atlante degli anfibi e dei rettili della toscana - Università degli Studi ...
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terreni agricoli e per la coltivazione su vasta scala del castagno. È probabile che<br />
anche molte cerrete acidofile dell’area appenninica siano state allo stesso modo<br />
eliminate per far posto alle colture in senso lato; esse sopravvivono più che altro<br />
dove le condizioni edafiche non erano adatte né alle colture agrarie né a quelle<br />
del castagno, vale a dire in esposizioni settentrionali e a quote relativamente<br />
elevate, fino al limite delle faggete.<br />
Il castagno è stato per secoli largamente coltivato come pianta da legname ma<br />
soprattutto per la produzione <strong>dei</strong> frutti, spesso principale fonte di sostentamento<br />
delle popolazioni montanare; i boschi puri o quasi puri di questa specie si sono<br />
quindi man mano sostituiti, a opera dell’uomo, alle originarie formazioni forestali<br />
alto-collinari e montane, stravolgendo spesso in maniera sostanziale il paesaggio<br />
vegetale preesistente. Pur essendo con ogni probabilità esso stesso una componente<br />
naturale del bosco misto di latifoglie (le analisi polliniche testimoniano<br />
infatti la sua presenza nell’area appennica anche in epoche pregliaciali), non vi è<br />
dubbio che la sua rilevante diffusione è dovuta all’intervento antropico, a partire<br />
soprattutto dal tardo medioevo. Nonostante il progressivo abbandono <strong>della</strong> sua<br />
coltura (50.000 ettari perduti dalla fine dell’800 a oggi e 16.816 attualmente in<br />
stato di abbandono), il castagno è ancora ampiamente presente in Toscana (totale<br />
regionale 176.928 ettari, di cui 15.520 da frutto), dalla zona medio-collinare<br />
a quella submontana fino a circa 1000 m, anche se l’introduzione del pino marittimo<br />
e la crescente diffusione <strong>della</strong> robinia, oltre a malattie di origine fungina,<br />
tendono a ridurne in qualche zona l’area di diffusione. I castagneti risultano particolarmente<br />
frequenti nell’intera area appenninica e su alcuni rilievi <strong>della</strong> parte<br />
centro-meridionale <strong>della</strong> regione, come le Colline Metallifere e il Monte Amiata;<br />
alcuni sono presenti anche nella parte più elevata del Monte Capanne, nell’Isola<br />
d’Elba occidentale. Ciò che è mutato rispetto a un tempo è soprattutto il tipo di<br />
governo e trattamento di questi boschi: le fustaie rade da frutto (selve castanili)<br />
sono infatti gradatamente convertite in fustaie da legno e soprattutto in cedui, in<br />
prevalenza a lungo turno. I castagneti da frutto, per le minori cure a essi dedicate,<br />
hanno oggi una più densa copertura e una più abbondante lettiera che nel<br />
passato, a danno delle specie più eliofile del sottobosco; fra gli elementi arbustivi<br />
caratteristici di quest’ultimo vanno ricordati il rovo irto, l’erica scoparia, il brugo<br />
e la ginestra <strong>dei</strong> carbonai, fra quelli erbacei la felce aquilina. Talora il castagno<br />
prende parte anche alla formazione di boschi misti di latifoglie, cui partecipano,<br />
in varia percentuale a seconda <strong>della</strong> quota e dell’esposizione, la rovere, il frassino<br />
maggiore, l’acero di monte, i tigli, il carpino bianco, il faggio.<br />
Scarsi sono invece in Toscana i nuclei più o meno puri di betulla bianca, limitati<br />
a piccole stazioni delle Alpi Apuane, <strong>della</strong> Garfagnana, dell’Appennino, <strong>della</strong><br />
Valdinievole e del Pratomagno; in genere esse sono caratterizzate da suolo acido<br />
o lisciviato, umido e fresco, e sono situate fra 600-700 e 1100 m. La specie,<br />
eliofila e pioniera, è spesso la prima a colonizzare le frane e i pascoli montani<br />
abbandonati.<br />
La degradazione <strong>dei</strong> boschi di latifoglie decidue acidofile, a differenza di quelli<br />
con entità neutro-basofile, dà luogo a formazioni di entità tipicamente acidofile,<br />
come ad esempio la Genista tinctoria, la G. germanica, la ginestra <strong>dei</strong> carbonai,<br />
il ginestrone spinoso, l’erica scoparia, il brugo, alcune rose selvatiche, la<br />
felce aquilina e, più in quota, il mirtillo.