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il peccato originale una invenzione dei teologi? - Fatti non foste

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BENEDETTO CANONICO<br />

IL PECCATO ORIGINALE<br />

UNA INVENZIONE DEI TEOLOGI?<br />

1<br />

2


I N D I C E<br />

DEI PRINCIPALI ARGOMENTI TRATTATI<br />

(E’ un indice diverso da quello, assai più ampio, del libro)<br />

I - IL PECCATO ORIGINALE<br />

1 – Senza <strong>peccato</strong> <strong>originale</strong> <strong>non</strong> c’è redenzione<br />

2 - “Invenzione” del <strong>peccato</strong> <strong>originale</strong><br />

3 - La Genesi <strong>non</strong> dice quello che la <strong>teologi</strong>a dogmatica le vuole far dire<br />

4 - Il <strong>peccato</strong> <strong>originale</strong> nasce dal mancato riconoscimento del significato della libertà<br />

umana.<br />

5 - Il Dio del <strong>peccato</strong> <strong>originale</strong> è in stridente contrasto con <strong>il</strong> Dio di Gesù<br />

6 - Nei Vangeli, come pure nelle lettere di esponenti della Chiesa delle origini (fatta<br />

eccezione per S. Paolo) <strong>non</strong> c’è traccia di un <strong>peccato</strong> delle origini<br />

7 - La colpa di Adamo ed Eva <strong>non</strong> è la causa prima del male<br />

8 - Effetti e conseguenze della “caduta”<br />

9 - Origine del male morale<br />

10 - Il dogma cattolico evidenzia uno stato di morte spirituale, di <strong>peccato</strong> che <strong>non</strong> ha<br />

alcun riscontro scritturale e storico-culturale<br />

11 - Interpretazioni <strong>teologi</strong>che discordanti<br />

12 - I battezzati <strong>non</strong> sono migliori degli altri<br />

II - CONSEGUENZE DEL PECCATO ORIGINALE<br />

13 - Rifiuto della sessualità<br />

14 - Discriminazione nei confronti della donna<br />

15 - Lo spirito missionario<br />

III – NEI DINTORNI DEL PECCATO ORIGINALE<br />

A - IL BATTESIMO E LA FEDE<br />

16 – Il battesimo secondo Gesù<br />

17 – Il battesimo nel tempo<br />

18 – Battesimo … crudele<br />

19 – Il caso Mortara<br />

20 – Caratteri della fede<br />

B – LA SALVEZZA ETERNA<br />

21 – La salvezza nei Vangeli<br />

2


22 – La salvezza in S. Paolo<br />

23 - Mancata universalità della redenzione<br />

24 - L’infinita misericordia di Dio e l’Inferno<br />

C – STORIA E MITO<br />

25 – Storicità del <strong>peccato</strong> <strong>originale</strong>?<br />

26 - La realtà storica e la finzione <strong>teologi</strong>ca<br />

27 – La realtà storica e la finzione <strong>teologi</strong>ca<br />

D – ARGOMENTI VARI<br />

28 – Pensiero razionale e pensiero religioso<br />

29 - Il puro caso dell’evoluzionismo, l’assoluto della ragione<br />

30 - Certezze <strong>teologi</strong>che e senso del mistero<br />

31 – Il diavolo e <strong>il</strong> monoteismo<br />

32 - Teologia della Genesi e <strong>teologi</strong>a contemporanea<br />

33 – La fede <strong>dei</strong> primi tempi<br />

34 - L’ecumenismo religioso e la pace tra i popoli<br />

IV - IL MALE NEL MONDO IN PROSPETTIVA EVOLUZIONISTICA<br />

35 – Le cause del male<br />

36 – Condizionamenti biologici e responsab<strong>il</strong>ità morale<br />

37 - Una risposta convincente al problema del male?<br />

3


I . IL PECCATO ORIGINALE<br />

1 – Senza <strong>peccato</strong> <strong>originale</strong> <strong>non</strong> c’è redenzione.<br />

Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma perentoriamente che la dottrina del<br />

<strong>peccato</strong> <strong>originale</strong> è per così dire <strong>il</strong> della Buona Novella che Gesù è <strong>il</strong><br />

Salvatore di tutti gli uomini, e che pertanto <strong>non</strong> si può intaccare la rivelazione del <strong>peccato</strong><br />

<strong>originale</strong> senza attentare al Mistero di Cristo.<br />

In altre parole, se <strong>non</strong> c’è <strong>il</strong> <strong>peccato</strong> <strong>originale</strong>, <strong>non</strong> c’è neppure l’opera redentrice<br />

di Gesù Cristo. Il <strong>peccato</strong> <strong>originale</strong> costituisce la chiave di volta della concezione<br />

cristiana, fornisce alla poderosa architettura concettuale del Cristianesimo la compiutezza<br />

logica che senza di esso <strong>non</strong> avrebbe. Con <strong>il</strong> <strong>peccato</strong> <strong>originale</strong> <strong>il</strong> “cerchio” logico si<br />

chiude.<br />

S. Agostino si rende perfettamente conto dell’importanza essenziale del <strong>peccato</strong><br />

<strong>originale</strong> nell’economia complessiva del pensiero cristiano, quando si oppone alle tesi di<br />

Pelagio, <strong>il</strong> quale sostiene che l’uomo, sia prima del <strong>peccato</strong> di Adamo, sia dopo, è<br />

naturalmente capace di operare virtuosamente senza <strong>il</strong> bisogno del soccorso straordinario<br />

della Grazia. Questa dottrina conduce a ritenere inut<strong>il</strong>e l’opera redentrice del Cristo. Se <strong>il</strong><br />

<strong>peccato</strong> di Adamo <strong>non</strong> ha messo l’uomo nell’incapacità di salvarsi con le sole sue forze,<br />

l’uomo <strong>non</strong> ha evidentemente bisogno dell’aiuto spirituale portatogli dalla incarnazione<br />

del Verbo, nè quindi ha bisogno di essere reso partecipe di questo aiuto dall’opera<br />

mediatrice della Chiesa e <strong>dei</strong> sacramenti che essa amministra. Di fronte a <strong>una</strong> dottrina che<br />

si prospetta così rovinosa per la dogmatica cristiana e <strong>il</strong> compito della Chiesa, Agostino<br />

reagisce energicamente affermando che con Adamo e in Adamo ha <strong>peccato</strong> tutta<br />

l’umanità e che quindi <strong>il</strong> genere umano è <strong>una</strong> sola massa dannata. (N. Abbagnano)<br />

La morte del Cristo assume un significato di redenzione solo se viene a sanare <strong>una</strong><br />

situazione di grave rottura dell’intimo e vitale rapporto di Dio con l’umanità, situazione<br />

che viene individuata nello stato di colpa conseguente al <strong>peccato</strong> di Adamo. Da queste<br />

motivazioni <strong>teologi</strong>che nasce <strong>il</strong> <strong>peccato</strong> <strong>originale</strong>, del tutto assente come concetto in tutto<br />

<strong>il</strong> Vecchio Testamento e nei Vangeli: dove si parla di peccati (<strong>dei</strong> discepoli, del popolo,<br />

del mondo, ecc… ), ma mai di un <strong>peccato</strong> delle origini responsab<strong>il</strong>e della “corruzione”<br />

dell’umanità.<br />

2 – “Invenzione” del <strong>peccato</strong> <strong>originale</strong><br />

E’ S. Paolo per primo ad intuire <strong>una</strong> relazione tra la morte entrata nel mondo per<br />

causa di Adamo e la sconfitta della morte ad opera di Cristo. ..<br />

L’elaborazione dottrinale che ne segue ad opera <strong>dei</strong> Padri della Chiesa, viene ripresa<br />

con grande slancio da S. Agostino, che le dà un contributo essenziale, e si conclude solo<br />

con <strong>il</strong> Conc<strong>il</strong>io di Trento, nel sedicesimo secolo.<br />

4


E’stato piuttosto laborioso per i <strong>teologi</strong> adattare <strong>il</strong> racconto biblico della “caduta” alla<br />

dottrina del <strong>peccato</strong> <strong>originale</strong>, cioè far corrispondere i contenuti del racconto con i singoli<br />

punti della dottrina. Per raggiungere tale scopo, nell’interpretazione del testo biblico si è<br />

reso necessario forzare <strong>il</strong> dettato testuale in più punti, snaturandone <strong>il</strong> significato e<br />

contravvenendo all’esigenza di un chiaro rapporto simmetrico tra <strong>il</strong> piano letterale e<br />

quello simbolico. (2.2)<br />

(Ritengo che la forzatura del testo biblico sia stata operata in sostanziale buona fede,<br />

perché <strong>il</strong> pensiero religioso, a differenzia di quello razionale, <strong>non</strong> ubbidisce rigidamente<br />

al principio logico di <strong>non</strong> contraddizione. Di fronte alla contraddizione palese, esso<br />

preferisce “rifugiarsi” nel mistero, piuttosto che opporle un rifiuto. Le ragioni della fede<br />

finiscono sempre col prevalere, senza troppi pentimenti, sulle rigide leggi della logica.)<br />

La strategia dottrinale che sta alla base del dogma, così come è stato formulato dal<br />

Conc<strong>il</strong>io di Trento, si basa sulla sopravvalutazione arbitraria sia della positività della<br />

situazione spirituale precedente l’atto di disubbidienza, che della negatività della<br />

situazione successiva. L’obiettivo evidente è quello di dimostrare che l’umanità è<br />

in <strong>una</strong> situazione di morte spirituale che necessita di un Redentore.(2.26)<br />

La forzatura denunciata è legittimato, tra l’altro, dal Decreto della Commissione<br />

Biblica del 30.6. 1909 sul carattere storico <strong>dei</strong> primi tre capi della Genesi, <strong>il</strong> quale<br />

dichiara che <strong>non</strong> si devono prendere sempre e necessariamente in senso proprio tutte le<br />

singole parole o frasi che occorrono nei primi capitoli della Genesi e che è quindi lecito<br />

staccarsi da tal senso quando … <strong>una</strong> ragione proibisca di tenere <strong>il</strong> senso proprio o <strong>una</strong><br />

necessità costringa ad abbandonarlo.<br />

E’ fac<strong>il</strong>e intuire che la ragione e la necessità invocate alludano alla esigenza<br />

imprescindib<strong>il</strong>e di adattare <strong>il</strong> testo biblico alla dottrina del <strong>peccato</strong> <strong>originale</strong>.<br />

3 - La Genesi <strong>non</strong> dice quello che la <strong>teologi</strong>a le vuole far dire<br />

Vengono riportati di seguito, in corsivo, i punti dottrinali del dogma cattolico; ad<br />

essi fanno seguito, in caratteri normali, i corrispettivi risultati della mia esegesi.<br />

L’uomo, costituito nella giustizia e nella santità e arricchito di doni soprannaturali e<br />

preternaturali, è posto nel giardino di Eden.<br />

Dal testo risulta quanto segue: Adamo coltiva e custodisce <strong>il</strong> giardino di Eden, <strong>non</strong><br />

conosce la fatica del lavoro e la difficoltà di procurare cibo a sufficienza per la famiglia e<br />

<strong>non</strong> esercita alcun dominio sulla sua compagna. Costei <strong>non</strong> prova l’istinto sessuale verso<br />

<strong>il</strong> marito e <strong>non</strong> conosce di conseguenza le sofferenze della gestazione e del parto. (Questi<br />

dati si inferiscono, per sottrazione, dalle punizioni inflitte da Dio a seguito del <strong>peccato</strong> di<br />

disubbidienza)<br />

I due <strong>non</strong> provano vergogna a causa della nudità, perché <strong>non</strong> possiedono ancora <strong>il</strong><br />

senso morale e vivono in uno stato di innocenza animale. Non si può dire che vivano in<br />

uno stato di giustizia e santità perché sono in grado di peccare, né più né meno, come noi.<br />

Il divieto di mangiare <strong>il</strong> frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male vuole<br />

essere <strong>una</strong> prova di fedeltà al Creatore.<br />

5


Poiché <strong>il</strong> testo <strong>non</strong> dice che Dio ha voluto sottomettere Adamo ed Eva ad <strong>una</strong> prova,<br />

per saggiarne la fedeltà, propendo a credere che Dio col suo divieto abbia inteso porre un<br />

limite invalicab<strong>il</strong>e tra la sfera umana e la sfera divina. Nelle mitologie dell’antichità ogni<br />

invasione di campo da parte dell’uomo è punita severamente dalla divinità, gelosa delle<br />

sue prerogative. Questo vale anche per Adamo ed Eva, che <strong>non</strong> vengono puniti per<br />

l’infedeltà, ma perché si sono impossessati della conoscenza morale di esclusiva<br />

pertinenza divina.<br />

Satana sotto forma di serpente tenta Eva, che cede alle sue lusinghe ingannevoli.<br />

Il testo biblico parla del serpente che tenta Eva, qualificandolo come la più astuta<br />

delle bestie selvatiche. All’atto di infliggergli la punizione, Dio ribadisce la sua<br />

appartenenza al mondo animale. Anche <strong>il</strong> tipo di punizione ne è <strong>una</strong> ulteriore conferma.<br />

Per molteplici ragioni storico-culturali, <strong>il</strong> serpente può alludere a qualche spirito<br />

cattivo, ma <strong>non</strong> può essere identificato con Satana, per <strong>il</strong> semplice motivo che Satana fa la<br />

sua comparsa nel mondo ebraico solo alcuni secoli dopo la composizione della Genesi.<br />

Il <strong>peccato</strong> <strong>dei</strong> progenitori materialmente è <strong>il</strong> frutto mangiato, ma formalmente è<br />

superbia e ribellione a Dio, pertanto deve essere punito.<br />

Eva disobbedisce a Dio <strong>non</strong> “ergendosi contro di lui” e neppure per superbia. La sua<br />

disubbidienza è motivata dal desiderio di soddisfare la propria sete di conoscenza,<br />

piuttosto che dalla volontà di contrapporsi a Dio, di rifiutare <strong>il</strong> suo divieto. La<br />

motivazione dell’atto è centrata sull’oggetto del divieto e <strong>non</strong> sulla relazione con Dio.<br />

Dio, secondo la minaccia, promulga le pene del <strong>peccato</strong> commesso: mortalità e pene<br />

accessorie.<br />

In realtà Dio <strong>non</strong> dà la morte ai due colpevoli, come preannunciato, nel giorno stesso<br />

della disubbidienza, ma aggiunge alla mortalità <strong>una</strong> ampia serie di pene differenziate in<br />

rapporto al sesso.<br />

Il <strong>peccato</strong> <strong>originale</strong> ha queste conseguenze in Adamo ed Eva: privazione <strong>dei</strong> doni<br />

soprannaturali (grazia e virtù infuse) e preternaturali (integrità), con conseguente<br />

vulnerab<strong>il</strong>ità della natura umana (concupiscenza) e mortalità; stato di <strong>peccato</strong>; debito di<br />

pena eterna.<br />

Se analizziamo accuratamente quanto accade ad Adamo ed Eva in seguito alla<br />

infrazione del divieto, possiamo distinguere gli effetti della manducazione del frutto della<br />

conoscenza dalle conseguenze della disubbidienza. Gli effetti sulla natura umana sono<br />

immediati e positivi: lungi dal peggiorarla, essì la migliorano sul piano morale. Infatti Dio<br />

riconosce: .<br />

Al contrario degli effetti, le conseguenze <strong>non</strong> sono immediate, e consistono nelle<br />

pene inflitte da Dio ai due progenitori. Alla donna vengono inflitte le sofferenze del parto,<br />

l’istinto verso <strong>il</strong> marito e la sudditanza nei suoi confronti, all’uomo la fatica e gli assai<br />

scarsi frutti del lavoro, ad entrambi la cacciata da Giardino e la mortalità.<br />

6


Noto che l’es<strong>il</strong>io forzato dal Giardino dà attuazione alle pene inflitte da Dio. In<br />

particolare, comporta per Adamo ed Eva: a) la necessità di procurarsi <strong>il</strong> sostentamento<br />

dalla terra con la dura fatica, b) l’impossib<strong>il</strong>ità di nutrirsi come nel passato dell’albero<br />

della vita, <strong>una</strong> specie di ambrosia, (<strong>il</strong> cibo degli <strong>dei</strong> della mitologia greca) che conferisce<br />

a chi se ne nutre <strong>il</strong> priv<strong>il</strong>egio di <strong>non</strong> invecchiare e morire. Dio vuole evitare che i due<br />

mangino i frutti dell’albero della vita, così come hanno fatto con l’albero della<br />

conoscenza, affinchè la loro vita terrena abbia fine. In effetti, <strong>non</strong> potendosi più cibare<br />

dell’albero della vita, la loro esistenza, <strong>una</strong> volta completato <strong>il</strong> ciclo naturale, è destinata a<br />

cessare.<br />

Come appare chiaramente, Adamo ed Eva sono soggetti alla morte per <strong>una</strong><br />

contingenza estrinseca, <strong>non</strong> per <strong>una</strong> perdita di integrità della natura umana come pretende<br />

la <strong>teologi</strong>a dogmatica.<br />

A causa del <strong>peccato</strong> di Adamo ed Eva, l’armonia con la creazione è spezzata: la<br />

creazione visib<strong>il</strong>e diventa aliena e ost<strong>il</strong>e all’uomo.<br />

Il testo biblico <strong>non</strong> presenta alcun indizio di decadimento della natura rispetto ad <strong>una</strong><br />

ipotetica iniziale perfezione. La morte, la deformità, la malattia sono presenti nel mondo<br />

della natura fin dalle epoche arcaiche, m<strong>il</strong>ioni di anni prima della comparsa dell’uomo<br />

sulla terra.<br />

Il brano relativo alla punizione del serpente contiene la profezia della Redenzione.<br />

Secondo la <strong>teologi</strong>a tradizionale gli ultimi versetti del brano relativo alla punizione<br />

del serpente, contengono l’annunzio profetico della vittoria di Cristo su Satana.<br />

Dall’analisi del brano in questione, <strong>non</strong> risulta affatto che essi alludano ad un evento,<br />

descrivono invece, semplicemente, <strong>una</strong> situazione conflittuale, permanente e continuativa,<br />

tra l’uomo e <strong>il</strong> serpente.<br />

La colpa <strong>dei</strong> progenitori viene trasmessa per propagazione carnale a tutto <strong>il</strong> genere<br />

umano. Vengono trasfusi in esso <strong>non</strong> solo la morte e le penalità del corpo, ma anche <strong>il</strong><br />

<strong>peccato</strong> che è morte dell’anima.<br />

Nel testo della Genesi <strong>non</strong> ci sono elementi dai quali si possano inferire le tragiche<br />

conseguenze spirituali per l’umanità messe a punto dai <strong>teologi</strong>. Le sole conseguenze che<br />

abbiano <strong>una</strong> base testuale sono la mortalità e le pene aggiuntive inflitte ad Adamo ed Eva.<br />

L’umanità incapace di redimere se stessa dal <strong>peccato</strong> <strong>originale</strong>, inteso come colpa<br />

assoluta e irreparab<strong>il</strong>e, necessita di un Redentore umano-divino.<br />

Dio, <strong>una</strong> volta inflitta la pena della mortalità e le pene aggiuntive ai due progenitori,<br />

appare pacificato e appagato. Non fa valere alc<strong>una</strong> pretesa di ulteriori riparazioni.<br />

4 - Il <strong>peccato</strong> <strong>originale</strong> nasce dal mancato riconoscimento del significato della<br />

libertà umana.<br />

La dottrina del <strong>peccato</strong> <strong>originale</strong> deriva da <strong>una</strong> concezione errata del rapporto tra Dio<br />

e l’uomo. “Parte dal presupposto che Dio governi <strong>il</strong> mondo con la sua onnipotenza e che<br />

l’uomo debba sottomettersi alla sua volontà. In questa prospettiva, <strong>il</strong> male è percepito<br />

7


essenzialmente come trasgressione dell’ordine. Non si considera abbastanza che la<br />

libertà dell’uomo è l’elemento essenziale del suo essere al mondo e <strong>non</strong><br />

semplicemente un elemento di rottura dell’ordine divino.” (V. Mancuso)<br />

5 - Il Dio del <strong>peccato</strong> <strong>originale</strong> è in stridente contrasto con <strong>il</strong> Dio di Gesù<br />

C’è <strong>una</strong> stridente contraddizione tra l’idea di un Dio giustiziere che condanna<br />

l’umanità intera alla morte spirituale per la colpa di un solo uomo, e l’immagine che Gesù<br />

ci ha dato di Dio, come di un padre misericordioso, soccorrevole e pronto al perdono.<br />

6 – Nei Vangeli, come pure nelle lettere di esponenti della Chiesa delle origini<br />

(fatta eccezione per S. Paolo) <strong>non</strong> c’è traccia di un <strong>peccato</strong> delle origini<br />

Al dogma cattolico si può muovere un’obiezione fondamentale: che esso tradisce in<br />

molti punti l’insegnamento di Gesù. Egli <strong>non</strong> parla mai di <strong>peccato</strong> <strong>originale</strong>, ma solo di<br />

peccati degli uomini. Non parla della sua missione spirituale intermini di redenzione,<br />

ma di annuncio del Regno di Dio. “L’insegnamento di Gesù in merito alla salvezza è<br />

che noi dobbiamo amare Dio e <strong>il</strong> nostro prossimo come noi stessi. Le condizioni per la<br />

salvezza sono stab<strong>il</strong>ite chiaramente nel suo insegnamento sull’ultimo giudizio, in Matteo<br />

25: ciò che rende santa <strong>una</strong> persona buona è <strong>una</strong> condotta onesta e <strong>non</strong> cose meramente<br />

esterne. L’insegnamento di Gesù può essere praticato da ognuno ed è indicato nel<br />

Discorso della montagna.<br />

Noto en passant che Gesù, quando condanna <strong>il</strong> divorzio, mostra di conoscere<br />

entrambi i racconti della creazione, quello di tradizione jahvista (storia della caduta) e<br />

quello di tradizione sacerdotale (creazione della prima coppia), ma <strong>non</strong> accenna per niente<br />

al <strong>peccato</strong> di Adamo ed Eva. Se fosse stato convinto che esso fosse la causa della<br />

corruzione dell’umanità, sicuramente ne avrebbe parlato. Ma così <strong>non</strong> è stato.<br />

7. La colpa di Adamo ed Eva <strong>non</strong> è la causa prima del male<br />

Per la <strong>teologi</strong>a dogmatica <strong>il</strong> <strong>peccato</strong> di Adamo ed Eva è la causa diretta del male. In<br />

altre parole, se i nostri progenitori <strong>non</strong> avessero <strong>peccato</strong>, l’umanità <strong>non</strong> conoscerebbe <strong>il</strong><br />

<strong>peccato</strong> e la morte, e la natura <strong>non</strong> sarebbe decaduta dall’originaria perfezione. Facendo<br />

di ogni erba un fascio, la morte, le malattie, la sofferenza, … <strong>il</strong> delitto di Caino, la torre di<br />

Babele, <strong>il</strong> d<strong>il</strong>uvio universale … le guerre, i conflitti sociali, le ingiustizie, … i vizi, le<br />

perversioni, le depravazioni, ecc... ecc... sono la diretta conseguenza della prima colpa.<br />

A questa dottrina si può obiettare che la fallib<strong>il</strong>ità umana, preesisteva alla caduta,<br />

visto che Adamo ed Eva hanno <strong>peccato</strong> <strong>non</strong> diversamente da noi, poveri <strong>peccato</strong>ri.<br />

Come si spiegano altrimenti la “ribellione a Dio”, la superbia, ecc... affermate dai <strong>teologi</strong><br />

a carico di Adamo ed Eva? E dunque: peccab<strong>il</strong>ità prima della “caduta”, e peccab<strong>il</strong>ità dopo<br />

la “caduta”.<br />

Su questa linea interpretativa si colloca <strong>il</strong> pensiero dell’Ebraismo fin dall’Antico<br />

Testamento.. “La tradizione rabbinica interpreta <strong>il</strong> <strong>peccato</strong> di Adamo ed Eva <strong>non</strong> come<br />

causa della tendenza umana verso <strong>il</strong> male, ma solo come <strong>il</strong> primo <strong>peccato</strong>. Questo ha<br />

avuto per l’umanità conseguenze che possono essere dette storiche, ma <strong>non</strong> ha influito<br />

sulla natura dell’uomo”. (Enciclopedia UTET) La causa del primo <strong>peccato</strong> come di tutti<br />

quelli che seguiranno, è la fallib<strong>il</strong>ità originaria di Adamo, cioè dell’uomo, la sua capacità<br />

8


di peccare fin dalla sua prima venuta alla vita: fallib<strong>il</strong>ità che è figlia, cioè diretta<br />

conseguenza del libero arbitrio. Una conferma in tal senso ci viene dal Siracide:<br />

Iddio creò l’uomo fin da principio<br />

e lo ha lasciato in balia del suo arbitrio. (Siracide 15,14)<br />

8 – Effetti e conseguenze della “caduta”<br />

Secondo la <strong>teologi</strong>a dogmatica, dal <strong>peccato</strong> <strong>originale</strong> si sono originati tutti i mali<br />

dell’umanità. Tale affermazione deriva più da esigenze dottrinali che da <strong>una</strong> accurata<br />

analisi del dato testuale. Non si basa su alc<strong>una</strong> distinzione concettuale, ma solo su<br />

semplici indizi.<br />

Una attenta analisi degli avvenimenti successivi all’infrazione del divieto divino ci<br />

consente di distinguere tra effetti dell’acquisita conoscenza del bene e del male e<br />

conseguenze dell’infrazione. I primi sono immediati, benefici, caratterizzati da un<br />

rapporto diretto e in qualche modo “transitivo” con la causa che li ha prodotti e<br />

consistono nell’acquisizione della coscienza morale; le seconde, tutte di segno negativo,<br />

consistono nelle pene che Dio infligge ai due colpevoli (alla donna le sofferenze del<br />

parto, l’istinto verso <strong>il</strong> marito e la sudditanza nei suoi confronti; all’uomo la fatica e<br />

gli scarsi frutti del lavoro; ad entrambi l’es<strong>il</strong>io dal Giardino e la conseguente mortalità).<br />

Non avendo effettuato <strong>una</strong> seria analisi del dato testuale, e basandosi di conseguenza<br />

solo su vaghi indizi, la <strong>teologi</strong>a fraintende <strong>il</strong> significato autentico del senso di nudità, e<br />

della paura avvertiti da Adamo ed Eva quando sentono <strong>il</strong> rumore <strong>dei</strong> passi di Dio nel<br />

Giardino. Il senso di nudità, avvertito per la prima volta, e la paura sono ritenuti dai<br />

<strong>teologi</strong> la manifestazione di un turbamento spirituale, di un offuscamento dello spirito, di<br />

<strong>una</strong> morte spirituale, che contrastano con l’armonia spirituale precedente l’infrazione<br />

del divieto. A tale tesi interpretativa possiamo obiettare quanto segue.<br />

a) Già prima del <strong>peccato</strong>, l’armonia esistenziale e relazionale di Adamo ed Eva <strong>non</strong><br />

era garantita al cento per cento: essi vivevano in uno stato di apprensione, e dunque di<br />

disarmonia psichica, poiché temevano di poter cedere alla tentazione del frutto proibito.<br />

b) Il senso di nudità va inteso, <strong>non</strong> come <strong>una</strong> conseguenza negativa dell’infrazione<br />

del divieto divino, ma come l’effetto, immediato e positivo, della acquisita conoscenza<br />

del bene e del male, come un indizio del nascente pudore. E <strong>il</strong> senso di paura <strong>non</strong> è un<br />

segno di disarmonia spirituale, ma è la naturale conseguenza della minaccia di morte<br />

contro i trasgressori del divieto divino (si manifesta solo quando sentono i passi di Dio nel<br />

Giardino).<br />

9. Origine del male morale<br />

Le conseguenze del primo , cioè le pene che Dio infligge alla donna (le<br />

sofferenze del parto, l’istinto verso <strong>il</strong> marito e la sudditanza nei suoi confronti); all’uomo<br />

(la fatica e gli scarsi frutti del lavoro), ad entrambi (la mortalità) <strong>non</strong> hanno niente da<br />

spartire con <strong>il</strong> male morale e con <strong>il</strong> male spirituale. Consistono in mali di carattere<br />

fisico e psico – relazionale che <strong>non</strong> toccano direttamente i rapporti morali con i propri<br />

sim<strong>il</strong>i e neppure la sfera spirituale, cioè i rapporti con <strong>il</strong> Creatore. Essi sono identificab<strong>il</strong>i<br />

con precisione dal primo all’ultimo, e solo la fantasia <strong>teologi</strong>ca ha potuto moltiplicarli ad<br />

libitum fino al punto di identificarli con i mali di varia natura che affliggono l’umanità.<br />

9


Il loro carattere eziologico - spiegano con <strong>il</strong> linguaggio del mito i principali malanni<br />

che affliggono distintamente l’esistenza dell’uomo e della donna - <strong>non</strong> consente di<br />

estendere l’elenco delle pene a piacimento, anche perché nessun elemento testuale lascia<br />

intendere che esso possa avere un carattere esemplificativo. Tanto meno può essere esteso<br />

a mali quali la violenza, l’egoismo, le malattie, le guerre, ecc… che nulla hanno da<br />

spartire con la tipologia delle pene inflitte all’uomo e alla donna. Da dove viene allora <strong>il</strong><br />

male morale?<br />

L’autore della Genesi deve essersi reso conto di tale limite se, per spiegare <strong>il</strong> d<strong>il</strong>agare<br />

della corruzione tra gli uomini, introduce in forma piuttosto sbrigativa <strong>il</strong> racconto<br />

dell’unione tra i figli di Dio e le figlie degli uomini (Genesi 6,1-4), rifacendosi ad un<br />

antichissimo racconto mitologico che compare in forma scritta per la prima volta nel V-<br />

VI secolo. Tale racconto, nella sua veste <strong>originale</strong>, attribuisce la corruzione della natura<br />

umana a vicende superumane, che <strong>non</strong> coinvolgono la responsab<strong>il</strong>ità dell’uomo.<br />

(P. Sacchi)<br />

In tal modo l’autore sacro coglie la radice (plausib<strong>il</strong>e per la cultura del tempo) del male<br />

morale e della conseguente dell’umanità.<br />

Ecco perchè <strong>il</strong> racconto, piuttosto sbrigativo del mito, è immediatamente seguito in<br />

Gen. 6.3 da un ulteriore intervento punitivo della divinità: la durata della vita umana<br />

viene ridotta da 800-900 anni a 120 (Gen 6,3).<br />

(Ma qualcosa in questa punizione divina sfugge alla coerenza logica. Non si capisce<br />

perché Dio se la prenda con l’uomo, visto che sono sati i figli di Dio, gli angeli ribelli, a<br />

violare l’ordine cosmico! Possiamo immaginare che Dio punisca, <strong>non</strong> solo gli angeli<br />

ribelli che hanno minato la libertà di scelta morale, ma anche gli uomini che di fatto<br />

compiono <strong>il</strong> male.)<br />

Il mito rende pienamente comprensib<strong>il</strong>e la causa della d<strong>il</strong>agante corruzione<br />

dell’umanità, punita con <strong>il</strong> d<strong>il</strong>uvio. Neppure <strong>il</strong> mito in questione, tuttavia, ci fornisce<br />

elementi per valutare, come fanno i <strong>teologi</strong>, la situazione dell’umanità in termini di<br />

, ecc… Il rapporto tra gli<br />

uomini appare viziato sul piano morale (dalla sopraffazione, dall’egoismo, dal<br />

pregiudizio, ecc… ecc…), ma <strong>il</strong> dialogo spirituale con Dio <strong>non</strong> si interrompe e continua<br />

con i suoi alti e bassi.<br />

10 - Il dogma cattolico evidenzia uno stato di morte spirituale in seguito alla<br />

caduta che <strong>non</strong> ha alcun riscontro scritturale e storico-culturale<br />

Come abbiamo visto nei paragrafi precedenti, la morte spirituale dell’umanità (a<br />

causa del primo <strong>peccato</strong>) <strong>non</strong> ha alcun riscontro nel racconto della caduta. Non lo ha<br />

nemmeno nella documentazione biblica e storico-culturale. Tutto l’Antico Testamento è<br />

attraversato da rigogliose manifestazioni di vita spirituale: <strong>una</strong> prova evidente che<br />

l’umanità è più che mai spiritualmente viva.<br />

Dio, <strong>una</strong> volta inflitta la pena della mortalità e le pene aggiuntive di carattere fisico e<br />

psichico - relazionale ai progenitori e ai loro discendenti, appare appagato, e <strong>il</strong> suo<br />

10


apporto con l’uomo <strong>non</strong> risulta incrinato da rancore o spirito di vendetta. Ciò appare in<br />

tutta evidenza al termine del d<strong>il</strong>uvio quando, gratificato dal sacrificio solenne offertogli<br />

da Noè, Dio si intenerisce sulla sorte dell’uomo (ritira la maledizione del suolo, causa di<br />

<strong>una</strong> vita di stenti) e ne ridimensiona la colpa (riconosce che l’uomo è per natura<br />

inclinato al male fin dalla fanciullezza).<br />

Con Noè l’umanità conosce un nuovo inizio, e Dio lo sottolinea con gesti di<br />

particolare solennità: benedice Noè e i suoi figli, così come aveva benedetto la prima<br />

coppia all’atto della creazione, stab<strong>il</strong>isce un Patto imperituro con loro e con i loro<br />

discendenti, ritira la maledizione del suolo, consente all’uomo di cibarsi di animali,<br />

assicura che <strong>non</strong> ci sarà un secondo d<strong>il</strong>uvio.<br />

Qualche tempo dopo, rivolgendosi ad Abramo, Dio ribadisce la sua<br />

riconc<strong>il</strong>iazione con l’umanità: <br />

Nell’atto di benedire l’uomo, Dio ristab<strong>il</strong>isce un rapporto di amicizia con lui: un<br />

rapporto che, essendo per sua natura duplice, bidirezionale, restituisce all’uomo la<br />

vita spirituale (se mai gli è stata tolta).<br />

Moltissimi passi dell’Antico Testamento confermano la riconc<strong>il</strong>iazione di Dio con<br />

l’uomo. Mostrano infatti, <strong>non</strong> un Dio adirato e nemico dell’uomo, ma un Dio<br />

benedicente e pieno d’amore, che incoraggia alla giustizia, alla perfezione, alla santità.<br />

(2.22)<br />

Anche l’uomo mantiene un rapporto intenso e vivo nei confronti di Dio, perché né <strong>il</strong><br />

<strong>peccato</strong> <strong>dei</strong> progenitori né l’unione tra gli angeli e le donne hanno compromesso <strong>il</strong><br />

rapporto con <strong>il</strong> Creatore. Il canto sublime <strong>dei</strong> Salmi, la perfezione poetica del Cantico <strong>dei</strong><br />

cantici, <strong>il</strong> libro di Isaia, ecc … <strong>non</strong> sono espressione di <strong>una</strong> umanità spiritualmente morta,<br />

bensì di <strong>una</strong> religiosità viva e profondamente sentita.<br />

In conclusone, <strong>non</strong> c’è un rapporto di inimicizia e rottura tra Dio e l’uomo, ma un<br />

normale rapporto, con i suoi alti e bassi. Il popolo di Israele continua ad avere in tutto<br />

l’Antico Testamento un rapporto molto intenso con Dio e a partire dal IV secolo a ritenere<br />

che sia sufficiente l’osservanza della Torah per ottenere l’eterna beatitudine.<br />

Una ulteriore prova della esistenza di un rapporto positivo tra l’uomo e Dio è data<br />

dalla profonda religiosità del popolo ebraico. Lo storico Giuseppe Flavio, vissuto<br />

all’epoca di Gesù, <strong>il</strong>lustra la vita religiosa del suo popolo in questi termini. “Il nostro<br />

legislatore ... <strong>non</strong> solo persuase i suoi contemporanei ma impresse anche nei loro<br />

discendenti per le future generazioni, <strong>una</strong> irremovib<strong>il</strong>e fede in Dio. ... Non fece della<br />

religiosità <strong>una</strong> parte della virtù, ma delle altre virtù <strong>una</strong> parte della religiosità, mi riferisco<br />

alla giustizia, alla temperanza, alla fermezza, alla concordia <strong>dei</strong> cittadini in ogni cosa.<br />

Tutte le nostre azioni, le nostre preoccupazioni, i nostri discorsi mirano al culto di<br />

Dio. ... “<br />

11 – Interpretazioni <strong>teologi</strong>che discordanti<br />

a) Scarsa coerenza interna del testo biblico<br />

11


Il racconto della caduta viene di fatto letto nei modi più disparati, sopratutto perché<br />

testo biblico presenta <strong>una</strong> assai scarsa coerenza interna.<br />

L’autore della Genesi ut<strong>il</strong>izza fonti risalenti a due tradizioni diverse, la jahvista da<br />

Jahvèh più antica ed ingenua e la sacerdotale, assai più recente ed evoluta. Per ragioni<br />

che ignoro, i singoli racconti <strong>non</strong> vengono fusi insieme, ma giustapposti senza troppi<br />

riguardi per la linearità e la coerenza del racconto.<br />

Così abbiamo due racconti contrastanti sulla creazione dell’uomo e della donna. In<br />

Genesi 1,27 viene creata la prima coppia:<br />

“Dio creò l’uomo a sua immagine;<br />

a immagine di Dio lo creò;<br />

maschio e femmina li creò.” (Gen 1,27)<br />

In Genesi 2,18-23 viene creato Adamo, e solo in un secondo tempo viene creata la<br />

donna ut<strong>il</strong>izzando <strong>una</strong> costola dell’uomo.<br />

Analogamente, abbiamo due racconti contradditori sul destino terreno dell’uomo. In<br />

Genesi 1, 28 <strong>il</strong> destino dell’uomo è quello esaltante di moltiplicarsi fino a e di esercitare <strong>il</strong> dominio su tutti gli esseri viventi. In Genesi ,al contrario,<br />

Creazione dell’uomo e della donna separatamente (Tradizione jahvista):<br />

7 Allora <strong>il</strong> Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici<br />

un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente. (Gen 2,7) […] 18 Poi <strong>il</strong> Signore Dio<br />

disse: .<br />

19 Allora <strong>il</strong> Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli<br />

del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo<br />

l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere <strong>il</strong> suo nome. 20<br />

Così l’uomo impose nomi a tutto <strong>il</strong> bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie<br />

selvatiche, ma l’uomo <strong>non</strong> trovò un aiuto che gli fosse sim<strong>il</strong>e. 21 Allora <strong>il</strong> Signore Dio<br />

12


fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse <strong>una</strong> delle costole e<br />

richiuse la carne al suo posto. 22 Allora <strong>il</strong> Signore Dio plasmò con la costola, che aveva<br />

tolta all’uomo, <strong>una</strong> donna e la condusse all’uomo. 23 Allora l’uomo disse:<br />

. (Gen 2,18-23)<br />

Creazione della prima coppia (Tradizione sacerdotale, più recente):<br />

27 “Dio creò l’uomo a sua immagine;<br />

a immagine di Dio lo creò;<br />

maschio e femmina li creò.” (Gen 1,27)<br />

Nell’antico racconto jahvista, Dio plasma Adamo, lo modella alla stregua del vasaio<br />

che modella la creta; Eva viene plasmata a sua volta a partire da <strong>una</strong> costola di Adamo.<br />

Nel più recente ed evoluto racconto di tradizione sacerdotale Dio crea la prima coppia,<br />

nelle componenti masch<strong>il</strong>e e femmin<strong>il</strong>e simultaneamente.<br />

Come si intuisce a prima vista, i due racconti sottendono livelli di cultura<br />

nettamente differenti. Infatti nel primo racconto Dio plasma, cioè modella, come fa <strong>il</strong><br />

vasaio con la creta, Adamo, gli animali e da ultimo Eva: <strong>una</strong> concezione ancora lontana<br />

dalla creazione ex nih<strong>il</strong>o.<br />

13


La donna <strong>non</strong> è concepita come <strong>una</strong> compagna, ma come un aiuto dell’uomo, alla<br />

stessa stregua degli animali; e poiché è stata tratta da <strong>una</strong> costola dell’uomo, dipende da<br />

lui ed è inevitab<strong>il</strong>e che ne subisca <strong>il</strong> dominio. A guardar bene, <strong>il</strong> racconto biblico <strong>non</strong> fa<br />

altro che sancire in forma solenne la concezione patriarcale e masch<strong>il</strong>ista del tempo.<br />

Nel secondo racconto, l’uomo e la donna vengono creati con un semplice , e<br />

- quel che più conta – simultaneamente, come le due metà complementari dell’intero<br />

. Ci troviamo di fronte ad <strong>una</strong> concezione tanto più “moderna” della<br />

precedente, perché pone su un piede di sostanziale parità l’uomo e la donna. L’affinità<br />

tra i due, che era garantita nel primo racconto dall’avere in comune la stessa costola, è<br />

data in questo dall’essere l’uomo e la donna due esseri complementari, le parti costitutive<br />

della identica unità.<br />

Un’ulteriore osservazione: nel secondo racconto viene ut<strong>il</strong>izzata la formula , la stessa impiegata poco più avanti, al capitolo 5<br />

“Adamo … generò a sua immagine, a sua somiglianza un figlio …”. Poiché niente accade<br />

senza <strong>una</strong> ragione, ritengo che, attraverso l’impiego della stessa formula, l’autore abbia<br />

inteso evidenziare un rapporto di analogia tra la creazione dell’uomo e la generazione del<br />

figlio, alludendo in modo indiretto alla paternità divina nei confronti dell’uomo.<br />

In conclusione, abbiamo a che fare con due racconti <strong>non</strong> solo contrastanti sul piano <strong>dei</strong><br />

contenuti, ma anche profondamente differenti sul piano ideologico, cioè della<br />

elaborazione concettuale e valoriale.<br />

Come è noto, esiste un secondo racconto biblico della creazione dell’uomo, che si<br />

discosta sostanzialmente dal più noto racconto della creazione di Adamo ed Eva e della<br />

loro .<br />

Per comodità ne riporto <strong>il</strong> testo.<br />

26 “E Dio disse: .<br />

14


27 Dio creò l’uomo a sua immagine;<br />

a immagine di Dio lo creò;<br />

maschio e femmina li creò.<br />

28 Dio li benedisse e disse loro:<br />

. “(Genesi 1, 26-28)<br />

A dispetto dell’ordine in cui appare nel testo biblico, la composizione di questo testo<br />

(Gen 1, 26-28) è di alcuni secoli successiva a quella del racconto della creazione di<br />

Adamo ed Eva e del loro <strong>peccato</strong> (Genesi 2 e 3).<br />

Alla luce di questi versetti, <strong>il</strong> destino dell’uomo <strong>non</strong> è quello di vivere in un luogo<br />

protetto e limitato, quale è <strong>il</strong> giardino di Eden e di esserne quindi scacciato per vivere al<br />

di fuori di esso <strong>una</strong> vita grama e diffic<strong>il</strong>e, ma quello esaltante di moltiplicarsi fino a<br />

> e di esercitare <strong>il</strong> dominio su tutti gli esseri viventi.<br />

I due racconti sono gravemente discordanti: per l’uno la conquista della terra da parte<br />

dell’uomo ha <strong>il</strong> significato positivo di <strong>una</strong> missione affidatagli direttamente da Dio, per<br />

l’altro ha <strong>il</strong> significato negativo dell’es<strong>il</strong>io e della punizione.<br />

Il racconto di Genesi 1, 27.28 smentisce <strong>il</strong><br />

precedente racconto di Genesi 2 e 3 relativo al giardino di Eden e alla colpa di Adamo ed<br />

15


Eva. E’ questa presumib<strong>il</strong>mente la ragione per la quale l’autore che riunisce i due racconti<br />

in un unico testo, li dispone in ordine inverso a quello della loro composizione. Con<br />

questo ab<strong>il</strong>e artificio crea la fallace impressione di <strong>una</strong> continuità tra i due racconti, ed<br />

evita <strong>il</strong> male maggiore, cioè che <strong>il</strong> secondo racconto smentisca palesemente <strong>il</strong> primo, ma<br />

<strong>non</strong> può evitare le gravi discordanze esistenti tra i due testi.<br />

2.19 PUNIZIONI AGGIUNTIVE RISPETTO ALLA PENA DI MORTE<br />

Il divieto divino è stato espresso in questi termini: (Gen<br />

2,17) All’atto della disubbidienza, la terrib<strong>il</strong>e minaccia, stranamente <strong>non</strong> viene attuata:<br />

Adamo continua a vivere fino a tarda età. In compenso, Dio infligge ai due <strong>una</strong> serie di<br />

pene <strong>non</strong> previste e poi li caccia dal Giardino.<br />

Che pensare della incongruenza r<strong>il</strong>evata? Si deve supporre che l’autore sacro abbia<br />

ancora <strong>una</strong> volta fusi insieme materiali di diversa provenienza senza curarsi troppo<br />

della linearità e della coerenza dell’insieme testuale.<br />

Chiediamoci ancora: quali motivazioni possono averlo indotto ad assemblare testi<br />

diversi, moltiplicando in tal modo le pene inflitte all’umanità? Sicuramente, avrà avuto<br />

delle buone ragioni per operare in tal modo. Io immagino che si sia trovato tra le mani<br />

due tradizioni ugualmente preziose e irrinunciab<strong>il</strong>i, venerande per la loro antichità o<br />

per la loro diffusione nel mondo ebraico. Non volendo rinunciare a ness<strong>una</strong> di esse,<br />

l’autore sacro ha dovuto sacrificare la coerenza del testo, operando tuttavia con tale ab<strong>il</strong>ità<br />

che i più neanche si sono accorti della incongruenza denunciata.<br />

Credo tuttavia che la motivazione principale sia un’altra, di carattere ideologico, e che<br />

vada riferita ai contenuti del racconto, in concreto alla necessità di spiegare miticamente,<br />

<strong>non</strong> solo la morte, ma anche gli altri mali che affliggono l’umanità. Un racconto mitico<br />

sulle cause del male, per sua natura, tende a coprire l’intero spettro <strong>dei</strong> malanni che<br />

affliggono l’esistenza umana, <strong>non</strong> può limitarsi alla morte, ignorando le sofferenze del<br />

parto, la fatica del lavoro, la penuria di cibo, i rapporti di forza nella società, la violenza,<br />

ecc…. Così, dato che la prima fonte spiegava l’origine soltanto della morte, ha ut<strong>il</strong>izzato<br />

anche la seconda che spiegava l’origine degli altri mali che affliggono l’umanità.<br />

16


Una ulteriore motivazione può avere a che fare con la convinzione dell’autore della<br />

Genesi, che la conoscenza del bene e del male sia di competenza divina e che pertanto<br />

Dio sia geloso del suo esclusivo possesso.<br />

Tale conoscenza, nel quadro di un monoteismo etico, qual è la religione ebraica, è la<br />

forma più alta di conoscenza, la conoscenza essenziale. E’ pertanto comprensib<strong>il</strong>e che<br />

Dio <strong>non</strong> tolleri che l’uomo se ne appropri. In effetti le punizioni inflitte ad Adamo ed Eva<br />

sarebbero sproporzionate ed eccessive se si riferissero solo ad un atto di disubbidienza.<br />

Non lo sono invece se intendono colpire un’invasione di campo che di fatto sottrae a Dio<br />

l’esclusiva conoscenza del bene e del male, la conoscenza etica. (7) La prova della<br />

validità di questa tesi è data dalla sdegnata ammissione di Dio: , immediatamente seguita dalla<br />

decisione di cacciare Adamo ed Eva dal Giardino.<br />

Dio agisce dunque per gelosia, mal sopportando che l’uomo si sia appropriato di<br />

conoscenze che intendeva possedere in modo esclusivo. Il Catechismo della Chiesa<br />

Cattolica a p. 113 ammette la gelosia di Dio, ma solo come “falsa immagine” presente<br />

nelle menti di Adamo ed Eva: ”Hanno paura di quel Dio di cui si sono fatti <strong>una</strong> falsa<br />

immagine, quella cioè di un Dio geloso delle proprie prerogative”. Vedremo che le cose<br />

stanno ben diversamente.<br />

La gelosia può nascere da situazioni che oggettivamente provocano <strong>il</strong> dubbio, <strong>il</strong><br />

timore di perdere l’affetto della persona amata. Più spesso nasce da un atteggiamento<br />

possessivo. E’ questo <strong>il</strong> caso del Dio ebraico, geloso del suo popolo, dal quale esige <strong>una</strong><br />

devozione assoluta ed esclusiva. Guai se <strong>il</strong> suo popolo abbraccia <strong>il</strong> culto di altre divinità,<br />

di idoli, ecc... Scatta implacab<strong>il</strong>e e furibonda la sua vendetta! Se stiamo ai fatti, dobbiamo<br />

riconoscere che <strong>il</strong> Dio dell’Antico Testamento è un Dio (oltre che misericordioso)<br />

vendicativo e geloso, geloso sia del suo popolo che delle sue prerogative. Vediamone<br />

qualche prova.<br />

(Esodo, 34,14)<br />

(Deut. 2,24)<br />

Lo provocarono con le loro alture<br />

17


e con i loro idoli lo resero geloso. (Salmi, 58, 78)<br />

Così dice <strong>il</strong> Signore degli eserciti:


A) Morte prevista per lo stesso giorno del <strong>peccato</strong><br />

16 “Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: .”<br />

(Gen 2,16-17)<br />

B) Morte effettiva in vecchiaia<br />

19 (Gen 3, 19)<br />

22 “Il Signore Dio disse allora: 23 Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché<br />

lavorasse <strong>il</strong> suolo da dove era stato tratto. 24 Scacciò l’uomo e pose ad oriente del<br />

giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada folgorante, per custodire la via<br />

all’albero della vita. “ (Gen 3,22-24)<br />

5 “L’intera vita di Adamo fu di 930 anni; poi morì.” (Gen 5,5)<br />

Ritengo più che probab<strong>il</strong>e che l’autore della Genesi, nella seconda parte del racconto,<br />

abbia attinto ad <strong>una</strong> fonte diversa e che abbia assemblato i materiali alla bell’e meglio.<br />

Solo in tal modo si spiega l’incongruenza tra la previsione della morte immediata e <strong>il</strong><br />

differimento della stessa fino a tarda età.<br />

19


Perché l’ha fatto? La mia risposta è talmente semplice da apparire banale. L’ha fatto<br />

allo scopo di introdurre le pene aggiuntive. Infatti, se Adamo ed Eva fossero morti, come<br />

previsto, <strong>il</strong> giorno stesso dell’infrazione, tutto sarebbe finito lì, e l’autore sacro <strong>non</strong><br />

avrebbe potuto integrare la pena della morte con tutto <strong>il</strong> corredo <strong>dei</strong> mali che affliggono<br />

l’umanità.<br />

Va anche detto che la morte immediata <strong>dei</strong> due progenitori avrebbe concluso<br />

definitivamente la vicenda umana. Al contrario la pena della mortalità consente la<br />

continuazione della storia ed esprime nel linguaggio mitico <strong>il</strong> carattere essenziale della<br />

condizione umana, la caducità.<br />

^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^<br />

Ci possiamo chiedere a questo punto, a conclusione del discorso iniziato al<br />

paragrafo 2.16: quando ci troviamo di fronte ad un racconto privo di coerenza interna,<br />

o addirittura a racconti contrastanti e alternativi, dove sta la verità?<br />

Per parte mia, pur nella consapevolezza che la scarsa coerenza interna del<br />

racconto rende problematica <strong>una</strong> interpretazione unitaria ed esaustiva <strong>dei</strong> fatti narrati,<br />

mi sforzo di dare <strong>una</strong> interpretazione del testo (per quanto possib<strong>il</strong>e) <strong>non</strong> solo obiettiva<br />

e argomentata, ma anche unitaria.<br />

Non a caso <strong>il</strong> teologo valdese Daniele Garrone afferma: Sicuramente, la stessa natura e la<br />

complessità della materia <strong>non</strong> consentono linee interpretative univoche e<br />

universalmente condivise. Ma l’impresa diventa ancora più diffic<strong>il</strong>e e rischiosa se la<br />

narrazione, com’è nel nostro caso, <strong>non</strong> segue <strong>una</strong> linea univoca e coerente.<br />

L’impossib<strong>il</strong>ità di dare <strong>una</strong> risposta definitiva e sensata al quesito: può essere considerata <strong>una</strong> prova che i<br />

racconti della Genesi <strong>non</strong> sono verità rivelata, ma più semplicemente <strong>il</strong> frutto di <strong>una</strong><br />

intuizione dell’autore sacro, di <strong>una</strong> intuizione di carattere universale sulla condizione<br />

umana, espressa attraverso <strong>il</strong> linguaggio del mito.<br />

20


) Letture ideologicamente condizionate<br />

Le letture del testo biblico si sono moltiplicate nel tempo e sono divenute sempre più<br />

divergenti anche perché i lettori , poco interessati ad <strong>una</strong> lettura oggettiva e<br />

disinteressata, sono inevitab<strong>il</strong>mente tentati di tirare l’acqua al proprio mulino<br />

dottrinale.<br />

Per ragioni di economia espositiva, tre le molte letture della caduta diverse dalla cattolica,<br />

presento le più note.<br />

Il concetto di <strong>peccato</strong> <strong>originale</strong> come colpa assoluta e irreparab<strong>il</strong>e, è estraneo alla<br />

tradizione dell’Ebraismo: <strong>il</strong> <strong>peccato</strong> <strong>dei</strong> progenitori è solamente <strong>il</strong> primo <strong>dei</strong> peccati<br />

dell’uomo, espressione del libero arbitrio. Parimenti inconcepib<strong>il</strong>e è l’idea di <strong>una</strong> colpa<br />

che si trasmette per via ereditaria.<br />

Nella prospettiva islamica la “caduta” <strong>dei</strong> progenitori ha come uniche conseguenze<br />

la mortalità e l’inimicizia . Adamo ed Eva disobbediscono<br />

congiuntamente al divieto divino, per cui <strong>non</strong> viene attribuito a Eva un ruolo e <strong>una</strong><br />

responsab<strong>il</strong>ità particolari. E poiché è Iblis (Satana) a farli “inciampare”, Allah attribuisce<br />

a lui la principale responsab<strong>il</strong>ità della colpa. Inoltre, Allah accetta <strong>il</strong> pentimento di Adamo<br />

e gli concede <strong>il</strong> suo perdono.<br />

Anche per l’Ortodossia, <strong>il</strong> primo responsab<strong>il</strong>e del <strong>peccato</strong> <strong>non</strong> è Adamo, ma Satana<br />

che trae in inganno i due progenitori. L’uomo <strong>non</strong> è punito da Dio, ma reso prigioniero<br />

dal diavolo. A seguito della caduta, la natura umana <strong>non</strong> viene mortalmente e<br />

definitivamente ferita sul piano spirituale, come sostiene la dottrina cattolica, ma conserva<br />

la sua integrità. La Grazia, connaturata alla natura umana, permane anche dopo la caduta,<br />

come suo elemento intrinseco. E’ l’uomo che si allontana dalla sua originaria natura, a<br />

causa dell’imperversare del male in un mondo dominato dal demonio.<br />

Lutero è convinto che l’uomo, per sua natura perverso, pecchi senza scrupolo e<br />

dimentichi la colpa commessa che può perderlo per l’eternità. La salvezza per Lutero <strong>non</strong><br />

è <strong>una</strong> conquista dell’uomo, ma un dono di Dio, al quale l'uomo risponde con un atto di<br />

fede: un dono gratuito di Dio piuttosto che un premio per le buone opere compiute.<br />

Nessuno sforzo umano salva l’uomo, ma solo la grazia e la misericordia di Dio.<br />

Poiché <strong>non</strong> tutti gli uomini si salvano, se ne deduce che Dio <strong>non</strong> elargisce la grazia a<br />

tutti, ma solo ad alcuni. Si perviene così alla dottrina della predestinazione: un esito<br />

imprevedib<strong>il</strong>e e sconcertante della … troppo pessimistica esegesi agostiniana della<br />

caduta!<br />

Calvino [...] accentua [...] rispetto a Lutero la dipendenza dell’uomo da Dio in <strong>una</strong><br />

più articolata e radicale formulazione della teoria della predestinazione. Attraverso Cristo<br />

e lo Spirito Santo - afferma Calvino - Dio elargisce la grazia agli uomini secondo <strong>il</strong> suo<br />

insondab<strong>il</strong>e volere, destinando alcuni alla vita eterna e gli altri alla eterna dannazione. Gli<br />

eletti <strong>non</strong> cessano comunque di essere <strong>peccato</strong>ri, ma essi per la grazia ricevuta da Dio<br />

acquisiscono la coscienza del <strong>peccato</strong> e della necessità della penitenza, nella quale devono<br />

impegnarsi per tutta la vita. Le opere sono considerate come frutto e prova della<br />

predestinazione alla salvezza.<br />

12. I battezzati <strong>non</strong> sono migliori degli altri<br />

21


In un mondo globalizzato,com’è quello di oggi, la dottrina del <strong>peccato</strong> <strong>originale</strong><br />

fatica ad affermare come nel passato <strong>una</strong> presunta superiorità etico-spirituale <strong>dei</strong> cristiani<br />

rispetto a coloro che professano altre religioni (induisti, buddisti, musulmani, ecc…) o<br />

che <strong>non</strong> professano alc<strong>una</strong> religione. Tale pretesa è smentita dalla vita reale. Se si guarda<br />

alla realtà con occhi bene aperti, ... è onestamente diffic<strong>il</strong>e sostenere che i battezzati<br />

siano migliori di coloro che <strong>non</strong> lo sono. Ci sono persone <strong>non</strong> battezzate che <strong>non</strong> hanno<br />

nulla da invidiare sul piano spirituale ai battezzati.<br />

22


II. CONSEGUENZE DEL PECCATO ORIGINALE<br />

13 - Rifiuto della sessualità<br />

Uno <strong>dei</strong> capisaldi del pensiero di S. Paolo è <strong>il</strong> contrasto tra la vita secondo la carne e<br />

la vita secondo lo spirito: . L’unità corpo-spirito è così spezzata:<br />

lo spirito viene contrapposto al corpo, che subisce <strong>una</strong> profonda svalutazione, un giudizio<br />

sostanzialmente negativo, in quanto fonte di <strong>peccato</strong>.<br />

Il rifiuto del corpo e in particolare della sessualità viene rafforzato dalla<br />

convinzione che <strong>il</strong> <strong>peccato</strong> <strong>originale</strong> si trasmette per propagazione carnale. Per la<br />

Patristica <strong>il</strong> sesso comporta sempre <strong>peccato</strong>: e S. Agostino spiega che è <strong>il</strong> piacere<br />

dell’amplesso sessuale, la concupiscenza, a macchiare di <strong>peccato</strong> la creatura che viene<br />

generata.<br />

Il rifiuto della sessualità umana – che diventa in certe epoche, <strong>una</strong> vera e propria<br />

sessuofobia - nasce da pregiudizi <strong>teologi</strong>ci e moralistici, ma anche e soprattutto dalla<br />

ignoranza <strong>dei</strong> meccanismi naturali che presiedono all’allevamento della prole. Questa, a<br />

differenza di quella animale, abbisogna di cure intensive per moltissimi anni da parte<br />

di ambedue i genitori. E la vita sessuale di coppia è <strong>il</strong> collante necessario a tenerla<br />

unita, per adempiere in forma cooperativa e gratificante alle funzioni vitali<br />

dell’allevamento, della protezione, dell’educazione <strong>dei</strong> figli.<br />

La finalizzazione dell’attività sessuale esclusivamente alla procreazione, secondo la<br />

tradizionale dottrina della Chiesa, significa mettere la sessualità umana sullo stesso piano<br />

di quella animale, impoverendola, deprivandola della ricchezza affettiva e spirituale che<br />

la caratterizza. Gli animali si accoppiano solo in funzione della procreazione (quando la<br />

femmina va in estro), lo stesso devono fare gli uomini. Ma questo significa, come notato,<br />

<strong>una</strong> profonda e totale incomprensione delle componenti affettiva e spirituale della<br />

sessualità umana e delle esigenze connesse all’allevamento della prole.<br />

14 – Discriminazione nei confronti della donna<br />

S.Paolo è <strong>il</strong> primo a gettare la croce sulla donna: dal rifiuto del corpo <strong>non</strong> può <strong>non</strong><br />

venire <strong>il</strong> rifiuto della donna. “La donna impari in s<strong>il</strong>enzio, con tutta sottomissione. Non<br />

concedo a ness<strong>una</strong> donna di insegnare, né di dettare legge all’uomo; piuttosto se ne stia in<br />

atteggiamento tranqu<strong>il</strong>lo. Perché prima è stato formato Adamo e poi Eva; e <strong>non</strong> fu Adamo<br />

ad essere ingannato, ma fu la donna che, ingannata, si rese colpevole di trasgressione.<br />

Essa potrà essere salvata partorendo figli. ...”. (Prima lettera a Timoteo 2, 11-14)<br />

Sulla comoda strada tracciata da S. Paolo si mettono, alacri e senza troppi scrupoli, a)<br />

Padri della Chiesa, b) <strong>teologi</strong> medioevali, c) esponenti religiosi di epoche più recenti.<br />

Tra i padri della Chiesa, si distingue Tertulliano, <strong>il</strong> quale afferma: “Tu sei la porta<br />

del Demonio! Ogni donna dovrebbe camminare nel lutto e nella penitenza, di modo che<br />

con la veste della penitenza essa possa espiare pienamente ciò che deriva da Eva,<br />

l’ignominia, io dico, del primo <strong>peccato</strong> e l’odio (affisso in lei come la causa) dell’umana<br />

perdizione. [...] Non sai che anche tu sei Eva? La condanna di Dio verso <strong>il</strong> tuo sesso<br />

permane ancora oggi: la tua colpa rimane ancora. [...]Tu hai distrutto l’immagine di Dio,<br />

l’uomo!”<br />

23


Secondo S. Girolamo (347-419) le donne possono espiare la loro colpa attraverso la<br />

procreazione o astenendosi dal sesso, mantenendosi vergini.<br />

I <strong>teologi</strong> medioevali riprendono la condanna della donna, affermando tra l’altro che<br />

le donne <strong>non</strong> sono membri perfetti della Chiesa (solo gli uomini lo sono); che <strong>non</strong><br />

possono aspirare al sacerdozio perché essendo state messe da Dio in soggezione all’uomo<br />

<strong>non</strong> possono “ricevere <strong>il</strong> carattere di un sacramento che possiede <strong>una</strong> preminenza”.<br />

Nell’età moderna la situazione peggiora ulteriormente, sia nel mondo cattolico che<br />

in quello protestante. Si arriva addirittura a episodi di persecuzione nei confronti delle<br />

donne.<br />

John Knox (1514-1572), esponente di spicco della Riforma Protestante, scrive tra<br />

l’altro, interpretando a suo modo <strong>il</strong> pensiero di Dio:


Gandhi, riferendosi alla sua esperienza umana, vissuta sia in Sudafrica che in India,<br />

rimprovera ai missionari cristiani disconoscimento <strong>dei</strong> valori spirituali locali, senso di<br />

superiorità e mancanza di um<strong>il</strong>tà, atteggiamenti che pregiudicano un reale scambio di<br />

valori umani tra <strong>una</strong> cultura religiosa e l’altra. Per di più, quando i missionari si dedicano<br />

ad attività di assistenza sociale, <strong>non</strong> lo fanno senza secondi fini, ma per ottenere la<br />

conversione degli assistiti. Quel che è peggio, poi, questa conversione risulta spesso<br />

piuttosto superficiale e incapace di soddisfare i bisogni profondi della persona cresciuta in<br />

<strong>una</strong> cultura religiosa diversa. Gandhi rimprovera infine ai cristiani <strong>una</strong> eccessiva fiducia<br />

nella <strong>teologi</strong>a che, a differenza dalla religione, contrappone credo a credo, creando<br />

divisione e opposizione, là dove dovrebbe esserci invece la convivenza pacifica e<br />

fruttuosa di tradizioni religiose diverse.<br />

25


III – NEI DINTORNI DEL PECCATO ORIGINALE<br />

A - IL BATTESIMO E LA FEDE<br />

16 – Il battesimo secondo Gesù<br />

. (Mt 15,11.17-20)<br />

Per Gesù dunque niente di materiale può rendere impuro l’uomo, ma solo ciò che<br />

viene dal cuore. Ne consegue, per converso, che niente di materiale può renderlo<br />

puro. Se niente di materiale può renderlo impuro, allo stesso titolo niente di materiale<br />

può renderlo puro. Per questo preciso motivo, Gesù, stando alle parole di Giovanni<br />

Battista battezzava , >.<br />

Per Gesù <strong>il</strong> battesimo d’acqua <strong>non</strong> ha tanto senso: l’acqua può detergere <strong>il</strong> corpo, ma<br />

<strong>non</strong> può eliminare <strong>il</strong> <strong>peccato</strong>, rendere spiritualmente puro l’uomo. Quello che può<br />

renderlo puro è qualcosa che viene dal cuore, un pensiero, un sentimento di amore nei<br />

confronti di Dio, un atto di sincero pentimento, un impegno a convertirsi al bene. Dato <strong>il</strong><br />

suo alto valore simbolico, l’immersione nell’acqua può accompagnare l’atto di<br />

conversione spirituale, ma <strong>non</strong> può in alcun modo sostituirlo.<br />

17 – Il battesimo nel tempo<br />

Negli Atti degli Apostoli, nelle epistole paoline, ecc... <strong>il</strong> battesimo assume un valore<br />

salvifico, in quanto ci fa partecipare, mediante la fede, alla morte di Gesù e quindi alla sua<br />

risurrezione. Più che sugli elementi materiali e formali del rito, esso si basa su di un atto<br />

di conversione spirituale, di fede nel Cristo risorto, in questo conformandosi al pensiero di<br />

Gesù per <strong>il</strong> quale niente di materiale può purificare l’uomo.<br />

Nei primi secoli del Cristianesimo, coerentemente con l’idea che <strong>il</strong> battesimo è<br />

espressione di un atto di fede e di conversione spirituale, c’è l’usanza di effettuare un<br />

esame accurato della sussistenza delle condizioni per l’ingresso ufficiale nella comunità<br />

cristiana, che avviene col battesimo.<br />

Purtroppo, per <strong>il</strong> modo come veniva attuata ma anche per se stessa, questa usanza<br />

comportava delle gravi incongruenze con lo spirito evangelico. Il battesimo <strong>non</strong> veniva<br />

amministrato a tutti per la salvezza dal <strong>peccato</strong>, molte categorie professionali e morali ne<br />

erano escluse, contravvenendo al precetto evangelico che priv<strong>il</strong>egia i paria sociali, i<br />

malfattori, i <strong>peccato</strong>ri in genere.<br />

Trasformatosi <strong>il</strong> movimento cristiano in istituzione, nei lunghi secoli del Medioevo<br />

<strong>il</strong> battesimo subisce <strong>una</strong> lenta evoluzione sia nel suo significato <strong>teologi</strong>co che nelle forme<br />

rituali. Dal momento che l’Istituzione copre per intero la società, <strong>il</strong> battesimo <strong>non</strong><br />

costituisce più <strong>una</strong> scelta individuale di fede, diventa un rito di iniziazione alla vita<br />

26


cristiana, un rito che formalizza l’appartenenza del fedele alla Chiesa o, per dirla in altre<br />

parole, <strong>il</strong> dominio (<strong>non</strong> solo spirituale) della Chiesa sul singolo fedele.<br />

Per quanto riguarda gli aspetti materiali e formali del rito, si può r<strong>il</strong>evare un<br />

sostanziale “tradimento” del pensiero di Gesù, relativamente alla capacità di purificazione<br />

spirituale degli elementi materiali. La professione di fede <strong>non</strong> è espressa dal battezzando,<br />

bensì dai padrini, dai genitori, dalla Chiesa a nome del bambino battezzando. In pratica,<br />

un vero e proprio formalismo rituale si sostituisce all’atto concreto di adesione<br />

spirituale, all’atto di fede nel Cristo da parte del battezzando.<br />

18 – Battesimo … crudele<br />

Adriano Prosperi sul Corriere della sera ci richiama opport<strong>una</strong>mente alla memoria<br />

<strong>una</strong> pratica disumana, legata al <strong>peccato</strong> <strong>originale</strong>, che ha imperversato per secoli<br />

nell’Europa cristiana.<br />

Allo scopo di salvare l’anima degli embrioni e <strong>dei</strong> feti racchiusi nell’utero di madri<br />

malate o addirittura morenti, era dovere del medico aprire <strong>il</strong> ventre materno in modo che<br />

<strong>il</strong> parroco potesse battezzare in tutta fretta l’essere che vi si trovava racchiuso. Così si<br />

salvava la vita - quella eterna, naturalmente, - dato che <strong>il</strong> parto cesareo significava allora<br />

la morte certa per la madre e per <strong>il</strong> figlio. E’ vero che le partorienti, quando vedevano<br />

entrare nella stanza <strong>il</strong> prete e <strong>il</strong> chirurgo, gridavano tutta la loro disperazione per la<br />

sentenza di morte che era stata decisa. Ma toccava al sacerdote ricordare alle donne<br />

che, tra i doveri della sposa cristiana, c’era quello di garantire la vita eterna ai loro figli.<br />

Senza battesimo niente vita eterna. E le regole erano ferree. L’acqua del battesimo doveva<br />

toccare le membra del battezzando mentre vedevano la luce: dunque, anche la sola<br />

presenza della membrana amniotica avrebbe reso nullo <strong>il</strong> sacramento.<br />

27


19 – Il caso Mortara<br />

“La sera dl 23 giugno 1858 la polizia dello Stato pontificio, che a quei tempi<br />

comprendeva ancora Bologna, si presentò alla porta della famiglia ebrea di Marianna e<br />

Momolo Mortara per prendere uno <strong>dei</strong> loro otto figli, Edgardo (che all’epoca aveva sei<br />

anni) e trasportarlo a Roma dove sarebbe stato allevato dalla Chiesa. La polizia agiva su<br />

ordine degli uffici vaticani autorizzati da Papa Pio IX. I rappresentanti della Chiesa<br />

dissero che <strong>una</strong> cameriera cattolica della famiglia Mortara aveva battezzato <strong>il</strong> piccolo<br />

Edgardo durante <strong>una</strong> malattia, ritenendo che se fosse morto sarebbe finito nel Limbo,<br />

all’inferno. Secondo le leggi dello Stato Pontificio <strong>il</strong> battesimo di Edgardo lo rendeva<br />

cristiano e quindi <strong>una</strong> famiglia ebrea <strong>non</strong> poteva allevarlo anche se era loro figlio.[...]<br />

I genitori fecero moltissimi tentativi per recuperare <strong>il</strong> loro figliolo, intervennero<br />

perfino alcuni governi europei per far desistere Pio IX dalla sua decisone, ma tutto fu<br />

inut<strong>il</strong>e. Nel 1859 quando Bologna fu annessa al Regno di Sardegna, i Mortara fecero un<br />

ulteriore tentativo di recuperare <strong>il</strong> loro figlio, ma <strong>non</strong> ci riuscirono. Nel 1870, quando<br />

Roma fu annessa al Regno d’Italia, tentarono nuovamente, ma l’oramai diciottenne<br />

Edgardo dichiarò l’intenzione di restare cattolico. [...] L’anno seguente <strong>il</strong> padre morì.”<br />

Cosa ci insegna questo increscioso episodio? Che i comportamenti che si ispirano ai<br />

principi religiosi <strong>non</strong> sono mai elastici, tali cioè da tenere conto <strong>dei</strong> sentimenti umani.<br />

Non di rado, anche nel mondo cristiano, hanno manifestato tratti di inaudita crudeltà,<br />

giungendo fino al punto di sacrificare vite umane .<br />

20 – Caratteri della fede<br />

Le precedenti considerazioni sul caso Mortara ci fanno intendere come <strong>il</strong> rapimento<br />

del bambino ebreo e la sua reclusione in Vaticano siano espressione di dinamiche<br />

profonde.<br />

Si tratta di un caso limite, dell’esasperazione emblematica di <strong>una</strong> caratteristica<br />

essenziale della fede, di qualsiasi fede: la chiusura. A differenza dell’amore - per la vita,<br />

per ogni creatura vivente, per ogni uomo a prescindere dal colore della pelle, dalla<br />

religione, dal sesso, ecc... – per sua natura aperto all’altro e al diverso, la fede tende a<br />

chiudere, è un fattore di tendenziale chiusura ideologica, culturale, sociale.<br />

La fede <strong>non</strong> è un’esperienza religiosa individuale cioè vissuta in solitudine da singoli<br />

individui, ma un’esperienza vissuta all’interno di <strong>una</strong> comunità (Daniel C. Dennett,<br />

Rompere l’incantesimo, ed. R. Cortina). Di più, essa è <strong>il</strong> fattore principale della coesione<br />

sociale, crea l’identità socio-culturale della comunità, elemento di distinzioneopposizione<br />

nei confronti delle altre comunità, soprattutto quando sono o vengono a<br />

contatto diretto con essa.<br />

Tanto più forte e radicata è la coesione sociale, tanto più forte è l’identità, e viceversa<br />

tanto più forte è l’identità, tanto più forte è la coesione sociale. Purtroppo, però, <strong>una</strong> forte<br />

identità tende a chiudere la comunità verso l’esterno, a impedire un dialogo autentico con<br />

le altre comunità, a creare contrapposizioni <strong>non</strong> di rado virulente e aggressive. Al suo<br />

interno, <strong>una</strong> forte identità socio-culturale suscita forme di intolleranza nei confronti delle<br />

diversità, cioè delle minoranze diverse per lingua, etnia, religione, ecc…, che corrono <strong>il</strong><br />

pericolo di essere eliminate o assorbite dal sistema.<br />

28


C’è un ulteriore elemento che favorisce la chiusura della fede nei confronti della<br />

diversità. Si tratta della intrinseca debolezza della fede, la quale <strong>non</strong> si basa su <strong>una</strong><br />

conoscenza di tipo scientifico-matematico, o sulla evidenza percettiva di <strong>una</strong> realtà fisica<br />

concreta, ma sulla adesione ad un messaggio spirituale, sull’affidamento a un Essere<br />

Superiore, presente-assente nella esperienza spirituale del singolo. Il dubbio le è<br />

connaturato.<br />

Perfino i santi hanno momenti di smarrimento, di buio spirituale. Ad esempio Santa<br />

Teresa di Lisieux tre mesi prima di morire, scrive alla Superiora del convento, nel bel<br />

mezzo di elevate riflessioni spirituali: <br />

Un discorso analogo vale per Madre Teresa di Calcutta e per tanti altri eroici<br />

testimoni della fede, che hanno sperimentato momenti di aridità interiore, di dubbio, di<br />

smarrimento. Per questa sua intrinseca debolezza, la fede fa leva, addirittura si regge sul<br />

consenso della comunità <strong>dei</strong> credenti, mentre teme ed evita per quanto possib<strong>il</strong>e <strong>il</strong><br />

confronto con altre fedi, e ancor più con <strong>il</strong> pensiero laico.<br />

Data la sua importanza cruciale, <strong>il</strong> consenso viene promosso dall’Istituzione religiosa<br />

facendo ricorso a molteplici forme:<br />

a) di incentivazione, quali la pubblicità <strong>dei</strong> miracoli, delle profezie, delle apparizioni<br />

di santi e della Madonna, ecc...;<br />

b) di deterrenza e intimidazione, quali la scomunica, la censura (Indice <strong>dei</strong> libri<br />

proibiti), <strong>il</strong> controllo dell’istruzione pubblica (<strong>non</strong> a caso nel 1860 la Chiesa si è opposta<br />

alla istituzione della scuola elementare in Italia), la reclusione, la tortura e persino la<br />

morte per coloro che osano dissentire pubblicamente.<br />

Alla debolezza della fede sul piano percettivo-conoscitivo, fa riscontro <strong>il</strong> suo<br />

profondo radicamento nella dimensione emotivo-affettiva.<br />

La fede è la preziosa medicina che ci aiuta a sopportare le avversità della vita,<br />

soprattutto gli strappi inevitab<strong>il</strong>i e crudeli, vere e proprie lacerazioni dell’animo,<br />

provocate dalla morte <strong>dei</strong> nostri cari, come pure dalla imminenza della nostra morte. La<br />

fede religiosa può essere considerata, da questo punto di vista, <strong>una</strong> risposta<br />

provvidenziale che ci viene elargita dalla natura: <strong>una</strong> risposta che promana dalle<br />

profondità della psiche.<br />

A scanso di equivoci, preciso che la fede <strong>non</strong> è soltanto <strong>una</strong> provvidenziale medicina<br />

nelle avversità della vita, ma risponde al bisogno di trascendenza connaturato allo spirito<br />

umano, come pure all’esigenza di dare un senso spirituale all’esistenza. Sul piano<br />

spirituale, è <strong>una</strong> esperienza di elevazione che ci consente di porci in armoniosa e intima<br />

consonanza con <strong>il</strong> creato e con Dio, <strong>il</strong> Principio metafisico che costituisce <strong>il</strong> fondamento<br />

della realtà.<br />

29


B – LA SALVEZZA ETERNA<br />

21 – La salvezza nei Vangeli<br />

Nella fase di elaborazione dottrinale che va dal vangelo di Marco a quello di<br />

Giovanni, r<strong>il</strong>eviamo <strong>una</strong> consistente varietà e contrapposizione di idee, <strong>non</strong> solo su<br />

questioni marginali, ma anche sul tema della salvezza. Ad esempio, Marco e Luca<br />

affermano che solo i meritevoli risorgeranno alla fine del mondo; al contrario Matteo e<br />

Giovanni sostengono che risorgeranno tutti gli uomini, sia i buoni, meritevoli del premio,<br />

che i cattivi, meritevoli della punizione divina.<br />

Anche sulle condizioni per la salvezza eterna sono r<strong>il</strong>evab<strong>il</strong>i posizioni dottrinali<br />

differenti.<br />

Quattro diverse condizioni per la salvezza<br />

A - Ci sono <strong>dei</strong> passi nei Vangeli che fanno dipendere la salvezza dal<br />

comportamento meritorio<br />

In tali passi la salvezza eterna dipende dall’atteggiamento spirituale nei confronti di<br />

Dio (rispetto delle sue leggi e soprattutto abbandono fiducioso alla sua misericordia) e dal<br />

comportamento nei confronti del prossimo (rapporti fondati sull’amore reciproco, su un<br />

amore che <strong>non</strong> giudica ed è incline al perdono.)<br />

Es.: . .<br />

B - In altri passi, soprattutto del Quarto Vangelo, la salvezza è condizionata<br />

dalla fede in Gesù, nel Gesù ancora vivo e operante in Palestina.<br />

Es.: .<br />

C – Vi sono passi in cui la salvezza è condizionata dalla morte redentrice di<br />

Gesù.<br />

Es.: 1- MT 26,28 “Bevetene tutti, perché questo è <strong>il</strong> mio sangue versato per molti in<br />

remissione <strong>dei</strong> peccati”.<br />

Es.: 2 - GV 3,17 “E come Mosè innalzò <strong>il</strong> serpente nel deserto, così bisogna che sia<br />

innalzato <strong>il</strong> Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio<br />

infatti ha tanto amato <strong>il</strong> mondo da dare <strong>il</strong> suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in<br />

lui <strong>non</strong> muoia, ma abbia la vita eterna. ... Dio ha mandato <strong>il</strong> Figlio nel mondo ... perché <strong>il</strong><br />

mondo si salvi per mezzo di lui”<br />

D - Un passo del Quarto Vangelo condiziona la salvezza alla partecipazione al<br />

rito eucaristico.<br />

GV 6,53-58 “Se <strong>non</strong> mangiate la carne del Figlio dell’uomo e <strong>non</strong> bevete <strong>il</strong> suo<br />

sangue <strong>non</strong> avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve <strong>il</strong> mio sangue ha la vita<br />

eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. ... Questo è <strong>il</strong> pane disceso dal cielo... Chi<br />

mangia questo pane vivrà in eterno.”<br />

Incompatib<strong>il</strong>ità reciproca tra le diverse condizioni per la salvezza<br />

30


Poiché ciasc<strong>una</strong> condizione è espressa in modo perentorio e incondizionato, ci si può<br />

chiedere se le quattro diverse condizioni possano coesistere senza escludersi a vicenda.<br />

Ponendole in relazione tra di loro si può constatare che sono reciprocamente<br />

incompatib<strong>il</strong>i e si annullano a vicenda. Se ad esempio è necessaria la condizione (B), la<br />

condizione (A) perde valore: le opere meritorie <strong>non</strong> sono più sufficienti a dare la salvezza,<br />

<strong>non</strong> danno la salvezza. All’inverso, se le opere meritorie danno la salvezza, <strong>non</strong> c’è alcun<br />

bisogno della condizione (B). Lo stesso discorso vale per le altre condizioni.<br />

Una prova che gli evangelisti hanno assemblato materiali eterogenei e risalenti ad<br />

epoche diverse senza riuscire a realizzare <strong>una</strong> coerente sintesi unitaria?<br />

Si può supporre con qualche fondamento che la posizione (A) si riferisca ai primi<br />

tempi della predicazione di Gesù, quando egli era tutto preso dall’annuncio della<br />

prossimità del Regno di Dio: (Mc<br />

1,15). Era ottimista e quanto mai lontano dal pensare che fosse necessario riscattare <strong>il</strong><br />

<strong>peccato</strong> degli uomini col sacrificio della sua vita.<br />

La posizione (C1) può essere riferita alla parte terminale della vita di Gesù, nella<br />

quale prende corpo l’idea di immolare la propria vita per <strong>il</strong> bene dell’umanità, mentre le<br />

posizioni (B), (C2) e (D) possono essere riferite alla elaborazione dottrinale delle prime<br />

comunità cristiane.<br />

22 – La salvezza in S. Paolo<br />

S. Paolo afferma: a) che la nostra resurrezione è <strong>il</strong> frutto della riconc<strong>il</strong>iazione di Dio<br />

con l’umanità a seguito della morte di Gesù sulla croce; b) che per poter accedere alla<br />

nuova vita sono necessari la fede in Gesù e <strong>il</strong> battesimo.<br />

Che dire di tali argomenti?<br />

a) S. Paolo dà per scontato che i rapporti tra Dio e l’umanità, fino al sacrificio di<br />

Gesù sulla croce, siano gravemente incrinati a causa del <strong>peccato</strong> di Adamo, che<br />

sull’umanità gravi la condanna di Dio.<br />

Io sono convinto, al contrario, che Dio, <strong>una</strong> volta inflitta la pena della mortalità e le<br />

pene aggiuntive di carattere psico-fisico-relazionale ai progenitori e ai loro discendenti,<br />

appaia appagato, e <strong>il</strong> suo rapporto con l’uomo <strong>non</strong> risulti incrinato da rancore o spirito di<br />

vendetta. Ciò appare in tutta evidenza al termine del d<strong>il</strong>uvio, quando l’umanità ha un<br />

nuovo inizio e Dio benedice Noè, i suoi figli e i loro discendenti, e stab<strong>il</strong>isce con loro <strong>una</strong><br />

alleanza perenne.<br />

Moltissimi passi dell’Antico Testamento ci mostrano, <strong>non</strong> un Dio adirato e nemico<br />

dell’uomo, ma un Dio benedicente e pieno d’amore, che lo incoraggia alla giustizia, alla<br />

perfezione, alla santità. E l’uomo, a sua volta, mantiene un rapporto intenso e vivo nei<br />

confronti di Dio.<br />

Il <strong>peccato</strong> di Adamo, secondo S. Paolo, sarebbe responsab<strong>il</strong>e della morte spirituale,<br />

ma anche, ed è quel che più conta, della mancata risurrezione dopo la morte.<br />

A proposito di quest’ultima, si può obiettare quanto segue: l’idea della sopravvivenza<br />

oltre la morte matura nel pensiero dell’Ebraismo alcuni secoli dopo la composizione della<br />

Genesi. La fede nell’immortalità acquista <strong>una</strong> certa r<strong>il</strong>evanza nel mondo ebraico solo nei<br />

secoli immediatamente precedenti l’era volgare, e lo stesso Gesù la ut<strong>il</strong>izza per confutare<br />

31


la dottrina <strong>dei</strong> Sadducei che la negano. Stando così le cose, la punizione di Dio nella<br />

mente dell’autore sacro può riferirsi unicamente alla morte fisica.<br />

I <strong>teologi</strong> potrebbero obiettare che l’autore della Genesi, essendo ispirato da Dio, può<br />

anticipare l’idea della sopravvivenza dopo la morte, un’idea che sarà elaborata<br />

culturalmente alcuni secoli più tardi.<br />

Fermo restando che nel testo della Genesi <strong>non</strong> c’è traccia di tale sopravvivenza,<br />

rispondo che se così fosse, avremmo a che fare con <strong>una</strong> eccezione rispetto al normale<br />

comportamento del Dio biblico. Di regola, egli parla agli uomini con <strong>il</strong> linguaggio del<br />

tempo, adattandosi alla loro mentalità, cultura e sim<strong>il</strong>i. Parla agli uomini <strong>non</strong><br />

direttamente, ma per mezzo di uomini in carne ed ossa, immersi nella cultura del proprio<br />

tempo. Non è pertanto sensato ritenere che l’autore della Genesi abbia potuto esprimere<br />

un’idea che la cultura ebraica avrebbe elaborato secoli più tardi.<br />

b) Quanto all’affermazione paolina che per poter accedere alla nuova vita sono<br />

necessari la fede in Gesù e <strong>il</strong> battesimo, rimando al paragrafo n. 23 della “Sintesi”<br />

32


23 -Mancata universalità della redenzione<br />

La riconc<strong>il</strong>iazione con Dio e la redenzione spirituale ottenute da Gesù morendo sulla<br />

croce, si collocano, nel pensiero di S. Paolo (e poi della Chiesa), su un piano logicamente<br />

asimmetrico rispetto alla “caduta”. Mentre quest’ultima provoca per se stessa, in modo<br />

automatico, la morte spirituale di tutti gli uomini, la riconc<strong>il</strong>iazione - redenzione ha un<br />

carattere più virtuale che reale: Dio <strong>non</strong> concede senz’altro la grazia, ma consente<br />

all’uomo di poter accedere ad essa a determinate condizioni: che abbia la fede in Gesù e<br />

che sia battezzato.<br />

La redenzione, per essere simmetrica alla condanna, dovrebbe per se stessa,<br />

senza bisogno d’altro, restituirci quello che <strong>il</strong> <strong>peccato</strong> <strong>dei</strong> progenitori ci ha tolto, la<br />

vita soprannaturale. Solo in tal modo agirebbe contemporaneamente e definitivamente<br />

su tutta l’umanità, assumerebbe un carattere universale e realizzerebbe <strong>una</strong> situazione,<br />

altrimenti discriminatoria e ingiusta nei confronti della stragrande maggioranza degli<br />

uomini che, senza colpa, <strong>non</strong> sono in grado di accedere alla fede in Gesù e al battesimo.<br />

E’ vero che da qualche tempo la Chiesa ammette la possib<strong>il</strong>ità di salvezza anche per i<br />

<strong>non</strong> cristiani, tuttavia <strong>il</strong> rimedio contro <strong>il</strong> <strong>peccato</strong> <strong>originale</strong> rimane prerogativa esclusiva<br />

della Chiesa, e la salvezza al di fuori della Chiesa è sicuramente più diffic<strong>il</strong>e. (3.13.c)<br />

24 - L’infinita misericordia di Dio e l’Inferno<br />

Dio, poiché è infinitamente giusto e infinitamente misericordioso, in ogni suo atto<br />

<strong>non</strong> può <strong>non</strong> essere determinato da ambedue gli attributi. In altre parole, Dio <strong>non</strong> può<br />

applicare separatamente i principi della giustizia e della misericordia, li deve applicare<br />

insieme: deve essere giusto e contemporaneamente misericordioso, misericordioso e<br />

insieme giusto.<br />

Per la giustizia deve punire in ragione della colpa commessa, per la misericordia<br />

(infinita) <strong>non</strong> può punire le sue creature con la dannazione eterna.<br />

A differenza del Cristianesimo e dell’Islamismo che credono nell’Inferno,<br />

l’Ebraismo ha un’idea della giustizia ultraterrena che soddisfa sia le esigenze del pensiero<br />

religioso, che quelle del pensiero razionale. Non esiste l’Inferno, ma esiste solo la<br />

punizione temporanea.<br />

Nell’Ebraismo la divinità, attraverso <strong>il</strong> perdono finale concesso ai reprobi, manifesta<br />

<strong>il</strong> suo amore incondizionato per la creatura umana. Il rifiuto del perdono - è questo in<br />

ultima analisi <strong>il</strong> significato dell’Inferno - nel Cristianesimo come nell’Islamismo,<br />

manifesta un amore condizionato ed è, a mio avviso, un retaggio inconsapevole della<br />

antica concezione ambivalente della divinità, intesa come un Essere che è insieme<br />

Benefico e Terrib<strong>il</strong>e.<br />

C – STORIA E MITO<br />

25 – Storicità del <strong>peccato</strong> <strong>originale</strong>?<br />

La Chiesa afferma che la “caduta <strong>dei</strong> progenitori” è un fatto storico, cioè un fatto<br />

realmente accaduto, e <strong>non</strong> un racconto mitologico. Su quale base sostiene questa tesi?<br />

Sulla base di ragioni storiografiche o di ragioni <strong>teologi</strong>che?<br />

33


Da un punto di vista storiografico, la tesi <strong>non</strong> ha alcun fondamento, poiché <strong>non</strong><br />

esistono nè documenti nè testimonianze dirette di questo presunto fatto storico.<br />

Da un punto di vista <strong>teologi</strong>co, si fa leva sulla rivelazione: Dio stesso avrebbe<br />

ispirato lo scrittore sacro rivelando a lui e all’umanità <strong>il</strong> fatto in questione. Ma in questa<br />

prospettiva, <strong>non</strong> si può parlar di fatto storico, bensì di un fatto realmente accaduto solo<br />

per chi ci crede.<br />

Preso atto della impossib<strong>il</strong>ità che si tratti di un fatto storicamente accertab<strong>il</strong>e, si può<br />

teoricamente ammettere che la caduta sia realmente accaduta, solo se è stato rivelata da<br />

Dio all’autore della Genesi. Se invece essa è <strong>il</strong> frutto di <strong>una</strong> intuizione di carattere<br />

spirituale dell’autore sacro, viene a mancare qualsiasi garanzia relativamente alla sua<br />

realtà storica.<br />

Chiediamoci allora: <strong>il</strong> racconto della caduta ci è stato rivelato da Dio per bocca<br />

dell’autore della Genesi oppure è <strong>il</strong> frutto di <strong>una</strong> intuizione spirituale dell’autore sacro? Si<br />

può rispondere senza esitazioni. L’esistenza di due versioni, successive e contrastanti, sia<br />

della creazione dell’uomo che del suo destino terreno, (<strong>il</strong>lustrate ai paragrafi 2.17 e 2.18)<br />

ci fa propendere per la seconda ipotesi, quella di <strong>una</strong> conoscenza di carattere intuitivo,<br />

espressa mediante <strong>il</strong> mito: un tipo di conoscenza che <strong>non</strong> può assolutamente fondare la<br />

storicità della caduta.<br />

26 - Singolarità della storia, universalità del mito<br />

Il mito coglie ed esprime in forma immaginosa <strong>una</strong> verità essenziale relativamente<br />

alla condizione umana. Così facendo, assume un significato universale, valido per tutti gli<br />

uomini.<br />

A differenza del mito, l’evento storico può provocare conseguenze di vastissima<br />

portata per m<strong>il</strong>lenni, ma <strong>non</strong> può assurgere al livello della universalità. La singolarità<br />

pone l’evento storico su un piano logicamente incompatib<strong>il</strong>e con l’universalità.<br />

Tale incompatib<strong>il</strong>ità vale anche per l’evento storico della morte redentrice di Cristo.<br />

Come abbiamo notato al par. 23, la redenzione ottenuta da Gesù morendo sulla croce ha<br />

infatti un carattere più virtuale che reale: secondo <strong>il</strong> pensiero di S. Paolo, Dio <strong>non</strong> concede<br />

senz’altro la grazia, ma consente all’uomo di poter accedere ad essa a determinate<br />

condizioni: che abbia la fede in Gesù e che sia battezzato.<br />

Poiché queste condizioni a tutt’oggi <strong>non</strong> si sono realizzate per tutti gli uomini, e si<br />

può ragionevolmente supporre che <strong>non</strong> lo saranno mai, l’universalità della redenzione<br />

appare più <strong>una</strong> aspirazione che <strong>una</strong> realtà. La redenzione, per avere un significato<br />

universale, dovrebbe per se stessa, senza bisogno d’altro, restituire a tutti gli uomini<br />

quello che la “caduta” ha loro tolto, la grazia di Dio.<br />

27 - La realtà storica e la finzione <strong>teologi</strong>ca<br />

S. Paolo vive un intenso dissidio interiore. Il <strong>peccato</strong> che abita in lui, esercita <strong>una</strong><br />

invincib<strong>il</strong>e tirannia, <strong>non</strong>ostante la sua conversione e <strong>il</strong> rivoluzionario percorso spirituale<br />

sulle orme del Cristo. Lo esaspera a tal punto da spingerlo ad esclamare: Questo “dramma”<br />

spirituale attesta <strong>una</strong> semplice verità: la morte di Cristo sulla croce e la conseguente<br />

riconc<strong>il</strong>iazione di Dio con l’umanità <strong>non</strong> hanno eliminato <strong>il</strong> <strong>peccato</strong> dalla vita spirituale<br />

34


dell’uomo. Una analoga testimonianza ci viene da Lutero <strong>il</strong> quale, <strong>non</strong>ostante viva <strong>una</strong><br />

intensa vita di fede, ha un drammatico senso del <strong>peccato</strong>, che lo ossessiona e angoscia.<br />

L’uomo redento da Cristo ha continuato a fare <strong>il</strong> male, a sfruttare, a derubare, a<br />

ingannare, a um<strong>il</strong>iare, a uccidere, a far la guerra, ecc...ecc... Tutto è rimasto come<br />

all’inizio, prima della “caduta”, come ai tempi del Vecchio Testamento, come sempre.<br />

In effetti l’evento negativo della “caduta” e l’evento positivo della redenzione,<br />

sommati algebricamente, si annullano reciprocamente, dando come risultato, zero.<br />

Possiamo pertanto considerarli <strong>una</strong> vera e propria “finzione” <strong>teologi</strong>ca che artatamente si<br />

inserisce nel continuum della condizione umana, sempre uguale a se stessa. Essi <strong>non</strong><br />

modificano minimamente la condizione umana, fin dall’inizio caratterizzata dal libero<br />

arbitrio, cioè dalla capacità di peccare. Il rapporto dell’uomo con Dio e col male <strong>non</strong> ne<br />

viene minimamente modificato.<br />

D – ARGOMENTI VARI<br />

28 – Pensiero razionale e pensiero religioso<br />

A differenza delle strutture del pensiero f<strong>il</strong>osofico e del pensiero tecnico-scientifico,<br />

che si sono adeguate senza troppe difficoltà al mutare della situazione materiale e<br />

culturale dell’uomo, quelle del pensiero religioso, essendo derivate da esperienze<br />

esistenziali di fortissimo impatto emozionale, rimaste pressoché inalterate nel tempo,<br />

hanno opposto e continuano ad opporre <strong>una</strong> forte resistenza al cambiamento.<br />

Nei recessi dell’animo umano sono tuttora presenti e attive le tracce delle profonde<br />

emozioni “sacrali” che hanno plasmato <strong>il</strong> pensiero religioso nelle epoche preistoriche. Si<br />

tratta delle emozioni vissute dall’uomo preistorico nei confronti sia degli spiriti buoni che<br />

degli spiriti cattivi, che hanno dominato <strong>il</strong> suo orizzonte spirituale. Sono state queste<br />

emozioni, di segno opposto, a dar forma al carattere ambivalente della struttura<br />

arcaica del pensiero religioso. A tutt’oggi, la divinità mantiene qualche residuo<br />

dell’arcaica ambivalenza: Dio continua ad essere percepito e “vissuto”, oltre che come<br />

Padre amorevole, anche come un temib<strong>il</strong>e giustiziere.<br />

Un altro elemento strutturale del pensiero religioso è costituito da un profondo<br />

sentimento di dipendenza dalla divinità, generato dalla precarietà della condizione<br />

umana, dalla frag<strong>il</strong>ità e in particolare dall’incombere della morte in ogni momento<br />

dell’esistenza. Nei momenti tragici dell’esistenza, tale sentimento si manifesta - in<br />

conformità col carattere ambivalente del pensiero religioso - sia come implorazione della<br />

protezione e del sostegno divino, sia come richiesta di perdono, atti di riparazione, ecc…,<br />

allo scopo di placare l’ira divina.<br />

La struttura arcaica del pensiero religioso affiora ogni volta in corrispondenza di<br />

catastrofi che provocano migliaia, o addirittura centinaia di migliaia di morti, quali<br />

carestie, terremoti, pest<strong>il</strong>enze, uragani, alluvioni, maremoti, guerre, genocidi, ecc... ecc...<br />

Infatti, questi fenomeni suscitano di regola <strong>una</strong> acuta reviviscenza del sentimento<br />

religioso, dell’arcaica pulsione a implorare <strong>il</strong> perdono e l’aiuto di Dio, in forme <strong>non</strong> di<br />

rado ossessive ed esorbitanti.<br />

Questa reattività di carattere religioso, così viva e acuta nelle masse popolari, è quasi<br />

assente nel mondo dell’informazione, della scienza, della cultura in genere,<br />

35


coerentemente con <strong>una</strong> moderna e realistica visione della realtà. I giornalisti, gli studiosi,<br />

gli esperti, quando terrib<strong>il</strong>i tragedie o vere e proprie catastrofi colpiscono l’umanità, si<br />

limitano a indagare le cause che le hanno provocate e i rimedi necessari (soccorsi,<br />

provvedimenti di natura tecnica e/o politica). Di punizioni o di soccorsi dall’Alto nessuno<br />

fa cenno. Non per niente sono passati più di duem<strong>il</strong>a anni dai tempi dell’Antico<br />

Testamento, quando Dio era <strong>il</strong> protagonista di tragedie e catastrofi che colpivano<br />

personaggi singoli e popoli interi.<br />

29 - Il puro caso dell’evoluzionismo, l’assoluto della ragione<br />

Nel corpo di un animale più o meno evoluto ogni elemento anatomico e ogni<br />

funzione fisiologica occupano un posto preciso all’interno di <strong>una</strong> sequenza ordinata. In<br />

alte parole, un organismo corporeo è costituito da un numero altissimo di relazioni<br />

d’ordine. Non è un insieme di organi e di attività disposti a caso, ma <strong>una</strong> struttura, cioè<br />

un sistema ordinato di relazioni.<br />

Come può, allora, l’evoluzionismo darwinista affermare, a cuor leggero che<br />

l’evoluzione ha creato gli organismi viventi procedendo a caso? Il caso può produrre<br />

qualche relazione d’ordine isolata, <strong>non</strong> può produrre <strong>una</strong> rete estremamente<br />

complessa di relazioni. Poiché c’è <strong>una</strong> sola probab<strong>il</strong>ità su tre m<strong>il</strong>ioni e seicento e<br />

ventotto m<strong>il</strong>a che venga estratta a sorte <strong>una</strong> sequenza ordinata di soli 10 numeri,<br />

come può la sorte, cioè <strong>il</strong> muro caso, costruire sequenze ordinate estesissime e<br />

complessissime? Solo un principiom ordinatore intelligente è in grado di porre<br />

relazioni d’ordine e di coglierle (nel mondo della natura), <strong>una</strong> volta che esistano.<br />

Qualcuno, senza troppo riflettere, immagina che nelle profondità abissali del tempo,<br />

all’epoca del biologico, abbiano cominciato ad esistere le prime forme di<br />

vita attraverso <strong>una</strong> combinazione puramente casuale di elementi fisiochimici, e che tali<br />

forme si siano in seguito evolute sempre sulla base di meccanismi casuali. A tale<br />

si può opporre che, senza la luce dell’intelligenza questo<br />

<strong>non</strong> è potuto accadere, perché solo l’intelligenza è in grado di creare strutture corporee,<br />

cioè sistemi ordinati di relazioni.<br />

A questo punto, si impone <strong>una</strong> ulteriore domanda: Poiché parliamo di cose reali e <strong>non</strong> di fantasie di<br />

carattere magico, dobbiamo riconoscere che <strong>non</strong> può essere venuto dal nulla (dal nulla<br />

assoluto).<br />

L’unica spiegazione possib<strong>il</strong>e dell’apparire di <strong>una</strong> attività ordinatrice in<br />

concomitanza con la creazione delle prime forme viventi e della successiva<br />

evoluzione delle stesse, ci rimanda ad un Principio trascendente, assoluto e al quale tale attività (come pure ogni altra realtà<br />

contingente). E’ <strong>una</strong> istanza della ragione a cui <strong>non</strong> possiamo sottrarci.<br />

30 - Certezze <strong>teologi</strong>che e senso del mistero<br />

La ragione ci rimanda dunque necessariamente ad un Principio assoluto e<br />

trascendente, per dare ragione della esistenza delle realtà contingenti. Perché allora,<br />

36


contravvenendo ad <strong>una</strong> istanza razionale, sono così diffusi l’agnosticismo, l’ateismo,<br />

ecc…?<br />

Rispondo chiarendo anzitutto che <strong>il</strong> Principio trascendente <strong>non</strong> si identifica sic et<br />

simpliciter con Dio. L’idea di Dio ha storicamente <strong>il</strong> Principio in<br />

questione assumendo connotazioni che troppo spesso <strong>non</strong> hanno fatto onore all’umanità.<br />

Si va dall’idea di un Dio battagliero (<strong>il</strong> Dio degli eserciti), a quella di un Dio vendicativo<br />

e giustiziere, … In nome di Dio l’uomo ha fatto guerre di conquista, ha oppresso intere<br />

popolazioni, ha conculcato la libertà di pensiero, ha compiuto i misfatti più orrendi (stragi<br />

di innocenti, sacrifici di vite umane, ecc…), ha incarcerato, torturato, ecc…<br />

Da tempo la <strong>teologi</strong>a cristiana ha depurato l’idea di Dio per quanto possib<strong>il</strong>e in<br />

relazione alla dottrina tradizionale. Ciò <strong>non</strong>dimeno, continuano a persistere concezioni<br />

che suscitano perplessità se <strong>non</strong> ripulsa nella coscienza dell’uomo d’oggi.<br />

Prendiamo ad esempio la dottrina secondo cui, a seguito del <strong>peccato</strong> <strong>originale</strong>,<br />

l’uomo è incapace di operare virtuosamente e di salvarsi senza <strong>il</strong> soccorso straordinario<br />

della Grazia. Si tratta di <strong>una</strong> tesi assai discutib<strong>il</strong>e che <strong>non</strong> regge, sia che ipotizziamo che<br />

la Grazia di Dio salvi tutti gli uomini, sia che ipotizziamo che ne salvi solo <strong>una</strong> parte.<br />

Nel primo caso, la libertà dell’uomo viene di fatto annullata, e con essa viene annullata<br />

anche la dannazione eterna. L’inferno <strong>non</strong> esiste più. Nel secondo, poiché <strong>non</strong> tutti gli<br />

uomini si salvano, possiamo chiederci: perché <strong>il</strong> Dio misericordioso e giusto salva alcuni<br />

e altri no? Si finisce, senza accorgersene, nelle secche della predestinazione, <strong>una</strong><br />

dottrina che contraddice palesemente la paternità universale di Dio.<br />

(In realtà, quello che <strong>non</strong> quadra in tutta questa faccenda è l’idea che un Dio paterno<br />

e amorevole possa infliggere la dannazione eterna alle sue creature. Che bisogno ha di<br />

dannarle per l’eternità? Perché <strong>non</strong> perdona le loro colpe? Non gli può bastare <strong>una</strong> pena<br />

temporanea?!? La coscienza umana è di fatto su <strong>una</strong> posizione più avanzata rispetto al<br />

Dio <strong>dei</strong> <strong>teologi</strong>, poiché nei paesi più avanzati ha rinunciato alla pena di morte e si avvia a<br />

rinunciare anche all’ergastolo.)<br />

Anche la dottrina della provvidenza appare diffic<strong>il</strong>mente sostenib<strong>il</strong>e: la Shoah, lo<br />

ts<strong>una</strong>mi, i terremoti, le alluvioni, le epidemie, ecc… ecc… sono <strong>una</strong> prova evidente che<br />

Dio <strong>non</strong> interviene nelle faccende umane, ma lascia fare alla natura.<br />

Scrive in proposito <strong>il</strong> teologo V. Mancuso: ” La natura e la storia, a chi le voglia<br />

guardare onestamente per quello che sono, appaiono completamente prive di un governo<br />

giusto e amico dell’uomo, quale dovrebbe essere, stando ai sacri testi, quello divino.<br />

Spesso i credenti queste cose <strong>non</strong> le riconoscono. O meglio, le riconoscono, ma poi le<br />

nascondono per primi a se stessi. Invece di guardare all’intera realtà, preferiscono<br />

soffermarsi solo su alcuni dettagli a loro favorevoli.” Attraverso la natura, ci è stata data<br />

la vita . Ci sono stati dati l’intelligenza, <strong>il</strong> senso morale, <strong>il</strong> cuore,<br />

ecc... ecc..., tutto quello che serve per rimediare ai gravi danni provocati sia dall’uomo<br />

(vedi la Shoah), che dalla natura (vedi lo ts<strong>una</strong>mi), e consentirci di vivere <strong>una</strong> vita terrena<br />

degna di essere vissuta.<br />

L’idea tradizionale di un Dio che provvede ai nostri bisogni terreni è oggi<br />

scarsamente credib<strong>il</strong>e. I fatti sono lì con la forza di un macigno a smentirla. Primo Levi,<br />

reduce da Auschwitz ha affermato perentoriamente: <br />

37


(F. Camon) Con tutta probab<strong>il</strong>ità, intendeva dire: <strong>non</strong> c’è <strong>il</strong> Dio della Provvidenza, <strong>il</strong> Dio<br />

che protegge <strong>il</strong> suo popolo.<br />

Riprendendo a titolo conclusivo le considerazioni iniziali del paragrafo, mi pare di<br />

poter affermare che <strong>il</strong> Principio trascendente, in quanto trascendente, <strong>non</strong> sia conoscib<strong>il</strong>e<br />

nella sua realtà intima. La ragione ci rimanda necessariamente ad esso, ma nulla è in<br />

grado di dirci sulla sua realtà, nulla che sia razionalmente fondato e di conseguenza<br />

universalmente condiviso.<br />

31 – Il diavolo e <strong>il</strong> monoteismo<br />

Nel quadro ideologico del monoteismo, l’esistenza del diavolo <strong>non</strong> funziona a livello<br />

di pensiero razionale (f<strong>il</strong>osofico), perché l’esistenza di Dio, Principio assoluto del bene,<br />

esclude l’esistenza di un Principio del male. Non funziona, neppure se <strong>il</strong> diavolo viene<br />

collocato su un piano metafisico inferiore rispetto a Dio. Questa, che a prima vista appare<br />

<strong>una</strong> soluzione razionalmente accettab<strong>il</strong>e, presenta a sua volta gravi difficoltà in <strong>una</strong><br />

concezione di Dio come padre amorevole e misericordioso: se Dio ama le sue creature<br />

(create a sua immagine e somiglianza), perché permette al diavolo di tentarle e di perderle<br />

per l’eternità? La dannazione, anche di <strong>una</strong> sola creatura, a causa della tentazione<br />

diabolica, contraddice l’attributo dell’amore e della paternità divina.<br />

L’esistenza del diavolo funziona invece perfettamente all’interno del pensiero<br />

religioso, largamente condizionato dalle strutture ambivalenti del sacro costituitesi in<br />

epoca arcaica. Dio e <strong>il</strong> diavolo possono coesistere senza difficoltà in questo ambito,<br />

perché coesistono a livello psichico profondo.<br />

Dei tre monoteismi solo quello ebraico rispetta le esigenze del pensiero razionale,<br />

rifiutando l’esistenza di un Principio del male. Per l’Ebraismo Satana esiste ma <strong>non</strong> come<br />

tentatore dell’uomo e avversario di Dio. Ci si può chiedere come mai l’Ebraismo <strong>non</strong><br />

soggiaccia alla pulsioni profonde che “hanno generato” la figura diabolica nel<br />

Cristianesimo e nell’Islamismo. La prima risposta può essere questa: <strong>il</strong> Dio dell’Antico<br />

Testamento, assomma in sé i caratteri dell’Essere Benefico e dell’Essere Terrib<strong>il</strong>e,<br />

pertanto <strong>non</strong> c’è bisogno di contrapporgli un essere diabolico.<br />

Una seconda risposta può essere questa: che nel Patto tra Dio e <strong>il</strong> popolo di Dio -<br />

impostato su un piede di sostanziale parità - si incontrano due volontà libere, <strong>non</strong> c’è<br />

posto per un terzo incomodo.<br />

32 - Teologia della Genesi e <strong>teologi</strong>a contemporanea<br />

Ogni cultura elabora l’idea di Dio in stretta relazione con i valori in cui crede. Tale<br />

idea <strong>non</strong> resta immutata nel tempo, ma subisce <strong>una</strong> continua evoluzione all’interno del<br />

processo culturale complessivo.<br />

Ci si può chiedere allora: che cosa hanno in comune l’idea di Dio della Genesi,<br />

espressa dalla cultura ebraica di circa trem<strong>il</strong>a anni fa, e l’idea di Dio elaborata dalla<br />

cultura contemporanea? E’ legittimo sovrapporre questa a quella come se ci fosse tra di<br />

esse <strong>una</strong> sostanziale congruenza di significati?<br />

I <strong>teologi</strong> moderni ragionano sulla “caduta” sovrapponendo elaborate concezioni<br />

intellettuali alla <strong>teologi</strong>a ingenua dell’autore. Con quale risultato? A mio giudizio questa<br />

operazione <strong>non</strong> solo falsa <strong>il</strong> pensiero espresso nella Genesi - attribuendo a un autore<br />

38


vissuto circa trem<strong>il</strong>a anni fa pensieri elaborati nel corso <strong>dei</strong> successivi m<strong>il</strong>lenni - ma<br />

finisce col rendere spesso incomprensib<strong>il</strong>e e irrazionale <strong>il</strong> comportamento della divinità.<br />

Per realizzare <strong>una</strong> lettura corretta, è necessario entrare per quanto possib<strong>il</strong>e nei panni<br />

dell’autore sacro e ragionare sul racconto della Genesi ut<strong>il</strong>izzando le sue categorie<br />

intellettuali, … ammettendo ad esempio che l’ onniscienza e la prescienza divina <strong>non</strong><br />

rientrano nell’ orizzonte mentale dell’autore. Solo in tal modo, <strong>il</strong> testo in questione<br />

mantiene un significato logicamente coerente.<br />

Una prova della incompatib<strong>il</strong>ità tra la <strong>teologi</strong>a cristiana della Rivelazione divina e la<br />

dell’autore della Genesi può essere la seguente: l’autore in questione <strong>non</strong> si<br />

perita di presentare sullo stesso argomento racconti diversi e addirittura contradditori. Ciò<br />

accade per la creazione dell’uomo e della donna, per <strong>il</strong> destino terreno dell’uomo, ecc…<br />

Nel racconto della caduta assembla disinvoltamente materiali provenienti da fonti diverse<br />

e tutt’altro che congruenti.<br />

33 – La fede <strong>dei</strong> primi tempi<br />

Secondo Umberto Galimberti la dottrina del <strong>peccato</strong> <strong>originale</strong> è ingiusta nei confronti<br />

dell’uomo. “Pur di salvare la bontà di Dio, <strong>il</strong> Cristianesimo <strong>non</strong> esita ad aggiungere al<br />

dolore umano anche <strong>il</strong> peso della colpa. Per questo ho sempre dubitato che <strong>il</strong><br />

Cristianesimo sia la religione dell’amore. Dell’amore per l’uomo, tanto proclamato, ma<br />

<strong>teologi</strong>camente smentito”<br />

Tale dottrina <strong>non</strong> è solo ingiusta, è errata. Nei quattro vangeli ca<strong>non</strong>ici si parla<br />

sempre di espiazione <strong>dei</strong> peccati degli uomini, mai del riscatto di un <strong>peccato</strong> delle origini<br />

responsab<strong>il</strong>e della corruzione dell’umanità da <strong>una</strong> presunto stato iniziale di giustizia e<br />

santità.<br />

Quando Gesù si rende conto dell’impossib<strong>il</strong>ità di vincere le resistenze di quanti si<br />

oppongono alla sua opera di rinnovamento spirituale, e la sua missione spirituale sembra<br />

<strong>non</strong> avere più sbocchi, sovrastata dalle forze del male, quando si rende conto <strong>dei</strong> pericoli<br />

mortali che incombono sulla sua vita, ... egli giunge a concepire l’idea di dare<br />

volontariamente la sua vita per riscattarci dal <strong>peccato</strong> e realizzare <strong>il</strong> Regno di Dio sulla<br />

terra.<br />

“Le fonti cristiane attestano come dato storicamente inoppugnab<strong>il</strong>e che Gesù <strong>non</strong><br />

solo ha parlato del regno di Dio, ma anche ne ha fatto <strong>il</strong> tema centrale, e <strong>il</strong> della sua predicazione. “(G. Barbaglio) Coerentemente<br />

con <strong>il</strong> suo messaggio, egli si sacrificò per realizzare <strong>il</strong> Regno di Dio sulla terra e <strong>non</strong> per<br />

riscattare l’umanità dalla colpa <strong>dei</strong> progenitori. Su queste basi ideologiche, gli apostoli, i<br />

discepoli e i seguaci di Gesù hanno creduto nel suo messaggio, nella sua resurrezione e<br />

divinità.<br />

Solo <strong>una</strong> generazione più tardi, maturò l’idea di S. Paolo sul significato redentivo del<br />

sacrificio di Gesù sulla croce, da <strong>una</strong> presunta colpa originaria. Stranamente, tale idea <strong>non</strong><br />

è rinvenib<strong>il</strong>e nei Vangeli, benché siano stati redatti successivamente alla predicazione e<br />

agli scritti di S. Paolo.<br />

34 - L’ecumenismo religioso e la pace tra i popoli<br />

39


L’ecumenismo ha radici antiche ed è <strong>una</strong> aspirazione universalmente sentita, già nel<br />

lontano passato: l’esigenza che i più avvertono, di credere che la propria fede sia l’unica<br />

vera, si accompagna nelle menti più <strong>il</strong>luminate alla consapevolezza della irrazionalità di<br />

tale pretesa.<br />

L’ecumenismo riconosce pari dignità ad ogni fede religiosa. Il Dalai Lama, ad<br />

esempio afferma che ogni tradizione religiosa ha un profondo significato formativo, è <strong>una</strong><br />

<strong>originale</strong> e valida via di educazione e di elevazione spirituale dell’uomo. Da questo punto<br />

di vista ogni religione ha un valore indiscusso e merita rispetto. E sarebbe un vero <strong>peccato</strong><br />

che <strong>il</strong> tesoro di saggezza accumulato nei secoli andasse perduto.<br />

Ogni tradizione religiosa ha messo a fuoco <strong>una</strong> particolare prospettiva sulla realtà<br />

spirituale, ha elaborato <strong>una</strong> sua , irriducib<strong>il</strong>e a quella delle altre tradizioni: <strong>una</strong><br />

che <strong>non</strong> va considerata come alternativa alle altre, bensì complementare ad<br />

esse, in grado di arricchire le altre con <strong>il</strong> proprio peculiare tesoro di sensib<strong>il</strong>ità e di<br />

saggezza.<br />

Il teologo V. Mancuso condivide tale atteggiamento con parole <strong>il</strong>luminanti: <br />

Per parte mia, ritengo che nella sostanza tutte le religioni si equivalgano, poiché tutte<br />

attingono i valori essenziali dell’amore, della solidarietà, del rispetto, del perdono, della<br />

compassione, della pace, della responsab<strong>il</strong>ità, del lavoro, della preghiera, ecc… dal cuore<br />

dell’uomo. Per questa ragione essenziale, possono coesistere e convivere<br />

amichevolmente, scambiandosi vicendevolmente i tesori della propria saggezza<br />

m<strong>il</strong>lenaria.<br />

40


IV. IL MALE NEL MONDO IN PROSPETTIVA EVOLUZIONISTICA<br />

35 – Le cause del male<br />

Non c’è bisogno di fare riferimento a <strong>una</strong> colpa d’origine (<strong>il</strong> <strong>peccato</strong> <strong>originale</strong>), o<br />

all’azione tentatrice e malefica di <strong>una</strong> potenza demoniaca (<strong>il</strong> diavolo), per spiegare<br />

l’esistenza del male nel mondo.<br />

In prima istanza, la causa <strong>dei</strong> mali che affliggono l’umanità va attribuita alla natura.<br />

In termini concreti, dipende dai caratteri della selezione naturale e dalla struttura<br />

composita del nostro cervello.<br />

La selezione naturale presenta r<strong>il</strong>evanti aspetti negativi. In merito ad essi, scrive I.<br />

Eibl-Eibesfeldt: > Così, ad esempio, (I. Eibl-Eibesfeldt)<br />

Anche la struttura composita del cervello comporta aspetti problematici di <strong>una</strong><br />

certa entità. Il cervello umano <strong>non</strong> è <strong>il</strong> frutto di <strong>una</strong> creazione ex novo, <strong>originale</strong>, ma si è<br />

sv<strong>il</strong>uppato ristrutturando elementi preesistenti. Ciò provoca <strong>non</strong> pochi inconvenienti,<br />

come vedremo: in particolare <strong>una</strong> sfasatura funzionale tra le parti arcaiche (istintuali ed<br />

emozionali) del cervello e la parte più recente, sede delle attività cognitive.<br />

Se <strong>il</strong> cervello fosse stato concepito unitariamente, cioè creato ex novo nella sua<br />

interezza, <strong>non</strong> ci sarebbero i gravi scompensi e le disarmonie della esistenza umana che<br />

derivano a) dalla diversa velocità di evoluzione <strong>dei</strong> tre diversi “cervelli”, b) dal fatto che<br />

la forza di persuasione <strong>dei</strong> tre “cervelli” è tanto maggiore quanto più sono antichi<br />

a) Con la comparsa della neocorteccia, si è messo in moto un progresso rapidissimo<br />

delle attività cognitive e <strong>una</strong> radicale trasformazione dell’ambiente circostante, che<br />

contrastano con la lentezza della evoluzione relativa ai due cervelli più antichi, misurab<strong>il</strong>e<br />

in centinaia di migliaia di anni. In pratica, a livello di ipotalamo rett<strong>il</strong>iano (reazioni<br />

istintuali) e di sistema limbico (emozioni) <strong>non</strong> siamo oggi tanto differenti dall’uomo<br />

arcaico, mentre a livello cognitivo siamo radicalmente cambiati.<br />

Le forze che hanno plasmato le pulsioni istintuali e le emozioni, forze evolutive lente<br />

e ponderate, hanno impiegato un m<strong>il</strong>ione di anni per compiere <strong>il</strong> loro lavoro. Di<br />

conseguenza, oppongono <strong>una</strong> forte resistenza al cambiamento rapido. E’ per questo<br />

motivo che gli ultimi diecim<strong>il</strong>a anni, testimoni della rapida ascesa della civ<strong>il</strong>tà e<br />

dell’esplosione della popolazione umana, hanno lasciato pochissime tracce nella<br />

matrice biologica della vita emotiva umana. (D. Goleman)<br />

b) La sfasatura esistente fra i tre “cervelli” rende spesso difficoltoso armonizzarli in<br />

<strong>una</strong> prospettiva unitaria e concorde, soprattutto perché


ipotalamo rett<strong>il</strong>iano sono più convincenti di quelli del nostro sistema limbico,<br />

che a sua volta è molto più persuasivo della neocorteccia di evoluzione più<br />

recente.>>(J. Quirk) In tal modo le pulsioni che vengono dal profondo spesso sfuggono<br />

al controllo della neocorteccia, cioè delle attività cognitive.<br />

Riep<strong>il</strong>ogando quanto sopra, i guai derivano dal fatto che a) determinate soluzioni<br />

selettive <strong>una</strong> volta ut<strong>il</strong>i oggi risultano dannose, essendo mutata la situazione culturale e<br />

ambientale; b) i tre “cervelli” si evolvono con velocità assai differenti; c) i “cervelli” più<br />

antichi hanno maggior potere persuasivo <strong>dei</strong> più recenti.<br />

La situazione è ulteriormente compromessa dalle risultanze negative, che purtroppo<br />

<strong>non</strong> mancano, della selezione sessuale e di quella culturale, che si aggiungono alla<br />

selezione naturale. La prima (s. sessuale) ha dato tra l’altro un suo <strong>originale</strong> contributo a<br />

complicare i rapporti tra i sessi; la seconda (s. culturale) ha avuto ed ha <strong>il</strong> merito di<br />

alleggerire i condizionamenti dell’eredità biologica, ma è causa a sua volta di<br />

incomprensioni, chiusure e conflitti. (A1.2)<br />

Una ulteriore fattore di atteggiamenti e comportamenti problematici è costituito dalla<br />

dimensione psicologica della nostra esistenza, in cui sono attivi contenuti e processi che<br />

possono incidere negativamente sulla vita relazionale. (A1.4)<br />

L’eredità biologica ha ricadute negative, sotto forma di condizionamento,<br />

sull’esistenza umana in tutto l’arco delle sue molteplici manifestazioni, dalla pulsione<br />

egoistica (A2.3) alla pulsione sessuale(A2.4), dal piano emozionale (A2.5) a quello<br />

passionale (A2.6), dalla aggressività territoriale (A2.11) alla aggressività di rango<br />

(A2.12), ai rapporti tra formazioni sociali (A2.14), alla vita tra le pareti domestiche<br />

(A2.8), ecc… ecc…<br />

Poiché si sta formando un abisso sempre più profondo tra la lenta evoluzione<br />

genetica e la crescente rapidità del progresso cognitivo e tecnologico, si deve supporre<br />

che la situazione peggiorerà ulteriormente, … tanto più se si considera che l’umanità con<br />

le risorse (naturali e culturali) di cui dispone deve con urgenza affrontare problemi di<br />

inaudita gravità, quali la sovrappopolazione del pianeta (sei m<strong>il</strong>iardi di bocche da<br />

sfamare!), le profonde disparità di risorse tra paesi poveri e paesi ricchi, l’esaurimento<br />

progressivo delle risorse energetiche, la rottura dell’equ<strong>il</strong>ibrio ecologico, ecc... ecc...<br />

Noto en passant che nel mondo animale analoghe ricadute <strong>non</strong> esistono o sono<br />

scarsamente significative, perché le attività cognitive <strong>non</strong> vi hanno conosciuto <strong>il</strong><br />

rapidissimo sv<strong>il</strong>uppo che ha caratterizzato la nostra specie.<br />

36 – Condizionamenti biologici e responsab<strong>il</strong>ità morale<br />

La specie umana, come del resto le altre specie, è stata plasmata dalla evoluzione in<br />

ogni manifestazione della sua esistenza. In altre parole quello che siamo oggi, nel bene e<br />

nel è <strong>il</strong> risultato del lungo, complesso e processo evolutivo.<br />

La causa del male (come del resto del bene) va dunque individuata nella natura: la<br />

principale, ma <strong>non</strong> l’unica. L’eredità evolutiva condiziona, più o meno pesantemente, la<br />

nostra esistenza in tutte le sue manifestazioni, ma <strong>non</strong> determina <strong>il</strong> nostro<br />

comportamento, se <strong>non</strong> in situazioni particolarmente critiche. Il controllo dell’azione<br />

ut<strong>il</strong>izza infatti sempre meno i meccanismi automatici creati dalla natura attraverso la<br />

selezione e sempre più <strong>il</strong> pensiero, che meglio sa commisurarla alle circostanze, al fine,<br />

42


ecc... “Il livello di complessità del cervello rende gli uomini estremamente plastici, cioè in<br />

grado di diversificare <strong>il</strong> loro repertorio comportamentale in funzione della situazione e<br />

delle persone cui le loro azioni sono dirette ” (G. Att<strong>il</strong>i)<br />

E’ vero, in ultima analisi, che anche lo sv<strong>il</strong>uppo del pensiero è frutto dell’evoluzione<br />

naturale. Sia come sia, oggi <strong>il</strong> nostro comportamento <strong>non</strong> è determinato, ma solo<br />

condizionato dai meccanismi naturali. Lo sv<strong>il</strong>uppo della neocorteccia è tale da consentirci<br />

un margine di libertà interiore, che sta alla base della responsab<strong>il</strong>ità morale <strong>dei</strong> nostri atti.<br />

Una responsab<strong>il</strong>ità compete pure a noi, la responsab<strong>il</strong>ità morale <strong>dei</strong> nostri atti liberi, cioè<br />

<strong>non</strong> imposti da forme particolari di patologia o da stati psichici che ci impediscono di<br />

intendere e di volere.<br />

Abbiamo <strong>il</strong> dovere morale di guardare in faccia la realtà, riconoscere come tali le<br />

pulsioni ad agire, provenienti dal profondo del nostro essere biologico e, quando <strong>non</strong> sono<br />

conformi ai valori culturali e morali in cui crediamo, dobbiamo opporre loro <strong>una</strong><br />

resistenza attiva.<br />

Cercare le radici del male morale fuori di noi, riferire le pulsioni che ci vengono dal<br />

profondo <strong>non</strong> alla natura, ma al diavolo, cioè ad un essere personale malefico che<br />

deliberatamente e subdolamente ci tenta al male, significa allontanarci dal mondo reale e<br />

in qualche misura deresponsab<strong>il</strong>izzarci<br />

Sono gli uomini che, cedendo alle tentazioni e alle passioni, - cioè <strong>non</strong> opponendo la<br />

necessaria resistenza ai molteplici condizionament dell’eredità evolutiva - creano <strong>il</strong> male<br />

morale, e solo gli uomini possono combatterlo. La credenza nel diavolo ci defrauda<br />

dell’impegno di affrontare direttamente e responsab<strong>il</strong>mente <strong>il</strong> male, sia a livello<br />

individuale che a livello sociale. E, poiché credere nel diavolo è espressione di <strong>una</strong> forma<br />

primitiva di pensiero, solo un pensiero consapevole e moderno, può sottrarci alla insidiosa<br />

tentazione di rinunciare alla piena responsab<strong>il</strong>ità del nostro agire.<br />

37 - Una risposta convincente al problema del male?<br />

La spiegazione dell’origine naturale del male in prospettiva evoluzionistica<br />

consente di superare - io credo – almeno in parte le difficoltà insormontab<strong>il</strong>i incontrate<br />

dai f<strong>il</strong>osofi e dalle religioni.<br />

Nel quadro delle concezioni monoteistiche, i f<strong>il</strong>osofi affrontano <strong>il</strong> problema del male<br />

mettendolo direttamente in rapporto con l’onnipotenza di Dio e si imbattono in <strong>una</strong><br />

insormontab<strong>il</strong>e aporia. (J.F. Revel) Detto altrimenti, poiché <strong>non</strong> risulta che Dio intervenga<br />

ad evitare catastrofi naturali (terremoti, alluvioni, ecc...), epidemie, handicap, malattie<br />

mortali, guerre, genocidi, massacri, ecc... che tanto strazio e sofferenza provocano<br />

all’uomo nella sua vita terrena, delle due l’<strong>una</strong>: o <strong>non</strong> è onnipotente o <strong>non</strong> è<br />

misericordioso. Se è onnipotente, perché <strong>non</strong> interviene con un atto di bontà e di<br />

misericordia; se è misericordioso, ma di fatto <strong>non</strong> interviene, abbiamo torto a pensare che<br />

<strong>non</strong> sia onnipotente?<br />

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Poiché dall’aporia <strong>non</strong> si può uscire, i f<strong>il</strong>osofi tendono a banalizzare <strong>il</strong> male,<br />

addebitandolo a fattori accidentali o considerandolo tale solo in apparenza, in<br />

definitiva negando che abbia <strong>una</strong> consistenza e un significato metafisico.<br />

Nel quadro variegato delle concezioni f<strong>il</strong>osofiche di carattere dualistico, politeistico,<br />

ateistico, ecc… le spiegazioni si limitano, a mio parere, a prendere atto della realtà<br />

esistenziale dell’uomo, a livello individuale e sociale, e a riscriverla tal quale a livello<br />

metafisico. Non si danno vere e proprie spiegazioni dell’origine del male, ma soltanto<br />

volonterose sovrascritture.<br />

Per le grandi religioni <strong>il</strong> rapporto del male con Dio è mediato dall’uomo. In<br />

concreto, <strong>il</strong> male è addebitato ad <strong>una</strong> colpa dell’uomo (Cristianesimo), oppure consiste in<br />

un errore umano (Buddismo), ecc.. La responsab<strong>il</strong>ità del male viene di fatto scaricata<br />

sulle deboli spalle dell’uomo.<br />

Questa spiegazione, per le ragioni che sappiamo (vedi n. 28) può essere accolta dal<br />

pensiero religioso, caratterizzato da <strong>una</strong> logica piuttosto elastica. Non può essere accolta<br />

dal pensiero razionale perché resta da spiegare da dove provengano la colpa dell’uomo<br />

cioè la sua fallib<strong>il</strong>ità, l’errore, ecc.... ecc...<br />

Si ha la sensazione che la f<strong>il</strong>osofia e <strong>il</strong> pensiero religioso abbiano esaurito le modalità<br />

di risposta all’eterno problema del male, che <strong>non</strong> ci sia più nulla di sostanziale da dire,<br />

dopo due m<strong>il</strong>lenni e mezzo di speculazione. Solo la prospettiva evoluzionistica appare<br />

in grado di dire <strong>una</strong> parola nuova, di far luce su che nè la f<strong>il</strong>osofia nè <strong>il</strong><br />

pensiero religioso sono capaci di spiegare. Essa <strong>non</strong> si oppone alle concezioni<br />

tradizionali, ma le come visioni particolari all’interno di <strong>una</strong> visione più<br />

ampia.<br />

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