Il tempo come indicibile attesa - Edizioni Studium
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794 Paola Ricci Sindoni<br />
La storia di Borges si svolge a Praga 2 , dove lo scrittore Jaromir<br />
Hladik, arrestato dai tedeschi nel 1939 per aver studiato la mistica<br />
ebraica, vive i suoi ultimi dieci giorni in prigione, in <strong>attesa</strong><br />
dell’esecuzione capitale. Ciò che lo tormenta è l’impossibilità di<br />
poter condurre a termine il suo lavoro – una tragedia in tre atti intitolata<br />
I nemici –: «Aveva già terminato il primo atto e qualche<br />
scena del terzo; la natura metrica dell’opera gli permetteva di rivederla<br />
continuamente, di correggerne gli esametri, senza aver<br />
sott’occhio il manoscritto. Pensò che mancavano ancora due atti,<br />
e che tra brevissimo <strong>tempo</strong> sarebbe morto» 3 .<br />
La notte prima di essere ucciso – così continua il racconto –<br />
Hladik rivolge a Dio una preghiera perché gli doni un altro anno<br />
di vita per poter completare la sua tragedia. Ma il <strong>tempo</strong> scorre<br />
inesorabile: alle 9 del mattino del 29 marzo 1939 il condannato<br />
viene passato per le armi. Vale la pena rileggere integralmente la<br />
parte finale del racconto.<br />
«<strong>Il</strong> plotone si formò, s’inquadrò. Hladik, in piedi contro il muro della<br />
caserma, attese la scarica. Qualcuno temette che la parete restasse<br />
macchiata di sangue; ordinarono allora al condannato di avanzare di<br />
alcuni passi. Hladik, assurdamente, ricordò i vacillamenti preliminari<br />
ordinati dai fotografi. Una pesante goccia di pioggia gli sfiorò una<br />
tempia e lentamente rotolò sulla sua guancia; il sergente vociferò il<br />
comando finale.<br />
L’universo fisico si fermò.<br />
Le armi convergevano su Hladik, ma gli uomini che stavano per<br />
ucciderlo restavano immobili. <strong>Il</strong> braccio del sergente eternizzava un<br />
gesto inconcluso. Su un mattone del cortile un’ape proiettava un’ombra<br />
fissa. <strong>Il</strong> vento s’era arrestato <strong>come</strong> in un quadro. Hladik tentò un<br />
grido, una sillaba, la torsione di una mano. Comprese che era paralizzato.<br />
Non il più tenue rumore gli giungeva dal mondo impedito.<br />
Pensò sono all’inferno, sono morto. Pensò sono impazzito. Pensò il<br />
<strong>tempo</strong> si è fermato. Poi rifletté che, in questo caso, anche il suo pensiero<br />
si sarebbe fermato. Volle metterlo alla prova: ripeté (senza muovere<br />
le labbra) la misteriosa quarta ecloga di Virgilio. Immaginò che<br />
già i remoti soldati condividessero la sua angoscia; bramò di comunicare<br />
con loro. Si stupì di non sentire alcuna stanchezza, e neppure la<br />
vertigine della sua lunga immobilità. Dopo un <strong>tempo</strong> indeterminato,<br />
si addormentò. Quando si risvegliò, il mondo continuava immobile e<br />
sordo. Durava sulla sua guancia la goccia d’acqua; nel cortile, l’ombra<br />
dell’ape; il fumo della sigaretta che aveva fumato non finiva mai di disperdersi.<br />
Un altro “giorno” passò prima che Hladik comprendesse.