong> compositivi della composizione; la<br />
quale padronanza risulterà necessaria ai fini del raggiungimento dell’innovazione: «Non per questo<br />
lo stu<strong>di</strong>o dell’orchestrazione sotto la guida <strong>di</strong> Kretzschmar fu per lui meno impegnativo: era infatti<br />
d’accordo con quest’ultimo che si debba saper dominare le conquiste già fatte, anche se non si<br />
considerano più come essenziali; e una volta mi <strong>di</strong>sse che il compositore il quale, sazio<br />
dell’impressionismo orchestrale, non impari più la strumentazione, gli faceva l’effetto <strong>di</strong> quel<br />
dentista che non stu<strong>di</strong>a più il modo <strong>di</strong> curare le ra<strong>di</strong>ci e torna in<strong>di</strong>etro a fare il cavadenti, perché si<br />
è scoperto che i denti morti possono provocare il reumatismo articolare.» (cit. pag. 173). Ecco il<br />
paragone da cui è possibile trarre l’espressione dente morto: recidere la tra<strong>di</strong>zione e, dunque,<br />
ignorarla impe<strong>di</strong>rebbe il preservare l’interezza <strong>di</strong> un patrimonio; custo<strong>di</strong>re la tra<strong>di</strong>zione sarà sempre<br />
il miglior modo per evitare <strong>di</strong> commettere errori poiché, la perfetta conoscenza <strong>di</strong> quelle passate<br />
esperienze, consentirà appunto un altrettanto perfetta dominazione <strong>di</strong> esse.<br />
4
«È un brano <strong>di</strong> squisita onomatopea che rivela uno stupefacente senso <strong>di</strong> miscele sonore<br />
affascinanti e quasi indecifrabili alla prima au<strong>di</strong>zione; sicchè il pubblico ben allenato scorse nel<br />
giovane autore un molto intelligente continuatore della linea Debussy-Ravel.» (cit. pag. 173). È<br />
questa la descrizione che Serenus ci offre <strong>di</strong> Luci sul mare: si tratta <strong>di</strong> una composizione che può<br />
essere inserita nella linea che unisce Debussy a Ravel; in cui inoltre si fa uso <strong>di</strong> una certa timbrica<br />
degli strumenti che la compongono: le espressioni miscele sonore e squisita onomatopea ci aiutano<br />
a comprenderne più facilmente il senso <strong>di</strong> tale operazione.<br />
Capolavoro <strong>di</strong> splendore coloristico orchestrale: con questa successiva espressione, con cui<br />
Serenus ancora prova a far intendere la natura della composizione <strong>di</strong> Adrian, si introduce<br />
un’ulteriore riflessione, stavolta a proposito della cosiddetta pittura sonora o paesaggio musicale.<br />
Quello che Adrian, e prima <strong>di</strong> lui Debussy e Ravel, sono stati in grado <strong>di</strong> fare è <strong>di</strong> offrire un vero e<br />
proprio caleidoscopio sonoro attraverso cui descrivere – o forse è meglio <strong>di</strong>re evocare – atmosfere<br />
particolari ispirandosi a motivi extramusicali.<br />
Musorgskij, Parry, Stravinskij e Strauss sono altri dei maestri che si sono cimentati in<br />
esperimenti descrittivo-evocativi <strong>di</strong> questo tipo: mare, spiaggia e tempesta sono solo alcuni degli<br />
elementi paesaggistici che hanno chiaramente ispirato le loro sinfonie orchestrali.<br />
Tali esperienze <strong>di</strong> paesaggi musicali sono le stesse che, <strong>di</strong> lì a poco, introdurranno l’idea della<br />
musica scritta per l’accompagnamento <strong>di</strong> film: nascerà il più moderno fenomeno della colonna<br />
sonora.<br />
Come abbiamo precedentemente scritto: trattandosi <strong>di</strong> una parte propriamente legata alla teoria<br />
musicale, durante la lettura del XVIII capitolo incontreremo alcuni termini particolarmente tecnici<br />
e, ai fini <strong>di</strong> un approccio facilitato verso <strong>di</strong> essi, inseriamo uno schema che potrà aiutarci in questo<br />
senso, lo stesso che ha sopportato questa lezione:<br />
Polifonia e Contrappunto<br />
Polifonia: in senso etimologico, in<strong>di</strong>ca la musica formata da 2 o più linee melo<strong>di</strong>che che<br />
suonano simultaneamente. È il contrario <strong>di</strong> omofonia (corale) e <strong>di</strong> mono<strong>di</strong>a (in<strong>di</strong>viduale o corale).<br />
Le linee melo<strong>di</strong>che simultanee sono in relazione tra loro secondo dei rapporti che costituiscono<br />
l’aspetto contrappuntistico della composizione.<br />
Contrappunto: è la tecnica e il metodo della composizione polifonica. Tecnica della<br />
<strong>di</strong>sposizione delle parti tra loro, il complesso delle relazioni che le lega, le varie combinazioni<br />
possibili. Il termine risale al sec. XIII quando la singola nota aveva nome punctus. Pertanto il<br />
termine contrappunto significa punctus contra punctum, cioè nota contro nota, combinazione<br />
simultanea <strong>di</strong> suoni <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferente altezza, durata, ecc.<br />
I mezzi costruttivi della musica polifonica sono:<br />
- contrappuntistici: ci si serve <strong>di</strong> un tema sul quale “si contrappunta” un’altra parte costruita con<br />
un suo materiale ritmico e melo<strong>di</strong>co in<strong>di</strong>pendente (→ Corale figurato)<br />
- imitativi: ci si serve degli elementi melo<strong>di</strong>ci e ritmici del tema per “contrappuntarlo” (→ forma<br />
del Canone)<br />
- dalla riunione dei due mezzi, nasce la più importante forma polifonica: la Fuga.<br />
Le forme contrappuntistiche sono: il Canone, il doppio Canone, l’Invenzione, il Ricercare, la<br />
Fuga, la Composizione sul corale.<br />
cap. XVIII<br />
4
● «esercitazioni nel contrappunto»: nell’allievo, l’insegnamento del Contrappunto mira a:<br />
- sviluppare il senso dello svolgimento lineare orizzontale della composizione;<br />
- addestrarlo a comporre e a combinare più parti reali, le quali hanno, nonostante i vincoli<br />
d’assieme, hanno una loro autonomia.<br />
● Fantasia sinfonica<br />
Fantasia: composizione strumentale generalmente destinata a strumenti; risale all’imitazione dei<br />
canti liturgici e del mottetto. Nel XVII secolo non risponde ad un determinati tipo formale.<br />
Successivamente in<strong>di</strong>ca composizioni in cui vi è la tendenza a negare una forma prestabilita, senza<br />
per questo rinunciare a principi <strong>di</strong> una sua costruzione interna; si caratterizza per una certa libertà<br />
nell’elaborazione e nella <strong>di</strong>sposizione del materiale ritmico e melo<strong>di</strong>co.<br />
Tipica del secolo XIX è la Fantasia per orchestra (sinfonica): ispirata più o meno <strong>di</strong>rettamente<br />
al patrimonio musicale <strong>di</strong> determinati paesi (Finlan<strong>di</strong>a, Norvegia, Scozia).<br />
A. L. Luci sul mare<br />
linea Claude Debussy (1862-1918) – Maurice Ravel (1875-1937): raffinata evocazione <strong>di</strong><br />
atmosfere esotiche; presenza <strong>di</strong> arcaismi; uso <strong>di</strong> miscele timbriche; brillantezza coloristica;<br />
caleidoscopio sonoro. Tendenza “descrittiva” della musica – a programma (tra<strong>di</strong>zione del poema<br />
sinfonico)<br />
coesistenza <strong>di</strong> composizioni come:<br />
Fantasia orchestrale Una notte sul monte Calvo (1867, 1875) <strong>di</strong> Modest Musorgskij (1839-<br />
1881)<br />
La riunione delle streghe<br />
Il corteo <strong>di</strong> Satana<br />
La glorificazione <strong>di</strong> Satana<br />
Il Sabba<br />
L'alba<br />
Symphony-Fantasy (1912) <strong>di</strong> Charles Parry (1848-1918)<br />
Scherzo fantastique (1907-8) <strong>di</strong> Igor Stravinskij (1882-1971)<br />
Fantasia sinfonica per grande orchestra Aus Italien (1886) <strong>di</strong> Richard Strauss (1864-1949)<br />
I movimento: Dalla Campania<br />
II movimento: Nelle rovine <strong>di</strong> Roma<br />
III movimento: Sulla spiaggia <strong>di</strong> Sorrento<br />
I V movimento: Vita popolare napoletana<br />
Alborada del Gracioso (1918) <strong>di</strong> Ravel<br />
Lezione 22/03/<strong>2012</strong><br />
«Di questo momento parlo mentre, non senza tremore, non senza una stretta al cuore, vengo a<br />
narrare il fatale avvenimento che si verificò circa un anno dacché avevo ricevuto a Naumburg la<br />
lettera <strong>di</strong> Adrian sopra riportata, poco più <strong>di</strong> un anno dopo il suo arrivo a Lipsia e dopo la sua<br />
4
prima visita alla città della quale mi parlava in quella lettera – dunque non molto tempo prima che<br />
io, congedato dal servizio militare, lo raggiungessi e lo trovassi esteriormente immutato ma in<br />
realtà segnato, colpito dal dardo del destino.» (cit. pag. 175). Siamo al XIX capitolo: è trascorso un<br />
anno e Serenus rivede Adrian, il quale gli sembra apparentemente immutato. In realtà Adrian era<br />
stato sfiorato e molto era cambiato in seguito a quell’episo<strong>di</strong>o: «Ho detto che Adrian ritornò nel<br />
luogo dov’era stato trascinato da un cinico emissario. Ora si vede che ciò non avvenne molto<br />
presto; anzi per un anno intero l’orgoglio dello spirito tenne testa alla ferita ricevuta, e io ho<br />
sempre trovato una specie <strong>di</strong> conforto nel fatto che, soccombendo al puro appetito che<br />
malignamente lo aveva toccato, egli non era stato privo <strong>di</strong> ogni velame spirituale e <strong>di</strong> ogni<br />
nobilitazione umana, velame e nobilitazione che scorgo in ogni sia pur cruda fissazione della<br />
concupiscenza su un oggetto determinato e in<strong>di</strong>viduale; li scorgo infatti nella scelta, anche se<br />
questa sia involontaria e sfacciatamente provocata dal suo oggetto.» (cit. pag. 176). Parola chiave<br />
<strong>di</strong> quest’intera citazione è certamente fissazione, il cui termine corrispondente nella versione<br />
tedesca è FIXIERUNG. Si tratta <strong>di</strong> una parola che molto bene esplicita la situazione in cui Adrian<br />
si è ritrovato in seguito a quello sfioramento: c’è stato qualcosa che poggiandosi delicatamente sulla<br />
sua pelle ha preso sempre più consistenza, fino a fissarsi indelebilmente. Quello che il gesto <strong>di</strong><br />
Esmeralda – nome immaginario con cui Adrian inizia a chiamare la ragazza – ha fatto non è stato<br />
colpire il nostro protagonista: ciò che colpisce è solitamente un qualcosa <strong>di</strong> meno materiale,<br />
qualcosa <strong>di</strong> vagamente <strong>di</strong>vino, qualcosa che non si fissa e perciò qualcosa come uno sguardo:<br />
aleatorio nel suo essere mancante <strong>di</strong> concretezza. La carezza <strong>di</strong> Esmeralda è stato uno sfioramento<br />
che, rimasto incollato alla pelle <strong>di</strong> Adrian, lo ha riformato con la promessa <strong>di</strong> un contatto<br />
ravvicinato. Non c’è nulla <strong>di</strong> <strong>di</strong>vino e <strong>di</strong> immateriale: quello che apparentemente può sembrare un<br />
contatto innocente è in realtà un’impronta fissa che è impossibile da allontanare. Il pensiero <strong>di</strong><br />
Adrian è costantemente rivolto verso Esmeralda: quando deciderà <strong>di</strong> tornare nella casa in cui<br />
l’aveva incontrata scoprirà l’infelice verità: «In una casa laggiù, infatti era stata sbattuta colei<br />
della quale egli portava con sé il contatto, dato ch’ella aveva dovuto abbandonare il luogo<br />
precedente per un cura ospedaliera; e nella sua nuova <strong>di</strong>mora il perseguitato riuscì a trovarla.»<br />
(cit. pag. 176). Esmeralda è in cura a Presburgo ed Adrian non ha scelta: il perseguitato non potrà<br />
fare a meno <strong>di</strong> cercarla, per amore.<br />
«[…] amore e veleno <strong>di</strong>ventarono una volta per sempre una tremenda unità <strong>di</strong> esperienza,<br />
<strong>di</strong>ventarono cioè quell’unità mitologica e filosofica che si concreta nel dardo.» (cit. pag. 177). Non<br />
vi è più alcuna possibilità <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguere l’aspetto benevolo da quello malevolo. La promessa <strong>di</strong><br />
unione <strong>di</strong> Adrian ed Esmeralda si ricopre <strong>di</strong> un’aura ambigua nel suo essere inscin<strong>di</strong>bile nelle parti<br />
che la compongono.<br />
«Dalle labbra <strong>di</strong> Adrian ella seppe che quel viaggio lo aveva fatto apposta per lei, e gliene fu<br />
grata, invitandolo a guardarsi dal suo corpo. Lo so da parte <strong>di</strong> Adrian: essa lo invitò a stare in<br />
guar<strong>di</strong>a. Non è questo invito equivalente ad una confortante <strong>di</strong>stinzione fra la superiore umanità<br />
della creatura e la sua parte fisica caduta nel fango e avvilita a miserabile oggetto? La sventurata<br />
pervenne l’uomo che la voleva, compiendo un atto <strong>di</strong> libera elevazione spirituale al <strong>di</strong> sopra della<br />
sua pietosa esistenza fisica, un atto <strong>di</strong> <strong>di</strong>stacco umano, un atto <strong>di</strong> commozione, <strong>di</strong> – mi sia concessa<br />
la parola – <strong>di</strong> amore.» (cit. pag. 177). Esmeralda avverte Adrian <strong>di</strong> essere malata e Serenus sembra<br />
quasi volerla assolvere dai suoi peccati: la ragazza si illumina <strong>di</strong> una nuova luce, acquista positività.<br />
Adrian è consapevole dei pericoli ai quali sta andando incontro, ma non ci sarà modo <strong>di</strong> <strong>di</strong>stoglierlo<br />
dalla volontà <strong>di</strong> congiungersi alla sua Esmeralda.<br />
Attraverso questo episo<strong>di</strong>o Thomas Mann intende ricalcare la simile esperienza <strong>di</strong> Nietzsche:<br />
non è pura e semplice volontà <strong>di</strong> annientamento quella che muove Adrian verso la malattia che<br />
certamente contrarrà in seguito all’unione con la ragazza. L’apparente desiderio <strong>di</strong> danneggiare se<br />
stesso deve in realtà essere letto come la ricerca <strong>di</strong> un accesso al negativo: non è autolesionismo.<br />
4
Adrian scorge nella malattia <strong>di</strong> Esmeralda la possibilità <strong>di</strong> accedere al male. La ricerca del contatto<br />
fisico traduce appunto il tentativo <strong>di</strong> penetrare in un mondo negativo, quello <strong>di</strong> cui Adrian aveva<br />
sentito le avvisaglie a partire dallo sfioramento del braccio nudo <strong>di</strong> Esmeralda. Sarà un contatto che<br />
renderà possibile il colloquio con il Demonio e, ancora, la rivoluzione musicale che il nostro<br />
protagonista sta inseguendo. In altre parole: la conoscenza del male può condurre alla rivoluzione,<br />
ma paradossalmente, il tentatore cerca <strong>di</strong> allontanarlo per salvaguardare la salute dell’ormai<br />
irrime<strong>di</strong>abilmente tentato Adrian. È tar<strong>di</strong> ormai: nel momento in cui lo ha sfiorato Esmeralda ha<br />
scatenato la fissazione <strong>di</strong> Adrian: la ragazza non sapeva ancora <strong>di</strong> essere malata.<br />
Ciò che <strong>di</strong>stingue questo episo<strong>di</strong>o dal chiarissimo riferimento biblico (il Demonio che tenta<br />
Adamo servendosi <strong>di</strong> Eva) è certamente l’ambiguità delle parti che compongono la narrazione: se<br />
nella Bibbia bene e male sono chiaramente <strong>di</strong>stinguibili, qui, come <strong>di</strong>cevamo poco più su, amore e<br />
veleno sono intrecciati in un nodo impossibile da sciogliere. Si tratta dell’ambigua tragicità che<br />
appartiene ad ogni vicenda umana: è anche il bene ad essere contenuto all’interno <strong>di</strong> questo<br />
tremendo rapporto umano.<br />
«Non ho mai potuto pensare senza un brivido religioso a quell’amplesso nel quale l’uno<br />
sacrificò la propria salute e l’altra la trovò.» (cit. pag. 177). La parola usata da Thomas Mann nella<br />
versione originale tedesca per tradurre salute è HEIL: è salvezza l’esatta traduzione italiana <strong>di</strong><br />
questa parola. Questa scelta testimonia molto chiaramente come l’elemento religioso sia essenziale<br />
ai fini dell’interpretazione <strong>di</strong> questo tragico episo<strong>di</strong>o: attraverso la congiunzione tra Adrian ed<br />
Esmeralda non avviene solo la per<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> lui, ma anche una sorta <strong>di</strong> ristabilimento <strong>di</strong> lei. Lo<br />
scambio tra i due, che sembra andare tutto a sfavore <strong>di</strong> Adrian, conduce in realtà al trapasso <strong>di</strong> un<br />
elemento positivo che dal nostro protagonista giunge alla ragazza malata. L’immagine che Mann ci<br />
propone <strong>di</strong> Esmeralda non è certo quella <strong>di</strong> una creatura notturna che attira a sé Adrian come per<br />
inghiottirlo.<br />
Un ulteriore paragone biblico per fare luce sulla natura <strong>di</strong> questa ragazza: proprio come Giuda<br />
che è costretto a tra<strong>di</strong>re Cristo pur amandolo immensamente, Esmeralda è il male necessario, la<br />
figura in chiaroscuro che, in tutta la sua ambiguità, è costretta a sacrificare il bene nel nome della<br />
rivoluzione. La fissazione che abbiamo detto appartenere ad Adrian fin dal momento dello<br />
sfioramento finisce per essere trasmessa anche alla musica: il congiungimento dei due ragazzi porta<br />
alla nascita della nuova musica del nostro protagonista, appunto, alla rivoluzione.<br />
Dopo essersi unito alla ragazza Adrian compone quella cifra sonora: si, mi, la, do, la bemolle<br />
che significa Esmeralda. Si tratta <strong>di</strong> note che in tedesco si traducono con H, E, A, E, Es: etera<br />
Esmeralda.<br />
Accortosi della malattia contratta, Adrian decide <strong>di</strong> farsi curare ma ai due me<strong>di</strong>ci a cui si<br />
dovrebbe affidare spetta un curioso destino: il primo perde la vita e il secondo viene<br />
misteriosamente arrestato. Si tratta <strong>di</strong> una contaminazione che dunque sembra non essere destinata<br />
alla cura e, lentamente, dal fisico si estende anche allo spirito. Una volta trapassata nella sfera<br />
spirituale del nostro protagonista, la malattia sembra aver lasciato il corpo, il quale sembra risanarsi<br />
autonomamente. Il nuovo spirito malato dona ad Adrian la forza <strong>di</strong> liberare la <strong>di</strong>ssonanza: attraverso<br />
Esmeralda egli trova accesso al demoniaco nella misura in cui il demoniaco attraverso la musica <strong>di</strong><br />
Adrian trova accesso al mondo.<br />
È bene precisare che, nonostante Adrian sia <strong>di</strong>pinto come un rivoluzionario, la sua intenzione<br />
non è quella <strong>di</strong> condurre la musica in avanti verso l’ignoto: la sua rivoluzione è paradossalmente<br />
un’operazione <strong>di</strong> ritorno ad un classicismo ormai andato perduto. Adrian punta alla riscoperta della<br />
musica sacra: intende recuperare lo spirito originariamente religioso della musica classica e il<br />
Demonio gli dà gli strumenti per farlo. Ma, come è ovvio, il suo tentativo è destinato all’inevitabile<br />
naufragio: lì dove si inserisce l’elemento demoniaco il risultato non può che essere <strong>di</strong>sastroso.<br />
5
La conseguenza della fissazione <strong>di</strong> Adrian, che segnerà il suo destino, è trasposta da Mann sul<br />
piano della situazione politica dell’epoca in cui scrive Serenus: così come Adrian aveva cercato una<br />
via verso il progresso riportando la musica in<strong>di</strong>etro alle sue origini, la Germania nazional-socialista<br />
aveva cercato <strong>di</strong> mandare avanti la storia evocando il suo originario passato.<br />
Nel XX capitolo si racconta <strong>di</strong> una compagnia che Adrian inizia a frequentare, la stessa che fa<br />
da scenario alle prime riflessioni e composizioni musicali del protagonista. In questo capitolo<br />
emerge un nuovo ed interessante protagonista: Schildknapp. Serenus si <strong>di</strong>lunga parecchio nella<br />
descrizione <strong>di</strong> questo e, dalle sue parole, è possibile scorgere una punta <strong>di</strong> invi<strong>di</strong>a e gelosia a causa<br />
del rapporto che il nuovo personaggio si avvia ad instaurare con Adrian. Ancora una volta dunque si<br />
palesa l’elemento ambiguo che abbiamo già visto caratterizzare molto l’affetto che Serenus nutre<br />
per il suo <strong>di</strong>sgraziato amico.<br />
Ci sono cose che il nuovo arrivato possiede, grazie alle quali riesce ad entrare in affinità con il<br />
protagonista, e che a Serenus mancano del tutto ma solo perché si tratta <strong>di</strong> somiglianze biologiche:<br />
«Non ho ancora detto che i suoi occhi avevano esattamente lo stesso colore <strong>di</strong> quelli <strong>di</strong> Adrian. Era<br />
un tratto comune assai singolare: il medesimo colore, misto <strong>di</strong> grigio, celeste e verde, e tutti e due<br />
avevano persino un identico anello color ruggine intorno alle pupille, per quanto ciò possa<br />
sembrare strano. A me è sembrato sempre, e, <strong>di</strong>rei quasi, per mia tranquillità, che l’amicizia<br />
ridanciana <strong>di</strong> Adrian per Schildknapp avesse a che fare con quell’uguaglianza degli occhi – come a<br />
<strong>di</strong>re che <strong>di</strong>pendeva da una non-<strong>di</strong>fferenza altrettanto profonda quanto serena. Non occorrerà<br />
aggiungere che si chiamavano sempre col cognome e si davano del lei. Se anche io non ero in<br />
grado <strong>di</strong> <strong>di</strong>vertire Adrian come lo sapeva <strong>di</strong>vertire Schildknapp, il tu dell’infanzia fra lui e me era<br />
però il vantaggio che avevo sullo slesiano. » (cit. pag. 196-197). Alla somiglianza biologica<br />
descritta da Serenus si affianca però anche l’allegria che caratterizzava il rapporto tra Adrian e<br />
Schildknapp: la risata con<strong>di</strong>visa tra i due li avvicina maggiormente proprio nel nome <strong>di</strong> quei<br />
caratterizzanti scoppi <strong>di</strong> risa che entrambi erano soliti fare. Ma è l’elemento biologico che Serenus<br />
intende esaltare: ammette <strong>di</strong> tranquillizzarsi all’idea che ciò che lega il suo amico al nuovo arrivato<br />
è solo un’inevitabile somiglianza biologica. La sua gelosia si rivela <strong>di</strong> fatto inutile e non c’è niente<br />
che Serenus possa fare se non arrendersi <strong>di</strong> fronte ad un’inevitabile ed irrime<strong>di</strong>abile affinità. Il<br />
modo in cui Serenus conclude la citazione appena riportata presenta certamente qualcosa del<br />
riven<strong>di</strong>cativo linguaggio femminile: nonostante le risate e l’affinità biologicamente data, era sempre<br />
e solo a Serenus che Adrian dava del tu, nel nome della vecchia e più profonda amicizia.<br />
Non-<strong>di</strong>fferenza è l’espressione italiana che il traduttore decide <strong>di</strong> sostituire all’<br />
INDIFFERENZ tedesco: il colore degli occhi è percepito da Serenus come uno sfondo in<strong>di</strong>stinto,<br />
un qualcosa <strong>di</strong> uniforme, <strong>di</strong> non <strong>di</strong>fferente piuttosto che <strong>di</strong> in<strong>di</strong>fferenziato.<br />
Nel capitolo successivo – quello XXI – si riprende il personaggio <strong>di</strong> Helene (moglie <strong>di</strong><br />
Serenus) e il narratore ci ricorda ancora una volta che è la guerra a fare da scenario ai giorni in cui<br />
si sta de<strong>di</strong>cando alla scrittura della biografia del suo <strong>di</strong>sgraziato amico.<br />
Nello stesso capitolo Serenus ci racconta la sorpresa che Kretzschmar fece ad Adrian quando,<br />
durante uno spettacolo a Graz, il maestro fece inserire tra le sinfonie in programma anche Luci sul<br />
mare. La reazione <strong>di</strong> Adrian è certamente quella che qualunque artista, letterato o musicista, non<br />
può evitare <strong>di</strong> avere trovandosi nella medesima situazione. Quando un’opera viene data, per certi<br />
aspetti, in pasto al pubblico, l’autore non può fare a meno <strong>di</strong> agitarsi; <strong>di</strong> sentire la sua creatura<br />
lentamente scivolare dalle sue mani; sentire <strong>di</strong> perderla. Paragonabile a quella che dei genitori<br />
provano quando un figlio inizia ad uscire da solo, quest’agitazione è inevitabile: i figli − così come<br />
l’opera d’arte – hanno un destino <strong>di</strong>verso, un destino che necessariamente li separerà da chi li ha<br />
portati alla luce.<br />
«In ogni opera c’è molta apparenza; anzi si potrebbe <strong>di</strong>re <strong>di</strong> più e affermare che è apparente<br />
in se stessa come “opera”. Essa ha l’ambizione <strong>di</strong> far credere che non è stata fatta, ma che è nata e<br />
5
sorta come Pallade Atena, nell’ornato completo delle sue armi cesellate, dalla testa <strong>di</strong> Giove. Ma<br />
questa è un’illusione. Mai un’opera si è presentata così: essa è lavoro, lavoro artistico, e ha per<br />
fine l’apparenza, sicchè vien fatto <strong>di</strong> chiedersi se allo stato attuale della nostra coscienza, della<br />
nostra conoscenza, del nostro senso della verità, questo giuoco sia ancora lecito, ancora<br />
spiritualmente possibile, ancora da prendersi sul serio, se l’opera come tale, la forma autonoma<br />
armonica e in sé conchiusa abbia ancora qualche relazione legittima con la mancanza completa <strong>di</strong><br />
sicurezza e <strong>di</strong> armonia, con la problematicità delle nostre con<strong>di</strong>zioni sociali, e se qualsiasi<br />
apparenza, anche la più bella e proprio la più bella, non sia oggi <strong>di</strong>ventata menzogna.» (cit. pag.<br />
208). In questo punto del capitolo Thomas Mann si serve della parole <strong>di</strong> Serenus per consentire il<br />
trapelamento del suo pensiero: l’opera d’arte ci appare come spontanea e naturale perché è proprio<br />
questo il suo obbiettivo: fingere <strong>di</strong> essere tale. È apparenza la parola chiave: in tedesco tradotta con<br />
SCHEIN; laddove ER-SCHEIN-UNG si rende con fenomeno. In realtà è l’elemento tecnico del<br />
costruito ad essere in primo piano: è arrivato il momento <strong>di</strong> smetterla <strong>di</strong> pensare ipocritamente<br />
l’opera come ingenua nel suo essere spontanea e naturalmente ottenibile. Dietro questa polemica fa<br />
capolino la figura <strong>di</strong> Mahler, la cui musica si contrad<strong>di</strong>stinse proprio per il suo costante tentativo <strong>di</strong><br />
ottenere l’innocenza dell’opera d’arte. L’estrema ricerca <strong>di</strong> tale innocenza conduce inevitabilmente<br />
ad un rovesciamento nel suo esatto opposto; si ottiene ciò che si voleva fortemente e <strong>di</strong>speratamente<br />
evitare: la più assurda peccaminosità.<br />
Lezione 29/03/<strong>2012</strong><br />
Nel capitolo XXI abbiamo visto essersi spianata la via per la rivoluzione che <strong>di</strong> lì a poco<br />
Adrian avrebbe provocato: si iniziano a percepire i primi germi del fenomeno della dodecafonia.<br />
Non è verso il futuro che gli occhi <strong>di</strong> Adrian sono in<strong>di</strong>rizzati: la rivoluzione, fedele alla sua<br />
componente utopica, si mostra essere tesa verso un passato, verso il recupero <strong>di</strong> un’antichità.<br />
L’antichità a cui aspira Adrian si fa portavoce dell’autentico rapporto che legava uomo e mondo,<br />
quello da cui scaturiva, appunto, una musica autentica. Quello che interessa Adrian è dunque il<br />
recupero consapevole <strong>di</strong> quell’autenticità.<br />
Recupero e consapevolezza sono parole che certamente non siamo soliti ritrovare accostate<br />
tra loro: l’autentico è immaginato come qualcosa che proviene dallo spontaneo e non dal recupero<br />
<strong>di</strong> ciò che è già stato. Dire che qualcosa è stato recuperato equivale a <strong>di</strong>re che esso non è spontaneo:<br />
la rottura <strong>di</strong> un’armonia non si riesce ad ipotizzarla come qualcosa <strong>di</strong> riparabile e <strong>di</strong> riportabile<br />
all’autentica e spontanea situazione originale. L’autenticità e la spontaneità su cui stiamo riflettendo<br />
sono le stesse che, in ambito musicale, possono <strong>di</strong>rsi essere appartenute alle composizioni classiche.<br />
È il fenomeno della storicità dell’essere umano: il cambiamento conduce all’abbandono <strong>di</strong> un<br />
qualcosa che, in seguito, si mostrerà quasi impossibile da recuperare. Il tentativo <strong>di</strong> recuperare il<br />
passato <strong>di</strong>venta, proprio nel nome <strong>di</strong> questa impossibilità, qualcosa <strong>di</strong> paro<strong>di</strong>stico.<br />
«Un giorno o, meglio, una notte, il mio povero amico si fece dare notizie più precise su questi<br />
accenni da labbra spaventevoli, da un orribile coa<strong>di</strong>utore. Di ciò esiste il verbale e a suo luogo ne<br />
darò comunicazione. Per me è stato il vero commento e la vera spiegazione <strong>di</strong> quel terrore istintivo<br />
che le frasi <strong>di</strong> Adrian suscitavano nel mio cuore. Ma quella che più sopra ho chiamato “la paro<strong>di</strong>a<br />
dell’innocenza”, quante volte ebbe a manifestarsi fin dall’inizio delle sue produzioni!» (cit. pag.<br />
209). Con queste parole Serenus introduce l’episo<strong>di</strong>o dell’incontro tra Adrian e il Demonio, orribile<br />
coa<strong>di</strong>utore dalle labbra spaventevoli. L’espressione paro<strong>di</strong>a dell’innocenza è resa in tedesco con la<br />
seguente traduzione: TRAVESTIE DER UNSCHULD. TRAVESTIE rende «travestimento»: vi è<br />
l’obbiettivo <strong>di</strong> creare in chi vede un senso <strong>di</strong> confusione. La paro<strong>di</strong>a dell’innocenza applicata alla<br />
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musica vuole in<strong>di</strong>care dunque l’operazione <strong>di</strong> recupero e il riferimento a motivi musicali antichi da<br />
parte del compositore, il quale intende ripresentarli travestendoli con un nuovo abbigliamento.<br />
Conciati in questo modo gli antichi motivi musicali suoneranno all’orecchio dell’ascoltatore come<br />
innocenti composizioni. Ma l’innocenza è in realtà illusoria: si tratta <strong>di</strong> un travestimento, <strong>di</strong><br />
un’innocenza che in realtà viene totalmente a mancare, proprio come accade per il tipico<br />
comportamento <strong>di</strong>abolico. Siamo giunti così all’inganno: la <strong>di</strong>mensione dell’ambiguità è garantita<br />
dall’operazione dell’atto <strong>di</strong> presentare qualcosa <strong>di</strong>versamente da come è, così da consentirne<br />
l’approvazione. L’operazione <strong>di</strong> recupero a cui mira Adrian però non si arrende affatto a<br />
quest’inganno: egli cerca l’innocenza vera, quella rimasta spontanea ed autentica nonostante il<br />
<strong>di</strong>stacco dei tempi.<br />
Thomas Mann sostiene la necessità <strong>di</strong> una corruzione a cui ogni arte è inevitabilmente<br />
sottoposta: l’ambiguità <strong>di</strong> partenza è essenziale ai fini della realizzazione <strong>di</strong> un’opera d’arte. Non vi<br />
è possibilità <strong>di</strong> pensare un’arte e il suo rispettivo artista come privi dell’elemento ambiguo: si tratta<br />
<strong>di</strong> una velatura <strong>di</strong> corruzione che all’interno del romanzo si traduce nel riferimento alla carne, alla<br />
sensualità: allo sfioramento del braccio nudo <strong>di</strong> Esmeralda. È la sensibilità dell’opera d’arte ciò che<br />
le consente <strong>di</strong> entrare in rapporto con l’essere umano: il corpo è l’assoluto protagonista <strong>di</strong> questa<br />
con<strong>di</strong>visione. La morte è l’ultimo anello <strong>di</strong> questa catena: la sensibilità e la sensualità dell’uomo<br />
come dell’opera d’arte sono elementi che, nella prospettiva del pensiero dell’opera d’arte in<br />
Occidente, sono messi in relazione con questo elemento umano per eccellenza. In altre parole:<br />
quando Adrian si mette alla ricerca <strong>di</strong> Esmeralda è anche quel tratto <strong>di</strong> ambiguità che abbiamo detto<br />
essere tipicamente ricondotto alla carne che egli intende scovare: il protagonista sa che ne va della<br />
sua produzione artistica, della sua imminente rivoluzione.<br />
Nel XXII capitolo si narrano le nozze della sorella <strong>di</strong> Adrian: in questo apparentemente non<br />
appropriato scenario si avvia ad inserirsi il <strong>di</strong>scorso sulla dodecafonia.<br />
«Ciò che mi piaceva per istinto in tutta la faccenda era a sua volta una cosa istintiva e<br />
ingenuamente concordante con lo spirito della musica: era la comica volontà <strong>di</strong> costituire una<br />
specie <strong>di</strong> legge, <strong>di</strong> componimento rigoroso. […] avremmo bisogno <strong>di</strong> un padrone sistematico, d’un<br />
maestro <strong>di</strong> oggettività e <strong>di</strong> organizzazione che fosse abbastanza geniale da fondere gli elementi<br />
ricostruen<strong>di</strong>, e persino gli arcaici con quelli rivoluzionari. […] una promessa <strong>di</strong> rime<strong>di</strong>o in<br />
un’epoca <strong>di</strong> convenzioni <strong>di</strong>strutte e <strong>di</strong> <strong>di</strong>ssolvimento <strong>di</strong> tutti gli obblighi oggettivi: nel senso,<br />
insomma, <strong>di</strong> una libertà che incomincia a depositarsi come golpe sull’ingegno e a rivelare in<strong>di</strong>zi <strong>di</strong><br />
sterilità.» (cit. pag. 219). Libertà e rigore sono due parole che sembrano escludersi<br />
reciprocamente: quello che Adrian cerca invece <strong>di</strong> fare è trovare il modo <strong>di</strong> realizzare una<br />
composizione capace <strong>di</strong> tenerle unite. Con la parola sterilità, d’altra parte, Serenus <strong>di</strong>chiara la sua<br />
perplessità <strong>di</strong> fronte ad un eventuale successo del suo compagno: l’unione della libertà e del rigore<br />
<strong>di</strong>fficilmente potrebbe condurre alla produzione <strong>di</strong> qualcosa; per Serenus è pura sterilità ciò a cui<br />
l’accordo forzato <strong>di</strong> questi due elementi contrastanti è destinato a portare. Il fatto che un<br />
ragionamento <strong>di</strong> questo tipo avvenga proprio nel momento in cui si è impegnati nei festeggiamenti<br />
<strong>di</strong> un matrimonio (in seguito al quale ci si aspetta ovviamente una nascita) è senza dubbio curioso: è<br />
una scelta <strong>di</strong> Mann determinata dalla volontà <strong>di</strong> facilitare la riflessione sul concetto <strong>di</strong> sterilità, la<br />
quale in un contesto <strong>di</strong> questo tipo può, secondo l’autore, rendere al meglio.<br />
È un’idea <strong>di</strong> compositore musicale inteso come legislatore quella che emerge in queste pagine<br />
del romanzo: non c’è niente <strong>di</strong> più rigoroso <strong>di</strong> una legge, <strong>di</strong> qualcosa che non ammette eccezioni. La<br />
libertà, dal canto suo, in totale opposizione al concetto <strong>di</strong> rigore ricorda molto facilmente quello <strong>di</strong><br />
fantasia. Ma la separazione non deve avvenire: la composizione musicale appare riuscita nella<br />
misura in cui il compositore si mostra rigoroso e coerente nei confronti dell’or<strong>di</strong>ne imposto nella<br />
sua stessa composizione. Deve essere legato dalla voluta costrizione all’or<strong>di</strong>ne: dunque libero. È<br />
un maestro d’oggettività e <strong>di</strong> organizzazione quello capace <strong>di</strong> realizzare un’opera d’arte che si<br />
5
ispetti; un maestro arcaico nel suo essere vicino all’origine, ma rivoluzionario nel suo ripresentarla<br />
(l’origine) in vesti innocenti e autentiche. Adrian riuscirà ad incarnare la figura <strong>di</strong> maestro intesa in<br />
questo senso: il Demonio è lì pronto ad offrirgli il suo aiuto.<br />
Johann Sebastian Bach può certo <strong>di</strong>rsi l’esempio più calzante della figura <strong>di</strong> maestro che<br />
stiamo delineando: arcaico esecutore <strong>di</strong> una musica considerata classica nella storia della musica<br />
europea, egli riveste allo stesso tempo anche il ruolo <strong>di</strong> rivoluzionario per la forte scossa alla<br />
tra<strong>di</strong>zione che fu in grado <strong>di</strong> dare aprendo ad un’età classica intesa in senso nuovo. La figura <strong>di</strong><br />
Bach può in un certo senso essere accostata a quella <strong>di</strong> Lutero: entrambi possono infatti essere<br />
considerati maestri <strong>di</strong> oggettività e <strong>di</strong> organizzazione; laddove l’organizzazione della materia<br />
musicale non è da considerarsi esclusivamente un accostamento <strong>di</strong> note bensì – come ci insegna<br />
Adorno − una decantazione dello spirito che prende la forma <strong>di</strong> una composizione.<br />
L’oggettività <strong>di</strong> cui Adrian era alla ricerca si concede al protagonista proprio nell’attimo in cui<br />
lo fa Esmeralda: il nome della donna racchiuso nelle cinque note composte da Adrian in seguito alla<br />
loro unione incarna perfettamente l’oggettività: etera Esmeralda. Thomas Mann fa coincidere il<br />
contenuto oggettivo per eccellenza, la vita, con l’opera d’arte musicale; ma è solo una la con<strong>di</strong>zione<br />
che può condurre a tale risultato. La sublimazione della vita in nota musicale, in composizione<br />
ascoltabile, può verificarsi solo con il contatto carnale tra uomo e donna. L’etera Esmeralda prende<br />
Adrian e lo ancora alla realtà, accompagnandolo per mano verso l’ingresso alla vita oggettiva,<br />
quella <strong>di</strong> cui ha bisogno ogni compositore. Si tratta <strong>di</strong> un cammino verso cui Adrian può<br />
incamminarsi solo dopo l’accostamento alla sensualità della sua donna, quest’ultima certamente la<br />
più antica ispiratrice dell’uomo: colei che consente all’artista <strong>di</strong> accedere all’oggettività della vita e<br />
<strong>di</strong> plasmarla nell’arte. Ma non è stata sempre la sensualità ad essere considerata il mezzo attraverso<br />
cui l’uomo poteva vedersi la strada spianata dalla sua musa: ambiguità, corruzione e carnalità non<br />
possono certo <strong>di</strong>rsi caratteristiche attribuibili ad un’ispiratrice come Beatrice, donna angelicata che<br />
tanto gentil e tanto onesta pare. Eppure a Dante la strada verso l’oggettivazione della sua vita in<br />
arte non sembra <strong>di</strong> certo essere rimasta inaccessibile. È evidente che dunque in ogni epoca<br />
l’umanità si è <strong>di</strong>stinta in questo senso; ciò che non è mutato però è stato il ruolo <strong>di</strong> me<strong>di</strong>atrice e <strong>di</strong><br />
ispiratrice che, da sempre, è nella Donna che riusciamo a scorgere l’unica interprete possibile. Ma<br />
Adrian rinuncia alla spiritualità intesa come valenza priva <strong>di</strong> corpo: Beatrice <strong>di</strong>venta Esmeralda: la<br />
spiritualità si fa carne.<br />
Tornando a Bach: la sede dell’oggettività della vita, e poi dell’arte (in questo caso della<br />
musica) non è da riscontrarsi unicamente nelle sue composizioni. È ogni nota, ogni esempio <strong>di</strong><br />
composizione musicale, il contenitore dell’oggettività.<br />
«[…] bisognerebbe procedere oltre e coi do<strong>di</strong>ci gra<strong>di</strong> dell’alfabeto temprato dei semitoni<br />
formare parole più lunghe, parole <strong>di</strong> do<strong>di</strong>ci lettere, determinate combinazioni e interrelazioni dei<br />
do<strong>di</strong>ci semitoni, formazioni <strong>di</strong> serie dalle quali il brano, il singolo tempo o tutta un’opera in più<br />
tempi dovrebbero essere rigorosamente derivati. Ogni tono dell’intera composizione, tanto dal<br />
punto <strong>di</strong> vista melo<strong>di</strong>co quanto da quello armonico, dovrebbe mostrare il suo rapporto con questa<br />
predeterminante serie fondamentale. Nessuno dovrebbe ritornare prima che tutti gli altri siano<br />
apparsi; nessuno dovrebbe entrare in scena prima <strong>di</strong> aver compiuto la sua funzione <strong>di</strong> motivo nella<br />
costruzione totale. Non ci sarebbe più nessuna nota libera: e questa io la chiamerei una<br />
composizione rigorosa.» (cit. pag. 222). È esattamente questo il punto della riflessione in cui va ad<br />
inserirsi il fenomeno della dodecafonia. Si tratta <strong>di</strong> un metodo pensato per organizzare la<br />
composizione musicale tramite le do<strong>di</strong>ci note unite le une con le altre. L’organizzazione delle note<br />
per accor<strong>di</strong> viene meno: si punta ad una modalità <strong>di</strong> accostamento per così <strong>di</strong>re più “democratica”;<br />
si elimina ogni rischio <strong>di</strong> sovrapposizione: si giunge ad una esecuzione singolare delle note, la quale<br />
garantisce una perfetta equiparazione tra <strong>di</strong> esse.<br />
5
Quello che per il classico compositore si <strong>di</strong>ce tema musicale per il compositore dodecafonico<br />
è detto invece sequenza <strong>di</strong> note. Dal gruppo delle do<strong>di</strong>ci note se ne estrapolano alcune da inserire<br />
nelle varie serie musicali che comporranno l’intera composizione dodecafonica.<br />
«[…]oltre che come serie fondamentale si potrebbe servirsene per sostituire a ciascuno dei<br />
suoi intervalli quello che ha la <strong>di</strong>rezione contraria. Oltre a ciò si potrebbe incominciare la figura<br />
con l’ultimo suono e concluderla col primo, e capovolgere poi anche questa forma. Eccoti quattro<br />
mo<strong>di</strong>, che a loro volta si possono trasportare su tutti i do<strong>di</strong>ci <strong>di</strong>versi suoni iniziali della scala<br />
cromatica, <strong>di</strong> modo che la composizione può <strong>di</strong>sporre <strong>di</strong> quarantotto forme <strong>di</strong>verse.» (cit. pag. 223).<br />
L’idea <strong>di</strong> utilizzare necessariamente tutte e do<strong>di</strong>ci le note della scala cromatica lo stesso numero <strong>di</strong><br />
volte per scongiurare ogni rischio <strong>di</strong> <strong>di</strong>sparità tra i suoni porta con sé il dubbio ovvio <strong>di</strong><br />
un’inevitabile monotonia. Un compositore dodecafonico <strong>di</strong>rebbe che non può esserci errore più<br />
grossolano: sono ben quarantotto le <strong>di</strong>verse possibilità <strong>di</strong> combinazione delle do<strong>di</strong>ci note che<br />
abbiamo a nostra <strong>di</strong>sposizione; non c’è alcun rischio <strong>di</strong> scadere nella monotonia. La citazione<br />
appena riportata ci presenta le quattro modalità attraverso cui è possibile ottenere queste ricchissime<br />
combinazioni: la serie da cui si sceglie <strong>di</strong> cominciare è detta originale; da questa è possibile<br />
procedere con il moto inverso (dalla serie originale, capovolgendola e rovesciando la <strong>di</strong>rezione<br />
degli intervalli), con il moto retrogrado (esponendo le note della serie dall’ultima alla prima) e<br />
ancora in ultimo con il moto retrogrado inverso (la serie retrograda <strong>di</strong> quella inversa).<br />
La vera rivoluzione procurata dalla dodecafonia è proprio la modalità <strong>di</strong>versa attraverso cui<br />
ora si decide <strong>di</strong> accostare le note tra loro; la struttura, l’in<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong> tempi, i valori <strong>di</strong> durata e le<br />
note stesse appartengono ancora alla tra<strong>di</strong>zione e da sole non costituiscono alcuna innovazione.<br />
L’ascolto <strong>di</strong> una composizione dodecafonica appare all’orecchio dell’ascoltatore come priva <strong>di</strong><br />
melo<strong>di</strong>a: l’obbiettivo <strong>di</strong>venta quello <strong>di</strong> eludere ogni regola contrappuntistica e l’orecchio percepisce<br />
il totale smantellamento della tonalità. Mentre il contrappunto aveva la pretesa <strong>di</strong> un miglioramento<br />
del mondo attraverso la correzione dei suoni naturali in suoni ideali, la dodecafonia intende sottrarre<br />
ogni tipo <strong>di</strong> rapporto moderno tra uomo e mondo recuperando <strong>di</strong>abolicamente il primitivo: si ottiene<br />
in questo modo una sorta <strong>di</strong> pre-rapporto in cui però, paradossalmente, uomo e Dio non hanno<br />
alcuna possibilità <strong>di</strong> incontrarsi. Schönberg, alias Adrian, attraverso questa operazione sarà riuscito<br />
ad accostare libertà e rigore evitando ogni rischio <strong>di</strong> sterilità.<br />
Lezione 12/04/<strong>2012</strong><br />
Siamo giunti alla parte centrale del nostro romanzo: i capitoli XXIII, XXIV e XXV – quelli <strong>di</strong><br />
cui ci occuperemo oggi – rivestono un ruolo <strong>di</strong> primissimo piano all’interno della vicenda.<br />
Il XXV, più nello specifico, è quello in cui si racconta l’incontro <strong>di</strong> Adrian con il Demonio: la<br />
scelta <strong>di</strong> <strong>di</strong>sporlo praticamente al centro del volume traduce certamente, da parte <strong>di</strong> Mann, la<br />
volontà <strong>di</strong> evidenziarne il valore. I capitoli che precedono, dal canto loro, rivestono invece un ruolo<br />
centrale nella misura in cui sono stati pensati dall’autore come preparatori <strong>di</strong> quell’evento: i capitoli<br />
dal I al XXIV inaugurano un tragitto <strong>di</strong> avvicinamento, quello che il lettore è chiamato a percorrere<br />
prima <strong>di</strong> giungere alla meta del XXV.<br />
«Il documento del quale si è fatto ripetuto cenno in questi fogli, lo scritto segreto <strong>di</strong> Adrian,<br />
che dopo la sua <strong>di</strong>partita è venuto nelle mie mani ed è custo<strong>di</strong>to come un tesoro caro e terribile,<br />
eccolo qui.» (cit. pag. 257). Quelle appena riportate sono le parole con cui Serenus decide <strong>di</strong> aprire<br />
il XXV capitolo: è la parola documento quella che il narratore decide <strong>di</strong> utilizzare per presentare la<br />
storia segreta del suo compagno; il lettore non può essere certo dell’autenticità dei fatti che gli<br />
5
vengono presentati: Serenus invece, pur sperando che siano del tutto falsi ed inventati, sa bene che<br />
Adrian non ha affatto giocato <strong>di</strong> fantasia scrivendo quel documento.<br />
Come detto: i precedenti ventiquattro capitoli rivestono un ruolo preparatorio alla lettura <strong>di</strong><br />
questo documento: il raggruppamento <strong>di</strong> coincidenze che pongono Adrian nella <strong>di</strong>rezione del<br />
cammino che lo condurrà proprio lì, al documento del capitolo XXV. L’intera vicenda ruota intorno<br />
a questo capitolo centrale: il costante prelu<strong>di</strong>o al documento che ci presenta Serenus da parte dei<br />
precedenti capitoli ci suggerisce proprio questa conclusione.<br />
Non si tratta però <strong>di</strong> un capitolo <strong>di</strong> svolta: non vi è alcun colpo <strong>di</strong> scena a cui il lettore viene<br />
sottoposto. Anzi, messo <strong>di</strong> fronte agli eventi particolari e a quelle prospettive, il lettore si accorgerà<br />
<strong>di</strong> non esserne affatto sorpreso: i ventiquattro capitoli ci hanno preparato e informato tanto che, quei<br />
fatti, non sono più in grado <strong>di</strong> stupirci. Thomas Mann è perfettamente consapevole <strong>di</strong> tale<br />
mancanza: egli fa in modo che non ci sia alcun effetto sorpresa perché mosso dall’interesse <strong>di</strong><br />
allontanare ogni rischio <strong>di</strong> <strong>di</strong>strazione del lettore dalla tragicità del destino del nostro protagonista.<br />
Ma è lo stesso Adrian ad essere stato ampiamente preparato a quell’incontro: il Demonio<br />
punta il <strong>di</strong>to contro il protagonista: è stato Adrian ad evocarlo, e lo ha fatto durante tutto l’arco della<br />
sua esistenza. Sono tanti gli in<strong>di</strong>zi che conducono lo stesso lettore verso questa <strong>di</strong>rezione: l’amore<br />
per l’ambiguità – che abbiamo visto come il protagonista abbia ere<strong>di</strong>tato dal padre attratto da quelle<br />
creature a metà tra il regno animale e quello minerale – si traduce nell’esperienza musicale <strong>di</strong><br />
Adrian, il quale mostra dunque una sorta <strong>di</strong> predestinazione: il suo talento deve essere interpretato<br />
come innato o come il frutto dell’ambiente in cui, sin da piccolissimo, egli ha respirato?<br />
Ma torniamo ai capitoli preparatori. Il XXIII presenta al lettore una serie <strong>di</strong> accenni e<br />
descrizioni <strong>di</strong> alcuni particolari personaggi. Si tratta <strong>di</strong> personalità con cui Mann intende tradurre<br />
quel fenomeno culturale che, intorno alla fine dell’ottocento, coinvolse la società <strong>di</strong> Monaco <strong>di</strong><br />
Baviera. Quello che si verificò in quel contesto è un tentativo <strong>di</strong> rinnovamento culturale, ottenibile<br />
attraverso il sempre meno rispetto delle tra<strong>di</strong>zioni. Se da un lato Monaco faceva da scenario al<br />
nascente fenomeno culturalmente trasgressivo, dall’altro però, gli stessi protagonisti <strong>di</strong> questa<br />
trasgressione, presentavano un particolare interesse per l’esoterismo.<br />
Si trattava <strong>di</strong> un’ambivalenza che fece <strong>di</strong> Monaco una vera e propria attrazione per gli<br />
intellettuali tedeschi dell’epoca: gran parte <strong>di</strong> loro vi si trasferirono con l’obbiettivo <strong>di</strong> coltivare<br />
quegli interessi nei salotti dell’ambivalente città. Il fenomeno <strong>di</strong> cui stiamo parlando ha iniziato a<br />
prendere piede intorno al 1910: si è pensato che in quegli ambienti dai trasgressivi interessi siano<br />
iniziato a svilupparsi l’embrione <strong>di</strong> quello che, qualche anno più tar<strong>di</strong>, sarebbe <strong>di</strong>ventato il pensiero<br />
nazional-socialista. È un’idea, questa, che Ingmar Bergman ha posto al centro del suo film L’uovo<br />
del serpente: dal guscio <strong>di</strong> questo uovo particolare è possibile scorgere la forma <strong>di</strong> ciò che in esso è<br />
contenuto. In altre parole: nei salotti della Monaco degli inizi del novecento era già possibile<br />
scorgere il germe che, <strong>di</strong> lì a poco, avrebbe scatenato quell’in<strong>di</strong>cibile epidemia.<br />
I personaggi presentati, come <strong>di</strong>cevamo, nel capitolo XXIII si fanno dunque specchio <strong>di</strong><br />
queste personalità: «La Monaco <strong>di</strong> cui parlo è quella della tarda Reggenza, a soli quattro anni <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>stanza dalla guerra le cui conseguenze dovevano trasformare la sua libertà <strong>di</strong> spirito in malattia<br />
<strong>di</strong> spirito e farvi apparire un torbido grottesco dopo l’altro; è la capitale delle belle prospettive<br />
[…] dove una popolazione allegra e baldanzosa, ma già da gran tempo corrotta dal movimento<br />
moderno <strong>di</strong> massa, festeggiava i suoi saturnali; la Monaco con l’atmosfera wagneriana stagnante,<br />
con le sue consorterie esoteriche che <strong>di</strong> sera celebravano feste estetiche oltre l’Arco della Vittoria,<br />
e con la sua bohème adagiata mollemente nella benevolenza pubblica.» (cit. pag. 235). L’atmosfera<br />
che si respira è quella <strong>di</strong> un’eccitazione febbrile frutto della percezione <strong>di</strong> qualche cosa <strong>di</strong> nuovo<br />
ma, nel complesso, è l’odore <strong>di</strong> una trage<strong>di</strong>a imminente quello che si inizia a fiutare. In queste<br />
pagine il narratore Serenus, il quale sta vivendo in prima persona gli avvenimenti della Seconda<br />
Guerra mon<strong>di</strong>ale, ci scrive della Guerra precedente, dell’atmosfera della Monaco trasgressiva ed<br />
5
esoterica della fine dell’ottocento. I saturnalia erano festività organizzate in onore <strong>di</strong> Saturno, le<br />
quali coinvolgevano l’antica Roma in un totale rovesciamento dell’or<strong>di</strong>ne costituito: in quei giorni<br />
<strong>di</strong> festa il popolo godeva della più completa libertà. Monaco, proprio come un’antica Roma alle<br />
prese con continui saturnalia, rivestiva il ruolo <strong>di</strong> zona immaginaria a metà tra vita normale e vita<br />
trasgressiva: il meglio ed il peggio si incontrano e si mescolano perché non può esservi alcuna zona<br />
interme<strong>di</strong>a.<br />
Poche righe fa abbiamo già accennato al fatto che è stato Adrian, in quanto predestinato<br />
all’ambiguità, ad evocare il Demonio nell’arco della sua intera esistenza: il suo carattere schivo,<br />
freddo e raccolto ci mostra come è proprio a partire da queste caratteristiche che è possibile<br />
evincere l’inevitabile e già stabilita appartenenza del protagonista al Demonio.<br />
Abbiamo già fatto luce sulla figura <strong>di</strong> Schildknapp: il nuovo compagno <strong>di</strong> Adrian che riesce a<br />
suscitare non poco la gelosia <strong>di</strong> Serenus. Si tratta della personalità che accompagna il protagonista<br />
in una gita a Waldshut (nell’estremo sud della Germania): l’obbiettivo <strong>di</strong> Adrian è quello <strong>di</strong> ricreare<br />
in questo nuovo posto quello che era stato il suo ambiente originario, quello in qui era cresciuto e<br />
che lo aveva reso, come detto, predestinato. È a questo punto che i due si ritirano in una casa del<br />
posto: la signora Schweigestill li accoglie nella sua <strong>di</strong>mora, la stessa in cui precedentemente era<br />
stata accolta una giovanissima ragazza <strong>di</strong> buona famiglia la quale, rimasta incinta, suscitò le ire e la<br />
vergogna del padre che l’aveva costretta a ritirarsi e a partorire in quella casa, dove poi il bambino<br />
le fu tolto. La signora Schweigestill, dunque, incarna la qualità della comprensione, quella<br />
necessaria a sopportare il peso delle cose più assurde ed impensabili che, inevitabilmente, si<br />
verificano nell’esistenza <strong>di</strong> ognuno <strong>di</strong> noi.<br />
Passa del tempo ma Adrian si accorge <strong>di</strong> non essere sod<strong>di</strong>sfatto del posto in cui si era ritirato:<br />
la sua ricerca dell’originario non poteva continuare poiché Waldshut non era un posto<br />
sufficientemente appartato e tranquillo. È a questo punto che Adrian e Schildknapp decidono <strong>di</strong><br />
trasferirsi in Italia: per assurdo, è solo allontanandosi maggiormente dal suo paese, è solo<br />
cambiando lingua, è solo sentendosi più straniero, che Adrian potrà avvertire la presenza <strong>di</strong><br />
quell’ambiente originario che tanto affannosamente sta cercando.<br />
È così che si stabiliscono a Palestrina: non a caso si tratta del luogo <strong>di</strong> origine <strong>di</strong> Pierluigi da<br />
Palestrina, il celebre compositore rinascimentale. Sarà proprio in questo nuovo posto che l’incontro<br />
tra Adrian e il Demonio si verificherà.<br />
Il XXIV capitolo si apre con le vacanze estive dell’anno 1912: Serenus si è sposato e decide,<br />
con la moglie, <strong>di</strong> fare visita all’amico a Palestrina.<br />
«In quella casa viveva pure, con la moglie insignificante e malaticcia, un cugino dei tre<br />
proprietari, un fratello del defunto marito della signora Nella, Dario Manar<strong>di</strong>, uomo mite, dalla<br />
barba grigia, <strong>di</strong> tipo campagnolo, che camminava appoggiandosi al bastone. Questi due coniugi<br />
però avevano la cucina a parte, mentre per noi sette, cioè i fratelli, Amelia, i due ospiti fissi e i due<br />
ospiti <strong>di</strong> passaggio, la signora Peronella faceva da mangiare nella sua cucina romantica, con una<br />
generosità che non aveva alcun rapporto col prezzo mo<strong>di</strong>co della pensione, ed era instancabile<br />
nell’offrire.» (cit. pag. 248). È questo l’ambiente in cui si trovano a vivere Adrian e Schildknapp:<br />
stavolta, ad ospitarli in casa Manar<strong>di</strong>, è stata la signora Nella, vedova proprio come la precedente<br />
accogliente e comprensiva signora Schweigestill.<br />
«Breve: in città, come nel romitaggio della citta<strong>di</strong>na fra i monti, i due amici facevano, lontano<br />
dal mondo e dagli uomini, una vita <strong>di</strong> persone tutte prese dalla preoccupazioni del loro lavoro.»<br />
(cit. pag. 255). È chiaro che la vita condotta dai personaggi <strong>di</strong> casa Manar<strong>di</strong> è facilmente<br />
riconducibile a quella monacale: proprio come in un monastero, essi si incontrano saltuariamente<br />
per occasioni come il pranzo o la cena, ma la loro è un’esistenza all’insegna della più totale assenza<br />
<strong>di</strong> contatti fisici. Questa insolita atmosfera fa in modo che Serenus si senta ovviamente a <strong>di</strong>sagio <strong>di</strong><br />
fronte a quella specie <strong>di</strong> comunità monastica: era infatti l’unico esemplare unito ad una donna.<br />
5
Adrian si ritrova dunque, per scelta, a vivere come un eremita ma non in assoluta solitu<strong>di</strong>ne, l’Italia<br />
– stato cattolico per eccellenza – si rivela essere certamente il posto più adatto.<br />
La <strong>pagina</strong> 256 è quella che imme<strong>di</strong>atamente precede l’inizio del capitolo XXV, quello che ci<br />
presenterà il tragico documento. Il riferimento sessuale tra questa <strong>pagina</strong> e il racconto<br />
dell’imminente incontro con il Demonio è reso ancor più evidente proprio dall’assoluta mancanza<br />
<strong>di</strong> contatti fisici che abbiamo detto coinvolgere i personaggi della famiglia Manar<strong>di</strong>. È ancora una<br />
volta ad Esmeralda e al suo sfioramento che il pensiero del lettore è inevitabilmente ricondotto.<br />
La freddezza <strong>di</strong> Adrian, principale tra le caratteristiche della sua personalità, è certo un<br />
riferimento molto esplicito a quella che già più volte abbiamo chiamato predestinazione<br />
all’ambiguità del protagonista. Quando l’incontro <strong>di</strong> Adrian e il Demonio avrà luogo, la stanza si<br />
farà ad un tratto gelida: è un espe<strong>di</strong>ente che Mann utilizza per ricondurre proprio a quella colpa<br />
originaria, a quella freddezza, a quell’ambiguità che da sempre vede Adrian legato al Demonio.<br />
Quest’ultimo si presenta come mercante <strong>di</strong> tempo; prodotto che è stato offerto ad Adrian per<br />
garantire la cessazione dello sviluppo della malattia contratta dall’unione con Esmeralda. L’incontro<br />
tra i due rende ben noto il patto che già più volte nel corso dell’esistenza era avvenuto: è già da<br />
molto tempo che Adrian e il Demonio si trovano in simbiosi e, il capitolo XXV, non può in alcun<br />
modo creare stupore: tutto era già stabilito e il lettore sapeva che era questa la <strong>di</strong>rezione che<br />
necessariamente il destino <strong>di</strong> Adrian stava per prendere. Dal punto <strong>di</strong> vista del protagonista: si tratta<br />
<strong>di</strong> un capitolo <strong>di</strong> autocoscienza: Adrian ha finalmente la possibilità <strong>di</strong> approcciarsi a se stesso con la<br />
massima limpi<strong>di</strong>tà: <strong>di</strong>viene consapevole che la sua vita è stata prolungata ed è ancora altro tempo<br />
quello che dal Demonio gli viene promesso. Il patto è stato già fatto all’insaputa <strong>di</strong> Adrian: il<br />
protagonista deve solo rendersene conto – l’incontro serve proprio al raggiungimento <strong>di</strong> questa<br />
consapevolezza – per poi essere finalmente pronto ad assolvere pienamente il suo compito: il<br />
compimento della rivoluzione musicale che condurrà alla nascita della dodecafonia.<br />
Lezione 19/04/<strong>2012</strong><br />
Abbiamo già messo in evidenzia il posto che Thomas Mann sceglie come scenario<br />
dell’incontro tra Adrian e il Demonio: Palestrina è il luogo d’origine <strong>di</strong> Pierluigi, celebre<br />
compositore rinascimentale, espressione più alta <strong>di</strong> una musica cattolico-controriformista, volta al<br />
raggiungimento del sacro nella massima chiarezza musicale. Ciò che l’intreccio polifonico aveva<br />
provocato era un oscuramento del significato delle parole: il fedele, confuso dall’eccesso <strong>di</strong> accor<strong>di</strong><br />
e miscugli <strong>di</strong> suoni, finiva per allontanarsi dall’idea <strong>di</strong> un sacro declinato in senso musicale.<br />
Partendo da questo presupposto, dunque, Pierluigi da Palestrina propose una nuova modalità <strong>di</strong><br />
rafforzare la fede: rendere comprensibile all’orecchio umano il verbo <strong>di</strong>vino, attraverso la massima<br />
chiarezza musicale.<br />
L’incontro <strong>di</strong>abolico avvenuto dunque in Italia – cuore del Cattolicesimo – coinvolge Adrian<br />
proprio mentre è immerso nella lettura <strong>di</strong> Kierkegaard, il quale scrisse del Don Giovanni <strong>di</strong> Mozart.<br />
La trage<strong>di</strong>a scritta da quest’ultimo non è da considerarsi morale, bensì metafisica: Mozart riesce a<br />
farci scorgere il vuoto esistenziale dell’umanità racchiuso nella figura del Don Giovanni.<br />
La folata <strong>di</strong> aria gelida che precede l’incontro mette <strong>di</strong> fronte ad Adrian una figura umana che,<br />
<strong>di</strong> volta in volta, si sottopone alle più svariate metamorfosi: da piccolo uomo dagli occhi infiammati<br />
a intellettuale occhialuto dal viso puro, per poi tornare ancora all’immagine <strong>di</strong> partenza.<br />
La possibilità <strong>di</strong> trasformare più volte una forma lasciandone intatto il contenuto si può<br />
tradurre in chiave musicale attraverso il cosiddetto accordo <strong>di</strong> settima <strong>di</strong>minuita. Si tratta <strong>di</strong> un<br />
accordo dalla straor<strong>di</strong>naria capacità versatile: può avere denominazioni <strong>di</strong>verse ma essere sempre<br />
5
identico a se stesso. L’effetto enarmonico che il compositore ha la possibilità <strong>di</strong> ottenere attraverso<br />
questo accordo jolly risuona ogni volta <strong>di</strong>verso all’orecchio dell’ascoltatore, nonostante la sua<br />
natura sia ogni volta la stessa. Più precisamente: l’accordo <strong>di</strong> settima <strong>di</strong>minuita assolve il<br />
compositore dal compito <strong>di</strong> percorrere l’intera scala prima <strong>di</strong> passare da una nota all’altra: si tratta<br />
<strong>di</strong> una sorta <strong>di</strong> ambigua scorciatoia.<br />
Durante la trattativa il Demonio non manca <strong>di</strong> imporre delle vere e proprie regole al nostro<br />
Adrian, al quale sono promessi ben ventiquattro anni <strong>di</strong> gloria musicale. Ma, sottolinea il Demonio,<br />
la clessidra ha iniziato a segnare il suo tempo già quattro anni prima e, intanto, il tempo promesso<br />
continua a trascorrere. Tra le pagine <strong>di</strong> questa riflessione Mann ha la possibilità <strong>di</strong> citare, attraverso<br />
le parole <strong>di</strong> Adrian, Dürer e la sua Melancolia.<br />
Il simbolo della clessidra traduce il tempo<br />
preciso e qualitativamente sod<strong>di</strong>sfacente che il<br />
Demonio promette al protagonista: al termine<br />
dei ventiquattro anni la malattia riprenderà il<br />
suo corso e il destino <strong>di</strong> morte <strong>di</strong> Adrian sarà<br />
lentamente compiuto. Il quadrato numerico, la<br />
campana, la bilancia, i soli<strong>di</strong> e il compasso –<br />
oggetti a cui Dürer ricorre nella sua celebre<br />
incisione − anticipano una modernità: quella<br />
<strong>di</strong> un sapere geometrico e matematico <strong>di</strong> cui il<br />
Demonio sembra farsi autentico annunciatore.<br />
La figura del Demonio presentataci da Mann è<br />
senza dubbio insolita: il linguaggio da teologo<br />
del ven<strong>di</strong>tore del tempo traduce una sapienza<br />
tipica <strong>di</strong> un intellettuale vissuto in epoca<br />
luterana.<br />
«Oh, tuo padre sulle mie labbra non è<br />
fuori <strong>di</strong> luogo. Era un volpone, tuo padre, e<br />
indagava volentieri gli elementi. Il mal <strong>di</strong><br />
capo, il punto <strong>di</strong> partenza per le trafitture<br />
inferte alla sirenetta, l’hai preso da lui… Del<br />
resto, ho detto bene: in tutta questa magia si<br />
tratta <strong>di</strong> osmosi, <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffusione nel liquido, d’un proce<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> proliferazione. Voi avete il sacco<br />
lombare con la pulsante colonna liquida che arriva fino al cerebro, fino alle meningi, nel cui<br />
tessuto l’insi<strong>di</strong>osa meningite venerea compie la sua opera piana e tacita. Ma nell’interno, nel<br />
parenchima, i nostri piccolini non potrebbero nemmeno arrivare, per quanto vi si sentano attratti e<br />
per quanto vi siano appassionatamente attirati, senza la <strong>di</strong>ffusione nel liquido, senza l’osmosi col<br />
succo cellulare della pia che lo annacqua, che scioglie il tessuto, che spiana la via ai flagellanti<br />
verso l’interno. Tutto, amico mio viene dall’osmosi, dei cui bizzarri prodotti tu ti sei così presto<br />
rallegrato.» (cit. pag. 272). Questa lunga citazione del Demonio presenta numerosi riferimenti al<br />
passato <strong>di</strong> Adrian. Ancora una volta è la figura del padre ad essere chiamata in causa: il destino <strong>di</strong><br />
Adrian è apparso segnato sin da quelle emicranie ere<strong>di</strong>tate; o ancora dalla passione paterna per<br />
quegli esseri ambigui, specchio dei piccolini (i germi della malattia contratta da Adrian dall’unione<br />
con Esmeralda) <strong>di</strong> cui parla il Demonio. Il contagio per osmosi − trasmesso per via liquida − riflette<br />
il momento <strong>di</strong> congiunzione tra il protagonista e la sua etera – momento dell’ingresso dei piccolini<br />
nel corpo <strong>di</strong> Adrian – e l’immagine degli esperimenti che coinvolgevano il padre alle prese con<br />
quegli esseri dall’incerta natura. Saranno proprio quei contagiosi piccolini a potenziare le qualità<br />
5
artistiche <strong>di</strong> Adrian: l’arte smette <strong>di</strong> avere un legame con la verità per <strong>di</strong>chiararsi, ormai, figlia della<br />
malattia. Emerge l’immagine <strong>di</strong> un’arte a <strong>di</strong>r poco rivalutata: spogliata degli abiti rinascimentali,<br />
essa va incontro al massimo rischio <strong>di</strong> sterilità. La sola mano che viene porta all’artista per trarsi<br />
fuori dalla sterilità creativa è quella del Demonio: l’entusiasmo creativo da <strong>di</strong>vino si converte in<br />
<strong>di</strong>abolico; l’artista <strong>di</strong>viene un peccatore per necessità.<br />
Nella conversazione tra Adrian ed il Demonio emerge un nuovo riferimento a Beethoven: è sin<br />
dalle sue composizioni che è possibile scorgere un indebolimento dell’idea musicale. Se da un lato,<br />
infatti, l’idea <strong>di</strong> partenza appare estremamente ridotta e frammentaria, dall’altro invece lo sviluppo<br />
<strong>di</strong> questa appare decisamente predominante nella sua enormità. Si ricava l’idea <strong>di</strong> uno sviluppo<br />
inteso come sezione della composizione maggiormente sottoposta all’influenza <strong>di</strong>abolica: il lavoro<br />
del compositore, specchio <strong>di</strong> quello del Demonio, trova la sua sede ideale proprio in quello sviluppo<br />
smisuratamente prolungato. L’opera 111 <strong>di</strong> Beethoven si esprime proprio attraverso accor<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />
settima <strong>di</strong>minuita.<br />
«Qui abbiamo una pretesa <strong>di</strong> giustezza che l’opera pone all’artista; […] In ogni battuta che<br />
uno osi pensare, il livello della tecnica gli si presenta come un problema. Ad ogni istante la tecnica<br />
nel suo complesso gli chiede <strong>di</strong> tener conto <strong>di</strong> essa e <strong>di</strong> dare la sola risposta giusta che essa<br />
ammette in ogni istante. Si arriva al punto che le sue composizioni non sono altro che risposte <strong>di</strong><br />
questo genere, soluzioni <strong>di</strong> immagini burlesche della tecnica. L’arte <strong>di</strong>venta critica, <strong>di</strong>venta un caso<br />
molto onorevole, nessuno lo nega!» (cit. pag. 277). L’arte prende piena consapevolezza <strong>di</strong> se stessa<br />
e ambisce a <strong>di</strong>venire essa stessa artefice <strong>di</strong> conoscenza. Ma la <strong>di</strong>mensione <strong>di</strong> critica che l’arte<br />
assume su se stessa la induce ad ammettere la <strong>di</strong>fficoltà del suo compito: l’artista perde ogni<br />
possibilità <strong>di</strong> produrre la sua arte spontaneamente, l’ispirazione è sempre più irraggiungibile e il<br />
senso sempre più inafferrabile. La dodecafonia traduce proprio il tentativo, da parte dell’uomo, <strong>di</strong><br />
recuperare la possibilità <strong>di</strong> produrre arte.<br />
La filosofia della musica moderna <strong>di</strong> Adorno assume, all’interno <strong>di</strong> questa lunga, colta e ricca<br />
conversazione tra i due personaggi, un ruolo certamente importante: si propone un’immagine del<br />
tutto oggettiva del materiale musicale, il cui spessore appare vincolato ai singoli intesi come<br />
umanità. L’esperienza soggettiva <strong>di</strong> Adrian si fa dunque specchio <strong>di</strong> un’oggettività ben più ampia: è<br />
l’intera ed universale esperienza umana che circola nello spirito del mondo ad essere raccontata.<br />
«È ben vero che nella chiusura ermetica a tutti i suoni il rumore sarà grande, smisurato e tale<br />
da stor<strong>di</strong>re da lontano a furia <strong>di</strong> urli e gemiti, grida e brontolii, strida e insulti, implorazioni e<br />
lamenti, rimbrotti e schianti, <strong>di</strong> modo che nessuno u<strong>di</strong>rà il proprio strepito, perché esso sarà<br />
soffocato nel fragore generale, nel fitto giubilo infernale e negli urli dei dannati, causati dalla<br />
perpetua ingiunzione dell’incre<strong>di</strong>bile e dell’irresponsabile.» (cit. pp. 283-284). A questo punto il<br />
Demonio inizia a descrivere l’inferno come se si trattasse <strong>di</strong> una sinfonia. Le parole ne offrono una<br />
caratterizzazione sonora: lì regna sovrano un rumore assoluto.<br />
Servitor suo!: Adrian si arrende alle lusinghe e alle promesse del Demonio; prende coscienza<br />
<strong>di</strong> un patto che in realtà già da tempo era stato stabilito. A questo punto, il Demonio conclude la sua<br />
gelida visita annunciando ad Adrian la clausola del loro accordo: «L’amore ti è vietato in quanto<br />
riscalda. La tua vita deve essere fredda, perciò non devi amare alcuna creatura umana.» (cit. pag.<br />
288). È la rinuncia all’amore il prezzo da pagare: il protagonista è condannato ad un animo gelido,<br />
lo stesso verso cui, ancora prima <strong>di</strong> confermare il patto, sembrava essere naturalmente pre<strong>di</strong>sposto.<br />
Lezione 03/05/<strong>2012</strong><br />
6
«Mi conforta il pensiero che il lettore non potrà incolpare me della straor<strong>di</strong>naria lunghezza<br />
del capitolo precedente, che supera <strong>di</strong> molto il numero <strong>di</strong> pagine, già inquietante, del capitolo sulle<br />
conferenze <strong>di</strong> Kretzschmar. La sola rampogna che si potrebbe farmi è al <strong>di</strong> fuori della mia<br />
responsabilità <strong>di</strong> autore e non mi preoccupa. » (cit. pag. 290). Con queste parole Mann decide <strong>di</strong><br />
aprire il XXVI capitolo: l’autore è intende rompere la tensione accumulata con la lettura del<br />
capitolo XXV e, attraverso i successivi capitoli, si propone <strong>di</strong> riportare il romanzo all’atmosfera<br />
precedente alla lettura dell’inquietante documento. L’autore però si rende conto che ritrovare il filo<br />
del <strong>di</strong>scorso così come era stato lasciato alle spalle dell’incontro tra Adrian e il Demonio non era<br />
cosa affatto facile: è possibile ignorare il ruolo <strong>di</strong> un capitolo spartiacque come quello XXV? La<br />
strada intrapresa da Mann per favorire il lettore dopo il forte e non facile impatto con la lettura del<br />
documento che ora si intende superare (per quanto possibile) è quella che conduce il lettore stesso<br />
in una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> forte dubbiosità: è un avvenimento che si è realmente verificato o si è trattato<br />
solo <strong>di</strong> un lungo e tormentato sogno all’interno del romanzo?<br />
«E, come già in altri punti il lettore può aver calcolato male i giorni e le settimane da me<br />
de<strong>di</strong>cati alla biografia del defunto amico, così anche ora sarà rimasto con la sua immaginazione <strong>di</strong><br />
qua dal tempo in cui scrivo queste righe. Potrà sorridere della mia pedanteria, ma a me sembra<br />
giusto fargli sapere che da quando ho incominciato queste note è passato quasi un anno, e con la<br />
composizione degli ultimi capitoli siamo arrivati all’aprile del 1944. Beninteso è il tempo in cui si<br />
svolge la mia attività, non l’epoca fino alla quale è arrivato il mio racconto, perché con questo<br />
siamo nell’autunno del 1912, venti mesi prima dello scoppio dell’altra guerra, quando Adrian<br />
ritornò con Rü<strong>di</strong>ger Schildknapp da Palestrina a Monaco e prese alloggio nel quartiere <strong>di</strong><br />
Schwabing, e precisamente nella Pensione Gisella.» (cit. pp. 290-291). La serie <strong>di</strong> in<strong>di</strong>cazioni<br />
cronologiche offerte da Serenus al suo lettore sono volte proprio a favorire la con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong><br />
incertezza in cui il lettore viene pian piano condotto da Mann. Serenus ormai annuncia <strong>di</strong> essere<br />
impegnato nella scrittura della biografia da circa un anno: siamo nel 1944 e la Seconda Guerra<br />
Mon<strong>di</strong>ale sta per concludersi. Ma il 1944 corrisponde inoltre all’anno in cui i bombardamenti sulla<br />
Germania iniziarono ad intensificarsi: il destino della nazione appare segnato da una sconfitta<br />
catastrofica imminente.<br />
La volontà <strong>di</strong> offrire un quasi <strong>di</strong>dascalico contributo da parte <strong>di</strong> Mann si manifesta proprio<br />
nella precisione con cui l’autore porge al lettore il dato cronologico: benché sia il 1944 l’anno in cui<br />
Serenus è impegnato nella scrittura del suo lavoro, è necessario ricordare che i fatti narrati risalgono<br />
al 1912. Se dunque da un lato il tempo in cui scrive il narratore si presenta come estremamente<br />
agitato e ricco <strong>di</strong> avvenimenti laceranti, quello vissuto da Adrian è un tempo in cui l’Europa era<br />
immersa nell’illusione <strong>di</strong> un’atmosfera <strong>di</strong> tranquillità.<br />
Abbiamo più volte sottolineato come il car<strong>di</strong>ne dell’intero romanzo sia l’idea che vede il<br />
destino del protagonista farsi specchio del ben più ampio destino dell’intera nazione tedesca: il<br />
tempo offerto ad Adrian dal Demonio, dunque, traduce il tempo offerto alla Germania stessa prima<br />
dello scoppio della Seconda Guerra. In altre parole: tale interpretazione ci induce a scorgere, nello<br />
svolgimento e nelle cause dei catastrofici avvenimenti della Seconda Guerra Mon<strong>di</strong>ale che<br />
interessarono la Germania, un vero e proprio tratto demoniaco. Quello che propone Mann è <strong>di</strong><br />
rivalutare la natura delle cause <strong>di</strong> quelle <strong>di</strong>struzioni: proprio come è successo per Adrian, il<br />
cammino compiuto dalla Germania dall’inizio della Prima alla fine della Seconda Guerra Mon<strong>di</strong>ale<br />
non è stato altro che un antefatto dell’evocazione demoniaca: il destino <strong>di</strong> <strong>di</strong>struzione della<br />
Germania è stato costituito dall’unione dei singoli tratti dell’esistenza che fino a quel momento la<br />
nazione aveva assunto; tratti che, presi singolarmente, non sembrerebbero mostrare alcunché <strong>di</strong><br />
demoniaco. L’unione <strong>di</strong> tali tratti ha finito però per assumere quella natura demoniaca che ha preso<br />
poi la forma <strong>di</strong> avvenimenti politici, sociali e culturali. Il destino <strong>di</strong> Adrian, ovvero della Germania,<br />
è dunque quello <strong>di</strong> rapportarsi con il Demonio: non si è trattato <strong>di</strong> un’evocazione compiuta in un<br />
6
momento preciso; il <strong>di</strong>abolico destino era contenuto sin da subito in ogni singola azione delle loro<br />
esistenze: nell’unione <strong>di</strong> esse quel destino si è mostrato compiuto agli occhi finalmente consapevoli<br />
<strong>di</strong> Adrian e della Germania.<br />
«Abbiamo incominciato ad aspettarci <strong>di</strong> tutto dalla tecnica bellica degli anglosassoni, e<br />
l’attesa dell’invasione si fa più intensa: sì, l’attacco da tutte le parti, con materiale immenso e<br />
milioni <strong>di</strong> soldati contro la nostra rocca europea (o debbo forse <strong>di</strong>re: la nostra prigione? Debbo<br />
<strong>di</strong>re: manicomio?) […]» (cit. pag. 292). All’iniziale identificazione della Germania con la rocca<br />
europea Serenus affianca un’inquietante parentesi all’interno della quale avanza l’ipotesi <strong>di</strong> altre<br />
possibili e, forse più consone, identificazioni. Rocca, prigione e manicomio sono termini usati da<br />
Mann con l’obbiettivo <strong>di</strong> introdurre quella che, a suo <strong>di</strong>re, è stata la colpa <strong>di</strong> cui la Germania si è<br />
macchiata: un progressivo trarsi via fino al più completo isolamento. Se la rocca si fa specchio <strong>di</strong><br />
un isolamento ottenuto dalla volontà <strong>di</strong> <strong>di</strong>fendersi, la prigione, da parte sua, rappresenta un tipo <strong>di</strong><br />
isolamento conseguente a quella volontà <strong>di</strong> <strong>di</strong>fendersi, la quale finisce per <strong>di</strong>venire una vera e<br />
propria ossessione: arriviamo in ultimo allo sta<strong>di</strong>o finale, quello del manicomio, simbolo<br />
dell’inevitabile risultato <strong>di</strong> un isolamento ossessivo e forzato: la follia.<br />
A <strong>pagina</strong> 293 possiamo <strong>di</strong>rsi conclusa la prima parte del capitolo XXVI: l’asterisco separa la<br />
parte iniziale − quella il cui obbiettivo era riportare l’atmosfera generale del romanzo alla normalità<br />
perduta in seguito al documento precedente – da quella successiva, dove Serenus riprende a narrare<br />
le vicende del protagonista. Dopo un breve soggiorno presso la Pensione Gisella, Adrian decide <strong>di</strong><br />
ritornare lì dove era stato già qualche tempo prima: decide <strong>di</strong> ristabilirsi, stavolta definitivamente,<br />
dagli Schweigestill.<br />
Definendo Adrian come l’uomo del semper idem, Serenus ci offre un’analisi della psicologia<br />
dell’animo del suo compagno: uomo della ripetizione, Adrian trasmette questa sua ripetitiva natura<br />
al proce<strong>di</strong>mento musicale che intende affermare, quello che condurrà, appunto, alla dodecafonia. La<br />
necessità della ripetizione induceva Adrian a non interrompere mai la realizzazione <strong>di</strong> un proprio<br />
lavoro prima della fine degli avvenimenti esterni che lo avevano fino a quel momento<br />
accompagnato: «Egli era troppo l’uomo del semper idem e della resistenza alle circostanze per<br />
augurarsi <strong>di</strong> portare a termine, in un cambiamento <strong>di</strong> scena della vita, una cosa iniziata nello<br />
sta<strong>di</strong>o precedente.» (cit. pag. 294).<br />
«La signora Schweigestill non ignorava l’emicrania: cioè lei stessa non l’aveva mai provata,<br />
ma il suo Max l’aveva sofferta perio<strong>di</strong>camente negli anni passati. Col tempo poi quel malanno era<br />
svanito. Non volle sentire scuse da parte dell’ospite per quella sua infermità. […] Ella si limitò a<br />
<strong>di</strong>re: ‒ Oh via! […] quando uno come lei si ritira dai centri civili e viene a stare a Pfeiffering dovrà<br />
pure avere le sue buone ragioni, ed è chiaro che si tratta <strong>di</strong> una cosa che merita comprensione…<br />
[…] E questo è precisamente un luogo <strong>di</strong> comprensione, se non <strong>di</strong> civiltà.» (cit. pag. 297). Adrian è<br />
tornato nel luogo della comprensione: la casa della signora Schweigestill. La comprensione che la<br />
donna riesce ad offrire ad Adrian non è però da confondere con la giustificazione: accetta e non ha<br />
alcun problema alla permanenza <strong>di</strong> Adrian, che da quel momento in poi si prolungherà per ben<br />
<strong>di</strong>ciannove anni: fino alla morte del protagonista. Il rapporto maturato tra Adrian e la comprensiva<br />
signora consente loro <strong>di</strong> convivere pacificamente proprio grazie alla comprensione, elemento tra i<br />
più essenziali per la realizzazione <strong>di</strong> una convivenza.<br />
Dopo il definitivo trasferimento, Adrian inizia a ricevere le visite dei suoi vecchi compagni,<br />
quelli conosciuti nella precedente permanenza a casa Schweigestill.<br />
«Le pagliacciate, gli effetti buffi che sapeva trarre dal suo lungo naso e dagli occhi molto<br />
ravvicinati tra loro, che ipnotizzavano ri<strong>di</strong>colmente le donne, non facevano alcuna presa su Adrian,<br />
per quanto egli fosse accessibile al comico e ci si <strong>di</strong>vertisse. Senonché il comico è compromesso<br />
dalla vanità; d’altro canto il faunesco Zink aveva un suo modo noioso <strong>di</strong> fare attenzione a tutte le<br />
parole che si <strong>di</strong>cevano per vedere se non si poteva attribuir loro un doppio senso sessuale al quale<br />
6
potersi aggrappare: una mania che, come Zink capiva, non era per niente la delizia <strong>di</strong> Adrian.»<br />
(cit. pp. 298-299). Zink è uno degli personaggi che va a fare visita ad Adrian. Attraverso <strong>di</strong> lui<br />
Mann introduce una riflessione su quei personaggi che fanno uso della comicità per <strong>di</strong>re e fare cose<br />
<strong>di</strong> una certa importanza. Emerge però il punto debole della comicità: la vanità. Il maggior comico<br />
non deve mostrare timore per la serietà, piuttosto: è la sua voglia <strong>di</strong> egocentrismo che deve temere.<br />
Arrivato al punto <strong>di</strong> non poter più sostenere ciò che <strong>di</strong>ce con comicità, il comico provoca il suo<br />
inevitabile crollo garantito proprio dalla sua costante aspirazione a stare al centro dell’attenzione.<br />
La figura del comico porge a Thomas Mann l’aiuto necessario per introdurre il percorso <strong>di</strong> ogni<br />
artista: quello destinato, appunto, ad un inevitabile crollo.<br />
«E <strong>di</strong>sse ancora altre ottime cose sul pericolo che l’artista <strong>di</strong> gran<strong>di</strong>ssime esigenze corre<br />
quando viene viziato. Infatti, con ogni opera compiuta egli si rende la vita più <strong>di</strong>fficile e alla fine<br />
magari impossibile, perché, viziando se stesso con lo straor<strong>di</strong>nario e sciupandosi il gusto per il<br />
resto, finisce col cadere nella <strong>di</strong>sintegrazione, nell’impossibile, nel non eseguibile.» (cit. pag. 299).<br />
E da queste parole <strong>di</strong> Serenus che Mann lascia trapelare la sua idea: l’opera d’arte, se concepita in<br />
maniera astratta al punto da essere privata <strong>di</strong> ogni possibilità <strong>di</strong> essere eseguita, finisce per <strong>di</strong>venire<br />
una sorta <strong>di</strong> vizio intellettuale: la necessità dell’esecuzione, dunque, rappresenta una componente<br />
fondamentale.<br />
Il capitolo XXVII ci aiuta ad interpretare il percorso artistico <strong>di</strong> Adrian che, adesso, si avvia<br />
alla realizzazione <strong>di</strong> un’altra composizione: Le pene d’amor perdute. Si tratta <strong>di</strong> un lavoro<br />
all’interno della quale si percepisce la volontà, da parte dell’autore, <strong>di</strong> voler fare a meno del nesso<br />
tonale: le singole parti della composizione sono isolate tanto che il rischio <strong>di</strong> un’impossibilità <strong>di</strong><br />
esecuzione è molto alto: «Qui si arrivava spesso, secondo lui, a una gelida e più cerebrale che<br />
artistica speculazione in note musicali, a un mosaico <strong>di</strong> suoni quasi non più efficaci, che si sarebbe<br />
detto destinato più alla lettura che all’au<strong>di</strong>zione.» (cit. pp. 302-303).<br />
Dopo essere stata sottoposta al giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> Kretzschmar, la nuova composizione <strong>di</strong> Adrian fu,<br />
per volontà del “maestro”, eseguita a Lubecca, città natale <strong>di</strong> Thomas Mann.<br />
La volontà <strong>di</strong> portare l’irripetibile appartiene all’opera d’arte avanguar<strong>di</strong>stica: portatrice della<br />
rivoluzione, spesso però questo tipo <strong>di</strong> opera rischia <strong>di</strong> non essere capita né accettata. Il fenomeno<br />
delle avanguar<strong>di</strong>e artistiche, sviluppato intorno al 1910, traduce proprio questa problematica:<br />
un’opera d’arte rifiutata è chiamata ad un destino <strong>di</strong> solitu<strong>di</strong>ne, è chiamata ad isolarsi e a chiudersi<br />
in se stessa. Dunque: la pericolosità dell’incomprensione non è solo legata ad un insuccesso<br />
dell’opera, è l’isolamento a cui l’artista e la sua opera sono sottoposti in seguito all’incomprensione<br />
ciò che conduce alla sempre più dolorosa sperimentazione dello scollamento, il quale traduce una<br />
progressiva per<strong>di</strong>ta d’importanza dell’arte nella vita della società. Lo scollamento avvertito<br />
dall’artista isolato conduce dunque ad una separazione inevitabile dell’arte dalla società:<br />
l’incomprensione scaturisce nella necessità, da parte della società, <strong>di</strong> fare a meno dell’arte. Se<br />
all’inizio la separazione sarà dolorosa perché avvertita, con il tempo il pubblico si abituerà alla<br />
mancanza dell’arte, si abituerà alla povertà. L’abitu<strong>di</strong>ne infine condurrà alla nascita <strong>di</strong> nuove<br />
generazioni che, nate già in totale assenza <strong>di</strong> arte, saranno private anche del sentimento <strong>di</strong><br />
separazione: col tempo nessuno ci farà più caso, l’uomo sarà privato della sua naturale malinconia e<br />
la qualità della vita sarà condotta ad un lento impoverimento.<br />
Ancora nel XXVII capitolo, Serenus ci racconta un episo<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Adrian che rimanda la nostra<br />
mente all’idea prefigurativa del tragico e <strong>di</strong>abolico destino del protagonista rappresentata<br />
dall’esperienza paterna. Dopo essersi immerso con un batiscafo per esplorare un mondo sommerso,<br />
metafora del mondo demoniaco a cui ormai apparteneva, Adrian descrive creature appartenenti a<br />
questo mondo, la cui esistenza totalmente priva <strong>di</strong> luce si configura in una forma che va al <strong>di</strong> là<br />
dell’abituale e dell’armonia. È chiaro il riferimento alla creature a cui il padre era interessato: ciò<br />
che <strong>di</strong>stingue però quelle esistenze a metà tra mondo animale e mondo vegetale dalle nuove<br />
6
creature che Adrian incontra nel mondo sommerso è che, queste ultime, conducono un’esistenza<br />
che, oltre ad essere ambigua, è stata eternamente privata della luce.<br />
«L’essenza <strong>di</strong> questo ritratto orchestrale del mondo, che dura circa trenta minuti, è la<br />
derisione: una derisione che conferma fin troppo il parere da me espresso che lo stu<strong>di</strong>o delle<br />
enormità extraumane non reca alcun alimento agli spiriti devoti. È un tono sardonico infernale,<br />
una paro<strong>di</strong>a <strong>di</strong> elogi furbeschi, che sembra rivolta non solo alla spaventevole orologeria<br />
dell’universo, ma anche al mezzo nel quale essa si ripete, cioè alla musica, al cosmo dei suoni, e<br />
che ha contribuito non poco a incolpare l’arte del mio amico <strong>di</strong> virtuosismo antiartistico, <strong>di</strong><br />
bestemmia, <strong>di</strong> delitto nichilistico.» (cit. pag. 317). La derisione <strong>di</strong> Adrian è il segno della <strong>di</strong>stanza<br />
che il protagonista mantiene nei confronti del mondo con l’obbiettivo <strong>di</strong> riprodurre un universo <strong>di</strong><br />
suoni che, <strong>di</strong> quel mondo grottesco, sia rappresentazione ironica e <strong>di</strong>stanziata.<br />
Lezione 10/05/<strong>2012</strong><br />
Siamo al capitolo XXVIII. Il nostro tentativo <strong>di</strong> definire la modalità attraverso cui la scoperta<br />
della dodecafonia viene ad inserirsi nella ricostruzione del destino della Germania è accompagnato<br />
dalla comparsa <strong>di</strong> alcuni personaggi, i quali erroneamente potrebbero essere considerati <strong>di</strong> contorno<br />
rispetto alle vicende <strong>di</strong> Adrian.<br />
La storia della musica è il terzo interlocutore, quello che si inserisce nella <strong>di</strong>alettica<br />
conversazione che coinvolge Adrian e la Germania. Questi ultimi, proprio grazie all’intromissione<br />
<strong>di</strong> questo nuovo elemento si accostano sempre più l’uno all’altro fino a far coincidere in maniera<br />
sempre più precisa ed evidente i loro tragici destini.<br />
Ma qual è il ruolo rivestito da Thomas Mann all’interno <strong>di</strong> questo processo? L’autore, sovrano<br />
del materiale <strong>di</strong> cui si serve per la composizione del suo romanzo, guarda dall’alto l’intera vicenda;<br />
accostandosi, proprio grazie all’elemento musicale, al destino della Germania, quello da lui<br />
trasfigurato nel destino del suo Adrian. La totale padronanza del materiale letterario che abbiamo<br />
detto contrad<strong>di</strong>stinguere Thomas Mann, consente <strong>di</strong> avvicinare la figura dell’autore del Doctor<br />
Faustus a quella <strong>di</strong> colui che lo aveva preceduto nella trattazione del medesimo tema. La modalità<br />
attraverso cui Mann si approccia al materiale <strong>di</strong> cui si serve per lavorare al suo romanzo è infatti la<br />
stessa con cui Goethe scriveva le sue opere: nonostante la <strong>di</strong>stanza temporale è dunque possibile,<br />
nell’ambito della storia della letteratura tedesca, l’accostamento <strong>di</strong> queste due imprescin<strong>di</strong>bili<br />
personalità.<br />
Adrian cerca il rapporto con il sacro e con l’originario: lo trova nella dodecafonia, grazie alla<br />
cui esperienza riesce a scongiurare la nostalgia che aveva maturato nei confronti della questione del<br />
musicale.<br />
Qualche riga più su abbiamo accennato alla presenza <strong>di</strong> alcune nuove personalità che, durante<br />
la nostra lettura, fanno capolino nella vicenda del protagonista: la figura <strong>di</strong> Breisacher (quella che<br />
compare appunto nel capitolo XXVIII) può essere paragonata a quella <strong>di</strong> Kretzschmar. Si tratta <strong>di</strong><br />
un ebreo sostenitore della ricerca spasmo<strong>di</strong>ca ‒ da parte della cultura tedesca ‒ del mitico e<br />
dell’originario: esigenza <strong>di</strong> cui il pangermanismo si faceva promotore. Non erano pochi gli ebrei<br />
che si <strong>di</strong>chiaravano pangermanisti, ovvero appartenenti ad un movimento spirituale sviluppato agli<br />
inizi del ‘900 e volto ad ottenere un’unificazione <strong>di</strong> tutte le popolazioni <strong>di</strong> lingua tedesca sotto un<br />
unico potere prussiano. È non poco curioso notare come gli ebrei <strong>di</strong> lì a poco sarebbero stati<br />
perseguitati ed esclusi proprio dalla Germania, lo stato per cui si erano battuti nel nome<br />
dell’unificazione e del ritorno all’origine perduta.<br />
6
In questo capitolo Serenus ci descrive la borghesia salottiera <strong>di</strong> Monaco, la stessa frequentata<br />
da Adrian e da cui emerge una vibrante e sensibile attività. Si tratta <strong>di</strong> un’attività che coinvolge<br />
un’ala conservatrice che, in quegli anni, si ritrova però a fare i conti con altre personalità emergenti,<br />
le stesse che ne scavalcheranno gli ideali e ne provocheranno un’irrime<strong>di</strong>abile crisi. Breisacher è<br />
proprio una <strong>di</strong> queste nuove personalità, quelle il cui interesse rientra nella demolizione <strong>di</strong> tutte le<br />
certezze del vecchio barone conservatore. La posizione <strong>di</strong> questo nuovo ed emblematico<br />
personaggio si presenta come esaltatrice del primitivo e del barbaro: la <strong>di</strong>struzione della classe<br />
borghese è necessaria e funzionale ai fini del raggiungimento dell’epoca successiva.<br />
Non era certo da parte <strong>di</strong> un reazionario come Breisacher che il barone Riedesel ‒ perfetto<br />
rappresentante della borghese classe conservatrice <strong>di</strong> Monaco ‒ si sarebbe aspettato un attacco ai<br />
suoi ideali: accortosi che la critica e la messa in <strong>di</strong>scussione della sua posizione <strong>di</strong> classe non è stata<br />
mossa dal solito socialista a cui avrebbe certamente saputo cosa rispondere, il barone appare<br />
inevitabilmente smarrito. Si tratta <strong>di</strong> uno smarrimento che si fa specchio dello stesso a cui fu<br />
sottoposta la borghesia, quando, nel 1922, il fascismo si affacciò al panorama della politica italiana<br />
presentandosi come un partito socialista.<br />
«L’iniziativa non partiva soltanto da Jeanette Scheurl, ma anche dall’intendente generale, S.<br />
E. von Riedesel, la cui simpatia per il vecchio strumento e per la musica antica non proveniva,<br />
come in Kranich, da tendenze eru<strong>di</strong>te, ma da scopi puramente conservatori. […] il barone<br />
Riedesel, dunque, considerava tutte le cose vecchie e storiche come baluar<strong>di</strong> contro la modernità<br />
rivoluzionaria, come una specie <strong>di</strong> polemica feudale contro questa, e le <strong>di</strong>fendeva con queste<br />
mentalità, senza capirne un’acca.» (cit. pag. 319). Le parole <strong>di</strong> Serenus con cui Thomas Mann<br />
sceglie <strong>di</strong> descrivere l’ottusa personalità del barone conservatore consente al capitolo <strong>di</strong> deviare, in<br />
certi aspetti e momenti, verso un’ironica e grottesca critica nei confronti della classe borghese del<br />
tempo.<br />
Ciò che <strong>di</strong>stingue il reazionario Breisacher dal barone è un <strong>di</strong>verso rapporto con l’antico: la<br />
figura del reazionario mostra al conservatore come esista un istinto rivoluzionario che, per assurdo,<br />
si afferma come ancora più conservatore. Il nuovo conservatore sfoggia un innovativo rapporto con<br />
l’antico, la cui <strong>di</strong>namicità si oppone al classico e statico rapporto borghese-antico. L’esaltazione <strong>di</strong><br />
tale <strong>di</strong>namismo si fa specchio del <strong>di</strong>onisismo nietzschiano: causa del più totale stravolgimento <strong>di</strong><br />
ogni tipo <strong>di</strong> forma e configurazione acquisita e, per l’appunto, del più grande terrore del<br />
conservatore: la messa in <strong>di</strong>scussione dei suoi valori, gli stessi che fino a poco prima dell’avvento <strong>di</strong><br />
questo <strong>di</strong>namismo erano stati dati proprio per certamente acquisiti. Le forme in cui sono venuti a<br />
configurarsi i valori conservatori borghesi smettono dunque <strong>di</strong> essere e intoccabili e perdono il<br />
privilegio <strong>di</strong> essere assolti dall’influenza del passare del tempo: l’attacco <strong>di</strong>namico alle ra<strong>di</strong>ci della<br />
borghesia smaschera la natura <strong>di</strong> quei valori non più fuori dal tempo, mostrando come ci sia<br />
qualcosa <strong>di</strong> più originario e sacro.<br />
Se il pensiero socialista vede nell’evoluzione delle esperienze economiche la causa dei<br />
mutamenti dei valori conservatori, Breisacher invece non dà importanza all’economia: sono i suoi<br />
stessi valori quelli che il barone si vede opporre dal reazionario. Il sacro vede contro sé qualcosa <strong>di</strong><br />
ancora più sacro: alla staticità del primo sacro apollineo ‒ unico elemento possibile secondo la<br />
visione del classico conservatore ‒ è opposto un nuovo, più sacro elemento <strong>di</strong>onisiaco: l’esperienza<br />
nietzschiana ancora una volta insegna.<br />
«Così Riedesel apprezzava e proteggeva il balletto, e precisamente perché è «grazioso». La<br />
parola grazioso era per lui un contrassegno polemico e conservatore contro la modernità ribelle.»<br />
(cit. pag. 319). La parola grazioso traduce un’imitazione, una stanca ripetizione che scongiura ogni<br />
rischio <strong>di</strong> innovazione e, dunque, modernità. È la partecipazione ad un culto che ha smesso <strong>di</strong> essere<br />
antico poiché il suo fulcro ha smesso <strong>di</strong> essere il sacrificio cruento. La nuova partecipazione è<br />
quella <strong>di</strong> un culto da cui il sangue è stato totalmente escluso e sostituito da un sacrificio che da<br />
6
cruento <strong>di</strong>viene figurato e simbolico. Alla posizione del barone si oppone ancora una volta quella <strong>di</strong><br />
Breisacher: l’origine della sacralità, del sacro inteso come fenomeno in rapporto con l’umano e il<br />
<strong>di</strong>vino, non può essere in alcun modo grazioso: il sangue è l’origine del sacro, esso non può essere<br />
escluso poiché è dal sacrificio cruento che il sacro si è in origine generato.<br />
Il carattere <strong>di</strong> Breisacher, reazionario dal tipico <strong>di</strong>scorso sofistico volto a confutare quello<br />
dell’avversario, viene da Serenus avvicinato all’elemento del primitivo che Adrian ascrive alla<br />
dodecafonia: proprio come la rivoluzione <strong>di</strong> Adrian, quella <strong>di</strong> Breisacher punta ad un futuro<br />
costruito guardando il passato. Proprio come la tipica figura <strong>di</strong> intellettuale nietzschiano in cui viene<br />
a configurarsi Breisacher, il reazionario pensa alla morale come ad una degenerazione<br />
dell’originario istinto <strong>di</strong> sopraffazione degli uomini, così come la civiltà viene ad identificarsi nella<br />
decadenza dell’originaria con<strong>di</strong>zione tribale umana.<br />
Breisacher e il barone Riedesel sono entrambi in lotta contro il progresso: se da un lato il<br />
barone conservatore è impegnato ad aggirarne l’avanzata senza però rinunciare a ciò che<br />
originariamente è armonico e grazioso, Breisacher invece accompagna il suo rifiuto per il progresso<br />
con l’altrettanto categorica <strong>di</strong>struzione <strong>di</strong> ciò che il borghese intende salvare.<br />
«Era un uomo <strong>di</strong> spirito, ma non <strong>di</strong> uno spirito molto simpatico, quando <strong>di</strong>leggiava il<br />
progresso della pittura dalla forma piana primitiva alla rappresentazione in prospettiva, Il colmo<br />
dell’arroganza moderna era, secondo lui, considerare la negazione dell’illusione ottica creata<br />
dalla prospettiva […] come incapacità, come goffo primitivismo e guardando magari scrollando le<br />
spalle con aria <strong>di</strong> compatimento.» (cit. pag. 322). Le parole scelte da Mann in questa riflessione<br />
rimandano chiaramente all’idea panofskiana che interpreta la prospettiva come l’equivalente<br />
artistico della nascita della soggettività moderna. Scoperta rinascimentale, la prospettiva traduce un<br />
nuovo modo <strong>di</strong> vedere il mondo e <strong>di</strong> interpretarlo: c’è un nuovo occhio matematico che me<strong>di</strong>a il<br />
rapporto del soggetto con il mondo esterno. L’opera d’arte me<strong>di</strong>evale invece è il frutto della visione<br />
<strong>di</strong> un’immagine <strong>di</strong>vina, l’unica a cui quell’antico occhio era stato abituato. Nella sua rivoluzionaria<br />
riflessione, opposta ai valori borghesi del barone conservatore, Breisacher sostiene che i valori del<br />
mondo primitivo siano stati solo parzialmente messi a tacere dall’esperienza umanistica; l’antico<br />
rapporto con il sacro può tornare improvvisamente. Ancora: pensare che l’artista rinascimentale sia<br />
qualitativamente superiore all’artista me<strong>di</strong>evale equivale a pensare in termini progressisti; la stessa<br />
idea progressista che si nasconde alle spalle del pensiero del barone: quello che vede nel grazioso<br />
un elemento superiore all’antico e barbaro sacrificio cruento. Paradossalmente dunque: il<br />
reazionario Breisacher accusa il vecchio barone Riedesel <strong>di</strong> essere un progressista: «Simile, <strong>di</strong>ceva,<br />
è il passaggio della musica dalla mono<strong>di</strong>a alla polifonia e all’armonia, considerato volentieri un<br />
progresso culturale, mentre è proprio un’acquisizione della barbarie. ‒ Cioè… scusate… della<br />
barbarie? ‒ gracchiava il signor von Riedesel, avvezzo a scorgere nella barbarie una forma, sia<br />
pur lievemente compromettente, dell’elemento conservatore.» (cit. pag. 322). Breisacher accusa il<br />
barone <strong>di</strong> preferire il grazioso al cruento, ovvero: <strong>di</strong> non essere un vero conservatore né un vero<br />
nemico del progresso: è necessario tornare al più antico e originario primitivo; conservare e<br />
preservare il sacro e barbaro elemento del sangue. Il <strong>di</strong>scorso del reazionario confonde non poco il<br />
barone Riedesel, il quale finisce per non essere più certo della sua appartenenza politica fino a<br />
temere <strong>di</strong> essere <strong>di</strong>ventato, senza volerlo, un autentico socialista.<br />
«Un momento! ‒ intervenne von Riedesel. ‒ Io sono, a <strong>di</strong>r poco… Re Salomone nel suo<br />
splendore… Non dovrebbe lei… ‒ No, Eccellenza, non dovrei ‒ rispose Breisacher. ‒ Quell’uomo<br />
era un esteta snervato da go<strong>di</strong>menti erotici e, in fatto <strong>di</strong> religione, un imbecille progressista, tipico<br />
per il ritorno del culto <strong>di</strong> un Dio nazionale presente e attivo (insomma <strong>di</strong> energie popolari<br />
metafisiche) alla pre<strong>di</strong>ca <strong>di</strong> un Dio astratto e universalmente umano nei cieli, vale a <strong>di</strong>re, dalla<br />
religione popolare alla religione <strong>di</strong> tutti.» (cit. pag. 324). L’inizio della religione salomonica è in<br />
realtà il principio della fine e non, come si è soliti pensare, il principio <strong>di</strong> ogni religione umana. A<br />
6
partire da questa esperienza Dio è completamente esiliato nei cieli e smette <strong>di</strong> invitare l’uomo a far<br />
scorrere sangue: «Mettere queste parole sulle labbra <strong>di</strong> Dio è veramente una cosa inau<strong>di</strong>ta, uno<br />
schiaffo <strong>di</strong> illuminismo impertinente in faccia al Pentateuco che definisce espressamente il<br />
sacrificio come «il pane», cioè il reale alimento <strong>di</strong> Jahve.» (cit. pag. 325): accusare un conservatore<br />
<strong>di</strong> illuminismo equivale, ancora una volta, ad accusarlo <strong>di</strong> essere ciò che più teme e <strong>di</strong>sprezza in<br />
questo mondo: un socialista.<br />
Il capitolo XXIX ci presenta un personaggio non meno interessante: si tratta <strong>di</strong> un pretendente<br />
della malinconica e paurosa Ines, una delle due figlie della signora Schlaginhaufen, la donna che<br />
organizzava gli incontri <strong>di</strong> salotto a cui era solito partecipare Adrian. Si tratta <strong>di</strong> Helmut Institoris:<br />
intellettuale sostenitore dello stesso <strong>di</strong>namismo nietzschiano promulgato dal reazionario Breisacher,<br />
interpretandolo però in chiave storico-artistica. Ciò che è più strettamente riconducibile<br />
all’originario elemento cruento non è tanto la forma dell’opera d’arte in sé, quanto l’ispirazione che<br />
ne ha provocato la realizzazione. Institoris tende ad un’esaltazione del talento naturale dell’artista<br />
(inteso come <strong>di</strong>onisismo puro) a scapito del concetto <strong>di</strong> genialità. D’altro lato invece: Ines, da buona<br />
conservatrice in senso nietzschiano qual è ‒ dunque temendo ogni eccesso ricollegabile<br />
all’originario elemento sanguigno e cruento dell’umanità ‒, preferisce il talento trattato,<br />
ammorbi<strong>di</strong>to e ingentilito dall’esercizio tecnico. È questo uno dei motivi per cui Ines non ama<br />
affatto il suo pretendente: la fanciulla è innamorata del violinista Schwerdtfeger, il quale non si<br />
limita a <strong>di</strong>scutere in materia <strong>di</strong> arte ma, <strong>di</strong>versamente da Institoris, la esegue nel nome <strong>di</strong> quel<br />
rapporto vitale con essa stessa.<br />
Lezione 17/05/<strong>2012</strong><br />
Siamo al capitolo XXX: sono le pagine in cui, messe da parte per un po’ le vicende <strong>di</strong> Adrian,<br />
Serenus ci racconta <strong>di</strong> se stesso. Proprio come successe a Nietzsche, il quale fu costretto ad<br />
interrompere la sua partecipazione alla Guerra Franco-prussiana − a cui aveva deciso <strong>di</strong> de<strong>di</strong>carsi<br />
con tanto entusiasmo – a causa della sua infermità, anche a Serenus, dopo essersi ammalato, sarà<br />
impe<strong>di</strong>to <strong>di</strong> continuare la sua esperienza bellica durante la Prima Guerra Mon<strong>di</strong>ale. Ed è proprio <strong>di</strong><br />
questa esperienza che questo capitolo ci offre una descrizione piuttosto dettagliata: dopo l’iniziale e<br />
breve esperimento <strong>di</strong> guerra lampo, la Prima Guerra Mon<strong>di</strong>ale si avviò a <strong>di</strong>venire una guerra <strong>di</strong><br />
posizione: fu questo lo scenario in cui vennero sperimentati i gas e le armi <strong>di</strong>struttive, capaci <strong>di</strong><br />
causare morte senza il minimo combattimento.<br />
«Il tempo <strong>di</strong> una nuova avanzata sembrava maturo per raggiungere la posizione <strong>di</strong> Potenza<br />
mon<strong>di</strong>ale dominante, avanzata che non si poteva certo attuare col lavoro morale in patria. Guerra<br />
dunque e, se occorreva, contro tutti, per convincere tutti e conquistare tutti. Questo aveva deciso il<br />
“destino”, e per questo partimmo con entusiasmo (entusiasmo nostro esclusivamente), compresi<br />
della certezza che l’ora secolare fosse giunta per la Germania; che la Storia ci tenesse la mano sul<br />
capo, che dopo la Spagna, la Francia, l’Inghilterra toccasse finalmente a noi imprimere il nostro<br />
marchio sul mondo, esserne i condottieri; che il secolo ventesimo fosse nostro e, passata l’epoca<br />
borghese inaugurata circa centoventi anni prima, il mondo dovesse rinnovarsi nel segno della<br />
Germania, nel segno <strong>di</strong> un socialismo militaresco non ancora definitivamente definito.» (cit. pag.<br />
347). Il termine avanzata, che più volte compare in questa citazione, è stato tradotto dal tedesco<br />
DURCHBRUCH. Per rendere questa parola tedesca il traduttore è dovuto ricorrere o, come visto,<br />
ad avanzata o, ancora, ad irruzione: in italiano non vi è alcuna parola capace <strong>di</strong> rendere l’esatto<br />
significato del DURCHBRUCH tedesco, con il quale si vuole intendere – e nel romanzo è Mann a<br />
volerlo intendere – l’idea <strong>di</strong> una rottura causata da un avanzamento, uno sfondamento frutto <strong>di</strong> una<br />
6
spinta particolarmente vigorosa. L’immagine che ci compare <strong>di</strong>nnanzi agli occhi è quella dei soldati<br />
che si spingono fuori dalla trincea e vanno all’assalto: non è uno sviluppo che conosce tappe al suo<br />
interno; è, bensì, uno sviluppo inarrestabile. L’idea <strong>di</strong> questo avanzamento incontenibile è<br />
ricondotta da Mann al tentativo da parte della Germania <strong>di</strong> dominare − culturalmente e poi, a partire<br />
dalla Prima Guerra Mon<strong>di</strong>ale militarmente – tutto il resto del mondo. Come ci appare chiaro dalla<br />
citazione: era destino della Germania tentare l’irrefrenabile avanzata, e le parole che ce lo<br />
raccontano sono quelle che un autore tedesco, espatriato negli USA proprio per ragioni <strong>di</strong> guerra, ha<br />
scelto <strong>di</strong> attribuire ad un narratore che scrive nell’anno 1944: quando la Germania si avvia alla<br />
tragica conclusione del lungo e faticoso tentativo <strong>di</strong> portare a termine il suo DURCHBRUNCH. Le<br />
scelte linguistiche e stilistiche <strong>di</strong> Thomas Mann manifestano dunque un certo tipo <strong>di</strong> ironia tragica:<br />
l’autore effettua un’amarissima presa in giro nei confronti della sua patria, la stessa che ha visto il<br />
suo destino <strong>di</strong> potenza mon<strong>di</strong>ale dominante tragicamente concludersi, per ben due volte.<br />
«In genere non mi lasciai sminuire la comprensione per la miseria della Germania, per il suo<br />
isolamento morale e la sua pubblica proscrizione, che erano soltanto espressioni della paura che<br />
tutti avevano della sua forza e del suo vantaggio nel prepararsi alla guerra […]. » (cit. pag. 351).<br />
Proprio come Adrian, la Germania cerca l’isolamento: gli avvenimenti del singolo vanno <strong>di</strong> pari<br />
passo con quelli della nazione e Serenus è testimone attivo <strong>di</strong> entrambe le volontà <strong>di</strong> isolamento.<br />
Le composizioni alle quali sta lavorando Adrian in questo momento si avvicinano all’idea del<br />
balletto ma, allo stesso tempo, ad un’altra sviluppata da von Kleist nel suo Teatro delle marionette. I<br />
burattini, immagini <strong>di</strong> un sentimento del destino che muove ogni cosa nella <strong>di</strong>rezione che preferisce,<br />
si fanno specchio dell’esercito che si mette in movimento come per una volontà proveniente<br />
dall’alto.<br />
«− In un popolo come il nostro – spiegavo – l’anima è sempre l’elemento primario, quello che<br />
costituisce la motivazione; l’azione politica invece viene al secondo posto, è un riflesso,<br />
un’espressione, uno strumento. Il più profondo significato della nostra ascesa a potenza universale,<br />
alla quale il destino ci chiama è l’irruzione nel mondo, l’uscita da una solitu<strong>di</strong>ne della quale ci<br />
ren<strong>di</strong>amo conto con sofferenza, una solitu<strong>di</strong>ne che nessun legame con l’economia mon<strong>di</strong>ale ha mai<br />
potuto spezzare fin da quando fu fondato il Reich.» (cit. pag. 353). I due termini evidenziati in<br />
questa citazione sono entrambi originariamente tradotti in tedesco con DURCHBRUCH: è evidente<br />
che, pur <strong>di</strong> avvicinarsi all’idea che Thomas Mann intendeva trasmettere nella sua lingua originaria,<br />
il traduttore italiano ha sentito la necessità <strong>di</strong> adoperare due parole <strong>di</strong>verse. Quella che appare come<br />
mera volontà, da parte della Germania, <strong>di</strong> dominare il mondo come potenza politica e militare deve<br />
essere in realtà inclusa in uno sfondo ben più ampio e profondo: <strong>di</strong>etro questa violenta immagine<br />
della Germania vi è in realtà l’idea che il popolo tedesco, in quel momento, dovesse essere<br />
oggettivamente considerato come portatore <strong>di</strong> una superiorità intesa in senso culturale. Non è una<br />
giustificazione: Mann intende dare al lettore materiale utile ai fini <strong>di</strong> una conoscenza dei fatti più<br />
approfon<strong>di</strong>ta. Dietro quegli apparentemente centrali contenuti politici e militari, è necessario<br />
scorgere in realtà il desiderio <strong>di</strong> mettersi in relazione con gli altri popoli europei, seppur però nel<br />
nome <strong>di</strong> una superiorità culturale che questi sono chiamati ad ammettere. È ovvio che questa<br />
insolita interpretazione non è facile da prendere in considerazione: è ai fatti a cui <strong>di</strong> solito si<br />
preferisce attenersi, e i fatti sono certamente un numero mostruoso <strong>di</strong> vittime, le stesse che gravano<br />
sulle spalle e sulla coscienza <strong>di</strong> una Germania alle prese con la sua volontà <strong>di</strong> avanzare nella storia,<br />
la sua volontà <strong>di</strong> DURCHBRUCH. «[…] gli avvenimenti nu<strong>di</strong> e cru<strong>di</strong> rendono perfetto il nostro<br />
isolamento, la nostra prigionia, per quanto voi guerrieri preten<strong>di</strong>ate <strong>di</strong> sfarfallare nel cielo<br />
europeo. […] La guerra […] non può durare a lungo. Noi paghiamo la rapida ascesa con una<br />
colpa confessata che <strong>di</strong>chiariamo <strong>di</strong> voler scontare. Noi la vogliamo riconoscere… […] La<br />
Germania ha le spalle larghe, e chi nega mai che una vera avanzata e ascesa non valga ciò che il<br />
mondo addomesticato chiama delitto! […] In fondo, non c’è al mondo che un solo problema, e<br />
6
questo problema si chiama avanzata. Come si fa ad avanzare? Come si fa a conquistare la<br />
libertà?» (cit. pag. 354-355). La Germania si chiede come sia possibile dare una spallata alla storia:<br />
l’avanzamento della potenza della nazione nella storia si rispecchia nell’innalzamento dello spirito,<br />
frutto del cammino dell’umanità verso la libertà e, in questa corrispondenza, è certo facile<br />
in<strong>di</strong>viduare una eco del pensiero hegeliano. Riferendosi al testo <strong>di</strong> Kleist sulle marionette Adrian<br />
riflette: «[…] anche qui si parla <strong>di</strong> ascesa, in quest’ottimo articolo sulle marionette, ed è definita<br />
ad<strong>di</strong>rittura “l’ultimo capitolo della storia del mondo”. Eppure non si tratta che <strong>di</strong> estetica, della<br />
libera grazia che è riservata ai burattini e al Dio, cioè all’incosciente o a una coscienza infinita,<br />
mentre ogni riflessione che sia fra lo zero e l’infinito uccide la grazia. La coscienza, pensa questo<br />
scrittore, dev’esser passata attraverso un infinito affinché riappaia la grazia, e Adamo dovrebbe<br />
mangiare un’altra volta il frutto dell’albero della conoscenza per ritornare allo stato <strong>di</strong><br />
innocenza.». (cit. pag. 355). Per Adrian l’avanzamento è da identificare con la grazia, la stessa<br />
attraverso cui è possibile conquistare la libertà. È la ricerca <strong>di</strong> una spontaneità dunque quella che ci<br />
dovrebbe impegnare: un talento innato che non ha alcun bisogno <strong>di</strong> affermarsi con la violenza. È<br />
chiaro che Adrian, dalle cui parole è possibile evincere il palese riferimento <strong>di</strong> Mann al saggio<br />
schilleriano Grazia e <strong>di</strong>gnità, sta <strong>di</strong>ssentendo dall’idea <strong>di</strong> Serenus. Il narratore infatti sostiene l’idea<br />
<strong>di</strong> un’avanzata che è possibile ottenere solo con lo sforzo: il DURCHBURCH infatti è il frutto <strong>di</strong><br />
una volontà <strong>di</strong> affermazione e non ha niente a che vedere con la spontaneità, con la grazia, la cui<br />
ricerca è sostenuta da Adrian. In altre parole: il DURCHBRUCH, dal punto <strong>di</strong> vista <strong>di</strong> Adrian, non è<br />
altro che l’avanzata <strong>di</strong> una conquista <strong>di</strong> libertà poco graziosa.<br />
«Ma non <strong>di</strong>re che “si tratta soltanto <strong>di</strong> estetica”, non <strong>di</strong>re “soltanto”. Si fa male a vedere<br />
nell’estetica una parte ristretta e isolata del sentimento umano. Essa è molto <strong>di</strong> più, è, in fondo,<br />
“tutto” nella sua azione conservante o repellente, come, del resto, in questo poeta la parola<br />
“grazia” è intesa in senso vastissimo. Redenzione o non redenzione estetica: ecco il destino che<br />
decide della felicità e dell’infelicità, del sentirsi in società su questa terra o del sentirsi<br />
<strong>di</strong>speratamente, se pur orgogliosamente, isolati: e tutti sanno che il brutto e l’o<strong>di</strong>oso sono una cosa<br />
sola. Il desiderio <strong>di</strong> evadere dal legame e dall’inclusione del brutto: <strong>di</strong>’ pure che sto pestando<br />
l’acqua del mortaio, ma sento, e ho sempre sentito, e lo affermerò contro la più cruda evidenzia,<br />
che ciò è tedesco per eccellenza, profondamente tedesco, ad<strong>di</strong>rittura la definizione <strong>di</strong> tedesco, <strong>di</strong><br />
un’anima minacciata dal veleno della solitu<strong>di</strong>ne, dall’isolamento provinciale, dal viluppo<br />
nevrotico, dal silenzioso satanismo…». (cit. pag. 355-356). Brutto ed o<strong>di</strong>oso in tedesco si rendono<br />
con la stessa parola: è l’idea <strong>di</strong> repellente che si vuole trasmettere. Con queste parole Serenus<br />
accusa l’idea <strong>di</strong> grazia <strong>di</strong> essere un fenomeno isolante e quasi impossibile da realizzare: l’elemento<br />
spontaneo che infatti è necessario sembra, ad Adrian, possibile da raggiungere solo grazie<br />
all’intervento del Demonio. Ma quello su cui Adrian intende riflettere attraverso l’introduzione del<br />
concetto <strong>di</strong> grazia non è solo la leggerezza e la spontaneità che ne sono causa ed effetto: Adrian<br />
intende riprendere un altro tra i temi fondanti dell’intero romanzo, quello del primitivo.<br />
L’accostamento esplicito ma inconsapevole che Adrian fa del concetto <strong>di</strong> grazia e quello <strong>di</strong><br />
primitività traduce proprio lo stesso percorso personale che condurrà il protagonista alla rivoluzione<br />
musicale. In un contesto più ampio sarà così possibile ottenere un originario inteso come umanità<br />
priva <strong>di</strong> pesi estetici, spontanea; in ultimo: un’umanità graziosa.<br />
Lezione 24/05/<strong>2012</strong><br />
La lettura degli ultimi capitoli ci aiuta ad avvalorare una tesi da noi già più volte sostenuta:<br />
attraversata la stazione centrale dell’incontro tra Adrian ed il Demonio il lettore avrà l’impressione<br />
6
che il romanzo si avvii verso una conclusione in <strong>di</strong>scesa, la stessa che si fa specchio <strong>di</strong> un<br />
inesorabile precipitare degli eventi. Proprio come in chimica si è soliti definire precipitato ciò che<br />
resta inteso come la traccia dalla quale è possibile risalire agli elementi originari che hanno dato<br />
luogo all’esperimento, lo stesso possiamo <strong>di</strong>re <strong>di</strong> ciò che resta in seguito all’esperimento letterario<br />
che Mann ha condotto durante la stesura della sua opera: dopo lo scuotimento <strong>di</strong> tutti gli elementi<br />
che compongono la sua scrittura ciò che resta è il precipitato, la <strong>di</strong>rezione verso cui per tutta la parte<br />
precedente il romanzo stesso era interamente in<strong>di</strong>rizzato. Ma è bene non cadere nell’errore <strong>di</strong><br />
interpretare questa <strong>di</strong>scesa, questa conclusione precipitante come vero elemento significante<br />
del’intero romanzo.<br />
«Il tempo del quale io scrivo fu per noi tedeschi l’epoca del crollo dello Stato, della<br />
capitolazione, della rivolta per esaurimento, dell’impotente consegna nelle mani dello straniero. Il<br />
tempo nel quale scrivo per affidare ai fogli queste memorie nel mio tranquillo ritiro porta nel<br />
grembo orribilmente gonfio una catastrofe della patria al cui confronto la sconfitta <strong>di</strong> allora<br />
sembra una sciagura moderata, la ragionevole liquidazione <strong>di</strong> un’impresa sbagliata. Una fine<br />
vergognosa, è pur sempre più normale <strong>di</strong> quella condanna che pende ora sul nostro capo, simile a<br />
quella che colpì a suo tempo Sodoma e Gomorra e più grave <strong>di</strong> quella che avevamo provocato<br />
l’altra volta.» (cit. pag. 385). Sono queste le parole con cui Serenus dà inizio al XXXIII capitolo,<br />
quelle con cui intende riba<strong>di</strong>re la doppia natura temporale <strong>di</strong> quello che abbiamo già definito un<br />
esperimento letterario: il tempo in cui scrive il narratore e quello a cui invece si rimanda durante i<br />
racconti della vita del <strong>di</strong>sgraziato protagonista. Con le parole <strong>di</strong> Serenus, infatti, Thomas Mann<br />
intende condurre il lettore verso questa considerazione: il male generato dalla Prima Guerra<br />
Mon<strong>di</strong>ale è insignificante rispetto a quello che, <strong>di</strong> lì a poco e invece, avrebbe provocato la ben più<br />
grave e tragica Seconda Guerra. Mann ci conduce a riflettere intorno agli anni in cui la <strong>di</strong>ttatura<br />
italiana e quella tedesca si sono assicurate la fiducia delle loro rispettive nazioni fino ad ottenere<br />
l’assoluto potere.<br />
La descrizione dei personaggi dei salotti borghesi che abbiamo visto offrirci da Serenus non<br />
manca <strong>di</strong> scadere nel grottesco e nell’ironico; ma è anche l’elemento del tragico ad emergere<br />
talvolta e prepotentemente: reazione e rivoluzione ‒ due istanze politiche che normalmente si<br />
escluderebbero a vicenda ‒ riescono ad ammettersi e a convivere nella Germania dei primi decenni<br />
del ‘900. Tale compresenza politica si viene però ad affiancare ad una compresenza <strong>di</strong> tipo emotivo:<br />
reazione e rivoluzione coincidono con speranza e <strong>di</strong>sperazione, sentimenti che anziché escludersi,<br />
anche in questo caso si avvicinano coesistendo. Il rivoluzionario è speranzoso del futuro ma<br />
<strong>di</strong>sperato per la situazione che si trova a vivere e che vorrebbe a tutti i mo<strong>di</strong> cambiare. Al contempo<br />
ma in maniera inversa il reazionario: alla sua <strong>di</strong>sperazione per il futuro si accompagna la speranza<br />
<strong>di</strong> conservare e proteggere quello che è stato. Il peso dell’oscillazione tra speranza e <strong>di</strong>sperazione<br />
raggiunge in Adrian il suo culmine massimo: sarà questo peso che il protagonista convertirà in<br />
opera d’arte.<br />
L’opera d’arte a cui Adrian sta proprio in queste pagine lavorando è Apocalisse con figure: il<br />
riferimento alle omonime xilografie <strong>di</strong> Dürer verrà da Adrian stesso esplicitato tra le pagine del<br />
capitolo. Le contrad<strong>di</strong>zioni che trovano nell’esistenza singolare <strong>di</strong> Adrian un capiente contenitore si<br />
fanno specchio <strong>di</strong> quelle contenute allo stesso modo dell’esperienza complessiva dell’intera<br />
Germania: ancora, tali contrad<strong>di</strong>zioni si manifestano nell’opera d’arte in generale e nella musica in<br />
particolare. Il destino della contrad<strong>di</strong>zione però è la catastrofe: è questo ciò che può garantire una<br />
con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> trasformazione ra<strong>di</strong>cale. Dunque: la me<strong>di</strong>azione <strong>di</strong>alettica tra istanze così<br />
contrad<strong>di</strong>ttorie (reazione-rivoluzione, speranza-<strong>di</strong>sperazione) può essere garantita solo per un<br />
periodo <strong>di</strong> tempo molto limitato: la guerra ‒ intesa come con<strong>di</strong>zione eccezionale ‒ ha fatto della<br />
Germania uno scenario idoneo ad ospitare queste strambe e tragiche compresenze. Non a caso si è<br />
scelto <strong>di</strong> ricorrere al termine tragicità: il violento cambiamento ra<strong>di</strong>cale che le contrad<strong>di</strong>zioni hanno<br />
7
agevolato conduce a sua volta ad una catastrofe. La guerra dunque consente il temporaneo<br />
amalgama <strong>di</strong> tali istanze, poi tragicamente ed inevitabilmente smantellato. La catastrofe ineluttabile<br />
acquista agli occhi <strong>di</strong> Serenus un aspetto <strong>di</strong>abolico molto preciso: è chiaro che dunque la questione<br />
del Demonio non deve essere delegata al capitolo in cui si narra dell’incontro fatale. L’elemento<br />
demoniaco è invece riscontrabile già nelle grottesche descrizioni <strong>di</strong> Serenus: quelle che ci<br />
presentavano i personaggi borghesi frequentatori dei salotti della Monaco del tempo delle<br />
contrad<strong>di</strong>zioni.<br />
Proprio come nella conclusione de La montagna incantata ‒ dove il lettore si trova <strong>di</strong> fronte<br />
all’improvvisa e inaspettata scena in cui dei borghesi si scagliano violentemente gli uni contro gli<br />
altri senza un motivo comprensibile ‒ Thomas Mann ci mostra i personaggi salottieri del Doctor<br />
Faustus come personalità afflitte da una strana esaltazione, sintomo <strong>di</strong> una catastrofe attesa. Lo<br />
scatenamento delle più violente e animalesche pulsioni umane è dunque atteso oltre che inevitabile:<br />
la borghesia che Mann ci descrive nelle sue opere sembra voler in tutti i mo<strong>di</strong> accelerare il<br />
cammino, atteso e paradossalmente sperato, verso la catastrofe. L’incomprensibilità dello scatenarsi<br />
improvviso delle violente pulsioni represse riflette l’elemento <strong>di</strong>abolico, pronto lì ancora una volta a<br />
fare capolino. L’atteggiamento umano che emerge si fa specchio <strong>di</strong> un’emotività <strong>di</strong>abolicamente<br />
tesa verso la <strong>di</strong>struzione: un impeto <strong>di</strong>onisiaco che improvvisamente si inserisce con prepotenza<br />
nella “normale” con<strong>di</strong>zione dell’essere umano, provocando l’inevitabile e irrefrenabile catastrofe<br />
che, appunto, un <strong>di</strong>onisiaco “applicato” è capace <strong>di</strong> provocare. Questa borghesia tedesca in balia<br />
delle sue pulsioni più violente è la stessa che, smesso <strong>di</strong> essere “illuminata”, sembrava non rendersi<br />
conto del pericolo a cui andava incontro nei momenti subito precedenti all’esperienza, appunto<br />
catastrofica, della <strong>di</strong>ttatura nascente. Quello che ha colpito la borghesia della Germania dei primi<br />
decenni del ‘900 è stata una miopia che le ha permesso <strong>di</strong> congetturare una possibilità <strong>di</strong> liberazione<br />
dalla minaccia socialista approvando il male minore, quello della <strong>di</strong>ttatura a cui si stava giungendo.<br />
Sottolineando l’elemento <strong>di</strong>abolico <strong>di</strong> questa esperienza Mann <strong>di</strong>pinge la borghesia come afflitta da<br />
una nostalgia per la catastrofe, l’unica che possa finalmente e con successo condurre ad un<br />
rinnovamento. In altre parole: la borghesia che accetta <strong>di</strong> correre il rischio <strong>di</strong> agevolare<br />
l’instaurazione <strong>di</strong> un regime e, in questo modo dunque, mettersi alla ricerca <strong>di</strong> una catastrofe<br />
complessiva, racchiude al suo interno un’ulteriore interpretazione dell’elemento <strong>di</strong>abolico che<br />
abbiamo detto serpeggiare all’interno dell’intero romanzo.<br />
Il corrispondente apicale <strong>di</strong> questa ambigua e catastrofica emotività borghese viene per<br />
Serenus racchiusa nella personalità <strong>di</strong> Adrian o, meglio ancora, nella sua Apocalisse con figure.<br />
Tra le prime pagine del capitolo XXXIV il lettore inizia a vedere emergere il rapporto che lega<br />
Adrian a Dürer: «[…] ciò che stava descrivendo […] era il primo foglio della serie <strong>di</strong> xilografie<br />
eseguite da Dürer a illustrazione dell’Apocalisse. […] Non avevo forse ragione <strong>di</strong> <strong>di</strong>re che le fasi <strong>di</strong><br />
depressione e quelle <strong>di</strong> eccitazione dell’artista, cioè la malattia e la sanità, non sono nettamente<br />
<strong>di</strong>stinte tra loro? che anzi nella malattia e, per così <strong>di</strong>re, sotto la sua protezione operano elementi<br />
<strong>di</strong> salute, mentre quelli della malattia passano nella zona della salute, provocando la genialità? È<br />
proprio così, e io devo questa intuizione a un’amicizia che, pur procurandomi molti dolori e<br />
spaventi, mi ha anche sempre colmato <strong>di</strong> orgoglio: il genio è una forma <strong>di</strong> energia vitale<br />
profondamente esperta della malattia, una forma che dalla malattia attinge e per essa <strong>di</strong>venta<br />
creatrice.» (cit. pp. 405-406).<br />
Ciò che Serenus descrive accadere ad Adrian si fa specchio dell’esperienza della nazione<br />
tedesca della medesima epoca, quella che dal periodo imme<strong>di</strong>atamente pre-bachiano si estende fino<br />
a quello conclusivo <strong>di</strong> Beethoven: la Germania abbandona il suo originario stato <strong>di</strong> equilibrio per<br />
ritrovarsi in balia <strong>di</strong> una depressione sempre più profonda, la stessa che la spingerà a macchiarsi<br />
della sua colpa <strong>di</strong> isolamento. La nuova Germania isolata si prepara così allo scatto <strong>di</strong> energia vitale<br />
che, nel caso specifico <strong>di</strong> Adrian, avrà un esito artistico: cercare il primitivo liberando l’elemento<br />
7
che invece l’esperienza classica della musica<br />
aveva formalizzato: quello della <strong>di</strong>ssonanza.<br />
Traducendo in termini politici per la<br />
con<strong>di</strong>zione generale della Germania: il<br />
tentativo da parte della nazione tedesca <strong>di</strong><br />
voler recuperare la con<strong>di</strong>zione precedente<br />
all’umanesimo politico; il ritorno ad una<br />
con<strong>di</strong>zione me<strong>di</strong>evale può essere, secondo la<br />
Germania, ottenuto attraverso la liberazione <strong>di</strong><br />
un elemento politicamente <strong>di</strong>abolico, quello<br />
che conduce alla <strong>di</strong>ttatura e all’anticamera<br />
della catastrofe bellica. Quello che dunque da<br />
questa riflessione sembra prendere forma è un<br />
curioso parallelo tra l’esito della guerra e<br />
l’esito della <strong>di</strong>ssonanza in musica.<br />
Dalla dettagliata descrizione delle<br />
Apocalissi <strong>di</strong> Dürer che Mann ci presenta a<br />
pag. 409 emerge la volontà dell’autore <strong>di</strong><br />
sottolineare il concetto <strong>di</strong> visione: quello che<br />
accade a Dürer e ad ogni altro artista è <strong>di</strong><br />
sperimentare una visione <strong>di</strong> un mondo altro da<br />
quello a cui si appartiene; esso si spalanca<br />
improvvisamente all’artista consentendogli <strong>di</strong><br />
tradurre quello che ha visto in un’opera d’arte. Dunque: l’opera non è da considerarsi<br />
esclusivamente come il frutto dell’interiorità dell’artista; è la visione <strong>di</strong> un mondo, <strong>di</strong> qualcosa <strong>di</strong><br />
preesistente che dà origine all’opera d’arte: il ruolo dell’artista assume a questo punto dei tratti<br />
profetici. Ancora una volta è però l’elemento demoniaco a giocare un ruolo a <strong>di</strong>r poco essenziale: è<br />
necessario che si verifichi una frattura <strong>di</strong>abolica dal mondo precedente per garantire l’improvvisa<br />
visione <strong>di</strong> quello nuovo; un mondo or<strong>di</strong>nato non può essere frantumato senza l’intervento <strong>di</strong> un<br />
elemento <strong>di</strong>abolico: l’artista dunque, ancora nel rispetto della sua ambigua con<strong>di</strong>zione, attinge da<br />
una natura angelica e <strong>di</strong>abolica allo stesso tempo: pur <strong>di</strong> vedere lontano, pur <strong>di</strong> scoprirsi profeta,<br />
agevola la <strong>di</strong>abolica rottura.<br />
«Sì, confesso che il mio magari ingenuo e, vorrei <strong>di</strong>re, cosmico timore dell’opera era dovuto<br />
quasi interamente alla paurosa rapi<strong>di</strong>tà con cui essa fu compiuta; cioè, nella sua struttura<br />
generale, in quattro mesi e mezzo, un lasso <strong>di</strong> tempo che si sarebbe impiegato nello scriverla<br />
materialmente, nella pura e semplice copiatura.» (cit. pag. 410). La straor<strong>di</strong>naria rapi<strong>di</strong>tà con cui<br />
Adrian ha composto la sua ultima opera inquieta Serenus e dà a noi conferma della tesi poco fa<br />
sostenuta: proprio a testimonianza del fatto che l’opera d’arte è il frutto <strong>di</strong> una visione <strong>di</strong> un mondo<br />
già dato, ma da sempre nascosto e solo improvvisamente rivelato all’artista, Serenus arriva a<br />
sospettare che Adrian non abbia fatto altro che copiare la sua ultima produzione, dopo averla<br />
appunto vista come riflesso <strong>di</strong> un mondo autonomo.<br />
«Era un mondo vecchio e nuovo, rivoluzionario e reazionario, nel quale i valori connessi con<br />
l’idea dell’in<strong>di</strong>viduo, <strong>di</strong>ciamo dunque: verità, libertà, <strong>di</strong>ritto, ragione, erano del tutto snerbati e<br />
ripu<strong>di</strong>ati, o per lo meno avevano assunto un significato del tutto <strong>di</strong>verso da quello degli ultimi<br />
secoli, in quanto erano strappati alla pallida teoria e relativamente rinsanguati e riferiti all’istanza<br />
ben superiore della violenza, dell’autorità, della <strong>di</strong>ttatura come atto <strong>di</strong> fede, non già alla maniera<br />
reazionaria <strong>di</strong> ieri o <strong>di</strong> avant’ieri, ma in modo da equivalere al nuovo ritorno dell’umanità verso<br />
situazioni e con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> teocrazia me<strong>di</strong>evale. Non si trattava <strong>di</strong> reazione, come non si può <strong>di</strong>re<br />
7
eazionaria la strada che si percorre intorno a una sfera: è una strada che gira naturalmente<br />
intorno, cioè all’in<strong>di</strong>etro. Ecco dunque: regresso e progresso, il vecchio e il nuovo, il passato e<br />
l’avvenire <strong>di</strong>ventavano una cosa sola, e la destra politica coincideva sempre più con la sinistra.»<br />
(cit. pag. 421). Quello che si verifica è una rincorsa sempre più veloce tra reazione e rivoluzione:<br />
ogni connotazione del precedente e del posteriore viene meno impedendo qualunque tipo <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>stinzione. L’accelerazione che va verso il precipizio: la rincorsa all’elemento primitivo da parte<br />
del contemporaneo accelera fino alla completa <strong>di</strong>struzione.<br />
Il capitolo XXXVII è quello in cui Serenus descrive quella che dovrebbe essere una<br />
conversazione tra Adrian ed un impresario ebreo: ma la quasi totale mancanza <strong>di</strong> risposta da parte<br />
del protagonista ci indurrebbe a definirlo un monologo. L’impresario (parlando praticamente da<br />
solo) intende convincere Adrian a partecipare ad una tournée come pianista e <strong>di</strong>rettore d’orchestra.<br />
L’impresario ebreo è francese ma conosce il tedesco: egli propone se stesso come me<strong>di</strong>atore tra un<br />
tedesco ed il mondo. L’interlocutore dunque non è affatto casuale: si tratta <strong>di</strong> un ebreo, il quale<br />
molto bene conosce la sua storia <strong>di</strong> persecuzione e, curiosamente, cerca <strong>di</strong> strappare il tedesco dal<br />
suo isolamento: chi meglio <strong>di</strong> un ebreo potrebbe comprendere la solitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> un tedesco? Ancora<br />
una volta, con l’ennesimo notevole espe<strong>di</strong>ente letterario, Thomas Mann ci offre la sua genialità <strong>di</strong><br />
scrittore: un ebreo dal passato e dal presente <strong>di</strong> solitu<strong>di</strong>ne offre il suo aiuto ad un tedesco che sta per<br />
percorrere il medesimo cammino <strong>di</strong> isolamento, quello <strong>di</strong> un popolo che si riconosce come “eletto”.<br />
Quello che potrebbe apparentemente sembrare un <strong>di</strong>scorso adulatorio da parte dell’impresario ebreo<br />
nei confronti <strong>di</strong> Adrian è in realtà da prendere molto sul serio: «Noi siamo internazionali, ma siamo<br />
filotedeschi, lo siamo come nessun altro al mondo, non foss’altro perché non possiamo fare a meno<br />
<strong>di</strong> notare quanto siano affini su questa terra le sorti del germanesimo e dell’ebraismo.» (cit. pag.<br />
464). Il <strong>di</strong>alogo assume la piega <strong>di</strong> un’inquietante e <strong>di</strong>abolica riflessione, il cui tentativo non è<br />
affatto adulatorio, bensì tragico: il ponte che l’impresario si sforza <strong>di</strong> costruire tra gli ebrei e i<br />
tedeschi viene però da Adrian demolito col suo silenzio: il rifiuto del protagonista si offre come<br />
tragica prefigurazione della catastrofe che, <strong>di</strong> lì a poco, avrebbe coinvolto gli ebrei in Germania.<br />
Lezione 31/05/<strong>2012</strong><br />
La vasta <strong>di</strong>stanza temporale che abbiamo più volte detto caratterizzare le due epoche storiche<br />
su cui si muove il romanzo <strong>di</strong> Thomas Mann (quella in cui vive Serenus e quella in cui si<br />
consumano le vicende <strong>di</strong> Adrian) ha impe<strong>di</strong>to che il cosiddetto precipitare degli eventi possa aver<br />
avuto luogo in un momento precedente alla conclusione, quella verso cui ci stiamo approssimando.<br />
È proprio quando il romanzo inizia a concludersi che questa <strong>di</strong>stanza subisce una riduzione tale da<br />
consentire l’avvicinamento delle due epoche. A questo punto il drammatico precipitare riesce ad<br />
emergere chiaramente: gli eventi narrati progre<strong>di</strong>scono, sempre più velocemente, verso una<br />
configurazione che a sua volta si avvia ad assumere un carattere sempre più tragico.<br />
Dal capitolo XXXVIII in avanti è possibile in<strong>di</strong>viduare una serie <strong>di</strong> elementi che ci aiutano ad<br />
prendere coscienza della progressiva precipitazione che si appresta a sconvolgere l’intera<br />
narrazione: proprio mentre acquisisce sempre più fama e successo Adrian inizia a valutare l’ipotesi<br />
<strong>di</strong> unirsi in matrimonio con una donna; potrà così infrangere quella solitu<strong>di</strong>ne, quell’estraniazione<br />
dal mondo a cui il patto con il Demonio lo aveva condannato. È un nuovo moto verso un ulteriore<br />
sta<strong>di</strong>o della sua esistenza, quello che fa credere ad Adrian, e insieme a lui a Serenus, <strong>di</strong> rimettere in<br />
moto quel procedere <strong>di</strong>alettico <strong>di</strong> ogni esistenza umana: nell’amore e nell’accostamento alla persona<br />
amata il protagonista intravede la possibilità <strong>di</strong> spezzare il suo solido vincolo <strong>di</strong> solitu<strong>di</strong>ne. Ma<br />
quella <strong>di</strong> Adrian non è un’esistenza qualunque: la <strong>di</strong>sperata illusione <strong>di</strong> salvezza verrà presto<br />
7
infranta; Mann non manca <strong>di</strong> introdurre elementi grotteschi quando si appresta a raccontare il<br />
motivo per cui questo matrimonio non s’ha da fare.<br />
Rudolf Schwerdtfeger – violinista e, ormai si può <strong>di</strong>re, amico <strong>di</strong> Adrian – è l’uomo a cui è<br />
stata legata Ines, la fanciulla che invece si ritrova ad essere moglie del professore <strong>di</strong> <strong>Estetica</strong>,<br />
Institoris. Si tratta <strong>di</strong> un violinista che Mann ci descrive come dotato <strong>di</strong> un grande fascino, lo stesso<br />
che gli consente <strong>di</strong> avere un grande ascendente sulle donne. Sarà questo il motivo per cui Adrian lo<br />
pregherà <strong>di</strong> chiedere per lui la mano della donna che il protagonista intende sposare: M.lle Godeau.<br />
Sarà proprio dopo il mancato matrimonio che Adrian inaugurerà una fase ulteriore della sua<br />
esistenza artistica, quella più produttiva che gli consentirà <strong>di</strong> giungere all’apoteosi della sua<br />
creazione. Se al protagonista, invece, sarebbe stato concesso rompere la solitu<strong>di</strong>ne della sua<br />
esistenza sposandosi con quella donna la sua vita sarebbe a tal punto cambiata da impe<strong>di</strong>rgli <strong>di</strong><br />
produrre gli ultimi, più gran<strong>di</strong>, capolavori. Dunque: Adrian continua ad essere un artista, nel senso<br />
più <strong>di</strong>abolico e tragico, proprio grazie a quel matrimonio mancato.<br />
«Se mai la parola “simpatica” è stata in<strong>di</strong>spensabile a definire una persona, lo è ancor più<br />
nella descrizione <strong>di</strong> questa giovane che, da capo a pie<strong>di</strong>, in ogni tratto, in ogni parola, in ogni<br />
sorriso e in ogni sua manifestazione attuava il senso estetico-morale <strong>di</strong> questo vocabolo con<br />
pacatezza e senza esagerazione. Premetto che aveva i più bei occhi neri del mondo, neri come<br />
giada, come catrame, come le more mature: ed erano occhi non molto gran<strong>di</strong>, ma animati da uno<br />
sguardo aperto e limpido pur nella sua oscurità, sotto due sopracciglia dal <strong>di</strong>segno sottile e<br />
regolare in<strong>di</strong>pendente da ogni trucco, come il rosso moderatamente vivo delle sue dolci labbra.<br />
Non c’era in quella ragazza niente <strong>di</strong> artificiale, nessuna montatura accentuante, sottolineante o<br />
colorante. La grazia naturale con cui i capelli, folti sulla nuca, erano ritirati dalla fronte o dalle<br />
tenere tempie lasciando libere le orecchie improntava <strong>di</strong> sé anche le mani, mani belle e intelligenti,<br />
non piccolissime, ma agili e <strong>di</strong> ossa sottili, cinti schiettamente all’attaccatura dai polsini <strong>di</strong> una<br />
camicetta <strong>di</strong> seta bianca. Un colletto liscio le chiudeva il collo sottile e rotondo come una colonna,<br />
che sembrava fatto con lo scalpello ed era coronato dal bell’ovale del viso color avorio, col nasino<br />
fine e ben formato, con le caratteristiche narici vivacemente aperte. Il suo sorriso non molto<br />
frequente e il suo riso ancora più raro, che provocava sempre uno sforzo commovente delle tempie<br />
quasi <strong>di</strong>afane, scoprivano i denti fitti e regolari.» (cit. pag. 477). È con queste parole che l’autore ci<br />
presenta la donna che Adrian desiderava avere in sposa: non a caso è ancora il concetto schilleriano<br />
<strong>di</strong> Grazia ad emergere significativamente: una spontanea e gratuita risorsa, quella che agli occhi <strong>di</strong><br />
Adrian la signorina Godeau aveva ottenuto. I sorrisi forzati e le risate ottenute faticosamente dalla<br />
fanciulla vengono curiosamente accostate ai tipici scoppi <strong>di</strong> risa che abbiamo già più volte detto<br />
essere tra le principali caratteristiche <strong>di</strong> Adrian.<br />
Ancora nel capitolo XXXVIII<br />
viene presentata al lettore un’altra<br />
serata in un salotto borghese<br />
frequentato da Adrian: l’atmosfera<br />
<strong>di</strong> questo ritrovo è arricchita<br />
dall’ascolto <strong>di</strong> Mon coeur s’ouvre à<br />
ta voix, un’aria <strong>di</strong> Camille Saint-<br />
Saens, il cui esplicito contenuto<br />
amoroso richiama ad una sorta <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>chiarazione d’amore che avviene<br />
proprio grazie all’elemento<br />
musicale.<br />
Il capitolo XL si apre con una<br />
serie <strong>di</strong> riferimenti ai castelli<br />
7
fiabeschi che Ludwig II <strong>di</strong> Baviera aveva fatto costruire durante il suo travagliato regno, il quale si<br />
concluse – a causa dell’infermità mentale del sovrano in questione – con l’obbligo <strong>di</strong> ab<strong>di</strong>care e un<br />
conseguente suici<strong>di</strong>o dell’instabile regnate.<br />
Il castello <strong>di</strong> Linderhof<br />
Ludwig era il finanziatore ufficiale <strong>di</strong> Wagner, <strong>di</strong> cui era grande ammiratore: tra loro si istaurò un<br />
rapporto <strong>di</strong> stima reciproca al punto che, però, furono talmente tanti gli investimenti che il re scelse<br />
<strong>di</strong> fare in favore dell’operato artistico del suo amato musicista che fu accusato <strong>di</strong> trascurare e<br />
danneggiare l’economia della Baviera.<br />
Ma torniamo alla splen<strong>di</strong>da descrizione della graziosa signorina Godeau offertaci da Thomas<br />
Mann: «[…] egli passò le ultime ore <strong>di</strong> quella giornata nella sola compagnia degli occhi neri.» (cit.<br />
pag. 493). Siamo alla fine del capitolo XL e l’autore ci offre un’immagine <strong>di</strong> una fanciulla dotata <strong>di</strong><br />
occhi talmente belli che hanno il potere <strong>di</strong> sostituirsi all’intera sua persona e a fissarsi nell’eternità.<br />
Difatti: anche Schwerdtfeger resterà colpito dal fascino della donna a cui Adrian intende chiedere la<br />
mano: sarà così che infatti, dopo il rifiuto da parte della signorina Godeau <strong>di</strong> sposare Adrian, il<br />
violinista, assolto il compito affidatogli dall’amico, si sentirà libero <strong>di</strong> poter chiedere lui stesso la<br />
mano della fanciulla, la quale accetterà. Di tutto l’accaduto Adrian sarà avvisato da una lettera da<br />
parte <strong>di</strong> Schwerdtfeger stesso.<br />
A testimonianza del fatto che gli eventi stanno, intanto, precipitando tragicamente Serenus ci<br />
racconta un episo<strong>di</strong>o singolare in tutta la sua drammaticità: ha assistito all’assassinio, da parte <strong>di</strong><br />
Ines Institoris, del violinista ormai marito della signorina Godeau: è il segnale <strong>di</strong> una guerra in<br />
arrivo, il prelu<strong>di</strong>o all’enorme violenza della guerra che <strong>di</strong> lì a poco sarebbe inevitabilmente<br />
scoppiata. È una violenza da cui Serenus fino alla fine cercherà in tutti i mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> <strong>di</strong>fendere il suo<br />
amato Adrian: la scelta <strong>di</strong> preservarlo dal dramma che incombe si traduce anche nella decisione <strong>di</strong><br />
non informare il protagonista della vicenda a cui aveva assistito. La morte del violinista sbarra ogni<br />
speranzosa possibilità <strong>di</strong> conferire all’epoca storica una conclusione <strong>di</strong>versa da quella che il destino<br />
le ha riservato.<br />
Il capitolo XLIII si presenta come una sorta <strong>di</strong> introduzione all’ultima, più grande e più<br />
significativa opera <strong>di</strong> Adrian, quella che paradossalmente realizzerà proprio nell’arco <strong>di</strong> questi<br />
tragici avvenimenti: la Lamentazione del Dottor Faustus, curiosamente contenente le stesse sillabe<br />
dell’Etera Esmeralda.<br />
Il termine tedesco usato da Mann per rendere lamentazione è KLAGE: si tratta <strong>di</strong> una parola<br />
graficamente e musicalmente vicina a KLANG, che a sua volta significa suono: tutto ciò che vive<br />
7
produce sonorità e la modalità umana della sonorità è il lamento. In altre parole: se in epoca<br />
me<strong>di</strong>evale si era soliti in<strong>di</strong>viduare la modalità della sonorità umana nella gioia, nell’esaltazione o<br />
nel riconoscimento del bene <strong>di</strong> vivere <strong>di</strong> una lode al signore, l’unica forma sonora in cui l’esistenza<br />
umana ha modo <strong>di</strong> configurarsi ora è il lamento <strong>di</strong> una creatura che ha preso coscienza del nulla che<br />
ha <strong>di</strong> fronte a sé, della solitu<strong>di</strong>ne seguita alla separazione dal creatore.<br />
Gli ultimi capitoli presentano un nuovo tragico avvenimento, volto ad ottenere un’ulteriore<br />
accelerazione verso la catastrofe: la morte <strong>di</strong> Nepomuk, il nipotino malato <strong>di</strong> Adrian che era stato<br />
condotto nella casa <strong>di</strong> campagna dello zio con la speranza <strong>di</strong> provocare un miglioramento delle sue<br />
con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> salute. Ma al contrario: il bambino perde la vita e Adrian in<strong>di</strong>vidua nella propria<br />
<strong>di</strong>mensione demoniaca la causa <strong>di</strong> questa morte innocente. Anche la semplice presenza del nipotino<br />
accanto al protagonista è interpretata come motivo <strong>di</strong> eccesso d’amore immeritato, un amore a cui,<br />
dopo il patto con il Demonio, Adrian non aveva più alcun <strong>di</strong>ritto.<br />
«Pren<strong>di</strong>lo, mostro! – gridò con voce che mi scosse le più intime fibre. – Pren<strong>di</strong>lo, cane fottuto,<br />
ma spicciati, se non hai voluto concedere nemmeno questo, manigoldo che sei! Avevo pensato −<br />
<strong>di</strong>sse poi, rivolgendosi in tono confidenziale verso <strong>di</strong> me, avanzando <strong>di</strong> un passo e guardandomi<br />
con uno sguardo <strong>di</strong>sperato che non <strong>di</strong>menticherò mai – che volesse concedermi almeno questo.<br />
Invece no! Donde dovrebbe prendere la grazia, lui che ne è lontano, e proprio questo ha dovuto<br />
calpestare con la sua rabbia bestiale. Pren<strong>di</strong>lo, maledetto! – gridò, ritraendosi <strong>di</strong> nuovo da me,<br />
come uno che è messo in croce… − Pren<strong>di</strong> il suo corpo, che è in tuo potere, ma dovrai lasciare in<br />
pace la sua anima dolce, e questa è la tua impotenza, la tua ri<strong>di</strong>colaggine, per cui ti voglio<br />
insultare nei secoli. Passino le eternità tra il luogo mio e il suo, io saprò che è quello donde tu,<br />
mascalzone, sei stato cacciato, e ciò sarà bevanda confortante alla mia lingua, sarà un osanna al<br />
tuo corno nella più bassa male<strong>di</strong>zione!» (cit. pp. 541-542). Le parole <strong>di</strong> Adrian che Serenus qui ci<br />
riporta avvertono il lettore della imminente morte del nipotino: il piccolo rappresentava una seria<br />
minaccia alla solitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong>abolica <strong>di</strong> Adrian e si doveva eliminare. Presa coscienza della sua colpa<br />
in merito a questa innocente morte Adrian si de<strong>di</strong>ca alla stesura della Lamentazione, unico risultato<br />
possibile da ottenere dopo la catastrofe compiuta.<br />
La Lamentazione si fa immagine interme<strong>di</strong>a <strong>di</strong> un Cristo solo, specchio dell’umanità: proprio<br />
come il figlio <strong>di</strong> Dio in un attimo <strong>di</strong> <strong>di</strong>sperazione assoluta chiede al padre <strong>di</strong> allontanare da sé<br />
l’amaro calice a cui è destinato, Adrian si è illuso <strong>di</strong> schivare il suo <strong>di</strong>abolico destino: è questa una<br />
delle possibili interpretazioni dell’intera opera, la quale potrebbe procurarle molto facilmente<br />
un’accusa <strong>di</strong> blasfemia. Se in quell’attimo <strong>di</strong> dolore e <strong>di</strong> <strong>di</strong>sperazione Cristo si è paradossalmente<br />
sentito solo e abbandonato da Dio, il precipitare tragico degli avvenimenti che concludono il<br />
romanzo convincono Adrian che non vi è alcuna possibilità <strong>di</strong> fuga: è lui la creatura più vicina al<br />
Demonio, il quale lo sta chiamando a sé definitivamente attraverso questa drammatica<br />
accelerazione.<br />
È ancora una volta un esplicito riferimento alla vita <strong>di</strong> Nietzsche quello che chiude<br />
definitivamente l’esistenza <strong>di</strong> Adrian: proprio come accadde al filosofo, dopo il delirio scaturito<br />
dalla compiuta catastrofe Adrian è riportato al suo paese <strong>di</strong> origine. Sarà qui che il protagonista<br />
metterà in scena una sorta <strong>di</strong> pubblica confessione <strong>di</strong> fronte agli spettatori che continuano a<br />
seguirlo. Si tratta <strong>di</strong> una confessione volta a smascherare il carattere demoniaco della sua esistenza e<br />
della sua arte: non è escluso che Thomas Mann abbia deciso <strong>di</strong> ricorrere all’ennesimo geniale<br />
espe<strong>di</strong>ente − <strong>di</strong> cui abbiamo visto il romanzo essere colmo – per procurare, del Doctor Faustus, una<br />
svolta in chiave cristiana: confessare equivarrebbe ad ammettere il proprio peccato per poterlo<br />
espiare; si tratterebbe dunque, secondo questa ulteriore interpretazione, dell’ultimo estremo e<br />
<strong>di</strong>sperato tentativo del protagonista <strong>di</strong> liberarsi <strong>di</strong> quella <strong>di</strong>abolica con<strong>di</strong>zione da sempre cucita sotto<br />
la sua pelle.<br />
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