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PROFETI 02 ISSR AMOS OSEA - Home Page FTTR

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<strong>AMOS</strong><br />

Bibliografia<br />

L. ALONSO SCHÖKEL – J.L. SICRE DIAZ, I Profeti, Borla, Roma 1989: Amos, pp. 1079-1129.<br />

E. BECK, Osea-Amos-Michea, Cittadella, Assisi 1989.<br />

A. BONORA, <strong>AMOS</strong>. Il profeta della giustizia (LoB 1.24) Queriniana, Brescia 1979.<br />

P. BOVATI - R. MEYNET, Il libro del profeta Amos, Ed. Dehoniane, Roma 1995.<br />

J. JEREMIAS, Amos (Antico Testamento 24/2), Paideia, Brescia 2000.<br />

J. LIMBURG, I dodici profeti. Parte prima: Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea (Strumenti – Commentari<br />

23), Claudiana, Torino 2006, pp. 115-174.<br />

N.M. LOSS, Amos (NVB 29), Paoline, Roma 1984.<br />

M. NOBILE, Amos e Osea, Edizioni Messaggero, Padova 2005.<br />

G. SGARGI, Gioele, Amos, Abdia, EDB, Bologna 1998.<br />

H. SIMIAN-YOFRE, Amos (I libri biblici, 15), Paoline, Milano 20<strong>02</strong>.<br />

J.A. SOGGIN, Il profeta Amos (Studi Biblici 61), Paideia, Brescia 1982.<br />

C. STHLMÜLLER, I libri di Amos, Osea, Michea, Naum, Sofonia, Abacuc, Queriniana, Brescia 1996.<br />

G. TOURN, Amos, profeta della giustizia, Claudiana, Torino 1972.<br />

H.W. WOLFF, Joel - Amos (BKAT 14.2), Neukirchener Verlag, Neukirchen-Vluyn: 1971 (= Joel and Amos<br />

[Hermeneia], Fortress Press, Philadelphia, PA 1977).<br />

1. Attività del profeta e il suo libro 1<br />

Amos operò al tempo di Geroboamo II (786-746 o 783-743 a.C.), tra il 760 e il 750<br />

(cf Am 1,1-2: notizia storica e titolo del libro). Il suo ministero dovette essere molto breve,<br />

forse durò qualche mese. Poi fu rispedito a casa (cf 7,10-17). L’indicazione «due anni<br />

prima del terremoto», presente nel titolo, segna la data: metà del secolo VIII (cf scavi<br />

di Hazor), ma sembra anche confermare il suo messaggio che annunciava un cataclisma<br />

(8,8) 2 .<br />

Di professione fu probabilmente «mandriano»-nôqēd (Am 1,1). In 7,14 troviamo bôqēr<br />

che BHS propone di correggere secondo Am 1,1 in base alla LXX aivpo,loj. Ma biqqer<br />

significa «osservare, prendersi cura», quindi «allevare o custodire» inteso di una<br />

mandria (cf mē’aḥárê haṣṣô’n, «da dietro il gregge»). Il profeta si definisce anche «incisore<br />

di sicomori» (bôlēs šiqmîm, 7,14) forse per fare dei frutti una pastura per gli animali.<br />

Probabilmente non fu un pastore dipendente, ma possidente di un gregge ed è pensabile<br />

che fosse influente e ricco. Lo confermano la sua conoscenza della politica internazionale<br />

(1,3-2,5), dei problemi sociali e morali di Israele (2,6-8; 3,1-6,14) e della storia<br />

passata (2,10-16).<br />

Come origine proviene da Teqoa‘, nel regno di Giuda, al sud. Ma il luogo dell’attività<br />

è al nord, Betel. Perciò la sua profezia fu ritenuta dal sacerdote Amasia come un’azione<br />

1 Cf. anche PEB, NDTB, ABREGO DE LACY e bibliografia. Una rassegna degli studi recenti sul profeta è in ROY<br />

F. MELUGIN, «Amos in Recent Research», CR:BS (Currents in Research: Biblical Studies, Sheffield Academic<br />

Press, Sheffield, U.K.), 6 (1998) 65-101, con i seguenti capitoli o titoli: «Amos come autore virtuale<br />

dell’intero libro»; «Amos: del Sud o del Nord?»; «Storia della redazione viva», «Interpretazione sincronica e<br />

l’impulso estetico»; «Postmodernismo e predominanza del lettore». Segue una lista di opere su Amos focalizzate<br />

sulla storia, l’archeologia, le strutture sociali e la teologia.<br />

2 È da identificare con l’«uomo di Dio» di 1Re 13 che dal sud sale al nord, a Betel? In questo caso il profeta<br />

sarebbe vissuto all’epoca di Geroboamo I. Si possono rilevare delle somiglianze tra i due racconti: entrambi<br />

sono di Giuda e parlano al nord; discutono direttamente o indirettamente con un re chiamato Geroboamo; ha<br />

importanza «mangiare il pane», però al nord; e un leone gioca un ruolo importante. Tuttavia, vi sono nette<br />

differenze: 1Re evita il termine nābî´ per l’uomo di Dio del sud e lo impiega solo per l’anziano nābî´ del<br />

nord; ad Amos non importa nulla del problema della purità ed è invitato a mangiare il suo pane al sud e non<br />

al nord.


tesa a destabilizzare il regno di Geroboamo. Sarebbe stato un näbî´ al soldo del re di<br />

Giuda per cospirare contro Israele.<br />

Amos fu dunque un profeta contadino che, al tempo del re Geroboamo II, dal sud<br />

venne ad annunciare la parola del Signore al nord, nel santuario di Betel, in seguito a una<br />

particolare vocazione (cf 3,3-8; 7,1-9). «Con questa delimitazione, la Bibbia stabilisce<br />

Amos come il primo profeta scrittore e il suo libro come attestazione di uno scritto profetico»<br />

3 . Diventa una chiave di lettura dei testi profetici. Infatti, contiene quasi tutti i<br />

generi letterari e i temi teologici presenti nei profeti scrittori.<br />

D’altra parte, bisognerà distinguere tra il personaggio storico Amos e l’immagine del<br />

profeta trasmessa dagli autori del testo finale. Potremmo pensare ai profeti come personaggi<br />

di forte personalità, il cui influsso ha permesso di conservare alcuni dei loro testi,<br />

orali o scritti, che la comunità poi ha completato, commentato e applicato a situazioni<br />

diverse 4 . Parte del libro potrebbe essere stata scritta dallo stesso Amos, come gli oracoli<br />

sui popoli e contro Israele e le visioni. I discepoli completarono il testo, inserendo altri<br />

episodi antichi (come il contrasto con Amasia), e attualizzarono il suo messaggio.<br />

2. Fu nābî’ ?<br />

Due testi ne parlano. Am 3,7-8 contiene il richiamo a una vocazione profetica in 3 a<br />

persona che diventa l’autopresentazione di Amos per dire che a Dio non si può resistere<br />

e quando chiama bisogna rispondere: il profeta non può tacere. È una vocazione del tipo<br />

«militare» (comando-esecuzione) come quella di Abramo, ma anche del tipo profeta<br />

«servo» al quale il Signore «rivela il suo piano». Il brano si può intendere come risposta<br />

dopo lo scontro con il sacerdote Amasia che chiedeva ad Amos le credenziali delle sue<br />

parole e non ne riconosceva l’autorità.<br />

Lo stile è sapienziale: il messaggio è nella forma dell’enigma mediante una serie di<br />

domande didattiche, la cui forma prevede la logica risposta di un «No!». Stilisticamente<br />

ben articolate, raccolgono una serie di enigmi culminanti nel ruggito del leone, che apre<br />

e chiude (vv.4.8). I vv.7-8 offrono il criterio ermeneutico: il leone che ruggisce vicino è<br />

la parola del Signore che incute terrore per mezzo del profeta (cf 1,1-2). Forse il profeta<br />

stesso la teme.<br />

Nell’insieme risultano i seguenti tratti:<br />

1) Il profeta è portaparola del Signore, perché riceve la rivelazione del suo «piano» (il<br />

segreto, sôdô) sulla storia. Leggendo i fatti con lo sguardo di Dio, essi apprendono e comunicano<br />

il mistero. Dio controlla la storia e rivela il senso misterioso dei fatti al suo<br />

popolo per mezzo dei profeti, per una azione educativa (LXX paidei,an auvtou). Le visioni<br />

(cc.7-9) mostrano che tale conoscenza è stata comunicata ad Amos.<br />

2) Perciò, i profeti sono «servi» del Signore, suoi confidenti, come il Servo del Signore<br />

di Isaia (cf Is 50,4-6).<br />

3) Il v. 8, in parallelo con il v.6, avverte che il profeta non può opporsi a Dio né rifiutarsi<br />

di dire la Parola, benché dura come l’annuncio della sventura e generatrice di panico<br />

come il ruggito del leone. Non può evitare di comunicarla - vi è costretto come Geremia<br />

(Ger 20,9) e come Paolo (1Cor 9,16) - e non dovrà dire se non quello che ha ricevuto,<br />

altrimenti egli stesso verrà rigettato come i falsi profeti 5 .<br />

3 H. SIMIAN-YOFRE, Amos, p. 211.<br />

4 Cf H. SIMIAN-YOFRE, cit, pp. 210-12 e introduzione, pp.13-14.<br />

5 Cf Dt 18,14-22, che oppone gli indovini, gli incantatori e i falsi profeti al vero profeta.<br />

18


Am 7,10-17, in particolare i vv. 14-16, raccolgono l’alterco di Amos con il sacerdote<br />

Amasia, nel quale risaltano gli elementi portanti dell’attività del profeta: condanna del re<br />

che gli proibisce di parlare; conferma del messaggio e rifiuto di essere annoverato tra i<br />

profeti di professione; anche Amasia e la sua famiglia saranno coinvolti nel giudizio.<br />

Il motivo della minaccia distruttiva si fonda sul rifiuto della parola di Dio da parte dei<br />

potenti. Perciò essa verrà a mancare al momento necessario e non potrà salvare (8,11-<br />

12). Il racconto, nel contesto delle visioni, si oppone in modo verisimile alla religione istituzionale<br />

di stato. È scontro tra il gruppo di Amos, profetico carismatico e quello di<br />

Amasia, sacerdotale istituzionale 6 .<br />

Il sacerdote apostrofa il profeta come nābî’ e veggente, collocandolo tra figure che<br />

non godevano di buona fama, persone prezzolate per dare oracoli dietro pagamento<br />

(mangia il tuo pane a casa tua), e si appella al tempio come appartenente al re (il tempio<br />

del re, del regno). Amos risponde appellandosi all'autorità superiore del Signore. Amasia<br />

si ritiene funzionario del re, del quale si fa interprete (Geroboamo I aveva nominato i sacerdoti<br />

scegliendoli dal popolo, 1Re 11-12). Il profeta ribadisce che il regno non è uno<br />

spazio chiuso controllato dal re, ma da Dio, che irrompe con la sua Parola.<br />

Non nābî´ (sono-ero?) io, non ben-nābî´<br />

ma (kî ) un mandriano io (ero) e raccoglitore di fichi (bôlēs šiqmîm).<br />

Il Signore mi ha preso mentre seguivo il gregge.<br />

E mi disse il Signore: «Va’, profetizza (hinnābē’) al mio popolo Israele.<br />

Alcuni autori vedono in questa risposta il rifiuto di essere nābî´. Però la discussione è<br />

imperniata sulla radice nābā’ che designa l’attività di Amos ed è presente a ogni versetto<br />

7 . Il profeta rifiuta di essere catalogato tra i nebî’îm di professione, che si guadagnavano<br />

il pane profetizzando a pagamento, accetta invece la missione di «profetizzare» conferitagli<br />

dal Signore e si proclama profeta per vocazione come Mosè. Fu il Signore a costituirlo<br />

tale. Non poteva tacere, perché Dio gli aveva ordinato di «diventare profeta» (hinnābē’)<br />

e profetare. È risposta a lō’-tûkal hā’āreṣ lĕhākîl ’et-kol-dĕbārāyw (v.10): «La<br />

terra (re e regno) non può “sopportare o resistere” (kwl, hiphil) o contenere la Parola». Il<br />

senso è in parte quello di «vincere», allitterazione con yākal, come kol, «tutte» le sue parole.<br />

Il potere della Parola è vincente su ogni tentativo di incatenarla (cf 2Tm 2,9) ed<br />

espelle i colpevoli. Non possono resistere.<br />

A partire da Amos, la figura del profeta assume il carattere tipico dell'uomo libero<br />

davanti alle istituzioni, capace di denunciare il male delle classi dirigenti (re, sacerdoti,<br />

potentati economici) e di difendere i deboli. È l’uomo che legge la storia, vi scopre e<br />

proclama la parola e la volontà del Signore, annuncia il castigo imminente, ma anche intercede<br />

per il suo popolo e lo invita alla conversione per ottenere il perdono.<br />

6 Cf M. DIJSKTRA, «I am neither a prohet nor a prophet’s pupil»: Amos 7:9-17 as the Presentation of a<br />

Prophet like Moses, in J.C. DE MOOR (ed.), The Elusive Prophet: The Prophet as Historical Person, Literary<br />

Character ad Anonymous Artist (OTS 45), Brill, Leiden-Boston-Cologne 2001, pp. 105-128: Am 7,9-17 è<br />

inserzione editoriale; solo 7,11 riporta Amos all’VIII sec. Così J. WERLITZ, «Amos und sein Biograph. Zur<br />

Entstehung und Intention der Prophetenerzählung. Am 7,10.17», BZ 44 (2/2000) 233-251: il testo, unità letteraria<br />

indipendente, non è dell’ottavo secolo, ma del periodo esilico o postesilico. Tuttavia, non si tratta di<br />

un racconto puramente fittizio inventato dal biografo: il v.14 contiene un’antica tradizione. Cf anche F.O.<br />

GARCÍA-TRETO, A Reader-Response Approach to Prophetic Conflict: the Case of Amos 7,10-17, in J.C.<br />

EXUM – D.J.A. CLINES (edd.), The New Literary Criticism and the Hebrew Bible (JSOTSS 143), Sheffield<br />

1993, pp. 114-124.<br />

7 La radice nāba´ appare sei volte a partire dal v.12: 4 in forma verbale, hinnābē´, 2 come nome, nābî´: v.14;<br />

cf anche “veggente”, v.12, e nìp, “vaticinare”, lett. “sbavare”. Al v. 14 LXX traduce e interpreta: «Io non ero<br />

un profeta» (cf Cei).<br />

19


3. Caratteri e stile del messaggio di Amos<br />

Anzitutto lo stile sapienziale: non la sapienza dei grandi centri culturali, piuttosto<br />

quella dei clan (cf la donna saggia di Teqoa in 2Sam 14). Lo rivelano le domande didattiche,<br />

le invettive che richiamano Proverbi (Am 5,18; 6,1, cf Prov 23,23s; Qo 10,16s), le<br />

parabole (5,18-20; 3,7-8), le esortazioni e le antitesi, le sentenze numeriche, i temi sulla<br />

rettitudine e la giustizia. Il suo ministero si esprime con parole e visioni. Il libro contiene<br />

anche tre dossologie (4,13; 5,[7]8-9; 9,5-6) e un racconto in terza persona: il confronto<br />

tra il profeta e il sacerdote Amasia (7,10-17).<br />

4. Amos e il NT<br />

• La narrazione della morte di Gesù fa riferimento a Am 8,9: «Farò tramontare il sole a<br />

mezzogiorno…» (cf Mt 27,45; Ms 15,33; Lc 23,44s);<br />

• Am 9,10 accenna al «lutto per il figlio unico»;<br />

• At 7,42s (discorso di Stefano), cf Am 5,25-27LXX: l’inclinazione all’idolatria del<br />

popolo durante i quarant’anni del deserto;<br />

• At 15,16s si appella ad Am 9,11LXX, per affermare non la restaurazione della monarchia<br />

(TM), ma l’apertura di tutti i popoli a Dio: «Fin dal principio, si preoccupò di<br />

scegliersi tra i pagani un popolo per sé» (At 15,14);<br />

• La parabola del ricco epulone (Lc 16,19-31) sembra calcata su Am 6,4-6, che denuncia<br />

la vita lussuosa nell’indifferenza per i poveri (la liturgia ha unito i due passi nella<br />

medesima domenica).<br />

2 - Struttura (cf. Bovati - Meynet)<br />

vv 1,1-2: TITOLO DEL LIBRO: Parole di Amos, ruggito del Signore – al tempo di Ozia re di Giuda e<br />

Geroboamo II re di Israele (783-743) – attività al Nord<br />

Sezione A: 1,3-2,16 – LE NAZIONI E ISRAELE SOTTO IL GIUDIZIO DI DIO 8<br />

A1: 1,3-2,3: contro le Nazioni straniere (1,3-5.6-8: Damasco e Gaza; 1,9-10.11-12: Tiro ed Edom;<br />

1,13-15; 2,1-3: Ammon e Moab)<br />

A2: 2,4-5: contro Giuda<br />

A3: 2,6-16: contro Israele<br />

Sezione B: 3,1-6,14 - ISRAELE DOVRÀ PASSARE ATTRAVERSO LA MORTE 9<br />

B1: 3,1-8: una trappola per i Figli di Israele (in 3,3-8 è ricostruita l’esperienza della vocazione<br />

del profeta: a Dio non si può resistere, quando egli chiama bisogna rispondere)<br />

B2: 3,9-4,3: moltiplicare le ricchezze non salverà i Figli di Israele (3,9-12: invito alle nazioni<br />

straniere; 3,13-15: annuncio della distruzione; 4,1-3: invito ai ricchi di Samaria)<br />

B3: 4,4-13: moltiplicare i sacrifici non salverà i Figli di Israele (4,4-5: invito ironico; 4,6-11: ricordo<br />

dei castighi passati – sette piaghe; 4,12-13: invito drammatico a incontrare Dio)<br />

B4: 5,1-17: lamento funebre sulla Vergine e Casa d’Israele (5,1-3: lamento del profeta sulla<br />

Vergine di Israele rapita dalla morte; 5,4-6: invito alla “casa d’Israele” a cercare il Signore;<br />

5,7-13: annuncio del castigo; 5,14-15: invito a cercare la giustizia; 5,16-17: lamento di Israele<br />

sui propri morti. 5,1-3.16-17: testo rituale funebre su una relazione interrotta, in cui il<br />

profeta pronuncia il suo messaggio di morte)<br />

8 Lo stile ricalca i proverbi numerici. C. WESTERMANN, Primo approccio all’AT, Marietti, Torino 1977: gli oracoli<br />

sono organizzati alla stessa maniera, seguendo la struttura dell’oracolo profetico di condanna: motivazione<br />

(lamento e suo sviluppo) e annuncio (intervento di Dio e conseguenze). A Moab è rimproverata la violazione<br />

del diritto internazionale (2,1-3): Dio, Signore universale, custodisce il diritto anche fuori di Israele.<br />

Gli oracoli contro Israele contengono tre tipi di accusa: (a) sociale o etica; (b) contro il culto non autentico;<br />

(c) la falsa sicurezza nella elezione.<br />

9 Alonso, Profeti, p. 1086, articola i capitoli 3-4; 5,1-17 a struttura concentrica (4,13; 5,1-3. 4-6. 7.10-13.<br />

14-15. 16-17. 7-8); 5,18-6,14 (sezione guai).<br />

20


B5: 5,18-27: un culto pervertito non salverà la casa d’Israele (5,18-20: 1° guai, a coloro che attendono<br />

il giorno del Signore; non si potrà sfuggire al nemico [il giorno del Signore]; 5,21-<br />

25: ciò che richiede il Signore: odio le vostre feste v.21 – scorrano diritto e giustizia; 5,26-<br />

27: Israele non potrà sfuggire alla deportazione)<br />

B6: 6,1-7: una ricchezza pervertita non salverà la casa d’Israele (6,1: 2° guai, a quanti si credono<br />

i primi; 6,2-3: voi non siete migliori degli altri; 6,4-7: sarete i primi a essere deportati)<br />

B7: 6,8-14: il veleno per la Casa di Israele (6,8-11: Dio distruggerà l’orgoglio dei palazzi di<br />

Giacobbe; 6,12: Dio deplora la degenerazione di Israele; 6,13-14: Dio farà schiacciare gli<br />

orgogliosi)<br />

Sezione C: 7,1-9,14 - LA VISIONE DELLA FINE<br />

C1: 7,1-6: l’intercessione del profeta sospende la distruzione finale (visioni, 7,1-3: la minaccia<br />

delle locuste; 7,4-6: la minaccia del fuoco)<br />

C2: 7,7-8,3: l’espulsione del profeta determina la distruzione finale (7,7-9: la visione del “piombino”,<br />

’ānāk; 7,10-17: Amos è cacciato da Betel; 8,1-3: la visione dei frutti maturi, a significare<br />

che la fine è venuta)<br />

C3: 8,4-14: la fine della profezia, ultima parola del Signore (8,4-7: il Signore non dimenticherà<br />

l’ingiustizia di Giacobbe; 8,8: un castigo cosmico – terremoto; 8,9-14: la perversione del<br />

culto di Samaria sarà castigata)<br />

C4: 9,1-10: il Signore comanda la distruzione finale – un resto (9,1-4: un male al quale nessuno<br />

potrà sfuggire: visione della distruzione del santuario = il giudizio è inevitabile; 9,5-7: il Signore<br />

e i Figli di Israele; 9,8-10: il male per tutti i peccatori)<br />

C5: 9,11-15: il Signore promette la restaurazione finale 10<br />

3 - Messaggio – La giustizia 11<br />

Il messaggio centrale del libro di Amos, che rivela una coerenza letteraria e tematica,<br />

risulta, in forza della ripetizione, la giustizia. È l’argomento da cui derivano e verso il<br />

quale confluiscono tutti gli altri: vocazione, culto, elezione, dossologia. Il tema ha il suo<br />

fulcro nella sequenza di Am 2,6-16 (oracolo contro Israele) esposto sempre in forma bipartita:<br />

accusa e annuncio della sanzione per ristabilire la giustizia.<br />

A – La denuncia verte su una situazione inveterata in Israele, insensibile a pentimenti<br />

e richiami, aggravata dal tentativo di mascherare il crimine. L’ingiustizia si estende da<br />

una base economica – ha come segno l'oppressione del povero e del debole – fino<br />

all’ambito giuridico che ha il suo centro nel re e nella corte (disprezzo del diritto:<br />

«Cambiano in veleno [assenzio, o “in alto” LXX] il diritto e gettano a terra la giustizia»<br />

[5,7, cf 6,12]; «odiano chi accusa alla porta, hanno in abominio chi dice verità», 5,10),<br />

per sfociare nell’ambito religioso e cultuale, il cui sistema (riti, tempio, luoghi sacri)<br />

10 Altre proposte di struttura del libro sono in J.M. ABREGO DE LACY, Libri profetici (Introduzione allo studio<br />

della Bibbia 4), Paideia, Brescia 1995, pp. 49s. I. DUE PARTI: 1) Am 1,1 = «parole» di Amos (= 1-6); 2) Am<br />

7,1 = «visioni» (= 7-9). II. SICRE, cit. (cf ALONSO, Profeti, p. 1086, R. Martin Achard, in AA.VV., I profeti e i<br />

libri profetici [Piccola Enciclopedia Biblica 4], Borla, Roma 1987, p. 39): introduzione 1,1.2, (a) oracoli contro<br />

i paesi stranieri + Israele: 1,3-2,16; (b) oracoli contro Israele: 3,1-6,14; (c) visioni: 7,1-9,10; (d) oracolo di<br />

salvezza e consolazione: 9,11-15. III: lo stesso ABREGO LACY: (a) 1,1-2,16: Israele tra le nazioni; (b) 3,1-3:<br />

l’elezione non è un privilegio – (resto del libro) – (b’) 9,7-8: l’elezione non è un privilegio; a’) 9,9-10: Israele<br />

tra le nazioni; 9,11-15: appendice (= oracoli di salvezza); egli nota giustamente la duplice inclusione con<br />

un rilievo teologico: 1) in 9,9 Israele è tra gli oracoli delle nazioni, è come una di esse, come nella prima parte<br />

(2,6-16); 2) in 3,1-3 e 9,7-8 l’elezione è intesa come «giudizio» non come fonte di privilegi: Israele colpevole<br />

è sullo stesso piano delle altre nazioni. J. LIMBURG, I dodici profeti. Parte prima: Osea, Gioele, Amos,<br />

Abdia, Giona, Michea (Strumenti – Commentari 23), Claudiana, Torino 2006, p. 117-118, propone quattro sezioni,<br />

dopo i versi introduttivi (1,1-2): 1,3-2,16; 3,1-6,14; 7,1-8,3; 8,4-9,15.<br />

11 Cf P. BOVATI - R. MEYNET, Il libro del profeta Amos, Ed. Dehoniane, Roma 1995, pp. 423-436, e Piccola<br />

Enciclopedia Biblica, pp. 42-46.<br />

21


consacra la perversione, e terminare con il rifiuto della Parola che trova la sua più alta<br />

espressione nel rifiuto del profeta (Am 7,10-17). La giustizia è impazzita! Amos svela<br />

quanto poco Israele tenga conto di Dio. Per primo egli denuncia la separazione tra culto<br />

e giustizia, rito e vita, servizio del Signore e servizio al prossimo.<br />

Accanto o insieme al tema dell’incuria per la giustizia, Amos denuncia dunque il falso<br />

culto e la falsa sicurezza posta nella elezione, come anche il lusso della classe alta.<br />

Non perché fosse proibito profumarsi o dormire in un buon letto, ma per denunciare<br />

l’indifferenza, che attira il giudizio di Dio, e per additare la compassione solidale con gli<br />

avvenimenti del popolo di Dio (Von Rad).<br />

B – Il giudizio divino è concentrato nel «giorno del Signore» nel quale giudizio e<br />

condanna saranno inevitabili (5,18-20, cfr 8,9-14). E il profeta avverte: «Preparati<br />

all’incontro con il tuo Dio, Israele» (Am 4,12c). Comporta una condanna equa, sulla base<br />

del contrappasso, con la perdita di tutte le ricchezze e sicurezze, una condanna imparziale<br />

rivolta a tutti i trasgressori senza distinzione. In 2,13-16 il giudizio assume<br />

l’immagine dell’esercito in rotta; in 3,1-2 avviene l’ispezione e in 3,13-15 il cataclisma<br />

(cf 8,8). Il capitolo 4 evoca le sette piaghe contro Israele, ma inutilmente; segue allora il<br />

lamento funebre per la morte (c.5). Infine, le visioni passano dalla intercessione al giudizio<br />

inevitabile, per la cacciata del profeta e la conseguente assenza della parola (7,1-<br />

9,10). Il tempo della pazienza divina sembra finito, non esistono proroghe. Israele si incammina<br />

verso la distruzione.<br />

C – Tuttavia, l’ultima sequenza (9,11-15) annuncia il capovolgimento della situazione<br />

per un intervento gratuito e liberante del Signore. Si apre così per Israele una prospettiva<br />

di misericordia inattesa. Il testo sembra opporsi alle precedenti categoriche dichiarazioni<br />

di giudizio (5,1.11; 8,14; 9,1). Ma la fine radicale di Israele, che doveva prepararsi<br />

all’incontro con Dio per il giudizio definitivo, era stata mitigata dall'annuncio di un resto<br />

che ne avrebbe garantito la continuità (2,16b; 3,12; 4,11; 5,3.15; 9,8-10).<br />

L’improvviso e immotivato «cambio della sorte» (šub ’et-šebût, 9,14) presuppone una<br />

prospettiva teologica. Se il castigo è motivato dal peccato di Israele, la «mutazione delle<br />

sorti» non dipende dal suo comportamento, bontà o conversione, ma da Dio che cambia<br />

(šub) la storia. Il futuro di Israele non ha altro fondamento che Dio stesso, la fedeltà divina<br />

al «suo» popolo (9,13-14a). Il Dio che «costruisce (bōnēh) nel cielo il suo soglio e fonda la<br />

sua volta sulla terra» (9,6; 4,13; 5,8s), è in grado di ricostruire il suo popolo (9,11). Israele<br />

convocato per l’ultimo incontro con il Signore per ricevere il giudizio, può ancora confidare<br />

nella misericordia. «Preparati all’incontro con il tuo Dio» (4,12) è da considerare più<br />

che una convocazione militare per la punizione, una convocazione liturgica per l’ultima<br />

occasione di conversione che lascia aperta una speranza: «cambiare» per non essere<br />

«cambiato-sconvolto» in una catastrofe. Se ci sarà salvezza, sarà comunque frutto<br />

dell’amore gratuito di Dio. L’esilio sarà il terribile momento in cui JHWH si rivelerà come<br />

il Signore dell’alleanza, «il Signore tuo Dio» (9,15d), e al tempo stesso come il Creatore,<br />

origine assoluta della vita, «il Signore che fa questo» (9,12c).<br />

Il cambiamento futuro non sarà però un semplice ritorno alla condizione passata, ma<br />

una nuova creazione che manifesta la medesima sovrana potenza creatrice divina che<br />

produce la vita. Due tratti accentuano la novità: l’esuberanza della vita, raffigurata nella<br />

pienezza e sovrabbondanza di ciò che permette agli uomini di vivere, la fecondità della<br />

terra con i «giardini» (9,13) che sembrano alludere al paradiso primitivo; la definitività<br />

che abolisce ogni distruzione e deportazione (Am 9,15). Il tratto ideale va oltre il ritorno<br />

storico dall’esilio mirando all’ultimo intervento di Dio «nei giorni futuri». Del resto, storicamente<br />

la restaurazione di Davide (v.11) non si è avverata.<br />

22


ESEGESI<br />

1. Giudizio su Israele come gli altri popoli: Am 2,6-16<br />

Contesto<br />

Il testo permette di riconoscere alcune linee teologiche qualificanti del libro di Amos. Fa<br />

parte degli “oracoli contro le nazioni”, ne rappresenta l’apice: è l’ultimo, l’ottavo (7 +<br />

1), il più lungo e articolato; gli altri letterariamente sono in funzione di questo, dove il<br />

profeta sembra esprimere la consapevolezza di essere ormai giunti alla fine (cf 8,2).<br />

Lo stile degli oracoli è di tipo sapienziale. Assume la forma dei “proverbi numerici”.<br />

Ognuno comincia dicendo: “Così dice il Signore: Per tre misfatti d’Israele e per quattro<br />

non revocherò il mio decreto…” (v.6a). La sequenza - “tre e quattro” - segue il modello<br />

del parallelismo, che usa dei sinonimi o espressioni in progressione. Il numero quattro è<br />

simbolo di totalità: si è raggiunto il culmine (come 3+4 = 7, altro numero perfetto). “Non<br />

revocherò il decreto”: ogni sentenza viene motivata.<br />

Ogni oracolo infatti contiene: accusa, motivazione, condanna. I delitti sono simili: atti<br />

di violenza, crimini contro l’umanità. Non sfuggono a ciò Giuda, accusato di rifiutare i<br />

precetti e di avere seguito la menzogna, cioè l’idolatria, e Israele, che rappresenta il punto<br />

estremo dell’accusa profetica. La condizione di popolo eletto non avrebbe preservato<br />

il popolo dalla rovina (cf 3,1-2; 9,7), perché la sua condotta – nelle relazioni sociali e nel<br />

culto – non era diversa da quella degli altri popoli.<br />

Struttura<br />

L’oracolo inizia come gli altri: «Così dice il Signore» seguito dal proverbio numerico e<br />

quindi dalla accusa, motivazione e condanna. La formula, “oracolo del Signore”, ai<br />

vv.11 e 16, sembra voler articolare in due sezioni l’intervento del Signore. Nel secondo<br />

caso, conclude tutta la serie (1,3-2,16): un unico giudizio accomuna tutti.<br />

Nella prima sezione (vv.6-11), l’accusa elenca le colpe del popolo (vv.6-8) opposte<br />

all’azione liberante del Signore in suo favore, che diviene motivazione della condanna<br />

(vv.9-11); l’ultimo dono (v.11) diventa una nuova accusa (la quarta, v.12). La condanna<br />

assume la forma di una metafora agricola (il carro carico di covoni) e di una disfatta militare<br />

(la fuga vergognosa e precipitosa di tutti i componenti dell’esercito, vv.13-16).<br />

Analisi<br />

vv.6-8: i crimini di Israele. Si tratta di violenza e ingiustizia esercitata non contro avversari,<br />

anche se imparentati, ma contro innocenti, membri dello stesso popolo che Dio aveva<br />

liberato. È il trionfo del potente sul debole. I delitti sono identici a quelli delle altre<br />

nazioni, perciò anche la condanna sarà simile. Per tutti arriva la fine: al veloce ogni possibilità<br />

di fuga è preclusa (’abad, “perire, venir meno”, 2,14; cf 1,8 usato per la scomparsa<br />

del resto dei Filistei)). È la distruzione del sistema politico del regno del nord, che avverrà<br />

nel 722/21 per opera dell’Assiria.<br />

Il termine peša‘, “reato, misfatto”, è spesso classificato come crimine politico, denota<br />

una rivolta contro un signore. Qui si tratta di un’unica azione ingiusta mimetizzata dietro<br />

la forma di una procedura giudiziaria (uso falso della legge che «è gettata a terra») e di<br />

una celebrazione cultuale.<br />

23


I protagonisti possono essere diversi come le vittime: giusto e povero (v.6b), umili e<br />

bisognosi (al plurale, v.7). I singoli delitti sono sintetizzati; nelle parole del profeta erano<br />

probabilmente più circostanziati.<br />

a) Ingiustizia e violenza (vv.6-7a): 1) vendita del giusto (ṣaddiq), reso schiavo per<br />

debiti (probabilmente si tratta di un tranello teso in giudizio, per condannarlo), e del bisognoso<br />

(’ebion, misero che ha bisogno di aiuto), per un paio di sandali: per un modesto<br />

debito è reso schiavo o riceve una azione penale sproporzionata; oppure per un contratto<br />

cede il bene o se stesso con il gesto di dare i sandali, è costretto a vendersi (cf in Sir<br />

46,19, al contrario, l’onestà di Samuele); o ancora gli insolventi per debiti sono ceduti a<br />

terzi (Giuseppe venduto dai fratelli); 2) oppressione degli indigenti-miseri (dallîm): calpestare<br />

(haššō’ăfim) con violenza la testa, è accusa generica di brutalità e umiliazione,<br />

con azione ripetuta (participio); 3) in tal modo, fanno deviare gli umili (‘anawim): sono<br />

condotti per sentieri sbagliati (nāṭāh), indotti a un comportamento corrotto; oppure sono<br />

condannati da giudici corrotti (cf 5,12b): compensi illeciti servono a respingere - hiṭṭû,<br />

hifil di nāṭāh - i poveri (Wolff e altri); oppure, perché oppressi, sono tentati di compiere<br />

il male (cf Sal 125,3). Il tema della giustizia sociale è centrale in Amos, presente in tutto<br />

il libro. Per il profeta non è solo un problema di distribuzione sociale dei beni, ma di fede,<br />

legato alla liberazione divina, che fa risaltare la dignità di ogni persone. Perciò ridurre<br />

in schiavitù è un comportamento empio.<br />

b) Immoralità (v.7b). Il verso è più lento: è un tetrametro (prima vi era un doppio trimetro).<br />

Vi è un’allusione sessuale (recarsi da). Il testo potrebbe riferirsi ad atti di culto<br />

in funzione della fertilità, le prostitute sacre; ma potrebbe trattarsi di una schiava o di<br />

una persona sottomessa di cui si abusa. È il deterioramento delle relazioni familiari<br />

(forme di incesto? cf Lv 18,8.15 o il caso di Ruben con Bila, Gen 35,22; 49,4).<br />

c) Culto inefficace coinvolto nell’ingiustizia. È la separazione tra culto e vita. Il testo<br />

descrive il modo spregiudicato di trattare persone indebitate commettendo un abuso contro<br />

gli ordinamenti legali, come il pignoramento degli abiti, esplictamente proibito dalla<br />

Legge (cf Es 22,25; Dt 24,12s.17: il mantello del povero e gli abiti della vedova). Nelle<br />

feste si sdraiano su abiti pignorati anziché sui propri. Tutto è orientato a far baldoria, e il<br />

culto è strumentalizzato a proprio uso e consumo.<br />

vv.9-11: motivazione. Un doppio, solenne «E Io» introduce i vv.9-10. Vi è un’aggravante,<br />

la contraddizione con le proprie origini: la liberazione dai potenti realizzata dal Signore<br />

mediante l’esodo e il dono della terra di libertà (l’Amorreo è totalmente distrutto:<br />

da capo a piedi; immagine dell’albero). Si aggiunge il dono di istituzioni religiose e carismi<br />

come la profezia e il nazireato. Quest’ultimo motivo introduce, al v.12, il quarto delitto:<br />

la devianza imposta a istituzioni religiose, impedendo ai profeti di parlare (come<br />

avviene per Amos, 7,10-17), privando così il popolo della Parola (8,11-12), e ai nazirei<br />

di essere fedeli al loro voto di consacrazione (cf la legge in Nm 6,1-21, ed esempi in Gdc<br />

13,5 e 16,17; 1Sam 1,11; Ger 35,2-6; Lc 1,15.48).<br />

La motivazione è dunque religiosa. Il profeta, «uomo della memoria», risale alle origini<br />

di Israele, alla elezione, che ne aveva fatto un popolo libero, di fratelli, mentre la<br />

nuova situazione sociale andava creando gli schiavi. La medesima motivazione il profeta<br />

Geremia opporrà ai potenti di Gerusalemme che, dopo avere liberato gli schiavi, di nuovo<br />

volevano ridurli in servitù (34,8-22, cf vv.13-16). Il profeta, uomo della memoria, intende<br />

in questo modo ricostruire l’identità di Israele.<br />

24


vv.13-16 condanna in immagini agricole e militari<br />

v.13: il carro affondato. «Ecco Io (cf vv.9.10, atto solenne) “sto per” (participio) far<br />

spaccare [il suolo] (= affondare) sotto di voi (mē‘îq, apax, hifil di ‘wq, arabo e ugaritico<br />

‘qq, “fendere, spaccare” il suolo, cioè affondare), come (lo) spacca il carro pieno di covoni».<br />

Il carro fende la terra imbevuta d’acqua, quindi affonda nella spaccatura. Le fenditure<br />

alludono alle crepe del terremoto (cf le visioni, 8,1s, quarta e quinta)? È la fine<br />

annunciata di Israele. Il dono della terra sembra essere revocato (vv.9.10). Dio aveva fatto<br />

sorgere (’aqîm) profeti, ora affonda (mē‘îq) il popolo, spaccando la terra sotto di esso.<br />

L’immagine potrebbe essere interpretata diversamente: si tratta della slitta che funge da<br />

trebbia per schiacciare i covoni, come in 1,3, la trebbiatura con erpici di ferro.<br />

vv.14-16: l’esercito in rotta; immagine della fuga precipitosa di ogni tipo di guerriero.<br />

Al v.15 i termini tecnici fanno pensare a diverse tipologie di guerrieri anche al v.14:<br />

«Perirà (’abad) il rifugio (manôs) del “veloce” o fante dall’armatura leggera (qal), e il<br />

“forte” ossia l’oplita non potrà usare (renderà forte) la sua forza, e il gibbôr, il generale o<br />

il prode, non salverà la sua vita; l’arciere (tofeś haqqešet) non resisterà, e il veloce non si<br />

salverà per i suoi piedi, e il cavaliere non salverà la sua vita. Alla fine anche «il coraggioso<br />

o prode (forte di cuore) fuggirà nudo (abbandonando armi e bagagli)» per salvarsi<br />

(v.16); ma anche lui, come sembra dal contesto, non si potrà salvare. Tre volte infatti ripete:<br />

“non si salverà” (lö´ yümallë† [napšô]); in tutto sono sette i tipi di guerrieri. È una<br />

disfatta totale, nessuno si potrà salvare.<br />

Il Signore aveva combattuto e annientato l’Amorreo in favore di Israele, ora combatte<br />

contro il suo popolo, perché tutti sono colpevoli. L’annientamento colpisce tutti, in particolare<br />

i simboli del potere militare, l’esercito, la forza in cui Israele confidava (cf Mic<br />

5,8-14). Dio travolgerà questi simboli, mandando contro il suo popolo dei segni, come a<br />

suo tempo li aveva inviati contro l’Egitto (cf 4,4-11). Israele deve prepararsi all’incontro<br />

con il Signore (4,12)! Sarà la distruzione definitiva o l’incontro sincero con Dio resta<br />

l’ultima possibilità di salvezza mediante la conversione?<br />

2. Am 5,18-20: Il «Giorno di JHWH» 12<br />

SIGNIFICATO TEOLOGICO PREMINENTE<br />

L’espressione indica soprattutto il giorno del giudizio escatologico di JHWH, ma anche tutti<br />

i giudizi lungo la storia anticipatori e segno di quello.<br />

1. ESPRESSIONI<br />

a. giorno di JHWH, giorno del giudizio (16 x)<br />

b. giorno di giudizio negativo: giorno d’ira, vendetta, tribolazione (o simili: Is 10,3; 13,13;<br />

34,8; 61,2; 63,4; Ger 46,10...):<br />

giorno di oscurità, nubi, tempesta;<br />

giorno di battaglia, sterminio, rovina, sconvolgimento;<br />

giorno di sventura, corruzione, indigenza, ecc.<br />

c. talora allude al suo arrivo prossimo: anticipazione e segno dell’ultimo.<br />

d. giudizio escatologico: «in quel giorno». Spesso la formula serve anche di collegamento<br />

nelle promesse (Is 49,8; Ger 31,6; Mi 7,11.12; Am 9,11-15).<br />

2. SIGNIFICATO<br />

12 Cf E. JENNI, Jom Jhwh, in: E. JENNI-C. WESTERMANN (cur.), Dizionario Teologico dell’AT, vol.I, Marietti,<br />

Torino 1978.<br />

25


Le espressioni sottolineano il carattere di evento, un evento importante del passato (cf<br />

feste che lo celebrano) o futuro (nella maggior parte dei casi). «Nell’ambito della visione<br />

storica di Israele e della sua persuasione di essere in una posizione guida (orientate ambedue<br />

verso il futuro e radicate in Dio e nel suo agire nella storia), quest’idea fu trasferita<br />

sempre più nell'avvenire e divenne così gradualmente il giorno di JAHWE, ossia quel concetto<br />

che ci è ormai abituale» (Preuss).<br />

3. ORIGINE<br />

Presuppone l’esperienza di salvezza per un’azione storica compiuta da JHWH in favore<br />

del suo popolo. Preuss lo collega soprattutto all’Esodo.<br />

Le tradizioni della guerra di JHWH, riprese dai profeti, possono aver influenzato la configurazione<br />

dell’attesa del futuro (Von Rad: intervento militare liberatore del Signore, cf. Is<br />

9,3: il giorno di Madian). H.M. Lutz precisa però: «Il giorno di Jahwé è anche una guerra<br />

santa, non solo guerra».<br />

4. STORIA<br />

4.1. Il passo più antico è ritenuto Am 5,18-20 (cf 8,11-14) 13<br />

Si tratta di un oracolo polemico: una specie di canto funebre (hôy, «Guai a voi!», oppure:<br />

«Oh, voi», vocativo?), che presuppone l’idea di un giorno di salvezza. Possiamo pensare<br />

a una o più feste liturgiche, che celebravano la salvezza/liberazione dai pericoli: si attende<br />

il giorno nel quale Dio concederà il favore.<br />

I mit’awwîm, coloro che desiderano o invocano con insistenza il giorno del Signore,<br />

hanno infranto l’alleanza; di fatto invocano il loro giudizio. L’intervento del Signore non<br />

sarà per salvare il popolo infedele, ma per colpire. Per loro sarà notte e non giorno, tenebre<br />

e non luce: è il ritorno al caos (Gen 1,2). Il profeta respinge ogni forma di escatologia a tinte<br />

nazionalistiche e proclama il carattere tremendo e ineluttabile del castigo (cf anche 8,9-<br />

14: tenebre, fame, morte, con 8,1-3: i frutti maturi, a indicare il giudizio inevitabile).<br />

Una minuscola parabola illustra questa fatalità: il fuggitivo inciampa in diversi pericoli,<br />

culminanti nel nemico più pericoloso, il serpente (dopo il leone e l’orso, simboli forse di<br />

qualche potenza straniera, cf. Dan 7).<br />

Amos pone in discussione l’attesa salvifica dei suoi contemporanei. Israele è tra le nazioni,<br />

sulla stessa linea dei nemici di JHWH. Nel «Giorno del Signore» non può considerarsi il<br />

resto (ראְש) ׇ destinato alla salvezza, ma deve attendersi le terribili conseguenze della venuta<br />

del Signore a cui non può sottrarsi. Si prepari dunque all’incontro con il suo Dio (4,12). È<br />

convocazione liturgica o militare, per il pentimento o solo per annunciare il castigo inevitabile?<br />

Sembra, più probabile la prima (cf i motivi alla fine del commento ad Am 9,11-15).<br />

Lo hôy iniziale vuole attirare l’attenzione del popolo: ha insieme il potere dell’accusa e la<br />

forza di un lamento funebre, uno stratagemma drammatico per rivelare gli effetti della sua<br />

condotta. Nella distruzione dei nemici Dio afferma che liberazione e salvezza sono concessi<br />

solo a quanti aderiscono ai principi dell’alleanza. Ma ora Israele è come gli altri popoli.<br />

4.2. Altri testi: Is 2,12-17 sottolinea la vittoria di Dio su ogni arroganza e orgoglio. Sof<br />

1,7ss.14-17; Ez 7 (testi più ampi) considerano il G. di Y. rivolto interamente contro Israele.<br />

Dopo la catastrofe del 587 (Ez 13,5; 34,12; Lm 1,12; 2,1.21s) designata retrospettivamente<br />

come Giorno di JHWH, il giudizio è in prevalenza, non esclusivamente, rivolto contro i po-<br />

13 Cf H.W. WOLFF, Dodekapropheton (BK XIV/2), Neukirchen-Vluyn 1969 ( 2 1975), pp. 38ss, 298-3<strong>02</strong>; su Am<br />

5,18-20, cf anche K.D. MULZAC, «Amos 5:18-20 in its Exegetical Theological Contexts», JATS 13 (2/20<strong>02</strong>) 94-<br />

107, che sviluppa le caratteristiche letterarie, struttura, sfondo storico, interpretazione; egli pone il giorno del<br />

Signore nel contesto della teofania e dell’alleanza.<br />

26


poli stranieri (Babilonia, Is 13,6-9; Egitto, Ez 30,3; Edom, Abd 15, cf. anche Is 34,8; 61,2;<br />

Gl 3,4; 4,14; Ger 46,10).<br />

4.3. Il passaggio dall’idea di giorno di salvezza a giorno di sventura è reso possibile dal suo<br />

carattere ambivalente: reca sventura ai nemici di JHWH, salvezza ai suoi fedeli. Tutto dipende<br />

da che parte stanno Israele e gli altri uditori. Non si può accettare la sicurezza fasulla<br />

di chi afferma: «JHWH è con noi». Il giudizio verifica se noi siamo con Dio. Il Giorno di<br />

JHWH si pone perciò nei profeti come anello di congiunzione tra gli annunci del giudiziocastigo<br />

e gli annunzi di salvezza.<br />

3. Am 9,11-15: La restaurazione messianica<br />

1. DATAZIONE<br />

Oracolo pre-esilico o postesilico? Nel primo caso minaccia la rovina e annuncia la restaurazione<br />

della dinastia davidica, nel secondo annuncia un futuro felice dopo la caduta. Però<br />

non è estraneo al messaggio di Amos e ha un significato nell’attuale contesto.<br />

2. TESTO<br />

11. In quel giorno,<br />

rialzerò la capanna di David, la cadente (o che è caduta)<br />

e riparerò le loro brecce (LXX la sua breccia)<br />

e le sue (= di lui) rovine rialzerò<br />

e la RICOSTRUIRÒ (הנב) come nei giorni antichi<br />

12. perché posseggano il resto di Edom<br />

e tutte le nazioni sulle quali è pronunciato il mio nome.<br />

Oracolo del Signore che fa questo (‘ôśeh zō’t = Creatore)!<br />

13. Ecco giorni verranno<br />

- Oracolo del Signore -<br />

e si avvicinerà l’aratore al mietitore<br />

e chi pigia l’uva al seminatore (lett. chi getta la semente)<br />

e sprizzeranno i monti mosto<br />

e tutte le colline ondeggeranno (ה ׇנגַגׂ◌וםְת ׅת).<br />

14. Sì, CAMBIERÒ LA SORTE DEL MIO POPOLO ISRAELE<br />

e RICOSTRUIRANNO (הנב) città devastate e (le) abiteranno,<br />

e PIANTERANNO (עטנ) vigne e ne berranno il vino<br />

e coltiveranno giardini e ne mangeranno i frutti<br />

15. E io li PIANTERÒ (עטנ) sulla loro terra<br />

e non saranno più strappati (שׁתנ) dalla loro terra, che diedi (ןתנ) loro.<br />

Dice il Signore tuo Dio!<br />

3. STRUTTURA<br />

Il testo, articolato in due riprese (vv.11.13, “in quel giorno”, “in quei giorni”), è costituito attorno a<br />

tre verbi concentrici:<br />

a. ricostruirò (הנב) la capanna di Davide, cioè il regno davidico con i suoi domini (vv.11-12);<br />

b. cambierò (תובש בוש) le sorti del popolo + costruire-abitare-piantare (vv.13-14) degli uomini;<br />

c. li pianterò nella terra, con benedizione della terra e restaurazione del popolo (v.15).<br />

4. ESEGESI<br />

vv.11-12: il regno davidico - prospettiva dinastica messianica, in due segni:<br />

• La ricostruzione della capanna di Davide (sukkah). Quattro verbi la qualificano: rialzare<br />

la capanna caduta, riparare le brecce, rialzare le rovine, ricostruire, restaurare. La<br />

27


«capanna» di Davide allude all’insieme del regno e alla sua dinastia. È il ripristino della<br />

situazione politica. L’immagine della ricostruzione allude, forse, alla «casa» promessa<br />

nella profezia di Natan (2Sam 7).<br />

• Dominio sui vassalli: Edom (il classico nemico a partire dall’esilio) e gli altri. «Pronunciare<br />

il nome» è presa di possesso, garanzia di proprietà e di dominio: su di essi è<br />

invocato il Nome di JHWH, come quando si dedica un tempio nel nome di.... È il ritorno<br />

allo splendore del regno di Davide, considerato ideale.<br />

At 15,16-17 (discorso di Giacomo) reinterpreta il passo in chiave universalistica secondo<br />

la LXX, che probabilmente legge šĕ’ērît ’ādām anziché šĕ’ērît ’édôm.<br />

vv.13-15: il popolo e la terra<br />

• Introduzione temporale, escatologica.<br />

• Al centro (v.14) è l’espressione dominante: Dio «cambia la sorte» del suo popolo בושׁ<br />

( תוּבשׁׁ◌ comunemente inteso come «ristabilire, restaurare la sorte»). L’azione divina si<br />

accorda con l’opera umana: «costruiranno e pianteranno» (cf. Ger 1,10).<br />

• Agli estremi (vv.13.15), i segni della restaurazione designano la pace.<br />

1) Lavori agricoli con raccolto abbondante: i campi offrono il necessario e garantito sostentamento,<br />

la terra è trasformata dalle benedizioni, le stagioni della semina e della raccolta<br />

si susseguono senza interruzione (cf Gen 8,22).<br />

L’immagine agricola si concentra sul grano/pane (aratore e mietitore, seminatore e spighe<br />

riflesse nelle colline che «ondeggiano») e sul vino (pigiatore d’uva, mosto che sprizza,<br />

vigne piantate e vino bevuto). Sono i cibi tipici delle promesse profetiche (ad es. Is 55,1-3),<br />

essenziali per nutrire il popolo ed eliminare la fame e la sete minacciate in precedenza e<br />

frutto delle ingiustizie (8,4-14: fame e sete della Parola, fame e sete reali).<br />

L’immagine dei giardini è forse allusione al paradiso primitivo. Il popolo ritorna a lavorare<br />

là donde Adamo era stato cacciato.<br />

2) Città e case ricostruite e abitate riflettono il quadro estetico e sociale che rappresenta<br />

la pace. In Sal 122,3 Gerusalemme, «città di pace», è «costruita come città salda e compatta».<br />

Così le maledizioni di Am 5,11 sono annullate.<br />

3) «Piantare» rappresenta una dimora stabile nella terra. L’immagine della pianta riferita<br />

al popolo è estesa al territorio (cf 2Sam 7): la terra promessa ai Padri «non sarà più<br />

strappata», non ci sarà più deportazione. I verbi «piantare, strappare, dare» (v.15), in ebraico<br />

formano allitterazione: עַט ׇנ, שַת ׇנ, ןַת ׇנ - nātan, nātaš, nāṭa‘.<br />

5. SINTESI - INTERPRETAZIONE<br />

5.1 - «Cambierò la sorte del mio popolo». L’azione divina fonda il cambiamento. All’inizio<br />

il Signore è soggetto dei quattro verbi di restaurazione: costruire, restaurare, ricostruire; alla<br />

fine: «li pianterò» offre la promessa di una residenza stabile. Inizio e fine (vv.11.15) riprendono<br />

le tematiche del centro (vv.13-14). La restaurazione è riassunta in due verbi, costruire<br />

e piantare, riferiti al mondo urbano e agricolo; coincidono con i due verbi positivi<br />

della missione di Geremia (1,10). La restaurazione del popolo si accompagna alla benedizione<br />

della terra.<br />

All’azione divina corrisponde l’azione uomana. Dio ricostruisce la capanna di Davide e<br />

pianta gli abitanti della terra; a loro volta, gli abitanti ricostruiscono le città devastate e<br />

piantano le vigne. Il profeta descrive la pace mediante un’attività ininterrotta: le città ricostruite<br />

sono abitate, i campi garantiscono il continuo e necessario sostentamento.<br />

5.2 - La ricostruzione include la casa di Davide che ritorna all’antico splendore con il possesso<br />

dei territori conquistati, «Edom e tutte le nazioni, sulle quali è pronunciato il nome di<br />

28


הוהי» in segno di dominio. La casa davidica è riconosciuta come l’unica legittima, anche<br />

per il nord, dominato al tempo di Amos dai discendenti di Jehu (Geroboamo II).<br />

Ordine politico, civile e militare sono così ristabiliti. Il ripristino della situazione politica<br />

del passato rappresenta il modello del futuro. È l’immagine della pace che domina su<br />

Gerusalemme in Sal 122, frutto convergente di ordine sociale, religioso e giudiziario. Ai<br />

«seggi del giudizio» è sostituito in Amos il potere militare concentrato in Davide conquistatore<br />

di popoli (cf Is 55,4-5). Nel contesto prossimo, il brano si accorda con Abdia 19 e<br />

Gioele 4,19 circa la punizione di Edom (cf. Am 9,12), e ancora con Gioele sui monti che<br />

«stillano mosto» (Gl 4,18 e Am 9,13) e l’abitazione stabile in Gerusalemme e sul monte<br />

Sion (Gl 4,21 e Am 9,15).<br />

5.3 - Per Israele si apre una prospettiva di misericordia inattesa. L’annuncio profetico di<br />

salvezza sembra opporsi alle categoriche precedenti dichiarazioni di giudizio:<br />

È caduta, non potrà più rialzarsi la vergine di Israele (5,1).<br />

Abete costruito case di petra squadrata, ma non vi abiterete;<br />

avete piantato vigne pregiate, ma non ne berrete il vino (5,11).<br />

Cadranno, non si rialzeranno più (8,14).<br />

Nessuno di essi riuscirà a fuggire, nessuno di essi scamperà (9,1)<br />

Tuttavia, la minaccia della fine radicale di Israele, che doveva prepararsi all’incontro<br />

con il suo Dio (4,12), era stata mitigata dall’annuncio di un resto, che ne avrebbe garantito<br />

la continuità (2,16b; 3,12; 4,11; 5,3.15). E immediatamente prima del nostro passo, il profeta<br />

aveva annunciato la strage dei peccatori (9,14), ma presupponeva un resto:<br />

Ecco gli occhi del Signore Dio contro un regno peccatore:<br />

lo distruggerò (דַמ ׇשׁ) dalla faccia della terra.<br />

Ma non distruggerò del tutto la casa di Giacobbe…<br />

Di spada moriranno tutti i peccatori del mio popolo che dicevano:<br />

«Non farai avvicinare e non farai venire fino a noi la sventura» (9,8-10).<br />

Però, «cambierò la sorte» (9,14) appare improvvisamente e senza motivazione. La dissimetria<br />

ha significative conseguenze teologiche. Mentre il castigo è motivato dal peccato<br />

di Israele, la «mutazione delle sorti» non dipende da un suo comportamento, ma da Dio.<br />

«Non è Israele che si converte (בוּשׁ) è Dio che cambia (בוּשׁ) la storia. Il futuro di Israele – “i<br />

giorni che verranno” (13a) – sono il tempo del manifestarsi di una grazia che non ha altro<br />

fondamento che Dio stesso, la fedeltà divina al popolo che Egli continua a chiamare suo<br />

popolo (14a)». 14 Il Dio che «costruisce nel cielo il suo soglio e fonda la sua volta sulla terra»<br />

(9,6), è in grado di ricostruire il suo popolo. Israele convocato per l’ultimo incontro<br />

con il Signore per il giudizio, può ancora confidare nella sua misericordia. Nel messaggio<br />

di Amos non è dunque assente ogni speranza. L’esilio sarà il terribile momento in cui<br />

JHWH si rivelerà come il Signore dell’alleanza, «il Signore tuo Dio» (15d), e al tempo stesso<br />

come il Creatore, origine assoluta della vita, «il Signore che fa questo» (12c, öºSeh zö´t). 15<br />

5.4 - Il cambiamento futuro non sarà tuttavia un semplice ritorno alla condizione passata,<br />

ma una nuova creazione che manifesta la medesima sovrana potenza che produce la vita<br />

(הֵ ֺשוֹע). Due tratti accentuano la novità: (1) l’esuberanza della vita, la pienezza e la<br />

sovrabbondanza di ciò che permette agli uomini di vivere, cioè la fecondità della terra<br />

(v.13, cf i «giardini» con altre immagini iperboliche di carattere escatologico: Is 54,11 e 62<br />

la città; 55,1-3 il cibo; 65,20 l’età, il giovane muore a cent’anni; Ez 47,12 la sorgente; Zc<br />

14,7 sempre giorno); (2) la definitività: non ci sarà più distruzione né deportazione.<br />

14 BOVATI-MEYNET, cit., p. 391.<br />

15 Ivi.<br />

29


<strong>OSEA</strong><br />

L’amore misericordioso e fedele di Dio innamorato<br />

Bibliografia<br />

L. ALONSO SCHÖKEL – J.L. SICRE DIAZ, I Profeti, Borla, Roma 1989: Osea, pp. 971-1045.<br />

M.J. BUSS, The Prophetic Word of Hosea. A Morphological Study (BZAW) 1969.<br />

A. FANULI, Osea. Il profeta dell’amore sempre disposto a innamorarsi (LoB 1.23), Queriniana, Brescia 1984.<br />

J. JEREMIAS, Osea (Antico Testamento 24/1), Paideia, Brescia 2000 (ed. ted. Der Prophet Osea, Vandenhoeck &<br />

Ruprecht, Göttingen 1983).<br />

W. KUHNIGK, Nordwestsemitische Studien zum Hoseanuch (Biblica et Orientalia 27), PIB, Roma 1974.<br />

R. LACK, Osée 4-14: Études de structure, PIB, Roma 1974/5 (dispense per gli studenti); IDEM, Letture strutturaliste<br />

dell’A.T., Borla, Roma 1978, pp. 129-149.<br />

G. LIMENTANI, Il profeta e la prostitute. Osea, Paoline (La Parola e le parole), Cinisello Balsamo (Mi) 1999.<br />

A.W. WOLFF, Dodekapropheten. Hosea (BKAT XIV/1), 5 1965.<br />

H. SIMIAN-YOFRE, Il deserto degli dei. Teologia e storia nel libro di Osea, EDB, Bologna 1994 (ed. spagn. El<br />

Desierto de los dioses, Cordoba-Madrid 1992).<br />

E. ZENGER (ed.), Studien sum Zwölprophetenbuch (HBS 35), Freiburg i.Br. 20<strong>02</strong>; cf F. CRÜSEMANN, «Jetzt».<br />

Hosea 4-11 als Anfang der Schriftprophetie, pp. 12-31.<br />

Cf anche la bibliografia su Amos<br />

1 - Figura e libro<br />

1 – Attività: da Amos il contadino a Osea l’innamorato. Osea fu uno dei più antichi profeti<br />

scrittori, e dovette seguire di poco Amos. Non è indicato il luogo di nascita né del suo ministero;<br />

ma visse e profetizzò al nord, nel regno di Israele o Giacobbe o Efraim, durante gli<br />

ultimi anni del regno di Geroboamo II, un po’ prima e anche in contemporanea con il profeta<br />

Isaia che profetizzò in Gerusalemme e Giuda. Il regno di Geroboamo durò 40 anni e in<br />

prosperità (786-746 o 783-743 a.C.), ma fu il penultimo della dinastia di Jehu, che il profeta<br />

bolla come sanguinaria e della quale annuncia la prossima estinzione (1,4, cf 2Re 14,23-<br />

17,23). Infatti, Zaccaria figlio di Geroboamo, dopo sei mesi di regno, fu assassinato<br />

dall’usurpatore Sallum che sarà ucciso a sua volta, dopo un mese, da Menachem; a questi<br />

successe Pekachia (due anni), pure lui assassinato da Pekach che sarà ucciso da Osea,<br />

l’ultimo sovrano: dopo tre anni di assedio Samaria sarà conquistata dagli Assiri (721-722<br />

a.C). Il fatto che il profeta taccia sui successori di Geroboamo «non è forse un riflesso del<br />

giudizio portato dal profeta nel nome del Signore: «hanno creato dei re che io non ho designati»<br />

(8,4)?» (Bibbia TOB). Di fatto, il c.7 potrebbe alludere a vicende e congiure seguite<br />

alla morte di Geroboamo. L'intestazione nomina anche quattro re di Giuda (Os 1,1): Ozia,<br />

Iotam, Achaz ed Ezechia, che regnò fino alla fine del secolo VIII, dopo la caduta di Samaria<br />

per opera degli Assiri (non è certo che il profeta vi abbia assistito).<br />

2 – Il matrimonio di Osea. Del profeta il libro ci fa conoscere, oltre al tempo della sua attività,<br />

solo il suo nome (hôšēª‘, “Egli [Dio] ha salvato”, forma abbreviata e alternativa di<br />

hôša‘yah, “Jhwh ha salvato”), quello del padre (Beerì) e della moglie (Gomer). È ben nota<br />

invece la paradossale sua vicenda coniugale che diventa simbolo dei rapporti tra Israele e il<br />

“suo Dio”: nei sentimenti di amore della sua vita il profeta scopre la passione di Dio per il<br />

suo popolo. Egli riceve l’ordine dal Signore di prendere una “donna di prostituzione” e di<br />

avere “figli di prostituzione”. Non si trattò di una parabola o finzione letteraria, del profeta<br />

o dei discepoli, per descrivere l’idolatria, ma di un “atto simbolico”, nello stile di altri profeti<br />

(Isaia, Geremia, Ezechiele), nel quale Osea fu realmente coinvolto. Tutto il libro si risolve<br />

in un commento alla vicenda narrata nei primi tre capitoli.<br />

30


Una discussione verte sul rapporto tra i due racconti di Os 1,1-9 (3 a persona) e 3,1-5 (1 a<br />

persona, tono autobiografico. Probabilmente si trattò della stessa persona, Gomer, con la<br />

quale il profeta dovette intessere e purificare la relazione; nel secondo racconto<br />

l’esperienza del profeta appare subito non come una questione personale tra lui e la sposa,<br />

ma nel suo significato simbolico (due le possibili traduzioni di 3,1: “mi disse: Va’ ancora,<br />

ama…”; o “mi disse: Va’, ancora ama…”).<br />

Si tratta poi di precisare il significato di «donna di prostituzione» collegata alla sua<br />

vocazione profetica (lēk qaḥ-lĕkā ’ēšet zĕnûnîm): a) potrebbe designare una donna dedita<br />

alla prostituzione prima del matrimonio il cui mestiere avrebbe segnato poi la vita matrimoniale<br />

e quella dei figli (potrebbe essere stata «una [prostituta] sacra» o qĕdēšāh collegata<br />

ai culti della fertilità a sfondo sessuale, tipici della cultura cananea: frequentata<br />

dal profeta, gli diede «figli di prostituzione», senza diritti [cf 2,4.15; 4,12-14 e Gen<br />

38]) 16 ; b) oppure una donna «portata a prostituirsi» che durante il matrimonio cederà alle<br />

sue inclinazioni; c) o infine una moglie che, una volta sposata, divenne infedele al marito<br />

e lo abbandonò (2,4ss). Nel libro il termine oscilla tra due significati, quello reale e quello<br />

simbolico riferito all’idolatria. Quando Dio rivela il significato simbolico e trascendente<br />

dell'infedeltà, il profeta proietta nel passato la scoperta, attribuendo il suo matrimonio<br />

a un ordine divino.<br />

Certo il matrimonio con una tale persona, amarla ed esserle fedele, appariva un gesto<br />

incomprensibile e insensato, una pazzia. Ma nonostante le probabili derisioni provenienti<br />

dalle molte voci dei suoi uditori che lo trattarono da «stupido» e «ridicolo» (cf 9,7), Osea<br />

continuò a parlare. Nell’esperienza tragica e traumatica di sposo innamorato e ferito, ma<br />

fedele nonostante le infedeltà della sposa, il profeta intuisce l’amore inalterato del Signore<br />

per il suo popolo, al di là delle infedeltà reiterate descritte in termini coniugali e sessuali:<br />

l’idolatria diventa prostituzione con amanti stranieri, gli idoli. Essa non ha solo una dimensione<br />

cultuale, Baal e il vitello d’oro costruito da Geroboamo I per il santuario di Samaria e<br />

oggetto di adorazione, ma anche una versione politica, che consisteva, in un momento di<br />

travaglio, nel cercare la salvezza non in Dio, bensì nelle alleanze con le potenze straniere,<br />

Egitto e Assiria, passando dall’una all’altra (12,2).<br />

Il profeta propone anche il rimedio per indurre Gomer alla riflessione e alla conversione:<br />

un totale isolamento con astinenza sessuale, anche dal marito. Così per Israele: la spogliazione<br />

dei beni (Os 2,8-14), compresi quelli religiosi (sacrificio, stele, efod e terafim,<br />

3,1-5), avrebbe indotto Israele a ritornare al suo Dio e sposo (3,5; 2,8ss). È l’esilio considerato<br />

come ritorno in Egitto e nuovo esodo (cf 11,1ss): nel deserto Dio sarebbe ritornato a<br />

«parlare al cuore» della sposa, cioè in intimità e con potere di convinzione, compiendo un<br />

vero e proprio atto di seduzione (2,16). In tal modo avrebbe scontato il periodo di apostasia,<br />

«il tempo di Baal» (2,15), con i giorni di festa dedicati al Dio, considerato il «maritopadrone»<br />

(Bā‘āl), e instaurato con il Signore una nuova relazione nella fedeltà, conoscenza<br />

e lealtà (’emet, ḥesed, da‘at), che ha il sapore di una «nuova creazione» (2,18-22).<br />

16 Un esempio dell’interpretazione del primo capitolo di Osea 1 è in A. SCHENKER, «Kinder der Prostitution,<br />

Kinder ohne Familie und ohne soziale Stellung. Ein freundschaftliches Sed contra für Lothar Ruppert und<br />

eine These zu Hos 1», in F. DIEDRICH – B. WILLMES (edd.), Ich bewirke das Heil und erschaffe das Unheil<br />

(Jesaja 45,7). Studien zur Botschaft der Propheten (Fs für L. Ruppert zum 65. Geburtstag), Echter, Würzburg<br />

1998, pp. 355-369. L’autore sostiene che Osea non si sposò, ma ebbe tre figli con una prostituta fuori<br />

del matrimonio. Non avevano perciò una famiglia che li accettasse per dare loro un luogo e un nome in Israele.<br />

I loro nomi indicano che essi erano ostracizzati; così nel prossimo futuro Israele sarebbe stato ostracizzato<br />

da Dio. Tuttavia, la corrispondenza tra il racconto iniziale e quello finale, nonché l’interpretazione centrale,<br />

sembrano orientare per la formula del matrimonio, sebbene gli studiosi continuino a dibattere se la donna in<br />

Os 1,2s sia o no da identificare con la moglie di Osea (3,1-5, cf le due possibili traduzioni di 3,1).<br />

31


Così nella strana e drammatica avventura coniugale con Gomer il profeta ha compreso e<br />

saputo esprimere l’amore di Dio verso il suo popolo e l’umanità. Solo l’amore-grazia di<br />

Dio potrà liberare Israele. Alla fine, infatti, prevarrà l’amore sullo sdegno, un amore più<br />

grande del peccato e delle infedeltà: le precede e le supera, perché il cuore di Dio è più<br />

grande del cuore dell’uomo (cf 1Gv 3,20). E l’amore condurrà il popolo alla conversione<br />

(Os 14,2-9). È il fatto di grazia che si avvera in Cristo: «Dio dimostra il suo amore verso di<br />

noi, perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» (Rm 5,8); «In questo<br />

consiste l’amore, non che noi abbiamo amato Dio, ma che Egli ci ha amato e ha inviato il<br />

suo Figlio come propiziazione per i nostri peccati» (1Gv 4,10).<br />

3 – Formazione del libro. È praticamente impossibile precisare il ruolo del profeta nella<br />

stesura dello scritto. Nel libro troviamo allusioni a episodi del tempo di Geroboamo e alla<br />

fine della dinastia di Jehu (1,4), l’accusa di una guerra fratricida (5,8ss, la «siroefraimitica»,<br />

cf Is 7,1ss), il ricordo di alleanze con l’Egitto e l’Assiria (12,2). Molti oracoli<br />

sembrano ripetersi. Si possono individuare degli interventi redazionali (ad es. il primo versetto),<br />

soprattutto quando si applica a Giuda una serie di oracoli scritti originalmente per il<br />

nord (cf Os 1,7). In tal caso, la redazione ultima dovette avvenire al sud, dopo la distruzione<br />

di Samaria e la deportazione dei suoi abitanti.<br />

Appare comunque l’originalità della lingua e dello stile del libro, appassionato e talora<br />

veemente, con frasi corte ma difficili da decifrare. La vicinanza del suo linguaggio con<br />

quello liturgico, levitico-sacedotale, ha fatto pensare all’origine del libro in una «comunità<br />

profetico-levitica di opposizione» (H.W. Wolff). Si nota un certo influsso sapienziale soprattutto<br />

nell’uso dei proverbi, ma gli aspetti più interessanti sono costituiti dalle immagini:<br />

quelle coniugali e sessuali soprattutto, ma anche altre tra le quali predominano quelle del<br />

mondo animale e vegetale. Dio è sposo, padre, medico e pastore; ma anche leone, leopardo<br />

o orsa; tarlo, rugiada o albero (terebinto, cipresso). E Israele è sposa, figlio, infermo, gregge,<br />

colomba, vigna, vino del Libano, fiore (fiorone o iris), nebbia o nuvola mattutina.<br />

«Inizio del parlare del Signore (tĕḥillat dibber yhwh) per mezzo di Osea» (Os 1,2). Questo<br />

«principio» apre il libro di Osea e insieme il libro dei Dodici Profeti, ritenuti un’opera<br />

unica e considerati tali sin dall'antichità (cf LXX Dōdekapróphēton, il libro dei «Dodici<br />

profeti», e Sir 49,10), anche se la strutturazione o il filo logico letterario che li unisce è<br />

tutt’altro che chiara, nonostante gli studi fatti in proposito 17 . Vi è un presunto ordine cronologico,<br />

secondo i titoli dei singoli libri. Ma alcuni di essi non corrispondono a una figura<br />

storica di profeta, bensì solo a una profezia scritta o “profezia letteraria”, soprattutto Gioele,<br />

Abdia, Giona e Malachia; quest’ultimo, in particolare, è strettamente collegato letterariamente<br />

all’ultima parte del libro di Zaccaria che lo precede, avendo la medesima introduzione.<br />

4 – Influssi di Osea e del suo libro. Tre temi caratteristici hanno influenzato la letteratura<br />

biblica. 1) L’immagine sponsale applicata alle relazioni tra Dio e il suo popolo ha influenzato<br />

il linguaggio e la simbologia religiosa: da Osea a Geremia (cf Ger 2-3), Ezechiele (cf<br />

Ez 16 e 23), Deuteroisaia, fino al NT e alla spiritualità cristiana (il NT cita più volte testi<br />

del profeta, ma continua anche l’immagine di Cristo “sposo”, in Giovanni, e della chiesa<br />

sposa che invoca la venuta dello sposo, in Apocalisse). Certamente Osea crea lo spazio per<br />

17 Su questo problema, cf le note di D. SCAIOLA, «I Dodici Profeti Minori: problemi di metodo e di interpretazione»,<br />

RivBibIt 54 (2006) 65-75; cf IDEM, «Il libro dei Dodici Profeti Minori nell’esegesi contemporanea.<br />

Status Quaestionis», RivBibIt 48 (2000) 320-334; IDEM, I Dodici profeti: perché minori? Esegesi e teologia,<br />

Dehoniane, Bologna 2011.<br />

32


l'interpretazione religiosa dello stesso Cantico dei Cantici in seguito al suo inserimento nel<br />

Canone biblico. 2) L’immagine paterna di Dio (Os 11,1ss) nel quale la misericordia e il<br />

perdono trionfano sul giudizio, nonostante le ribellioni del figlio (cf Ger 31,18-20; Lc<br />

15,11-32). 3) L’idea, relativa al culto, che Dio preferisce la misericordia, lealtà e fedeltà, e<br />

la conoscenza ai sacrifici (Os 6,6; cf Samuele l’obbedienza più che i sacrifici 1Sam 15,22-<br />

23; Mt 9,13 e 12,27).<br />

2 - Contenuto e struttura del libro<br />

Tema ripetuto è il «processo» o contesa giudiziaria (rîb) che si risolve sempre in un esito<br />

finale salvifico: 2,4 (rîb) si risolve con “tornare(volgersi, šûb)” e “cercare” (biqqēš, 3,5);<br />

4,1.4 (rîb) si risolve con “far ritornare” (šûb, 11,11); 12,3 (rîb) si risolve con “(far) ritornare”<br />

(šûb, 14,2.3.8) e “far trovare” (nimṣā’, 14,9). Alla fine, il Dio cercato con il ritorno è<br />

trovato nei frutti di Efraim. Il libro è articolato in due parti disuguali 18 .<br />

I. Os 1-3: Matrimonio di Osea e suo valore simbolico<br />

Buss articola i tre capitoli secondo uno schema concentrico:<br />

2,4-22 interpretazione<br />

2,1-3 2,23-25 nomi nuovi<br />

1,2-9 3,1-5 racconto<br />

All’inizio e alla fine troviamo un racconto (1,2-9 in terza persona; 3,1-5 in prima persona).<br />

Wolff ritiene l’ultimo una testimonianza scritta del profeta. Dio ingiunge al profeta di<br />

sposare una prostituta e adultera e di avere da lei “figli di prostituzione”.<br />

I nomi nuovi (2,1-3.23-25) descrivono l’avvenire della sposa. Ai tre figli i nomi negativi<br />

(1,2-9; 2,25) vengono mutati in positivi (2,1-3: Isreel, amata, mio-popolo). Anche la sposa<br />

riconquistata chiama il marito con un nome nuovo: «Mi chiamerai “marito mio” (’îšî), non<br />

mi chiamerai più “mio padrone” (ba‘lî)» (2,18): il linguaggio contrattuale è sostituito con<br />

quello personale. Bā‘āl richiama anche il dio cananeo, il “padrone”, al quale si «prostituiva»<br />

il popolo-sposa, abbandonando il culto puro di Jhwh suo sposo. Perciò, il Signore si<br />

impegna: «Le toglierò dalla bocca i nomi dei Baal», non lo invocherà più (2,19).<br />

Al centro (2,4-22) è la chiave interpretativa del racconto nel contesto di una contesa<br />

giudiziaria (rîb). Nella sua esperienza il profeta legge la storia dell’intero popolo: la donna<br />

personifica Israele, che, venendo meno alla fedeltà promessa (alleanza), si è data ai culti<br />

cananei (spesso a sfondo sessuale) prostituendosi e commettendo adulterio (cf. 2,12-19).<br />

Dio, sposo, riconquisterà la moglie con il castigo e la riconciliazione, rinnovando il matrimonio.<br />

Il deserto ne è il simbolo espressivo, nell’immagine di punizione (v.5) e redenzione<br />

(vv.16ss). Riconducendo la sposa nel deserto, Dio le «parla al cuore» (cf Is 40,2), convincendola;<br />

le fa compiere un «nuovo esodo» di conversione e la riconquista al suo amore (cf.<br />

Ger 2,2 e cc.2-4). Il tema dell’esodo è presente e si prolunga in tutto il libro di Osea. Le<br />

tradizioni storiche son adattate per svilupparle prima come anti-esodo (conseguenza del<br />

rîb contro Israele) e poi come nuovo esodo nella forma della promessa escatologica di<br />

restaurare Israele come popolo e come figlio 19 .<br />

18 R. LACK, Osée 4-14: Études de structure, PIB, Roma 1974/5 (dispense per gli studenti); IDEM, Letture<br />

strutturaliste dell’AT, Borla, Roma 1978, pp. 129-149; E.M. GOOD, «The Composition of Hosea», Svensk<br />

Exegetisk Arsbok 31 (1966) 21-63; M.J. BUSS, The Prophetic Word of Hosea. A Morphological Study<br />

(BZAW) 1969.<br />

19 Cf S. SILVA RETMALES, «Tradición del “Exodo” en Oseas», EstBib 56 (1998) 145-178.<br />

33


II. Os 4-14: Processo ai delitti di Israele<br />

Westermann ritiene questa parte una serie di «oracoli isolati». Tuttavia, altri autori hanno<br />

cercato di cogliere un’articolazione globale. Propongo il tentativo di Rémy Lack che ricerca<br />

l'universo simbolico di Osea e suddivide il testo in due parti: i capitoli 4-11 e 12-14.<br />

Ambedue iniziano con un processo (rîb, 4,1-3; 12,3) e concludono con un oracolo di salvezza<br />

(11,8-11; 14,2-9) 20 .<br />

Osea 4-11: Primo processo e liturgia penitenziale<br />

I capitoli sono articolati in quattro sezioni: 1) 4,1-5,7 (kāšal, inciampare, inclusione in<br />

4,5 e 5,5); 2) 5,8-7,16 (hālaq, andare + biqqēš, cercare + šûb, tornare, inclusione in<br />

5,11.15; 6,1 e 7,10.11.16); 3) 8,1-14 (tôrātî, mia legge, inclusione in 8,1 e 8,12); 4) 9,1-<br />

11,11 (yāšab, abitare + šûb, tornare, inclusione in 9,3: non abiteranno – ritorneranno, e<br />

11,5: yāšûb-lāšûb, tornerà in Egitto, perché si rifiutarono di tornare; 11,11: li farò abitare-ritornare<br />

alle loro case). Ogni sezione inizia con un imperativo: a/ ascoltate la parola<br />

(4,1), b/ suonate il corno (šōpār) / la tromba (ḥăṣōṣrāh, 5,8), c/ poni alla tua bocca il<br />

corno (8,1), d/ non rallegrarti (9,1). Si ravvisa il modello di una liturgia penitenziale in<br />

forma di «processo» che, insieme ad altri schemi esplicativi, permette una lettura unitaria.<br />

Il profeta denuncia l’infedeltà, il falso ritorno (culto formalistico) e i fallimenti storici,<br />

per proporre di ricominciare dall’Egitto (il deserto, Os 2,10ss).<br />

A – Schema di processo. (1) 4,1-5,7: Dio constata l’assenza di penitenza perché mancano<br />

fedeltà e conoscenza; (2) 5,8-7,16: denuncia la falsa penitenza; (3) 8,1-14: smaschera la<br />

trasgressione che rompe l’alleanza (due sono i peccati maggiori: la regalità infedele e il vitello<br />

d’oro di Samaria); (4) 9,1-11,11: annuncia la terapia, nuovo esilio e nuovo esodo. A<br />

causa del peccato occorre rifare il percorso antico. Le immagini frequenti della «vigna», in<br />

questa parte (9,2.4; 10,1.11), si possono spiegare col riferimento al tema della vigna trapiantata<br />

dall’Egitto in terra promessa (cf. Sal 80,9-14).<br />

B – Schema di movimento. L’attenzione è attirata dai verbi di movimento: abbandonare<br />

(‘āzab), volgere (sûr, šûb), andare (hālak). Lo schema è organizzato sempre attorno alle<br />

quattro sezioni: (1) 4,1-5,6: nota il non ritorno del popolo (5,4-6); (2) 5,8-7,16: prevede il<br />

falso ritorno (6,4; 7,10); (3) 8,1-14: preannuncia il ritorno in Egitto come castigo (8,13);<br />

(4) 9,1-11,11: ravvisa le tappe del nuovo esilio-esodo: espulsione dalla terra di JHWH<br />

(9,3.6) – Egitto (11,5) - ritorno a casa (11,11). Il movimento spiega il processo. Il peccato<br />

crea una situazione di allontanamento reciproco tra Dio e il popolo: dal momento che il<br />

popolo rifiuta di ritornare a Dio (5,4.10), Dio si ritira (5, 6.14s: si volge altrove) o, paradossalmente,<br />

lo “visita”: gli si volge contro per castigarlo (8,13, 9,7.9).<br />

C – Si ravvisa anche il tema dell’abitare. Gli abitanti sono colpevoli (4,1-3), perciò non<br />

abiteranno più nella terra di JHWH (9,13). Ma il Signore, dopo averli ricondotti in Egitto<br />

(9,3), di nuovo li farà abitare nelle loro case (11,11).<br />

Osea 12-14: Secondo processo e liturgia penitenziale<br />

Il secondo processo (12,3) rivela ancora i tratti di una liturgia penitenziale. La requisitoria<br />

contiene riferimenti alla formula di alleanza (12,10 e 13,4; 12,7 è aggiunta) e ri-<br />

20 Cf C. WESTERMANN, , Primo approccio all’AT, p.117; R. LACK, Letture strutturaliste dell’A.T., Borla, Roma<br />

1978, pp. 129-149; IDEM, Osée 4-14: Études de structure, PIB, Roma 1974/5 (dispense per gli studenti). J. JE-<br />

REMIAS, Osea, situa gli oracoli secondo l’ordine cronologico (Os 4-11; i cc. 12-14 costituiscono le ultime parole);<br />

H. SIMIAN-YIOFRE, Il deserto degli dei, segue la seguente struttura: Os 4-7 (critica dell’istituzione sacerdotale),<br />

Os 8-10 (sacerdoti, monarchia e popolo), Os 11-14 (il Dio di Efraim).<br />

34


guarda la storia di Giacobbe (12,3-15) e di Efraim (13,1-4,1); è rivolta soprattutto contro<br />

il vitello d’oro e la monarchia. Il capitolo 14 conclude la liturgia penitenziale con l'esortazione<br />

al pentimento e l’invito ad accostarsi a Dio; si conclude con l'oracolo di salvezza<br />

(14,2-9). Os 14,10 è la conclusione sapienziale di un maestro.<br />

3 - Messaggio: Alleanza – Matrimonio 21<br />

L’alleanza è il tema centrale del libro di Osea, espresso nell'immagine matrimoniale. La<br />

formula compare rovesciata in Os 2,4, positiva in 2,21s. Parte dall'esperienza personale del<br />

profeta (cc.1-3) e viene ribadito nelle categorie di ḥesed e da‘at:<br />

Voglio l’amore/lealtà (ḥesed) e non il sacrificio,<br />

la conoscenza (da‘at) e non gli olocausti (6,6).<br />

Il termine da‘at riassume l'elemento oggettivo della conoscenza e quello soggettivo<br />

della coscienza del patto, del sentirsi legati a una persona nel riconoscimento e nella riconoscenza<br />

nei suoi confronti, si esprime in comunicazione e comunione. Il collegamento<br />

con ḥesed connota lo stretto rapporto con l’alleanza. L'alleanza è un patto d'amore che<br />

esige riconoscimento e conoscenza di Dio, del suo operare e delle sue esigenze; suppone<br />

una catechesi, istruzione (tôrāh) che è compito dei sacerdoti. L'amore suppone un dialogo,<br />

si riferisce a una tradizione (cf i diversi richiami del profeta all'esodo, all'alleanza, a<br />

Mosè, 12,14-15, opposto a Giacobbe, 12,3-5.13), esige una conoscenza e una legge, si<br />

oppone all’oblio di Dio (2,15s; 4,6; 8,14; 13,4-6).<br />

ḥesed significa solidarietà, lealtà o fedeltà, amore, tenerezza, pietà, grazia. La ḥesed<br />

conduce Dio alla ricerca della sposa per rigenerarla (la rende nuovamente vergine – è<br />

una nuova creazione) ed esige in risposta la fedeltà e lealtà del popolo.<br />

L’accostamento dei due termini è significativo. Come Dio si fa conoscere all’uomo legandosi<br />

a lui per mezzo di un’alleanza, manifestandogli con i benefici il suo amore, così<br />

l’uomo conosce Dio, implicando con ciò la fedeltà all’alleanza, il riconoscimento dei suoi<br />

benefici, l’amore.<br />

a) Ma il Signore stesso denuncia mediante un processo (rîb) che il suo amore non è ri conosciuto<br />

in Israele perché manca la da‘at e prevale l'infedeltà, cioè l’assenza di Ðesed: Israele<br />

diventa il tipo della moglie infedele e anche del figlio ribelle (Os 11,1-4: alla triplice<br />

dimostrazione dell'amore di Dio risponde il triplice rifiuto di Israele).<br />

Kî ´ên-´émet wé´ên-Heºsed wé´ên-Daº`at ´élöhîm Bä´äºrec<br />

`#r,a'(B' ~yhiÞl{a/ t[;D;î-!yae(w> ds,x, ²-!yaew>) tm,óa/-!yae yKiû<br />

Non c’è fedeltà né lealtà né conoscenza di Dio nella terra (4,1, cf. 6,1ss; 2,21).<br />

Le accuse del profeta mettono in luce una diffusa corruzione presente nelle istituzioni e<br />

nel popolo intero.<br />

• I re di Israele – la casa sanguinaria di Jehu - sono votati alla distruzione per la politica<br />

di alleanze con altri “amanti” (le potenze straniere, 8,9) e per lo scisma e la guerra fratricida<br />

con Giuda.<br />

• I sacerdoti ingiusti, avidi, rapaci e negligenti non offrono la tôrah impedendo la “conoscenza”<br />

di JHWH e favorendo quindi l’oblio e la deviazione del popolo (c.4).<br />

• Le conseguenze sono ingiustizia e culto idolatrico (4,11-19) diffusi nel paese, ambedue<br />

frutto della «non conoscenza». Allora i costumi si corrompono (4,1-3.7-14: decalogo<br />

21 Cf TERESA SOLÀ – FREDERIC RAURELL, Oseas, Teologia renovadora des d’una hermenèutica d’amor,<br />

Facultat de Teologia de Catalunya, Associació Bíblica de Catalunya, Barcelona 2000.<br />

35


dimenticato, prostituzione, depravazione, ubriachezza) e JHWH è scambiato con Baal e<br />

Astarte (ba‘lî, contrapposto a ’îšî, «marito mio», 2,18).<br />

• Ma il Signore, «geloso» dei suoi diritti di marito, esige che i nomi dei Baal siano cancellati<br />

e non più ricordati (2,19) e si instauri una relazione personale, nuova; in risposta<br />

al suo amore leale chiede fedeltà-lealtà e conoscenza.<br />

b) La conseguenza della corruzione sarà il castigo. In un primo momento sembra limitato e<br />

temporaneo, per indurre alla conversione: «Ritornerò al mio posto finché non espiino e<br />

cerchino il mio volto e ricorrano a me» (Os 5,15). Ma senza risultato (cf 6,11b-7,1a; 7,16:<br />

si convertono, ma ai loro idoli). Allora il castigo diventa inevitabile: un popolo ingiusto,<br />

corrotto e ribelle è votato al macello (9,12s); il regno dei morti accoglierà Samaria (13,14-<br />

14,1). «Hanno seminato vento, raccoglieranno tempesta!» (8,7, cf. Gb 4,7; Prov 22,8). Il<br />

profeta ne annuncia e vede il segno nelle catastrofi naturali (2,11-14; 4,3, 5,7) e nelle disfatte<br />

militari (1,5; 7,6; 7-8; 10,14-15) con rovina, morte, esilio.<br />

c) Tuttavia, il profeta annuncia in Dio un amore inalterato e inalterabile (ḥesed we’emet,<br />

Os 2,21-22), che finisce per trionfare. In Osea 6,1-6 il popolo chiedeva una guarigione rituale,<br />

ma senza un sincero pentimento; il Signore rispondeva esigendo amore e fedeltà (ḥesed<br />

we’emet). Ma la compassione prevarrà sull’amore ferito e opererà perdono e guarigione<br />

(11,1-11; 14,4-9) sul popolo pentito che confessa sinceramente il peccato.<br />

Valore del messaggio. Il profeta inverte la comune sequenza: peccato-conversioneperdono.<br />

Il perdono precede la conversione: «Dio perdona prima che il popolo si converta,<br />

e sebbene non si sia convertito… Questo non significa che la conversione non sia necessaria.<br />

Ma che essa si realizza come risposta all'amore di Dio, e non come condizione previa al<br />

perdono» 22 .<br />

Il profeta Osea introduce audacemente immagini erotiche nella relazione tra l’uomo e<br />

Dio. Egli si esprime in termini di «seduzione» (´änökî mépaTTêhä, 2,16) che diventeranno<br />

cari ai mistici. Un aspetto che il profeta Geremia svilupperà, addirittura parlando di<br />

«violenza» o di fuoco incontenibile che arde dentro, nelle ossa e nelle viscere (Ger 20,7-<br />

9). Un simile «ribollire» e commozione prova anche Ben Sira di fronte alla Sapienza che<br />

rappresenta la manifestazione stessa di Dio (Sir 51,13-21). Ma è Dio l'innamorato, il<br />

“Diletto” (Is 5,1) che arde di amore appassionato fino alla gelosia (qinä’, Is 9,6) e trae a<br />

sé, afferra la sposa o le impone degli impegni (mäšaq, Os 11,4), “perché canti come i<br />

giorni della giovinezza”, quand’era ebbra d’amore (2,16-17, cf Ger 2,2); e il credente diventa<br />

amante: “il mio respiro/desiderio aderisce a te, il tuo braccio mi stringe” (Sal<br />

63,9). Dio ama (’āhab), sceglie o elegge (bäHar) il suo popolo, conosce (yäDa`) la sua<br />

sposa e la predilige (Häšaq) con amore appassionato e incontenibile. Il suo compiacimento-desiderio<br />

(Hepec) è amore leale (Hesed, cf anche Mi 7,18), comprensione e conoscenza<br />

(cf Ger 9,23). È questo amore che alla fine conquista il cuore dell’uomo.<br />

22 L. ALONSO SCHÖKEL-J.L. SICRE DIAZ, cit., p. 976.<br />

36


ESEGESI<br />

1 - Matrimonio di Osea e oracolo messianico: Osea 3,1-5<br />

1 Il Signore mi disse:<br />

«Ancora va’, ama una donna<br />

amata (TM; Gr S Vg “amante”) dal suo amico ( ַע ֵר) e adultera;<br />

come il Signore ama gli Israeliti,<br />

mentre essi si volgono ad altri dei<br />

e amano le schiacciate d’uva».<br />

2 Io me l’acquistai per quindici pezzi (= šëKel) d’argento e una misura (Hömer) d’orzo<br />

e un letec d’orzo (= una misura e mezza; Gr un otre di vino)<br />

3 e le dissi: “Per molti giorni/anni ABITERAI (יבְשֵׁת) ׅ con me;<br />

non ti prostituirai e non sarai di nessuno;<br />

così anch’io mi comporterò con te”.<br />

4 Poiché per molti giorni/anni ABITERANNO (וּבשֵׁי) gli Israeliti<br />

senza re e senza capo,<br />

senza sacrificio e senza stele,<br />

senza efod e senza terafim.<br />

5 Poi TORNERANNO (וּבוּשָׁי) gli Israeliti<br />

e cercheranno il Signore loro Dio, e Davide loro re<br />

e si avvicineranno con tremore (venereranno) al Signore<br />

e alla sua bontà, alla fine dei giorni».<br />

Il brano è a conclusione della prima parte, dopo la promessa di Dio nei confronti della sposa<br />

che ama (2,4-25). Si tratta di un nuovo fidanzamento (vv.16-17) che sfocerà in un nuovo<br />

matrimonio (vv.18-22). Dio paga il prezzo della sposa (vv.21-22: ’āraś, piel) e la assume<br />

fondanto la relazione in un atteggiamento reciproco corretto, al quale Dio per primo si impegna:<br />

“con giustizia e diritto” (bĕṣedeq ûbĕmišpāṭ) che porta alla salvezza, “con lealtà e<br />

misericordia” (bĕḥesed ûbĕreḥămîm) e “con fedeltà” (be’ĕmûnāh) superiori a ogni tradimento.<br />

Così la sposa, che prima attribuiva agli dei ogni suo bene, alla fine “riconoscerà il<br />

Signore” (weyādá‘at ’et-yhwh, v.22b). Il brano seguente (3,1-5) riflette nell’esperienza del<br />

profeta la ricerca di Dio verso il popolo “sposa”.<br />

3,1-3: è racconto autobiografico (1 a persona, in parallelo con 1,2s, 3 a persona). Al comando<br />

divino con interpretazione simbolica (v.1), segue la duplice esecuzione del profeta: «acquisto»<br />

della donna (v.2), isolamento e imposizione dell’astinenza (v.3).<br />

3,4-5: è interpretazione storica. Il v.4 interpreta la seconda azione, mentre il v.5 è<br />

un’ulteriore interpretazione – escatologica e messianica – del segno profetico. Il racconto<br />

prolunga foneticamente וּבשֵׁי (yāšab, «abitare, stare, dimorare»), in וּבוּשָׁי (šûb, «ritornare»,<br />

in senso fisico e religioso).<br />

Il matrimonio del profeta è un atto simbolico che nella tradizione profetica coinvolge la<br />

vita personale dell’interessato (cf Is 8,1-4; 20; Ger 16,22; Ez 4,4ss), quindi un fatto reale,<br />

non una semplice parabola narrativa. Se la donna, come è probabile, è la stessa moglie del<br />

profeta, Gomer (1,3), si comprende meglio il fatto di Dio innamorato di un popolo che fugge<br />

da lui. Come agisce il profeta (vv.2-3), che riceve l’ordine di continuare ad amare<br />

(v.1a), anche Dio agisce nei confronti di Israele (v.1b.4).<br />

37


3,1. Il Signore mi disse: «Ancora va’ e ama». Non si impone di amare; la parola è rivolta<br />

a uno che già ama. In Osea il verbo amare (’ahab) ha sempre una connotazione positiva,<br />

non è solo rapporto sessuale; il parallelo con Dio va in questa direzione. Il profeta deve ancora<br />

rincorrere la donna che ama, ma che ha un «amante» (rēa‘, cf Ger 3,1; Ct 5,16; Cei<br />

«amata dal marito», LXX legge rā‘, «che ama il male») e si comporta da adultera. «Adultera»<br />

indica l’adulterio vero e proprio (cf anche 2,5 dove la donna è cacciata), punito con la<br />

morte (Lv 20,10; Dt 22,22), o il culto idolatrico verso dei stranieri mediante riti sacri, collegati<br />

anche a rituali sessuali (Os 4,11-14).<br />

L’atto del profeta acquista significato in quanto riflette l’agire di Dio testardamente fedele<br />

a Israele, oltre ogni comportamento di buon senso (v.1), e spiegato storicamente al v.4.<br />

Il testo anticipa l’interpretazione richiamando la defezione religiosa (gli dei stranieri) e<br />

l’amore del popolo per le focacce d’uvetta (‘ašîšê ‘anābîm, v.1b) con allusioni sessuali.<br />

Dolci con uva passa sono attestati in 2Sam 6,19 e 1Cr 16,3; forse in Is 16,7 (Kir-Kareset,<br />

altrimenti chiamati Kir-Moab, Is 15,1). Simboleggiano l’amore (Ct 2,5) e sono offerti in<br />

sacrificio alle divinità della fecondità, Astarte o Ashera, Anat in Ugarit, la Regina del cielo<br />

di Ger 7,18 e 44,19, dove sono chiamati kawwan, focacce con stampata l’immagine della<br />

dea. Così il popolo si prostituisce e diventa adultero (Os 2).<br />

3,2-3. Osea obbedisce al comando con due azioni. Si «acquista», cioè sposa l’adultera<br />

pagando il prezzo della dote(v.2: è di 15 sicli di argento e un ḥōmer e mezzo di orzo 23 ) e<br />

impone a se stesso e alla sposa un periodo di stasi o pausa (v.3 י ׅבְשֵׁת), cioè di isolamento e<br />

astinenza, a cui egli stesso si impegna. Senza amanti e priva di ciò che le era stato di sostegno,<br />

il marito spera che la moglie ritorni a lui (cf Os 2,9). È invito a vivere il primo comandamento:<br />

non avere altre divinità («amanti», cf 2,7s). L’astinenza, cioè l’esilio, proverà a<br />

Israele l’assenza di Dio.<br />

Isolamento e astinenza preparano una nuova convivenza della coppia, che trova la sua<br />

spiegazione nella storia di Israele (v.4). Dopo i «molti giorni» di assenza (indicazione di<br />

tempo indeterminato), inizierà una nuova era di conversione o ritorno (v.5), con nuove relazioni,<br />

quelle che in 2,18ss sono segnate dalla ’emet e ḥesed di Dio e dal passaggio da<br />

ba‘al (marito-padrone, Baal) a ’îšî (marito mio).<br />

3,4 motiva l’astinenza – l’esilio – qualificata con l’assenza delle istituzioni in cui Israele<br />

confidava: l’organizzazione statale (re e capi), il culto (sacrificio e stele) e gli strumenti di<br />

divinazione che dovevano dischiudere il futuro (tēšbî è parallelo a yēšbû, «abiterai, abiteranno»).<br />

Osea aveva stigmatizzato la progressiva decadenza del paese e delle sue istituzioni,<br />

fino a criticare lo stesso Giacobbe (12,3-5).<br />

La maṣṣebāh «stele», in pietra o tronco di legno, indicava la presenza di Dio in un luogo<br />

(cf Gen 28,10ss). Ma era un segno ambiguo, collegato alle alture dei ba ‘al, perciò abolita<br />

(cf 1Re 14,19-24; Ger 3,7-10). Il terafîm e l’efod erano strumenti di divinazione: il primo<br />

rappresentava il culto funebre familiare con l’immagine dell’antenato o degli antenati, consultati<br />

per ricevere dei messaggi, l’efod del sacerdote con gli ’urim e tummim serviva a<br />

consultare la divinità per ricevere conoscenze sul futuro (cf Gdc 17,5; 18,14-20; 1Sam<br />

23,9; 30,7; Ez 21,26; Zac 10,2).<br />

3,5 annuncia il ritorno/conversione negli ultimi tempi. בוּשׁ, «volgersi, ritornare», è termine<br />

cultuale che richiama per assonanza בַשָׁי. Ambedue si oppongono a «volgersi verso gli<br />

dei stranieri» (v.1b). Il ritorno comporterà una vita nuova con nuove relazioni miste di desiderio<br />

e tremore (ûpāḥădû ’el-yhwh) a motivo del peccato.<br />

23 Un letec di orzo viene posteriormente individuato come metà di un ḥōmer; l’insieme corrisponde a circa 600<br />

litri del prezzo di 22,5 sicli (cf K. GALLING [ed], BRL 2 , alla voce Masse), citato in J. JEREMIAS, Osea, p.72 n.8.<br />

38


• «Poi ritorneranno gli israeliti e cercheranno JHWH loro (= dell’alleanza) Dio»;<br />

• «Temeranno JHWH e la sua Bontà (= Dio come loro Bene o ricchezza; Cei “i suoi beni”)».<br />

• «Cercheranno (cf. 7,10) Davide loro re».<br />

Il ritorno dall’esilio è indice del ritorno spirituale al Signore, «loro» Dio. Con Dio viene<br />

cercato anche Davide, figura idealizzata. La promessa di Natan sembra essere alla base della<br />

restaurazione. Si tratta forse di un’inserzione in prospettiva escatologica («alla fine dei<br />

giorni», cf 2,16-25) con una rilettura attualizzante per il sud di quanto era stato detto inizialmente<br />

per il nord. Il quadro rappresenta l’escatologia giudaico messianica (cf. 1,7,<br />

Wolff).<br />

L’insieme del libro precisa la concezione messianica di Osea. Ci sarà un unico regno<br />

dopo la secessione condannata dal profeta. Richiamando Davide, il libro riconosce come<br />

unica legittima la dinastia davidica, mentre la casa scismatica di Israele nel suo insieme è<br />

condannata.<br />

Perciò, lancia accuse contro re avventurieri che giudica come usurpatori, perché hanno<br />

preso il potere con la forza e contro la volontà del Signore (7,7; 8,4). Rigetta quindi – diversamente<br />

da 2Re 8-10 – la dinastia di Jehu come «sanguinaria» (1,4-5; cf 7,3-7 che fa<br />

memoria di una cospirazione).<br />

Inoltre, condanna la politica di Israele per le alleanze con Assiria ed Egitto (7,11-12;<br />

8,8-9; 12,2) e per la guerra fratricida con Giuda (5,8-14).<br />

«La monarchia ha fatto fallimento e la salvezza della nazione non sarà possibile che con<br />

la sua abolizione... Il peccato originale dell’istituzione non è quello di Saul, ma quello di<br />

Geroboamo I» 24 .<br />

2 - Osea 5,8-6,6 e Os 14<br />

I due testi offrono in duplice prospettiva il medesimo genere: un rito penitenziale. In<br />

ambedue si ripete lo schema: accusa del Signore con invito alla conversione, risposta<br />

umana, risposta divina. Il primo testo tocca l’atteggiamento religioso autentico che il Signore<br />

esige dal popolo, il secondo considera il peccato più dalla parte dell’amore di Dio.<br />

Testo<br />

Vanità delle alleanze con lo straniero<br />

1- Os 5: accusa<br />

[13] Efraim ha visto la sua infermità<br />

e Giuda la sua piaga.<br />

Efraim andò in Assiria,<br />

(Giuda Gr) ha inviato (un’ ambasciata) al<br />

Gran (yārëb) Re;<br />

ma egli non potrà curarvi (rāpā’-’éprāym),<br />

né guarirà la vostra piaga, cf 9,4s<br />

[14] perché io sarò come un leone per Efraim,<br />

(13,7s; Am 3,4.8.12<br />

come un leoncello per la casa di Giuda.<br />

Ritorno sincero di Israele al Signore<br />

1- Os 14: invito a tornare (dopo accusa)<br />

[2] TORNA dunque, Israele, al Signore tuo Dio,<br />

poiché hai inciampato nella tua iniquità.<br />

[3] Preparate le parole da dire<br />

e TORNATE al Signore;<br />

ditegli: «Togli (Kol-TiSSä´) ogni iniquità<br />

e accetta il bene<br />

e ti offriremo il frutto (TM “vitelli”, sacrificali)<br />

delle nostre labbra.<br />

2- confessione<br />

24 A. CAQUOT, «Osée et la royauté», RHPR 41 (1961) 145s.<br />

25 Alonso: «Leviamoci presto (= quando è l’aurora, KüšaºHar, cf 5,15: levarsi presto per cercarmi) e lo trove-<br />

remo (mäcä´ - mecä’ô?)».<br />

39


Io, Io deprederò e me ne andrò,<br />

porterò via senza che nessuno possa salvare.<br />

[15] Me ne TORNERÒ (andrò) alla mia dimora<br />

finché non espiino (ye´šémû)<br />

e cerchino il mio volto,<br />

nella loro angoscia mi cerchino (si levino<br />

presto per me).<br />

2- Os 6 - Ritorno effimero e vero al Signore<br />

[1] «Su (lett. andate), TORNIAMO al Signore:<br />

egli ha depredato ed egli ci guarirà (räpa´).<br />

(cf 9,4s; 11,3; 14,5)<br />

ha colpito e ci fascerà (Häbaš).<br />

[2] Dopo due giorni ci farà vivere<br />

e il terzo ci rialzerà<br />

e vivremo alla sua presenza.<br />

[3] Sì conosciamo, cerchiamo di conoscere<br />

il Signore,<br />

sicura come l'aurora è la sua uscita (splendore?<br />

mô|cä´ô) 25 .<br />

Verrà a noi come pioggia,<br />

come scroscio che irriga la terra».<br />

3- Risposta divina<br />

[4] Che dovrò fare per te, Efraim,<br />

che dovrò fare per te, Giuda?<br />

Il vostro amore (HeseD) è<br />

come nube mattutina, 13,3<br />

come rugiada che presto svanisce.<br />

[5] Per questo li ho colpiti (scavati, Häcab)<br />

per mezzo dei profeti,<br />

li ho uccisi con le parole della mia bocca:<br />

il mio (suo TM) giudizio esce (splende, yëcë´ yëcë´ yëcë´ yëcë´<br />

) come luce,<br />

[6] poiché (cf 4,1)<br />

voglio amore HeseD) (HeseD HeseD HeseD e non sacrificio,<br />

(Mt 9,13; 12,7)<br />

conoscenza (da`at da`at ) di Dio, non olocausti.<br />

[4] “Assur (´aššûr) non ci salverà,<br />

non monteremo a cavallo<br />

e non diremo più ‘nostro Dio’<br />

all’opera delle nostre mani.<br />

Perché in te trova misericordia l’orfano”.<br />

3- Risposta divina<br />

A - Osea 5,8-6,6 – La vera religione: HeseD HeseD HeseD HeseD - da`at da`at da`at da`at<br />

I – Introduzione – contesto<br />

[5] Guarirò (´erPä´) le loro apostasie,<br />

li amerò (´öhábëm) senza loro merito,<br />

perché la mia collera si è allontanata (šäb) da loro.<br />

[6] Sarò come rugiada per Israele:<br />

fiorirà (yipraH) come un giglio,<br />

metterà le sue radici come il Libano<br />

(= come gli alberi del Libano: cedro, pioppo,<br />

cipresso);<br />

[7] getterà germogli,<br />

avrà lo splendore dell’olivo<br />

e il profumo del Libano.<br />

[8] Torneranno gli ABITANTI (yäšuºbû yöšbê)<br />

alla sua/mia ombra,<br />

coltiveranno (lett. faranno vivere) grano 26 ,<br />

(cf Am 9,13-15)<br />

fioriranno (weyipreHû) come la vite,<br />

il cui ricordo è come il vino del Libano.<br />

[9] Efraim, che ho ancora a fare io con gli idoli?<br />

Io rispondo e guardo a lui (´ášûreºnnû). 13,7<br />

Io sono come un cipresso verdeggiante,<br />

presso di me il tuo frutto si trova (Peryĕkä nimcä´).<br />

Esortazione finale: conclusione di un maestro<br />

[10] Chi è saggio comprenda queste cose, /<br />

chi è intelligente le conosca;<br />

poiché rette sono le vie del Signore:<br />

i giusti le percorrono,<br />

ma i malvagi v'inciampano.<br />

Nei capitoli 4-11 del libro di Osea, i verbi šûb-tornare e biqqeš-cercare fanno da filo<br />

conduttore delle quattro sezioni in cui sono articolati:<br />

non li lasciano tornare (5,4); tornerò alla mia dimora… finché… mi cerchino; torniamo<br />

(5,15-6,1); non ritornano al loro Signore… non lo cercano (7,10); si volgevano/tornavano al<br />

Non-Alto (Baal, 7,16); torneranno in Egitto (8,13); tornerà in Egitto (9,3); ritornerà in Egitto…<br />

poiché si rifiutarono di tornare (11,5).<br />

26 Altri: «Vivranno come un giardino» (yiHyû [Gr, S] kaggān [Jeremias con Duhm, Ehrlich e altri] anziché<br />

dägän, “grano”).<br />

40


La prima sezione (4,1-5,7) condanna un culto senza Dio, processando i sacerdoti, ignavi<br />

e avidi, quindi i profeti e il popolo. Os 4,1-3 serve da introduzione alla sezione e a<br />

tutta la seconda parte, mettendo in risalto, nell’accusa processuale, l’assenza delle condizioni<br />

fondamentali: ´émet, Heºsed, Da`at. L’accusa prosegue con una serie di sentenze<br />

giudiziarie, nello stile della legge del taglione o contrappasso (4,4-10). Poi, dal culto nel<br />

tempio, l’accusa passa ai culti idolatrici sulle alture, definiti «prostituzione» (4,11-19),<br />

per concludere che il culto non vale. L’appello è rivolto sia ai sacerdoti che agli israeliti<br />

e alla casa reale (5,1-5).<br />

La seconda sezione: 5,8-7,16, denuncia la falsa penitenza: il popolo continua a ingannare<br />

e ingannarsi. È articolata in due momenti: 5,8-6,6 e 6,7-7,16. Nel primo il profeta<br />

si rivolge ai due regni, Efraim e Giuda, nel secondo passa in rassegna vari casi di infedeltà<br />

di Israele. Sullo sfondo (fino al c.8 incluso) è in primo piano la guerra siroefraimitica<br />

del 735/34 a.C. (cf Is 7-12; 2Re 15,27-19,37).<br />

- Os 5,8-6,6 inizia con due imperativi e conclude con l’affermazione lapidaria sul vero<br />

culto (6,6). I verbi «depredare, curare e guarire, tornare» guidano il passaggio da un primo<br />

momento al secondo: la reazione di Dio e la risposta del popolo.<br />

L’insieme presenta la seguente articolazione:<br />

I – 5,8-15. 5,8-9 introduzione (imperativi); 5,10-12 il peccato di Giuda e di Efraim con giudizio e il castigo;<br />

5,13-14 la ricerca del rimedio umano inutile, l’Assiria. Allora Dio «torna al suo posto» in attesa che, visti i<br />

fallimenti, lo cerchino di nuovo con desiderio (5,15).<br />

II – 6,1-6. Ora, il popolo risponde con un atto penitenziale: sembra avverarsi il ritorno con il desiderio di<br />

conoscere il Signore, e vi è l’attesa di un perdono certo (6,1-3). Però la risposta del Signore è negativa (6,4-<br />

6), perché il ritorno è superficiale e ritualistico.<br />

Os 6,6 riprende in positivo la tematica di 4,1 – Hesed, Da`at – e rappresenta il perno del ragionamento<br />

che prosegue anche nella sezione seguente (6,7-7,16).<br />

- Os 6,7-7,16 denuncia l’assenza di lealtà e conoscenza (6,6, cf 6,7: Ma essi). La conversione smentita dai<br />

fatti rende impossibile il perdono.<br />

1) Si tratta di mancanza di lealtà verso Dio (alleanza infranta, tradimento, prostituzione, falsità) e verso<br />

l’uomo (banditi in agguato, versamento di sangue, assassini, 6,7-7,2). Con l’illusione che Dio non vi badi e<br />

non ne tenga conto (cf Sal 36,3; Sir 16,16-23); il perdono sarà facile. Ma Dio «si ricorda», le loro azioni<br />

stanno «davanti a me»: le due espressioni hanno una connotazione processuale (Os 7,2).<br />

2) Seguono ulteriori esempi di mancata lealtà verso Dio e l’uomo: a) la politica interna con impegni di<br />

governo che non tengono conto di Dio e con congiure di palazzo (7,3-7), b) la politica estera con alleanze<br />

straniere (7,8-12, cf 5,8-14), c) il tradimento religioso in senso stretto: affidarsi ad altri dei, Dagan e Tirosh<br />

(= Cerere e Bacco, 7,13-16). La sezione si conclude con un «guai» (7,13) che esautora i capi e ne determinerà<br />

la caduta (7,16).<br />

- Il c. 8, articolato in due sezioni (vv.1-6.7-14), smaschera la trasgressione e annuncia l’esilio: continua la<br />

denuncia dell’alleanza infranta con Dio (esige il riconoscimento come unico e sovrano) e della politica estera<br />

fallimentare. Il profeta è il «trombettiere» che annuncia l’arrivo funesto dell’aquila, l’Assiria (cf Ez 17,3; forse<br />

Is 8,5ss), sulla casa di Israele (l’insieme di Israele o la monarchia). Motivo: la poca sincerità, perché riconoscono<br />

e invocano il Signore, ma rifiutano il bene, Dio come Bene (cf 3,5) e quello formulato nella legge.<br />

Inoltre, re illegittimi, fin dall’inizio del regno, hanno costruito il vitello di Samaria (1Re 13: è il peccato di<br />

Geroboamo che ricalca quello del Sinai). Ritornano i temi: alleanza, legge, beni, monarchia, vitello, idoli e<br />

alleanze politiche, che fanno perdere l’identità, e il ritualismo di un culto che «dimentica» il Signore e lo<br />

rende estraneo. Risultato: «seminano vento, raccolgono tempesta» (v.7).<br />

II – Analisi di 5,8-6,6<br />

I – 5,8-15. La denuncia divina<br />

La denuncia del Signore riguarda la politica estera, ma il culto è incluso (2a parte). I versetti illustrano<br />

fatti del 733 a.C.<br />

5,8-9 introduzione (imperativi). Il suono d’allarme si estende progressivamente da sud a nord: da Beniamino<br />

(con Gàbaa patria di Saul e Rama patria di Beniamino e Samuele) a Efraim (nel cui territorio, a sud, è Betel,<br />

41


con il santuario, il cui nome, «casa di Dio», è alterato in Bet-‘awen, «casa del male» o della sventura; vi è anche<br />

Samaria, tempio e capitale, fino alle «tribù di Israele», probabilmente per indicare tutto il regno del nord.<br />

È il percorso inverso fatto per assediare Gerusalemme (cf Is 7,1-9); potrebbe alludere all'intervento<br />

dell’Assiria chiamata in aiuto da Giuda.<br />

È invito alla guerra o sguardo alla ritirata? o allusione a una convocazione giudiziaria? La lezione: «ti incalzano»<br />

o «Beniamino è fuori di sé per il terrore», come intende Alt, potrebbe indicare la ritirata; lo nega Jeremias<br />

che preferisce vedervi un invito al contrattacco. Kuhnig sembra leggere in questa direzione. Alonso vi<br />

coglie piuttosto una convocazione giudiziaria, per accusare e convincere (nel giorno della TôkëHāh, rimprovero,<br />

castigo o accusa), per deporre con veracità contro di lui (v.9b-10), cioè «far conoscere/proclamare contro<br />

le tribù di Israele un’accusa certa/verace» (Bešib†ê yiSrä´ël hôdaº`Tî ne´émänāh). Il riferimento è al castigo<br />

o all’accusa «vera/certa», il giudizio con la pena certa: la devastazione. Dio proclama solennemente a Efraim<br />

che la guerra fratricida avrà come risultato la distruzione del regno del nord. Forse la situazione è simile a<br />

quella di Is 7,16.<br />

L’autore mostra la progressiva intensità dell’intervento di Dio, soprattutto alla fine: «Ti ho fatto sapere<br />

(9b hôdaº`Tî), verserò la mia ira (10,b ´ešPôk [Kammaºyim] `ebrätî), sarò tignola e tarlo (12 ´ánî kä`äš... wékäräqäb)».<br />

Come un animale feroce colpisce e se ne va: «Io, come un leone, un leoncello» (14a änökî<br />

kaššaºHal... kaKKüpîr), «Io, Io deprederò» (14b ´ánî ´ánî ´e†röp); e si ritira: «andrò-tornerò» (15 ´ëlëk<br />

´äšûºbäh).<br />

5,10-12 il peccato di Giuda e di Efraim e giudizio conseguente<br />

Si tratta di una guerra fratricida. Giuda è accusato di «spostare i confini» per impadronirsi<br />

di territori altrui. È delitto di frode condannato più volte nella legislazione e nella<br />

tradizione (Dt 19,14; 27,17; Prov 22,29; 23,10). Famoso resta l’episodio del re Acab<br />

che si impadronisce della vigna di Nabot, facendo uccidere il rivale (1Re 21). È un attentato<br />

contro l’«eredità dei padri», la porzione di terra che il Signore aveva affidato al clan<br />

di Nabot (cf Nm 36,7; Lv 25,13) e che fondava la sua cittadinanza. Il profeta Elia lo accusa<br />

di omicidio e usurpazione delle terra (1Re 21,19). Qui non si tratta di un affare privato<br />

ma di conflitti tra stati. È il trasferimento, per analogia, del diritto privato a quello<br />

internazionale. Immagini di violenza individuale sono trasposti al piano della collettività:<br />

sembra trattarsi di mezzi legali o politici per impadronirsi di territori altrui. Questi atti<br />

sono condannati come frode e usurpazione, un peccato assimilato alla frode nei confronti<br />

dei privati. Su questi il Signore riverserà la pioggia della sua ira, cioè la condanna.<br />

Storicamente, dopo l’intervento dell’Assiria, Giuda aveva contrattaccato allo scopo di<br />

ampliare i propri territori a danno dei suoi aggressori, Israele e Siria. Similmente, al tentativo<br />

di incasione della lega Siro-Efraimitica contro Giuda, Isaia aveva risposto che Dio<br />

aveva stabilito re e territori (Is 7,8-9).<br />

Efraim è accusato di oppressione e ingiustizia, la cui causa è individuata nel culto<br />

degli idoli. Idolatria e immoralità sono collegate come causa ed effetto: nel v.11b avviene<br />

il passaggio dalla valutazione politica a quella teologica. Il testo potrebbe alludere<br />

all’alleato arameo – una nullità – che ha portato al fallimento del tentativo di conquistare<br />

Gerusalemme, anzi determinato l'oppressione e l’occupazione parziale di Israele.<br />

NB. Il testo ebraico vede Efraim vittima dell'oppressione: il suo diritto è calpestato perché segue il comandamento,<br />

in LXX invece «Efraim opprime il suo nemico», violando il diritto internazionale.<br />

Il Signore interviene direttamente e minaccia i due stati di corroderli dal di dentro: tignola e tarlo o malattia,<br />

per indicare la situazione politica e sociale negativa (= pus, KLB, e carie ossea, cf Is 1,5-6 e il corpo<br />

tutto malato; Ger 30,12ss). Sarà il frutto della guerra fratricida.<br />

5,13-15 la ricerca del rimedio umano, inutile, l’Assiria. Dio «torna al suo posto» in attesa<br />

che, riconosciuti i fallimenti, i due popoli lo cerchino di nuovo con desiderio (5,15).<br />

I due regni riconoscono la loro malattia-piaga, ma compiono scelte errate: ambedue<br />

sono «andati» in Assiria (v.13). Vi ricorse Giuda, aggredito dalla lega Siro-Efraimitica<br />

(2Re 16,7ss; Is 7 e 8,5-10), poi Israele, sottomettendosi ancora come vassallo (2Re 17,3).<br />

42


Ma Assur non sarà in grado di «guarire», solo Dio lo può fare (cf 14,1-9). La colpa consiste<br />

nell'essersi dimenticati di Dio: ignorando il vero «guaritore», si sono affidati alla<br />

potenza che li assalirà.<br />

Perciò, il Signore – sottolineando il discorso con un nuovo e un doppio «Io» – si manifesterà<br />

come la Parola in Amos: un leone che depreda e se ne va senza che nessuno<br />

possa salvarli (v.14).<br />

In Os 13,7, facendo eco ad Assur-Assiria, Dio «sta in agguato»: «Sarò per loro come un leone;<br />

come una pantera o leopardo sulla strada starò in agguato (spiare-vegliare; ´äšûr; ´äšûr ´äšûr ´äšûr la Vulgata traduce<br />

in via Assyriorum). Dio per il suo assalto si servirà di Assur che essi hanno chiamato in aiuto.<br />

Ciò avverrà per Israele nel 722/21, con la distruzione di Samaria; nel 701 per Giuda con l'assedio<br />

di Gerusalemme da parte di Sennacherib (Is 7,17; 8,5-10; 36-39; 2Re 18,17-19,8; 19,9-37).<br />

Dio non vuole annientare il popolo, bensì guarirlo e liberarlo, perché questa è la sua<br />

vera funzione: non Assur salverà, ma Dio guarirà e veglierà (ašûrennû) proteggendo (cf<br />

14,4-9). Perciò, dilaziona la punizione (v.15): torna-si volge (šûb)) al suo luogo (cielo e<br />

tempio), in attesa che il popolo ritorni a lui con nuovo desiderio.<br />

Il v.14 insegna che nessuno può impedire al Signore di agire, il v.15 mostra la pazienza<br />

di Dio finché il popolo riconosca e confessi la sua colpa («espiino», ´äšam),<br />

nell’attesa di un ritorno sollecito. I due versi introducono alla sequenza seguente (6,1-6):<br />

«depredare, andare e ritornare», e «alzarsi presto, all’aurora» che connota «cercare».<br />

Si delinea così una duplice immagine di Dio: leone e guaritore, depredatore e salvatore,<br />

al quale è comunque impossibile sfuggire. L'allontanamento da Dio ha fatto sì che<br />

egli si volgesse contro il suo popolo per punirlo o si allontanasse/ritornasse a sua volta<br />

verso il suo luogo, in attesa che il popolo comprenda il suo peccato e torni/si rivolga a<br />

lui, che può guarire e liberare. Il verbo šûb e termini di movimento delineano<br />

l’immagine.<br />

II – 6,1-6. Ritorno (apparente) del popolo e risposta divina<br />

6,1-3: Risposta del popolo<br />

Ora il popolo, con parole di conversione, risponde al Signore che si era ritirato («andato,<br />

tornato»): «Torniamo al Signore, viviamo alla sua presenza» (lĕkû wĕnāšûbāh ’elyhwh,<br />

niḥyeh lĕpānāyw, 6,1.2). Più che di «canto penitenziale» (cf Schmidt e Wolff), si<br />

tratta, da un punto di vista formale, di un «proposito con motivazione e indicazione del<br />

fine» (Jeremias): «vivere alla sua presenza». È la decisione collettiva di intraprendere un<br />

pellegrinaggio (5,15 cercare il volto, 6,2: vivere alla sua presenza/davanti al suo volto;<br />

cf Is 2,2-5; Mi 4,2; Ger 31,6) con uno sfondo liturgico-cultuale (cf anche Sal 122). La risposta<br />

del popolo espone un’interpretazione globale delle possibilità e delle sue intenzioni.<br />

Sembra avverarsi il ritorno atteso da Dio (cf 5,15) che avrebbe dato una svolta alla situazione<br />

e superato la crisi. In 5,6 si parla di un falso ritorno; qui invece il popolo esprime<br />

la fiducia e la certezza del perdono divino: guarire e fasciare, vivere e rialzare dal<br />

letto, vivere alla sua presenza (yéHayyëºnû, yéqìmëºnû wéniHyeh, 6,1-2), godere del suo favore<br />

e camminare secondo il suo gradimento o la sua volontà (panym = volto e volontà).<br />

Il testo riflette una terminologia tradizionale, cf ad es., Dio «esce dalla sua dimora»<br />

(dove si è ritirato, 5,15) e Gdc 4,14; 5,4; 2Sam 5,24; Sal 68,8: esce per vincere. Vi è nel<br />

popolo anche la coscienza di una malattia mortale; e la ricerca di «conoscere il Signore»<br />

risponde all'attesa di Dio («come l’aurora», v.3, fa eco alla ricerca fin dall’aurora in<br />

5,15) e al detto finale di Os 6,6.<br />

43


Tuttavia, non vi è ammissione di colpa nel popolo né rinuncia ad Aram-Assur (5,11.<br />

13). E Dio appare prevedibile come i fenomeni atmosferici, la luce e la pioggia, il popolo<br />

ha la convinzione di un automatismo ritualistico della salvezza. Dio è ridotto a un distributore<br />

automatico di perdono e guarigione: attesa del perdono e intervento del Signore<br />

sono certi e prevedibili come un evento naturale, puntuale e sicuro come la sequenza<br />

giorno-notte o il ciclo delle stagioni, come l’aurora che annuncia l’uscita-splendore del<br />

giorno (yāṣā’), e come l’arrivo della stagione della pioggia che feconda la terra.<br />

Ma Dio si attendeva il riconoscimento della colpa e l'espiazione (´äšam). Ora invece,<br />

«se i peccati li turbano, non importa: è questione di due o tre giorni e di un paio di riti»<br />

(Alonso). Perciò, quello che sembra un atto di fede sicura, in realtà nasconde un atteggiamento<br />

di presunzione e superficialità, sicché coloro che cercano di conoscere il Signore<br />

in base ai loro calcoli mostrano di non conoscerlo affatto e sono smentiti dai fatti.<br />

Gridano: Ti conosciamo, Dio di Israele.<br />

Ma Israele ha respinto il bene (Os 8,2-3);<br />

Non gridano di cuore, quando urlano dai loro giacigli;<br />

presso Grano e Mosto (cf Bacco e Cerere) cercano dimora, da me si allontanano (7,14).<br />

D’altra parte, in Osea il verbo nirDépäh, räDap, «inseguire, perseguire, cercare di»<br />

conoscere (6,3), quando è usato riguardo a Israele acquista senso negativo: inseguire il<br />

vento (12,2), inseguire gli amanti (2,9). Anche la conversione è dunque un vano «inseguire».<br />

È la concezione meccanica del perdono e della guarigione a determinare la risposta<br />

negativa del Signore (6,4-6).<br />

6,4-6. Risposta divina<br />

La risposta del Signore inizia con una domanda (v.4). Sembra quasi consigliarsi e interpellare<br />

gli imputati, come con Adamo (Gen 3,9), tende a convincere e rendere consapevoli<br />

prima che a condannare. Quindi riprende i fenomeni atmosferici dell’acqua (rugiada)<br />

e della luce (nube o foschia del mattino, v.5) e li ritorce contro gli accusati, a dimostrazione<br />

di un ritorno non sincero, ritualistico: il loro amore-lealtà (Hesed) è passeggero<br />

come la rugiada o la foschia del mattino, che presto scompare dissolta dal sole e<br />

non porta fecondità. Come a dire, che Israele non ha un punto di riferimento.<br />

L’immagine è ripresa in Os 13,3 in forma di condanna: «Perciò saranno come nube del<br />

mattino, come rugiada dell'alba che svanisce, come pula lanciata lontano dall'aia, come<br />

fumo che esce dal camino».<br />

Ne deriva la condanna, che passa dalla seconda persona, «tu-voi» (v.4), alla impersonale:<br />

«li» (v.5): a Dio non rimane che la punizione. Il testo è articolato in opposizioni e<br />

allitterazioni con i vv.1-3:<br />

• Si attendevano l’uscita dell’aurora apportatrice di luce (mô|cä´ô), troveranno l’uscita-splendore (yëcë´)<br />

del giudizio divino; e la certezza della salvezza si rivela inconsistente come la rugiada dell’aurora e la foschia<br />

mattutina, precisamente come la loro ḥesed-lealtà.<br />

• Si attendevano di esser fasciati (HäBaš) saranno invece colpiti, feriti, scavati (Häcab), si attendevano di<br />

vivere e guarire saranno uccisi.<br />

• Chi si levava al mattino presto, l’aurora (HäšKem, šäHär) per tornare e risorgere, in realtà non faceva altro<br />

che alzarsi per un inutile pellegrinaggio.<br />

Il v.5 proclama il profeta «bocca di Dio» (Es 4,16; Ger 1,19), mediatore del suo messaggio.<br />

È esecutore di una sentenza capitale efficace che uccide. Non solo annuncia, ma<br />

con la parola di Dio provoca e mette in atto il castigo. In questo è in linea con gli altri<br />

profeti come Samuele, Ahia di Silo, Elia, Eliseo e lo stesso Mosè.<br />

Ma il profeta è anche portatore di un insegnamento, di una pedagogia che indica la<br />

via da percorrere e propone il pellegrinaggio che conduce alla salvezza, quello di Hesed<br />

e da`at, vale a dire una cosciente relazione di amore e fedeltà, di lealtà e affetto nei con-<br />

44


fronti di Dio (v.6). Hesed e da`at sono strettamente collegati. Il verso riprende in positivo<br />

le parole di 4,1, che ne denunciava l’assenza in Israele. Erano le qualità del Signore sposo,<br />

il segno della sua alleanza e del suo amore (2,21-25), le stesse che esige dal popolo<br />

per una relazione intima, personale, sponsale. Anche questo secondo la tradizione.<br />

Forse si compiace il Signore nei riguardi degli olocausti e sacrifici come dell’ubbidienza alla<br />

voce del Signore? Ecco, ascoltare/ubbidire è meglio del sacrificio, tendere l’orecchio più<br />

del grasso di montoni (1Sam 15,22).<br />

Il tono sembra qui più radicale ed esclusivo. Non si tratta di una preferenza –<br />

l’ubbidienza è migliore (cf Prov 21,3 o l'Insegnamento di/per Merikare 129) – bensì di<br />

un’alternativa (cf Ger 7,22-23). È una sentenza con valore di principio che decide se si<br />

verifica o meno il rapporto con Dio. Il volere del Signore contempla non i sacrifici ma<br />

l'ascolto-obbedienza per conoscere e aderire agli atti liberatori e salvifici da Lui compiuti,<br />

non la ricerca di emozioni sentimentali ed effimere ma una adesione convinta e stabile.<br />

Il profeta non nega il culto ma ne segnala i pericoli e indica le condizioni perché il<br />

suo effetto si estenda a tutta la vita; nel contempo denuncia la mancanza di una vera coscienza<br />

del peccato. Perciò, i propositi del popolo (6,1-3) sono valutati negativamente,<br />

essendo ancora nella logica e nella prospettiva del sacrificio rituale, magico, idolatrico,<br />

non di scelte interiori dettate dalla conoscenza (da`at) che conduce alla lealtà (Hesed).<br />

Conclusione<br />

Il profeta parte da scelte storiche, per dimostrare che è assente in Israele una autentica<br />

scelta religiosa per il Signore. Smaschera una religione apparentemente solerte, in<br />

realtà priva di scelte interiori e denuncia un’ascetica senza amore. Prima denunciava il<br />

peccato (Os 4,1-5,7), ora mette in luce i falsi atti di fede, le false conversioni consistenti<br />

in rituali slegati dal pentimento e incapaci di incidere sullo stile di vita (cf. Ger 7,1-15),<br />

demolisce le false certezze avvolte in un linguaggio di fede (6,3). La presa di coscienza<br />

del peccato non creava drammi interiori né comportava un vero ritorno a Dio,<br />

un’espiazione che implicasse un impegno di vita. La vita religiosa, ridotta a riti, trasformava<br />

la certezza della fede nella presunzione del perdono automatico, trascurando la relazione<br />

personale con il Dio dell'alleanza.<br />

Condanna e abolisce senza alternative non il culto, ma sacrifici e olocausti sul modello<br />

cananeo e sottopone a revisione critica concetti tradizionali che sembravano esprimere<br />

fede incrollabile e attesa sicura della fine della lontananza di Dio, ma escludevano<br />

o non contemplavano una risposta umana. Ora, il Dio che si impegna con Hesed e<br />

da`at per Israele 27 , chiede la medesima risposta da parte del popolo (2,21-25; 14,1-9).<br />

L’assenza di lealtà con Dio si riflette nelle relazioni umane e nelle scelte politiche. Le<br />

guerre fratricide che stavano portando alla rovina i due regni, rivelavano l'assenza delle<br />

qualità religiose che avrebbero garantito la sopravvivenza del popolo di Dio. L’unico in<br />

grado di guarire e liberare resta il Signore. O Israele si affida veramente alla sua grazia o<br />

è destinato alla morte. In quest’ambito è interessante la riflessione sul diritto internazionale,<br />

che giudica il tentativo di impadronirsi dei territori altrui come frode e usurpazione,<br />

sul modello dello «spostare i confini antichi». Isaia condanna l’invasione di Giuda da<br />

parte della lega Siro-Efraimitica affermando il principio che Dio stabilisce i territori e<br />

27 L’espressione ´´´´ëraSTîk lî bé, «ti farò mia sposa con/in» richiama la dote, come in 2Sam 3,14 quando Davide<br />

porta i prepuzi chiesti da Saul come prezzo di dote per ricevere in sposa Mikol.<br />

45


affida ai re legittimi la sovranità (Is 7,6-8), Osea condanna le mire espansionistiche di<br />

Giuda nei confronti di Israele, giudicandole in base al principio di diritto privato che vietava<br />

lo spostamento dei confini, «eredità dei padri» e quindi incedibili, appellandosi in<br />

un certo senso a un diritto divino, a una fedeltà «teologale» alla terra che era stata affidata<br />

all’uomo, come precisa Nabot nel diverbio con il re Acab e ribadisce il profeta Elia<br />

che accusa il re di usurpazione (2Re 21).<br />

Minaccia e giudizio sono orientati a far prendere coscienza per interiorizzare le scelte,<br />

onde evitare una fede superficiale che non approfondisce il vero senso del credere. La<br />

fede non consiste nella semplice decisione di andare in pellegrinaggio al tempio per brevi<br />

e inconsistenti emozioni o per ottenere un perdono a buon mercato (6,6; 4,1), ma in<br />

termini di fedeltà all'alleanza e di impegno di vita (´émet), di relazione di amore, misericordia<br />

e gratuità (Hesed), di conoscenza, esperienza intima e scelta esclusiva (Daº`at).<br />

Questo è l'autentico pellegrinaggio, il vero camminare alla presenza di Dio, è vivere secondo<br />

la sua volontà (6,1-2). Con linguaggio diverso, si veda anche Qoh 4,17-5,6.<br />

B - Osea 14: L’amore del Signore più grande del peccato<br />

Mentre Os 6 insisteva nello svelare le falsità del cuore e nel purificare la concezione del<br />

culto, questo testo affronta il tema del male dal punto di vista di Dio. L’ultima parola di<br />

Dio è l’amore: il verbo בַהאָ (amare) chiude una lunga serie, varia per forme e applicazioni<br />

(cf 3,1; 4,18; 8,9; 9,1.10.15; 10,11; 11,1.4; 12,5). Di conseguenza, il castigo apre la strada<br />

alla salvezza fondata solo sulla «santità» e amore di Dio. Le immagini esprimono vitalità e<br />

guarigione. Vitalità: i vv.6-8 fanno inclusione su ח ַרָפ, «fiorire, crescere». Il linguaggio vegetale<br />

assume le espressioni e il tono dei canti d’amore del Cantico. Il quadro dipinge la<br />

nuova vita come duratura, perenne e feconda, con frutti e splendore. Emerge l’immagine<br />

dell’albero con radici (v.6b), germogli (v.7a) e frutti (v.9b). Tre volte fa allusione al Libano:<br />

le radici, il profumo, il vino. Vi compaiono il giglio, l’olivo e la vite, simboli di Israele:<br />

sboccerà come un giglio e avrà lo splendore dell’olivo (vv.6-7), sarà rigoglioso come la vite<br />

e ricordato come il vino, profumato come il Libano. E gli abitanti saranno sotto la sua ombra,<br />

cioè vivranno in pace. Il Signore stesso si presenta come «rugiada» che dona fecondità<br />

e, unica volta nella Bibbia, come cipresso verdeggiante (v.9), forse in polemica con i culti<br />

cananei 28 . Dall'incontro iniziale d’amore (2,23-25) il libro passa all'evocazione dell'unione<br />

feconda tra Dio e il suo popolo (v.9). Guarigione interiore: la דֶסֶח del popolo (unita alla<br />

תֶמֱא) è promessa come segno del nuovo incontro (cf 2,21) ed è frutto dell’amore libero e<br />

liberante di Dio, che ricrea la sposa. Non sarà Assur a salvare (14,4), ma il Signore a<br />

guarire (v.5), rispondendo e apparendo-guardando, cioè proteggendo (וּנּ ֵרוּשֲׁאַו, v.9b, fa eco<br />

per opposizione ad Assur, v.4). La paronomasia sul nome Efraim, che suona come<br />

«guarire» (אָפ ָר), guida il senso del testo. Efraim ha dato il frutto (י ִרְפ) che poteva dare, il più<br />

prezioso in questo momento, la sua confessione del peccato. Dio risponde guarendo (אָפרֵא)<br />

e ridonando la salute: ’epraym¾ perî-ºerpā’. Allora Efraim potrà fiorire (ח ַרָפ) e dar frutto<br />

(י ִרְפ): ’epraym-pāraÐ-perî (6a.8b.9). 29<br />

In conclusione, il perdono precede la conversione: Dio perdona prima che il popolo si<br />

converta, e sebbene non si sia convertito, anche se esige una risposta. La parola del Signore,<br />

d’altra parte, interverrà sempre per purificare il cuore dell’uomo, perché la sua relazione<br />

28 Cf H.W. WOLFF, Dodekapropheton (BKAT XIV,1), Neukirchen 1965, pp. 3<strong>02</strong>-308.<br />

29 Cfr. L. ALONSO SCHÖKEL-J.L. SICRE DIAZ, I Profeti, Borla, Roma 1989, p. 1044. Ger 31,31-34; Ez 36,25-27<br />

e Salmo 51 parleranno del cuore rinnovato o ri-creato.<br />

46


sia sempre più qualificata da ciò che lo rende vero, fedele, consapevole. La fedeltà e lealtà<br />

di Dio (Os 2,21-22) chiede all’uomo e al suo popolo una risposta religiosa adeguata (6,6)<br />

anche se l’amore di Dio, alla fine, prevarrà sempre (14,5).<br />

3 – Osea 11,1-11. Il Signore educa e castiga, ma prevale il suo amore<br />

A – Amore- deviazione<br />

[1] Quando Israele era giovane (schiavo), io l'ho amato<br />

e dall'EGITTO ho chiamato (qārā’)mio figlio (bĕnî).<br />

[2] Ma più li chiamavo,<br />

più andavano (hālak) lontano da me (BHS dal mio volto, TM Vg loro volto):<br />

ai Baal offrivano sacrifici,<br />

agli idoli bruciavano incensi.<br />

[3] Io insegnavo a Efraim a camminare,<br />

li portavo in braccio,<br />

ma essi non riconobbero<br />

che io li curavo (guarivo, rāpā’). 14,4-9<br />

[4] Con legami di bontà/umanità (béHablê ´ädäm) li traevo (legami di umanità imponevo loro),<br />

con vincoli d'amore (= legami/-incoli di amore di uomo, cioè di padre?);<br />

ed ero (’ehyeh) per loro come chi solleva il giogo dalle loro guancie;<br />

mi chinavo verso di lui per dargli da mangiare.<br />

B – Castigo – terapia<br />

[5] Certo TORNERÀ (lö´ yäšûb) nel paese d'Egitto, 8,13; 9,3<br />

Assur sarà il suo re,<br />

perché si rifiutarono di RITORNARE (mē’ănû lāšûb).<br />

[6] Volteggerà la spada nelle sue città,<br />

sterminerà i suoi indovini (cf Ger 50,35; o: parti-quartieri?)<br />

e li divorerà a causa dei loro progetti (mi|mmö`ácôºtêheºm).<br />

[7] Ma il mio popolo, sono protési alle loro apostasie (telû’îm limĕšûbātî = mĕšûbātā y w):<br />

verso l’Alto (El-Al, Baal?), lui invocano (yiqrä´uºhû),<br />

l’Unico (yaḥad = yaḥîd) non li innalzerà.<br />

B’ - Ma il Signore perdona<br />

[8] Come potrei abbandonarti (darti, ‘êk ’ettenkā), Efraim,<br />

consegnarti, Israele?<br />

Come potrei trattarti (darti) al pari di Admà,<br />

ridurti (’ăśîmkā) come Zeboìm? Gen 19<br />

È sconvolto (nehpak) il mio cuore nel mio intimo,<br />

parimenti ribollono i miei pentimenti (nikmerû niḥûmāy, o viscere, raḥămîm?).<br />

[9] Non farò (eseguire) l'ardore della mia ira (Hárôn ´aPPî),<br />

non TORNERÒ (lō’ ’āšûb) a distruggere Efraim,<br />

ché Dio Io sono (Kî ´ël ´ä|nökî), non uomo, in mezzo a te,<br />

Santo, e non verrò con ira (be`îr con agitazione [adirata], da nemico distruttore).<br />

A’ - Il ritorno dall'esilio<br />

[10] Dietro al Signore andranno (yēlkû),<br />

come un leone egli ruggirà (yiš’āg): (Am 1,2; 3,1ss; Ger 25,30)<br />

quando ruggirà, tremeranno (verranno tremanti) i figli dal mare (l'occidente), 3,5<br />

[11] Tremeranno come un uccello dall'EGITTO,<br />

come una colomba dal paese di Assur<br />

e li FARÒ ABITARE (wéhôšabTîm- abitare)/-TORNARE (wahášîböTîm) nelle loro case.<br />

Oracolo del Signore.<br />

47


Analisi di Os 11,1-11<br />

La pericope si sviluppa in due parti (vv.1-7.8-11) e quattro sezioni: A - amoredeviazione<br />

(vv.1-2.3); B – castigo terapeutico (vv.4-7); B’ - perdono (vv.8-9); A‘ – ritorno<br />

(vv.10-11). Il poema si svolge tra due chiamate dall’Egitto (11,1-2 e 11,10-11) unite<br />

dall’inclusione su alcuni termini: halak, andare (andare via o allontanarsi, andare dietro<br />

o seguire), banym-beny, figli-figlio, mimmisraym, dall’Egitto, šā’ag + qārā’, ruggire +<br />

chiamare.<br />

11,1 Quando Israele era giovane (schiavo), io l'ho<br />

amato<br />

e dall'EGITTO ho chiamato (qārā’) mio figlio<br />

(bĕnî).<br />

2 Ma più li chiamavo (qar’û),<br />

più si allontanavano (hālkû) da me,<br />

ai Baal offrivano sacrifici,<br />

agli idoli bruciavano incensi.<br />

10 Dietro il Signore andranno (yēlkû),<br />

come un leone egli ruggirà (šā’ag):<br />

quando ruggirà, verranno tremanti<br />

i figli (bānîm) dal mare (l'occidente),<br />

11 Verranno tremanti<br />

come uccelli dall'EGITTO,<br />

come colombe dall'Assiria<br />

e li FARÒ ABITARE (wĕhôšabtîm- abitare,<br />

o wahăšîbōtîm-RITORNARE) nelle loro case.<br />

Vi è inclusione, per opposizione, anche tra i vv.1-2 e 7 che delimitano la prima parte:<br />

il Signore chiama (qärä´) il popolo invoca (yiqrä´uºhû-qär´û) l’Alto, cioè Baal, perciò<br />

Jhwh non può portarli in alto o innalzarli, farli risorgere. Il verso funge da culmine<br />

dell'accusa e da perno del discorso, segnando il passaggio alla seconda parte. La seconda<br />

strofa è inclusa tra il Signore che “solleva” il giogo (v.4) e l’Alto che “non sa innalzare”<br />

(v.7): Kimrîmê `öl - lö´ yérômëm. Anche la seconda e terza strofa (vv.4-7 e 8-9) hanno<br />

legami verbali nel descrivere le due reazioni: al castigo si oppone il perdono, alla distruzione<br />

la non distruzione (ira o giudizio di condanna: lō’ yāšûb - lō’ ’āšûb, vv.5.9, e<br />

Bĕ‘ārāyw, nelle loro città – be‘îr, con ira (da ‘îr II, vv.6.9).<br />

Da un punto di vista storico-critico, il v. 7 e i vv.8-11 sono posteriori (cf Jeremias<br />

210s). Ma nell'intenzione del redattore finale le due parti sono strettamente congiunte e<br />

manifestano la tipica teologia del profeta. L’amore respinto determina il castigo (vv.1-7);<br />

ma il perdono più forte del peccato (Dio “non torna” a distruggere Efraim) mette in moto<br />

il “ritorno-conversione” del popolo (vv.8-11).<br />

A – Amore-deviazione (1-2.3.4)<br />

È la storia di un continuo contrasto tra l’amore paterno e la mancata risposta del figlio;<br />

una relazione fallimentare. Alle molteplici dimostrazioni di amore da parte di Dio,<br />

tese a educare e a far crescere il figlio (chiamare, educare, attrarre o legare, nutrire), risponde<br />

il rifiuto del “figlio” Israele. Stilisticamente i vv.1-4 alternano il soggetto: “Io”<br />

(Dio) - “Essi” (Israele), con particelle avversative e pronomi personali. Alla triplice azione<br />

di Dio che ama: chiama – educa (insegna a camminare, prende in braccio e cura) –<br />

attrae o impone con bontà (solleva e si china per nutrire), Israele non risponde, ma “si allontana”,<br />

“non riconosce” e “rifiuta di “tornare”. Il testo procede per opposizioni.<br />

* Dio chiama (qär亴tî), ma Israele chiama/invoca altri dei (yiqrä´uºhû, v.7, qär´û, v.2 30 ).<br />

* Il Signore chiama ma Israele si allontana: “se ne va dal suo volto” (hälkû miPPénêhem), dalla<br />

sua presenza, per adorare altri dei: nel deserto il vitello (simbolo poi del tempio di Samaria),<br />

30 Già il v. 2 ebraico può essere inteso come invocazione e devianza pratica; così legge la Vulgata latina: vocaverunt<br />

eos sic abierunt a facie eorum Baalim immolabant et simulacris sacrificabant, “Li invocarono, così<br />

si allontanarono dal loro volto, ai Baal sacrificando e bruciando incenso davanti alle loro immagini”. La traduzione<br />

corrente è secondo la LXX.<br />

48


nella terra i vari Baal e idoli, invocandone il nome con offerta di sacrifici e incenso. Allontanamento<br />

da Dio era anche il rifugio nelle alleanze con le grandi potenze, le stesse a cui Israele<br />

dovrà tornare. “Andarsene via” è in linea con il “rifiuto di tornare”; allora Dio li “farà ritornare”<br />

in Egitto e al re di Assur (v.5). Os 3,1 giocava sul tema dell'amore: Dio ama il popolo, ma<br />

il popolo ama le schiacciate d’uva (‘öhábê ´ášîšê `ánäbîm). Sono tutti appuntamenti mancati.<br />

* “Non ri-conobbero” (lö´ yäd`û, v.3) ricorda il principio invocato in 6,6, con l’appello alla<br />

da‘at, che definiva il vero atteggiamento religioso, ma anche la denuncia contro la sposa che<br />

non riconosceva che il Signore le dava grano, olio e vino nuovi (2,5); è l’assenza di “conoscenza”<br />

(4,1) o il falso riconoscimento, che impediva la guarigione di Israele e la sua risurrezione<br />

(6,2-3), mentre il Signore aveva dato l’allarme e “fatto conoscere” l’accusa e il castigo<br />

certo contro le tribù d’Israele (5,9). Solo il ritorno sincero a Dio con il riconoscimento del suo<br />

potere, potrà guarire e rialzare Israele (14,4-9).<br />

vv.1-2. Il titolo di “figlio” applicato al popolo è presente nelle tradizioni dell’esodo e dei<br />

profeti (Es 4,23; Dt 8,5; 32,6; Is 1,2; 30,9; Ger 3,4.19-22; 4,22; 31,9.20); è attribuito in<br />

modo particolare al re (2Sam 7; Sal 2,7). Matteo, con nuovo significato, applica Os 11,1<br />

al racconto della fuga di Gesù in Egitto (Mt 2,15). L’immagine del figlio si pone accanto<br />

e nella stessa sequenza delle immagini sponsali di Os 2: educazione – resistenza della<br />

sposa/del figlio – amore superiore di Dio che salva e riconcilia. Il processo, iniziato in<br />

4,4, si conclude ora con la riunione.<br />

Con l’appello all’Egitto, il profeta ci riporta alle origini: là il Signore aveva chiamato<br />

Israele per mezzo di Mosè e Aronne. Il ricordo della giovinezza o infanzia ricorda che<br />

l’infedeltà risale agli inizi di Israele in tutte le sue componenti, nord e sud: na‘ar indica<br />

sia il fanciullo che l'adolescente o il giovane, l’età della discrezione e della decisione; significa<br />

anche “servo-schiavo” per ricordare che la vocazione è collegata alla liberazione,<br />

centro del “credo” di Israele (Dt 26,3-9).<br />

“Chiamare” e “amare” (v.1) descrivono la vocazione e la sua motivazione: Israele è<br />

un figlio liberato e libero grazie all’amore di Dio. “Io l’ho amato”: l’amore (sostantivo e<br />

verbo) percorre tutto il libro e pone in moto la storia delle relazioni educative tra padre e<br />

figlio.<br />

v.3. L’immagine cultuale dominante nei vv.1-2 si prolunga in una scena domestica educativa;<br />

del resto, anche chiamare-invocare e rispondere riflette il dialogo familiare. Questa<br />

si sviluppa su tre linee: 1) il padre “insegna a camminare” (verbo denominativo, tirgáltî<br />

da regel, “piede”, così interpretato); 2) “porta in braccio” quando il bambino è<br />

stanco, o lo sorregge quando inizia i primi passi; 3) “cura/guarisce” (rāpā’) una malattia<br />

o una ferita dovuta a una caduta, senza che il bambino si renda conto che il padre sta curando<br />

e guarendo; forse perché la cura fa male, come la terapia dell’esilio (cf il Dio<br />

“medico”, riconosciuto in 14,4-9).<br />

Il v.4 conclude la descrizione dell’amore divino, aggiungendo una ulteriore immagine liberatoria<br />

e domestica che delinea l’amore paterno, che assume pure diversi aspetti. 1)<br />

’emšĕkēm si può intendere in due modi: a) «Li traevo con legami di bontà, corde<br />

d’amore»: è amore che “attrae”, trascina e lega a sé (cf Ct 1,4) con corde e funi (bĕḥablê<br />

’ādām – ba‘ăbōtōt’ahăbāh 31 ); b) oppure impone legami, amore esigente: “Imponevo loro<br />

legami (māšak b), vincoli “d’amore di uomo 32 ”, quelli di un padre che educa (“impone il<br />

31 Il binomio è in Is 5,18: «attirano a sé la colpa (!wOà['h,() con corde di bue e con funi di carro il peccato<br />

(ha'(J'x;)».<br />

32 La discussione verte sulla espressione Hablê ´ädäm: può essere intesa come “legami umani”, cioè di bontà<br />

o proporzionati; unita al termine “vincoli d’amore”, potrebbe significare “legami di amore d’uomo”, corrispettivo<br />

dell'espressione di 1Sam 1,26, ’ahábat näšîm, “amore di donna”, per definire l’amicizia di Davide<br />

49


giogo”, māšak bĕ‘ōl, Dt 21,3; l’immagine è applicata alla legge stessa, Sir 6,24-30;<br />

51,26-27); oppure, imponevo loro “legami umani”, nel senso di proporzionati, educativi,<br />

e “vincoli di amore”. 2) È perciò amore liberante: «leva/alza il giogo (‘ōl, 4b) dal colloguance»<br />

(v.4b, cf Ger 2,20 33 ). L'amore di Dio è vincolante e liberante nello stesso tempo,<br />

impone e solleva il giogo. I comandamenti sono perciò leggeri e liberanti come il “giogo<br />

dolce e il carico leggero” del Vangelo (Mt 12,29-30). 3) Infine, l’amore “tende” o “si<br />

china” verso il figlio per nutrire. Così il Signore ha nutrito con la manna e ha educato il<br />

suo popolo nel deserto. In Dt 8,2-5, prova e cura con fame, sete e nutrimento tendono a<br />

educare Israele, a rivelare ciò che ha nel cuore e a fargli riconoscere che il Signore è il<br />

suo Dio.<br />

Le immagini riportano al deserto. Dopo la chiamata dall’Egitto (v.1), Dio ricorda il<br />

Sinai con l’alleanza, l’esigenza forte e dolce dei comandamenti e la manna, cibo che aiuta<br />

a sopravvivere. Nell’amore Dio manifesta la sua identità: “ero per loro” (’ehyeh) evoca<br />

il Nome, Jhwh (cf anche 1,9).<br />

B – Castigo - terapia (vv.5-7)<br />

L’apostasia del popolo non è un fatto isolato (v.7): Israele persiste nell’invocare Baal,<br />

è “dipendente” o tende ed è inclinato all’apostasia (tälä´ = täläh, appendere, dipendere,<br />

propendere) 34 , o ne resta “impigliato” (Jeremias con Speiser): télû´îm limšû|bätî corrisponde<br />

per assonanza e completa “rifiutarono di tornare” (më´ánû läšûb, v.5).<br />

Giocando sull'immagine “essere Alto-innalzare”, il profeta conclude: “Invocano<br />

l’Alto” (’el-‘al) 35 , ma solo il Signore “solleva-toglie il giogo” (mĕrîmê ‘ōl) liberando.<br />

Perciò un dio senza consistenza, il Baal non sperimentato nella storia, “non potrà innalzarli”<br />

e liberarli (lō’ yĕrômēm).<br />

Non resta dunque che il castigo (vv.5-6), il ritorno in Egitto, che consiste nella sottomissione<br />

ad Assur e nel classico simbolo della spada. Il primo enunciato gioca sul verbo<br />

“tornare” (šûb): il ritorno in Egitto significa tornare agli inizi (cf 8,13; 9,3; Dt 28,68),<br />

alla schiavitù primordiale, per ritrovare la libertà nel Signore. L’immagine si accosta al<br />

simbolo della sposa che ritorna nel deserto, luogo di castigo e purificazione ma anche<br />

occasione per riprendere le relazioni (Os 2,4-15.16-17). La spada porta la distruzione<br />

generale nella città: “gira” come un turbine, “volteggia” (ḥālāh-ḥûl, cf Sal 114,7) e mena<br />

strage nei quartieri delle città (baddāyw, bad, “parte”, quartiere o membri) oppure “tra i<br />

loro consigli”, con allusione ai capi. Altri interpretano baddāyw con “indovini” (secondo<br />

Ger 50,36 e Is 44,25): li divora mimmō‘ăṣôtêhem 36 , cioè “a causa dei loro progetti” o<br />

con Gionata più meravigliosa di tale amore; più difficile è intendere: “legami della steppa-deserto” (´ädäm,<br />

cf ´ädäm = “steppa” in 6,7 e i Pere’ ’ādām, “asini selvatici del deserto” di Gen 16,12; Gb 11,12). In ogni caso,<br />

si tratterebbe dei legami stabiliti nel deserto del Sinai, i comandamenti o la legge nel suo insieme, che determinarono<br />

il passaggio “dalla schiavitù al servizio-culto” di Dio nella libertà.<br />

33 Cf Is 10,27; 14,25: immagine animale, ma è anche il giogo del prigioniero o deportato o schiavo, cf Is 5,3;<br />

altri leggono `ûl, lattante, “come colui che solleva un bambino sulla guancia”, continuando l’immagine precedente<br />

del bambino al v.3.<br />

34 LXX lao.j auvtou/ evpikrema,menoj evk th/j katoiki,aj auvtou/, “è dipendente” dalla sua casa o luogo in cui uno<br />

vive. È da notare che la stessa parola mĕšûbāh, apostasia, richiama tĕšûbāh, conversione (cf Ger 3,11.12.14).<br />

35 ´el-`al viene corretto talora in ´el-ba`al invocano il loro “Signore-Baal” (riprendendo il v.2), che non può<br />

salvare (Ger 2,28). La Vulgata legge `al come ‘ol e interpreta: iugum autem inponetur ei simul quod non auferetur,<br />

“un gioco gli sarà imposto ugualmente, che non sarà tolto”. Dio l’aveva tolto, ne riceveranno un altro<br />

che impedirà loro di alzarsi.<br />

36 L’espressione può significare: li divorerà “a causa delle loro macchinazioni” (mi|mmö`ácôºtêheºm da `ácôºt,<br />

“consigli”, in senso negativo) o indicare la strage “ tra i consiglieri”; correggendo mécôdôºtêheºm, altri autori<br />

50


falsi consigli che essi, in nome delle divinità false, hanno dato. Tutti saranno coinvolti<br />

nella strage, semplici cittadini e capi, la spada divorerà le città.<br />

B’ - Perdono (vv.8-9)<br />

Quando tutto sembra ormai perduto e la catastrofe inevitabile pare già avviata, il discorso<br />

riprende con due interrogativi che Dio pone in stile diretto a Israele, per rinunciare<br />

all'esecuzione della pena: è ripetuto il verbo “dare” e “porre”, caratterizzato dai verbi<br />

a cui si accompagna, quindi abbandonare o trattare (v.8). Il Signore non potrà trattare Israele<br />

alla stregua delle città maledette, Admà e Zeboím, che condivisero la sorte di Sodoma<br />

e Gomorra (Gen 19). Il padre non può distruggere il figlio che ama.<br />

Perciò dà sfogo a tutto il suo amore (v.8b). Nehpak indica il cambiamento, lo “sconvolgimento”<br />

37 ; il verbo è usato per descrivere la situazione di Sodoma e Gomorra. Ma<br />

anziché sconvolgere il mondo, è sconvolto il cuore di Dio, la sua mente e sede delle decisioni.<br />

Egli non verrà con ira (v.9) 38 ma con il perdono; non l’ardore dell’ira (ḥărôn<br />

’appî, v.9a), ma i “pentimenti”, cioè la compassione, ribollono, “si infiammano” (nikmĕrû)<br />

dentro di lui (TM niḥûmay e LXX, lett. “i miei pentimenti”) 39 .<br />

La lotta drammatica e interiore di Dio (cuore e viscere, ira e misericordia) serve a descriverne<br />

la sua vera identità opposta a quella dell’uomo: “Dio (sono) Io, non uomo (kî<br />

’ēl ’ānōkî wĕlō’-’îš)”, il “Santo” che si fa vicino. La santità è dominata da un amore che<br />

supera la persistente devianza degli uomini e supera anche le barriere del peccato. L’uso<br />

dell’attributo “Santo in mezzo a te” mostra che il termine Santo non indica tanto il Dio<br />

“lontano”, ma definisce il Dio che “si fa vicino” anche all’infedele, con amore e misericordia.<br />

Santo appartiene alla teologia della elezione, secondo la quale il Signore avvicina<br />

a sé e si fa vicino. Non è tanto il Trascendente, quanto Colui che si fa prossimo ed entra<br />

in dialogo con la miseria dell'umanità, per “liberare ed elevare”. Le proposizioni nominali<br />

designano una qualità permanente che determina l’azione ribadita in tre ripetute negazioni:<br />

non farò-eseguirò (l’ira), non tornerò (a distruggere), non verrò (con agitazioneira).<br />

Il v.9 si oppone al v.5: lō’ yāšûb, “certo, tornerà” in Egitto, lō’ ’āšûb, “non tornerò”<br />

a distruggere, e prepara il v.11.<br />

A‘ – Ritorno (vv.10-11)<br />

La decisione di Dio di non distruggere più, prepara e anticipa il “ritorno-conversione”<br />

(šûb) del popolo accompagnato dal ritorno (hášîböTîm-farò ritornare) o dall’abitazione<br />

(hôšabTîm, farò abitare) nelle proprie case. È ritorno spirituale a Dio e alla terra.<br />

Dio mette in atto il nuovo esodo: Israele ritorna dall'occidente e dall’oriente, Egitto e<br />

Assiria, per abitare di nuovo nella sua terra. La conversione (v.10), caratterizzata da<br />

«andare dietro” al Signore (’aḥărê yhwh yēlkû), inverte il percorso di “allontanamento”<br />

(v.2); è superata l’apostasia congenita (v.7), il popolo è guarito, come si dirà in Os 14,5,<br />

grazie all’amore di Dio.<br />

intendono “le loro fortezze”, in parallelo con “città” (be‘îr).<br />

37 “Sconvolgere” è il senso comune del verbo häPak, usato per Sodoma e Gomorra, il cui territorio, dopo<br />

l’intervento divino, cambia completamente aspetto (Gen 19,21.25.29; Am 4,11; Dt 29,22). Corrisponde al<br />

greco katastrepho (cf Am 4,11), “sussultare, rovesciare”.<br />

38 TM dice, a prima vista, “nella città”: non ci fa irruzione; alcuni leggono le consonanti b`r come bruciare o<br />

distruggere: non viene bruciando; ma si può intendere, secondo `îr-`ûr II, “con agitazione” (di terrore o ira).<br />

39 Niḥûmay è plurale astratto, da niḥam, pentirsi, far lutto o essere consolato. Alcuni leggono “viscere”<br />

(reḥem- raḥāmîm), secondo Gen 43,30: Giuseppe nei confronti dei fratelli; 1Re 3,26: la madre sente<br />

ribollire le viscere di fronte alla minaccia di ucciderle il figlio.<br />

51


Il nuovo esodo rimanda a un nuovo inizio, che riporta Israele ad abitare nuovamente<br />

nella terra. È il superamento del primo esodo con quello definitivo (cf Is 40-55; Ger<br />

31,15-17; 32,15; Ez 36). Il brano si colloca nella novità illustrata alla fine del libro (Os<br />

14,1-9) e in 2,18ss che, nell'immagine dello sposalizio, allude a una nuova creazione (cf<br />

Ger 31,22). L'immagine degli uccelli suggerisce la velocità del ritorno: la colomba, simbolo<br />

di Israele, non è più la colomba ingenua e insensata che va da Assur (7,11), ora ritrova<br />

la strada di casa. Ciò è possibile solo per il cuore sconvolto di Dio che intende risparmiare<br />

Israele.<br />

La promessa si snoda tra due verbi ripetuti, “ruggire e tremare”: è come il ritorno trepidante<br />

del popolo-sposa che cercherà il Signore e la sua Bontà (3,5, cf per i popoli, Mi<br />

7,17). «Il popolo avverte l'attrattiva irresistibile del Signore e il tremore per la propria<br />

condotta» (Alonso). La chiamata di Dio, potente e terribile come in Amos (1,2; 3,8, cf<br />

Os 5,14), contiene la forte condanna del male; il tremore nasce dalla coscienza del peccato<br />

davanti al Dio Santo che si è fatto vicino (cf Es 19,16). E tuttavia attrae: il grido di<br />

Dio mette in fuga il peccato, attrae i peccatori. Allora si realizza l’incontro. È il miracolo<br />

dell’amore di Dio che anticipa il perdono e determina la conversione di Israele. Non è<br />

la conversione di Israele ad attirare il perdono di Dio, ma l’amore misericordioso di Dio<br />

a mettere in moto il suo ritorno a Dio.<br />

L’espressione conclusiva, “oracolo del Signore”, parallela a 2,18.23, accentua<br />

l’autorità dell'annuncio e nello stesso tempo serve a indicare una conclusione.<br />

Conclusione<br />

All'accusa del costante rifiuto da parte di Israele e alla sconsolata constatazione di<br />

non poterne cambiare l’atteggiamento, segue la confessione dello stesso Signore di non<br />

potere annientare il popolo che ama. Il nuovo inizio è reso possibile dal cuore “sconvolto”<br />

di Dio. Questo amore, che precede l’uomo offrendo il perdono, mette in moto il ritorno-conversione<br />

interiore e il nuovo esodo con il ritorno alla terra.<br />

Questo è l’annuncio profetico di Osea: l’amore del Dio Santo che si fa vicino per<br />

guarire apostasia e non conoscenza radicati in Israele fin dagli inizi. Mentre Israele,<br />

dall’infanzia o giovinezza, propende per l'apostasia e dipende da essa, in Dio l’amore<br />

prevale sulla condanna. Allora il giudizio stesso diventa passaggio necessario che prepara<br />

la guarigione e la “risurrezione”: il Signore Santo libera e innalza.<br />

La finale è parallela a Os 14,4-9, che celebra il trionfo dell’amore di Dio: non Assur<br />

salverà, ma il Signore guarirà e apparirà (rāpā’ –’ăšûrénnû) ed Efraim lo riconoscerà;<br />

così come ogni saggio dovrebbe imparare a fare (14,10, conclusione sapienziale rivolta<br />

al lettore di ogni tempo). Il frutto di Efraim segnerà la vittoria definitiva dell'amore-<br />

ḥesed di Dio che resta fedele al suo nome: Jhwh, “colui che è”, il “Santo in mezzo al suo<br />

popolo” (11,4.9). La finale richiama anche il ritorno della sposa, in 3,1-5, misto a ricerca<br />

e a timore per la coscienza del peccato che ha segnato il popolo.<br />

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