Il tempo come indicibile attesa - Edizioni Studium

Il tempo come indicibile attesa - Edizioni Studium Il tempo come indicibile attesa - Edizioni Studium

edizionistudium.it
from edizionistudium.it More from this publisher
09.06.2013 Views

796 Paola Ricci Sindoni vamente, come tensione dinamica ad un «oltre», già raccolto nel tempo-ora, in quell’ora presente, cioè, in cui convivono all’esterno il tragico rituale della condanna a morte, e, all’interno, l’incompiutezza di un’opera che preme per essere ultimata. In questo ipotetico incrocio delle due differenti scansioni del tempo, prende dimora l’attesa, che è sempre tensione ad altro che non abita dentro il circuito finito dell’«ora», ma al contempo si nutre del «già» dato, il cui spessore pare possedere in sé il germe segreto del compimento. È certo un miracolo segreto, come invita a considerarlo Borges, anche perché costitutivamente l’attesa preme in avanti, verso l’indicibile altro da sé; forma presente del futuro può essere chiamata, perché poggia su di un lampo di tempo – l’ora – la cui intensità dinamica proietta fuori, lontano. Il miracolo sta non soltanto nella possibilità di pre-vedere il futuro, ma, nel caso dello scrittore condannato a morte, di trascinarlo indietro, dentro quel presente condensato, che riassume in sé l’inevitabile tensione di quel tempo lungo che è il futuro imprevedibile. È il tempo vicino di cui parla Giovanni (Ap 22, 10), è il tempo corto di Paolo (1 Cor 7, 29), il tempo che resta tra il «già» del presente, già colmo di futuro, e il «non ancora» che attende di essere com-preso nella totalità dell’«oggi». Ciò che vale è il tempo di «ora», quel presente che resta (Rm 11, 5) e che sembra costituire nell’orizzonte neotestamentario la forma interna e la verità di tutto il tempo, la sua «segreta» unificazione. Paolo non ha dubbi ad ammettere che, una volta accettata per fede la venuta e la resurrezione del Maestro nella «pienezza» del tempo, ciò che rimane – dopo questo Evento – è un tempo breve, un tempo contratto, il tempo che resta, insomma, come unico tempo reale. Ciò va inteso non tanto perché l’attesa del ritorno del Signore fosse percepita dalle prime comunità cristiane nella sua urgenza storica, successivamente delusa 5 , ma perché – come sembra dire Paolo – dopo Cristo tutto il tempo, totalmente condensato nel Messia, va raccolto totalmente nell’hodie, nel tempo che resta, più che proiettato in un incerto futuro escatologico 6 . La speranza che anima l’attesa del ritorno non rimanda perciò alla fine del tempo, ma al tempo della fine, al tempo cioè che ora prepara l’evento e lo custodisce con fiducia e pazienza 7 . E se pur dobbiamo restare immersi nel finito, nella pura precarietà del pre-

sente, là dove occorre rimanere agostinianamente fissi in un tempo che di continuo trapassa nel non essere del futuro, non resta che riaffidarsi alla speranza, a quell’originario kairòs, che fa il tempo pieno, non annullandone le contraddizioni, ma anticipando nell’oggi una dimensione altra di Essere che già «è» 8 . La questione che interessa Paolo e che dà filosoficamente da pensare, non è tanto quella di prefigurare la speranza in un futuro escatologico che punti al compimento del domani, quanto quella di ricentrare nell’oggi l’evento messianico, come tempo di quel presente condensato, tempo che resta e che – lo diceva già Ticonio che ebbe tanta influenza su Agostino – costringe ogni tempo a farsi ora messianica, non come fine cronologica del tempo, ma come esigenza di pienezza dell’oggi, come ciò che si pone «a titolo di fine» 9 . 2. La torre di Babele o l’attesa lunga Il tempo come indicibile attesa 797 Ben differente appare l’intenzionalità filosofica che muove il racconto, Lo stemma cittadino, di Kafka 10 . In esso trova una sorprendente interpretazione la storia biblica relativa alla costruzione della torre di Babele. Compresa in soli nove versetti – Genesi 11, 1-9 – la vicenda, detta altrimenti «la sfida a Dio», sottolinea «la tracotanza, l’autoesaltazione di un potere terrestre impaziente del giogo celeste e di ogni limite umano» 11 . La Bibbia lascia intendere che la costruzione procedeva molto rapidamente, così rapidamente da allarmare Dio per questa concentrazione di forze in una sola città. La distruzione dell’opera, con la conseguente confusione delle lingue, non è che la denuncia nei confronti della violenza totalitaria del potere omologante della tecnica, che pretende di autocentrarsi sostituendosi all’Unico 12 . Kafka, al contrario, sovverte alla radice il mito biblico: anziché descrivere l’edificazione della torre, narra la storia della sua non costruzione. «Infatti si ragionava così: il punto essenziale di tutta l’impresa è l’idea di costruire una torre che arrivi al cielo. Davanti a questa idea tutto il resto è secondario. L’idea, una volta concepita nella sua grandezza, non può più scomparire; finché ci saranno uomini ci sarà anche il desiderio di portare a termine la costruzione della torre. Non bisogna

sente, là dove occorre rimanere agostinianamente fissi in un <strong>tempo</strong><br />

che di continuo trapassa nel non essere del futuro, non resta<br />

che riaffidarsi alla speranza, a quell’originario kairòs, che fa il <strong>tempo</strong><br />

pieno, non annullandone le contraddizioni, ma anticipando<br />

nell’oggi una dimensione altra di Essere che già «è» 8 .<br />

La questione che interessa Paolo e che dà filosoficamente da<br />

pensare, non è tanto quella di prefigurare la speranza in un futuro<br />

escatologico che punti al compimento del domani, quanto<br />

quella di ricentrare nell’oggi l’evento messianico, <strong>come</strong> <strong>tempo</strong> di<br />

quel presente condensato, <strong>tempo</strong> che resta e che – lo diceva già<br />

Ticonio che ebbe tanta influenza su Agostino – costringe ogni<br />

<strong>tempo</strong> a farsi ora messianica, non <strong>come</strong> fine cronologica del <strong>tempo</strong>,<br />

ma <strong>come</strong> esigenza di pienezza dell’oggi, <strong>come</strong> ciò che si pone<br />

«a titolo di fine» 9 .<br />

2. La torre di Babele o l’<strong>attesa</strong> lunga<br />

<strong>Il</strong> <strong>tempo</strong> <strong>come</strong> <strong>indicibile</strong> <strong>attesa</strong> 797<br />

Ben differente appare l’intenzionalità filosofica che muove il racconto,<br />

Lo stemma cittadino, di Kafka 10 . In esso trova una sorprendente<br />

interpretazione la storia biblica relativa alla costruzione<br />

della torre di Babele. Compresa in soli nove versetti – Genesi<br />

11, 1-9 – la vicenda, detta altrimenti «la sfida a Dio», sottolinea<br />

«la tracotanza, l’autoesaltazione di un potere terrestre impaziente<br />

del giogo celeste e di ogni limite umano» 11 . La Bibbia lascia intendere<br />

che la costruzione procedeva molto rapidamente, così rapidamente<br />

da allarmare Dio per questa concentrazione di forze in<br />

una sola città. La distruzione dell’opera, con la conseguente confusione<br />

delle lingue, non è che la denuncia nei confronti della violenza<br />

totalitaria del potere omologante della tecnica, che pretende<br />

di autocentrarsi sostituendosi all’Unico 12 .<br />

Kafka, al contrario, sovverte alla radice il mito biblico: anziché<br />

descrivere l’edificazione della torre, narra la storia della sua<br />

non costruzione.<br />

«Infatti si ragionava così: il punto essenziale di tutta l’impresa è l’idea<br />

di costruire una torre che arrivi al cielo. Davanti a questa idea tutto il<br />

resto è secondario. L’idea, una volta concepita nella sua grandezza,<br />

non può più scomparire; finché ci saranno uomini ci sarà anche il desiderio<br />

di portare a termine la costruzione della torre. Non bisogna

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!