Il tempo come indicibile attesa - Edizioni Studium

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09.06.2013 Views

800 Paola Ricci Sindoni Il racconto babilonese del diluvio, ad esempio, o la supremazia delle forze cosmiche sugli uomini, che negli abitanti della Mesopotamia veniva sperimentata come modalità mitica di vivere le alterne vicende della natura, a cui in definitiva l’uomo poteva opporre solo la riconquista di un flusso temporale organizzato secondo i ritmi propri delle fondazioni delle dinastie o delle città, si differenziava profondamente dalla percezione del tempo vissuta, ad esempio, dai vicini abitanti dell’Egitto 20 . Avvezzi alla regolarità del clima e alla permanente fertilità del suolo attraversato dal Nilo, gli egiziani venivano così a disporsi verso un’attesa del tempo che finiva con il coincidere con il flusso dei doni della natura e con i desideri degli agricoltori. Tuttavia «malgrado le loro divergenze, le concezioni antiche hanno un modo comune di affrontare cultualmente il tempo. Esse immaginano e introducono nella vita religiosa tempi rituali, la cui esistenza manifesta, nello stesso tempo, l’angoscia dell’uomo davanti alla natura e la pacificazione degli elementi contrari che si affrontano nel tempo» 21 . Mircea Eliade ha del resto in modo eccellente mostrato come, mediante la ripetizione del rito, il tempo dell’attesa assumesse un valore pieno e solidale con i tempi precedenti e con quelli seguenti consacrati allo stesso rito: una sola durata ierofanica scorre attraverso tutti i tempi dedicati alla stessa funzione 22 . Non veniva sospeso il tempo profano, ma introdotto al suo interno qualcosa di assolutamente nuovo, il rituale appunto, che lo riempiva di significato e di valore, aprendolo alla comprensione e all’accettazione del mito. Basti pensare, ad esempio, alla liturgia del nuovo anno in Mesopotamia, al rituale della successione regale in Egitto, alle funzioni del lutto a Tammuz in Fenicia o a Canaan, per comprendere come questi rituali manifestassero in modo sorprendente il ruolo svolto dall’attesa del tempo nella mentalità dell’antico Oriente. In definitiva – precisa al riguardo Neher –, quando è racchiuso nel rito, il tempo guadagna significato; «è moltiplicato da una serie di risonanze mitiche in cui la vita umana trova un accrescimento, doloroso talvolta, ma sempre prezioso. Il tempo rituale è un tempo assunto» 23 . A differenza di un’altra concezione, rivelatasi negli orientamenti ciclici del tempo 24 e diffusa soprattutto nello spirito indiano, volto a rinunciare al tempo, a considerare trascurabile, inessenziale l’attesa, per viverla come estraneità atemporale.

Il tempo come indicibile attesa 801 In essi il tempo non è sentito come una qualità inerente al mondo, ma solo come un accidente particolare della condizione umana. La natura, invece, sfugge al tempo, è spaziale, cosicché l’antitesi non è posta tra due differenti tempi che si affrontano, ma fra un «uomo-tempo» e una «natura-spazio» 25 . Già gli studiosi delle antiche religioni orientali hanno messo in rilievo come progressivamente i grandi eventi dei popoli primitivi hanno sempre più marcato la distinzione e la dialettica del tempo e dello spazio. In modo emblematico è la filosofia greca che, anche sotto l’influenza del vicino Oriente, sembra aver sintetizzato questa tendenza con maggiore consapevolezza speculativa: contrapposto al mondo-cosmo, universo ordinato e immutabile, c’è un tempo che, in senso proprio e forte, non possiede una sua specifica realtà. Per i Pitagorici è ripetizione, identità; per Platone è «immagine» dell’eternità; per Aristotele moto circolare e uniforme. «Ne risulta che la vita e l’esistenza, cioè il tempo dell’uomo, la sua unicità e la sua storia non sono fonti di conoscenza» 26 , per cui è possibile conoscere l’uomo solo attraverso vie mediate – quali la filosofia e la scienza – che furono entrambe, almeno all’inizio, geometriche. Aristotele non fa che codificare ciò che, da Eraclito in poi, tutti i filosofi greci avevano percepito confusamente: rispetto all’immutabile, il mutevole è una diminuzione. Accettare e attendere il tempo è un venir meno» 27 . La storia altro non è che l’inevitabile scorrere degli avvenimenti, schiacciati dal ritmo ossessivo di una temporalità che, pur ripetendosi, rimane sostanzialmente estranea al destino del singolo. Non è un caso infatti che i Greci affidassero la storia ora all’indagine filosofica, ora alla retorica. «Fare la storia significava per essi sia ricreare un fatto del passato, sia esporlo in forma letteraria; non era “creare” della storia. I greci avevano certo una storia, ma non fondavano nulla su di essa» 28 . La comprensione di un tempo storico mal si accordava con la nozione dell’«eterno ritorno», e ciò avrebbe comportato, soprattutto in analoghe concezioni del tempo ciclico (si pensi al pensiero indù), delle gravi conseguenze sul piano del comportamento etico. Se il ciclo temporale è colto come «dolore» e trasmigrazione di miserie e di sofferenze, non esiste salvezza che nella liberazione dal flusso fatale del tempo, attraverso un atteggiamento di «indifferenza» generale, che finiva per mortificare ogni attesa e speranza nel futuro.

800 Paola Ricci Sindoni<br />

<strong>Il</strong> racconto babilonese del diluvio, ad esempio, o la supremazia<br />

delle forze cosmiche sugli uomini, che negli abitanti della Mesopotamia<br />

veniva sperimentata <strong>come</strong> modalità mitica di vivere le<br />

alterne vicende della natura, a cui in definitiva l’uomo poteva opporre<br />

solo la riconquista di un flusso <strong>tempo</strong>rale organizzato secondo<br />

i ritmi propri delle fondazioni delle dinastie o delle città, si<br />

differenziava profondamente dalla percezione del <strong>tempo</strong> vissuta,<br />

ad esempio, dai vicini abitanti dell’Egitto 20 .<br />

Avvezzi alla regolarità del clima e alla permanente fertilità del<br />

suolo attraversato dal Nilo, gli egiziani venivano così a disporsi<br />

verso un’<strong>attesa</strong> del <strong>tempo</strong> che finiva con il coincidere con il flusso<br />

dei doni della natura e con i desideri degli agricoltori. Tuttavia<br />

«malgrado le loro divergenze, le concezioni antiche hanno un modo<br />

comune di affrontare cultualmente il <strong>tempo</strong>. Esse immaginano<br />

e introducono nella vita religiosa tempi rituali, la cui esistenza manifesta,<br />

nello stesso <strong>tempo</strong>, l’angoscia dell’uomo davanti alla natura<br />

e la pacificazione degli elementi contrari che si affrontano nel<br />

<strong>tempo</strong>» 21 .<br />

Mircea Eliade ha del resto in modo eccellente mostrato <strong>come</strong>,<br />

mediante la ripetizione del rito, il <strong>tempo</strong> dell’<strong>attesa</strong> assumesse un<br />

valore pieno e solidale con i tempi precedenti e con quelli seguenti<br />

consacrati allo stesso rito: una sola durata ierofanica scorre attraverso<br />

tutti i tempi dedicati alla stessa funzione 22 . Non veniva sospeso<br />

il <strong>tempo</strong> profano, ma introdotto al suo interno qualcosa di assolutamente<br />

nuovo, il rituale appunto, che lo riempiva di significato<br />

e di valore, aprendolo alla comprensione e all’accettazione del<br />

mito. Basti pensare, ad esempio, alla liturgia del nuovo anno in Mesopotamia,<br />

al rituale della successione regale in Egitto, alle funzioni<br />

del lutto a Tammuz in Fenicia o a Canaan, per comprendere <strong>come</strong><br />

questi rituali manifestassero in modo sorprendente il ruolo svolto<br />

dall’<strong>attesa</strong> del <strong>tempo</strong> nella mentalità dell’antico Oriente.<br />

In definitiva – precisa al riguardo Neher –, quando è racchiuso<br />

nel rito, il <strong>tempo</strong> guadagna significato; «è moltiplicato da una<br />

serie di risonanze mitiche in cui la vita umana trova un accrescimento,<br />

doloroso talvolta, ma sempre prezioso. <strong>Il</strong> <strong>tempo</strong> rituale è<br />

un <strong>tempo</strong> assunto» 23 . A differenza di un’altra concezione, rivelatasi<br />

negli orientamenti ciclici del <strong>tempo</strong> 24 e diffusa soprattutto<br />

nello spirito indiano, volto a rinunciare al <strong>tempo</strong>, a considerare<br />

trascurabile, inessenziale l’<strong>attesa</strong>, per viverla <strong>come</strong> estraneità<br />

a<strong>tempo</strong>rale.

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