Il tempo come indicibile attesa - Edizioni Studium
Il tempo come indicibile attesa - Edizioni Studium
Il tempo come indicibile attesa - Edizioni Studium
Create successful ePaper yourself
Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.
spostato in avanti, si incarica di sopportare la rassegnazione dell’oggi<br />
(«troppi erano ormai i legami perché si potesse abbandonare<br />
la città») e di predisporre questo flusso vuoto all’<strong>attesa</strong>, eventuale,<br />
dell’apocalisse, unico «<strong>tempo</strong>» possibile, nutrito della distruzione<br />
di tutti i tempi. Alla Babele biblica, <strong>come</strong> quella di Praga,<br />
in cui Kafka è nato e vissuto e a cui allude il racconto, non rimane<br />
che la prigionia di un <strong>tempo</strong> immobile, incapace com’è di<br />
vivere l’<strong>attesa</strong> <strong>come</strong> novità del futuro, tale da riempire di densità<br />
tutto il <strong>tempo</strong> umano. Non rimane perciò che l’esposizione alla<br />
violenza apocalittico-distruttiva. «Tutte le leggende e i canti – termina<br />
il racconto alludendo a Praga – formatisi in questa città sono<br />
pervasi dall’<strong>attesa</strong> di un giorno promesso in cui la città sarà<br />
spianata da un pugno gigantesco con cinque colpi in rapida successione.<br />
Perciò nello stemma della città figura un pugno» 15 .<br />
A differenza di Hladik, che vive l’<strong>attesa</strong> condensata in pochi<br />
attimi, gli unici capaci di donare un senso a tutta una vita, il cittadino<br />
babelico sopporta il peso del suo presente sfibrato, impotente<br />
a contenere in sé il carico del futuro. È il <strong>tempo</strong> avvenire, infatti,<br />
che dispone all’<strong>attesa</strong>; è ad esso che l’«ebreo» Kafka 16 guarda,<br />
disincantato e scettico, memore – se mai – del tono apocalittico,<br />
presente, in parte, nel messianismo ebraico 17 .<br />
Quest’ultimo, assai variegato nelle sue molteplici rappresentazioni<br />
storiche, appare più propenso, almeno nel filone del rabbinismo<br />
postesilico, a privilegiare l’<strong>attesa</strong> <strong>come</strong> «sogno del compimento»<br />
18 del <strong>tempo</strong>, il cui eschaton si nutre di futuro; è il «non<br />
ancora» che preme sul «già», se così si può dire, capovolgendo le<br />
coordinate messianiche presenti nel Nuovo Testamento. Quasi a<br />
dire che in questo scenario l’<strong>attesa</strong> si fa dicibile, perché la Parola<br />
prima ed ultima è stata «già» pronunciata. Diversamente dall’ebraismo,<br />
dove il <strong>tempo</strong> dell’<strong>attesa</strong> è consegnato, per dirla con Lévinas<br />
19 , ad un dire che non è mai componibile nell’assunzione del<br />
detto.<br />
3. L’<strong>attesa</strong> rituale nel <strong>tempo</strong> della natura<br />
<strong>Il</strong> <strong>tempo</strong> <strong>come</strong> <strong>indicibile</strong> <strong>attesa</strong> 799<br />
È di sicuro interesse analizzare la primitiva concezione del <strong>tempo</strong><br />
ebraico, leggendola in parallelo con differenti visioni, cronologicamente<br />
vicine, che si svilupparono all’interno dei grandi sistemi<br />
religiosi mesopotamici, sumeri ed egiziani.