Documento allegato - Turin D@ms Review
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ALMA<br />
TADEMA<br />
E LA NO<br />
STALGIA<br />
DELL’<br />
ANTICO<br />
torna all’indice →<br />
→ Comunicato stampa<br />
→ Informazioni tecniche<br />
→ Colophon<br />
→ Testi istituzionali<br />
→ Saggi dal catalogo:<br />
→ Carlo Sisi<br />
Fra Babilonia e Pompei.<br />
Teoria e immaginazione dell’antico.<br />
→ Eugenia Querci<br />
Nostalgia dell’antico.<br />
Alma-Tadema e l’arte neopompeiana in Italia.<br />
→ Nadia Murolo<br />
Materiali archeologici nei quadri<br />
di Alma-Tadema: alcune considerazioni.<br />
→ Biografia Alma Tadema<br />
→ Sezioni della mostra<br />
→ Elenco delle opere in mostra<br />
→ Scheda catalogo<br />
→ Scheda Compagnia di San Paolo<br />
indice
ALMA<br />
TADEMA<br />
E LA NO<br />
STALGIA<br />
DELL’<br />
ANTICO<br />
torna all’indice →<br />
Alma-Tadema<br />
e la nostalgia dell’antico<br />
Napoli, Museo Archeologico Nazionale<br />
19 ottobre 2007 - 31 marzo 2008<br />
comunicato stampa<br />
Le suggestive scoperte archeologiche di Pompei e dell’area vesuviana,<br />
oggetto di scavi approfonditi nel corso dell’Ottocento, hanno esercitato un<br />
influsso fortissimo sull’immaginario di pittori e scrittori nel corso del secolo,<br />
restituendo un’immagine vivida e straordinariamente presente del<br />
mondo antico, con la sua realtà sociale, politica, quotidiana e artistica.<br />
Alma-Tadema e la nostalgia dell’antico è la mostra promossa dalla<br />
Regione Campania nell’ambito della rassegna “Eventi in Campania 2007”<br />
e dalla Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della<br />
Campania con il sostegno della Compagnia di San Paolo, curata da<br />
Stefano De Caro, Eugenia Querci, Carlo Sisi.<br />
L’esposizione traccia per la prima volta un panorama dello sviluppo della<br />
pittura neopompeiana in Italia, collocandola in un più ampio contesto<br />
internazionale e ponendola a colloquio con le opere del principale e più<br />
riconosciuto cultore del genere: l’artista di nascita olandese, inglese<br />
d’adozione, Lawrence Alma-Tadema (1836-1912). I quattordici “quadrimuseo”<br />
dell’artista rappresentano una straordinaria rinascita del mondo<br />
romano (e in parte minore, greco), con tutto il corredo di antiche suppellettili,<br />
abiti raffinati, ambienti impreziositi da marmi e tripudi di fiori. Con<br />
tecnica raffinata e disegno meticoloso, egli evoca il sogno di un mondo<br />
popolato di donne dall’assorta bellezza, dove la corporea materialità delle<br />
rappresentazioni elude il distaccato idealismo neoclassico e rende struggente<br />
e reale la nostalgia dell’antico. Grazie alla profonda conoscenza<br />
archeologica e letteraria dell’antichità classica, egli riesce a far rivivere, in<br />
una chiave finemente estetizzante, un mondo ormai perduto, dove le<br />
scene del quotidiano assumono le sfumature del mito.<br />
Le monumentali vestigia di Roma, ma ancora di più le rovine e i reperti provenienti<br />
da Pompei, Ercolano e da tutta l’area vesuviana, sono le fonti<br />
d’ispirazione non solo per Alma-Tadema, ma anche per l’ampia schiera di<br />
artisti italiani e stranieri (sessanta opere in mostra) che si accostano al<br />
genere neopompeiano. La loro pittura è destinata ad un ceto alto borghese<br />
che ama riconoscersi, nobilitando così i propri vizi e virtù, nei riti e nei<br />
costumi di una società ormai remota ma anche riproposta nel presente grazie<br />
ai reperti archeologici le cui scoperte erano largamente pubblicizzate.
ALMA<br />
TADEMA<br />
E LA NO<br />
STALGIA<br />
DELL’<br />
ANTICO<br />
torna all’indice →<br />
Il Museo archeologico Nazionale di Napoli, che ospita la mostra, raccoglie<br />
una delle più prestigiose collezioni archeologiche del mondo e custodisce<br />
molti dei preziosi reperti citati, rievocati, rielaborati nei dipinti<br />
degli artisti italiani e di Alma-Tadema.<br />
Una selezione di tali materiali (una cinquantina di reperti archeologici) provenienti<br />
dagli scavi vesuviani (statue, tripodi, candelabri, affreschi) sarà presentata<br />
in mostra, spesso a confronto con i dipinti che ne hanno tratto ispirazione.<br />
Tra le opere archeologiche alcuni arredi pompeiani, soprattutto<br />
bronzi e argenti, vengono esposti per la prima volta dopo essere stati sottoposti<br />
a dedicati interventi di restauro.<br />
Il percorso della mostra, che dedica ampio spazio alla scuola italiana<br />
(Gigante, Palizzi, Muzzioli, Maccari, Miola, Morelli, D’Orsi, Netti,<br />
Bargellini), prende le mosse dai dipinti che ritraggono paesaggi archeologici<br />
(gli scavi di Pompei, gli interni delle case, le scavatrici al lavoro, i turisti<br />
in visita), interpretati in chiave verista o più sottilmente evocativa, per<br />
poi passare, attraverso un salto temporale e logico, alla materiale rievocazione<br />
di quegli antichi luoghi e ambienti, ricostruiti e di nuovo popolati dai<br />
loro abitanti.<br />
L’ampia sezione dedicata alla dimensione quotidiana mostra al visitatore<br />
il ridestarsi delle antiche botteghe, la vita di padroni e clientes, le<br />
scene d’intimità femminile, i rituali religiosi, gli intrattenimenti gladiatorii,<br />
la vita alle terme: temi interpretati dai diversi artisti secondo una visione<br />
sempre peculiare. Si passa poi alle scene legate alla vita di personaggi<br />
storici e alla storia pubblica, per poi arrivare al cuore della mostra: una<br />
selezione di opere di Alma-Tadema, provenienti da importanti collezioni<br />
internazionali, pubbliche e private, dialoga con i materiali archeologici<br />
vesuviani che più hanno agito sull’immaginazione dell’artista.<br />
Completa il percorso espositivo una scelta di documenti e di oggetti<br />
d’arte decorativa del XIX secolo (tavoli, ceramiche), anch’essa ispirata<br />
alle scoperte archeologiche e alla rievocazione dell’antico.<br />
Il catalogo della mostra è edito dalla casa editrice Electa.
ALMA<br />
TADEMA<br />
E LA NO<br />
STALGIA<br />
DELL’<br />
ANTICO<br />
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Titolo Alma-Tadema e la nostalgia dell’antico<br />
Sede Museo Archeologico Nazionale di Napoli<br />
Periodo 19 ottobre 2007 - 31 marzo 2008<br />
Enti promotori Ministero per i Beni e le Attività Culturali<br />
Regione Campania<br />
Direzione Regionale per i Beni Culturali<br />
e Paesaggistici della Campania<br />
Soprintendenza per i Beni Archeologici<br />
di Napoli e Caserta<br />
Soprintendenza archeologica di Pompei<br />
con il sostegno della Compagnia di San Paolo<br />
Curatori della mostra Stefano De Caro<br />
Eugenia Querci<br />
Carlo Sisi<br />
Organizzazione<br />
e comunicazione<br />
Allestimento Corrado Anselmi, Milano<br />
Progetto grafico Tassinari/Vetta<br />
Sponsor tecnici In Più Broker, Arterìa<br />
Catalogo Electa<br />
Electa<br />
con la collaborazione di Civita<br />
Orari Dalle 9 alle 19.30. Chiuso martedì<br />
Tariffe la mostra è inserita nel circuito<br />
Campania Artecard<br />
informazioni tecniche<br />
Prenotazione obbligatoria per gruppi, scuole e visite didattiche<br />
tel. 848800288 /+ 39 081 4422149<br />
Sito internet www.archeona.arti.beniculturali.it<br />
www.electaweb.com<br />
Ufficio Stampa Electa<br />
Enrica Steffenini<br />
tel. +39 02 21563433<br />
elestamp@mondadori.it<br />
Carolina Perreca<br />
tel. +39 081 4297435<br />
comunicazione.napoli.electa@mondadori.it<br />
Soprintendenza archeologica di Pompei<br />
Francesca De Lucia e Raffaella Levèque<br />
tel. +39 081 2486112<br />
delev@iol.it
ALMA<br />
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E LA NO<br />
STALGIA<br />
DELL’<br />
ANTICO<br />
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Enti promotori<br />
Ministero per i Beni e<br />
le Attività Culturali<br />
Regione Campania,<br />
Assessorato al Turismo<br />
e ai Beni Culturali<br />
Direzione regionale per<br />
i Beni Culturali e<br />
Paesaggistici della<br />
Campania<br />
Soprintendenza per i<br />
Beni Archeologici delle<br />
Province di Napoli<br />
e Caserta<br />
Soprintendenza<br />
Archeologica di<br />
Pompei<br />
La mostra è stata<br />
promossa da<br />
Progetto co-finanziato<br />
dall’Unione Europea<br />
Asse II, misura 2.1<br />
POR Campania 2000-<br />
2006, Iniziative turistiche<br />
di rilevanza nazionale<br />
ed internazionale<br />
per l’annualità 2007<br />
“Eventi in Campania”<br />
Staff organizzativo<br />
regionale<br />
Ilva Pizzorno,<br />
Alessandro Porzio,<br />
Nadia Murolo,<br />
Gennaro Carotenuto,<br />
Antonio Ciampaglia,<br />
Antonio Ranauro,<br />
Rosalba Iodice<br />
con il sostegno della<br />
Comitato promotore<br />
On. Francesco Rutelli<br />
Ministro per i Beni e le<br />
Attività Culturali<br />
On. Antonio Bassolino<br />
Presidente della<br />
Regione Campania<br />
On. Marco Di Lello<br />
Assessore al Turismo e<br />
ai Beni Culturali della<br />
Regione Campania<br />
Stefano De Caro<br />
Direttore Generale per<br />
i Beni Archeologici<br />
Vittoria Garibaldi<br />
Direttore Regionale per<br />
i Beni Culturali e<br />
Paesaggistici della<br />
Campania<br />
Maria Luisa Nava<br />
Soprintendente per i<br />
Beni Archeologici<br />
delle Province di<br />
Napoli e Caserta<br />
Pietro Giovanni Guzzo<br />
Soprintendente<br />
Archeologo di Pompei<br />
Curatori della mostra<br />
Stefano De Caro<br />
Eugenia Querci<br />
Carlo Sisi<br />
Comitato scientifico<br />
Rosemary Barrow,<br />
Gianluca Berardi,<br />
Enrico Colle,<br />
Luisa Martorelli, Eric<br />
M. Moormann,<br />
Nadia Murolo,<br />
Giuseppe Pucci,<br />
Eugenia Querci,<br />
Carlo Sisi<br />
Comitato di<br />
coordinamento<br />
Maria Luisa Nava<br />
Maria Rosaria Borriello<br />
Luisa Melillo<br />
Collaborazioni<br />
scientifiche<br />
Teresa Giove<br />
Marinella Lista<br />
Paola Rubino<br />
colophon<br />
Alma-Tadema e la nostalgia dell’antico<br />
19 ottobre 2007 - 31 marzo 2008<br />
Coordinamento<br />
per la sicurezza<br />
Angelo Maisto<br />
Antonio Coppola<br />
Segreteria tecnica<br />
Lisa Rapone<br />
Segreteria<br />
Vincenza Chianese,<br />
Patrizia Cilenti
ALMA<br />
TADEMA<br />
E LA NO<br />
STALGIA<br />
DELL’<br />
ANTICO<br />
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Enti prestatori<br />
Accademia di Belle Arti<br />
“Pietro Vannucci”,<br />
Perugia<br />
Biblioteca Nazionale<br />
“Vittorio Emanuele III”,<br />
Napoli<br />
Bloomsbury Auction,<br />
Roma<br />
Cecil Higgins Art<br />
Gallery, Bedford<br />
Civico Museo Revoltella<br />
Galleria d’Arte Moderna,<br />
Trieste<br />
Collezione Pérez Simón,<br />
Città del Messico<br />
Comune di Capua<br />
Dahesh Museum of Art,<br />
New York<br />
Galleria Vittoria<br />
Colonna, Napoli<br />
Galleria d’Arte<br />
Ferdinando Donzelli,<br />
Firenze<br />
Galleria d’Arte Moderna,<br />
Milano<br />
Gallerie d’Arte Moderna<br />
e Contemporanea di<br />
Ferrara<br />
Hamburger Kunsthalle<br />
Hood Museum of Art,<br />
Dartmouth College,<br />
Hanover<br />
Indiana University Art<br />
Museum, Bloomington<br />
Musée d’Orsay, Parigi<br />
Musei Civici di Asti<br />
Museo Civico di Castel<br />
Nuovo, Napoli<br />
Museo Correale di<br />
Terranova, Sorrento<br />
Museo Civico d’Arte,<br />
Modena<br />
Museo della Tarsia<br />
Lignea, Sorrento<br />
Museu Nacional d’Art<br />
de Catalunya, Barcellona<br />
Phoenix Art Museum<br />
Philadelphia Museum<br />
of Art<br />
Provincia di Napoli<br />
Royal Academy of Arts,<br />
Londra<br />
Intesa San Paolo -<br />
Sistema Museale<br />
Provinciale di Foggia<br />
Soprintendenza alla<br />
Galleria Nazionale<br />
d’Arte Moderna e<br />
Contemporanea di<br />
Roma<br />
Soprintendenza<br />
Archeologica di Pompei<br />
Soprintendenza per il<br />
patrimonio storico<br />
artistico e<br />
demoetnoantropologico<br />
per le Province di<br />
Milano Bergamo Como<br />
Lecco Lodi Pavia<br />
Sondrio Varese<br />
Soprintendenza Speciale<br />
per il Polo Museale<br />
Fiorentino<br />
Soprintendenza Speciale<br />
per il Polo Museale<br />
Napoletano<br />
Sovraintendenza ai Beni<br />
Culturali del Comune di<br />
Roma<br />
Testi e schede di<br />
Rosemary Barrow (RB)<br />
Gianluca Berardi<br />
Enrico Colle (EC)<br />
Anna Maria Damigella<br />
(AMD)<br />
Graziella Fotìa (GF)<br />
Alba Irollo (AI)<br />
Elena Lazzarini (EL)<br />
Luisa Martorelli (LM)<br />
Maria Benedetta<br />
Matucci (MBM)<br />
Andrea Milanese<br />
Eric M. Moormann<br />
Mariaserena Mormone<br />
(MM)<br />
Nadia Murolo<br />
Claudia Palazzolo<br />
Olivares (CPO)<br />
Francesco Picca (FP)<br />
Patrizia Piscitello (PP)<br />
Giuseppe Pucci<br />
Eugenia Querci (EQ)<br />
Teresa Sacchi Lodispoto<br />
(TSL)<br />
Carlo Sisi<br />
Sabrina Spinazzè (SS)<br />
Le didascalie dei<br />
materiali archeologici<br />
sono di Tiziana Rocco.<br />
Le schede<br />
contrassegnate<br />
dall’asterisco * sono<br />
relative a opere non in<br />
mostra.<br />
Tutte le opere di Alma-<br />
Tadema in catalogo<br />
sono identificate in<br />
base all’Opus Number<br />
assegnato dall’artista e<br />
pubblicato nel catalogo<br />
generale della sua opera<br />
(Swanson 1990).<br />
Il prestito del dipinto di<br />
Lawrence<br />
Alma-Tadema Un<br />
altarino,1883,<br />
acquerello, cm 34,7 x<br />
17,3, Cecil Higgins Art<br />
Gallery, Bedford, è stato<br />
concesso a catalogo<br />
ormai chiuso.<br />
L’opera è pertanto<br />
presente in mostra, ma<br />
non riprodotta in<br />
catalogo.<br />
Organizzazione e<br />
comunicazione<br />
Coordinamento<br />
tecnico-organizzativo<br />
Tiziana Rocco<br />
Collaborazione<br />
all’organizzazione<br />
Luigi Mammoccio<br />
Ufficio stampa<br />
Ilaria Maggi ed Enrica<br />
Steffenini, Electa<br />
Francesca De Lucia<br />
e Raffaella Levêque,<br />
Soprintendenza<br />
Archeologica di Pompei
ALMA<br />
TADEMA<br />
E LA NO<br />
STALGIA<br />
DELL’<br />
ANTICO<br />
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Exhibit design e<br />
coordinamento<br />
generale<br />
Corrado Anselmi<br />
Realizzazione<br />
dell’allestimento<br />
Meloni Fabrizio srl<br />
con Enrico Vandeli<br />
Progetto della grafica<br />
in mostra<br />
Tassinari/Vetta<br />
Apparato didascalico<br />
Eugenia Querci<br />
Tiziana Rocco<br />
Trasporti<br />
Sponsor tecnico<br />
Assicurazioni<br />
Axa Art D’Ippolito C. &<br />
Lorenzano R. sas<br />
Axa Service<br />
Assicurazioni,<br />
Scandicci<br />
Progress Insurance<br />
Broker srl<br />
Broker ufficiale della<br />
Manifestazione<br />
e sponsor tecnico:<br />
Coperture Assicurative<br />
INA Assitalia Spa<br />
Axa Arte<br />
Lloyd's<br />
Restauri<br />
Laboratorio di restauro<br />
della Soprintendenza<br />
per i Beni Archeologici<br />
delle Province di<br />
Napoli e Caserta<br />
Laboratorio di restauro<br />
della Soprintendenza<br />
per il Polo Museale<br />
Napoletano<br />
Studio di<br />
Conservazione e<br />
Restauro d’Opere<br />
d’Arte di Federico<br />
Tempesta, Firenze<br />
Si ringraziano<br />
vivamente tutti gli enti<br />
prestatori,<br />
i collezionisti che<br />
hanno preferito<br />
rimanere anonimi e<br />
tutti coloro che, a vario<br />
titolo, hanno<br />
contribuito allo<br />
sviluppo e alla buona<br />
riuscita<br />
del progetto espositivo<br />
Ana Ara<br />
Antiche Gallerie d’Arte<br />
“ Il Magnifico”, Firenze<br />
Archivio<br />
dell’Ottocento romano<br />
Maria Teresa Benedetti<br />
Laura Benini<br />
Giorgio Bompiani<br />
Mirco Bonfiglioli<br />
Rosario Caputo<br />
Angela Cipriani<br />
Gianluca Confessore<br />
Giancarlo Cosenza<br />
Sofia Crifò<br />
Elena Di Majo<br />
Mercé Doñate<br />
Laura Feliciotti<br />
Ivo Ferraguti<br />
Sandro Fiorentino<br />
Dalma Frascarelli<br />
Luisa Fucito<br />
Manuel García Guatas<br />
Giuliana Gargiulo<br />
Michele Gargiulo<br />
Giovanna Giusti<br />
Riccardo Helg<br />
Vittoria Kienerk<br />
Matteo Lafranconi<br />
Claudia La Malfa<br />
Lola Landa<br />
Maria Paola Maino<br />
Aide Maltagliati<br />
Bruno Mantura<br />
Sonia Marcelli<br />
Anna Maria Marmo<br />
Jerzy Miziolek<br />
Alida Moltedo<br />
Giorgia Montesano<br />
Maurizio Morragreco<br />
Emanuele Natangelo<br />
Eleonora Nunziante<br />
Charles O’Brien<br />
Alberto Olivetti<br />
Anna Querci<br />
Sandra Romito<br />
Krystyna Sadowska<br />
Gaetano Sarnelli<br />
Michela Sartorio<br />
Antonella Sbrilli<br />
Annalisa Scarpa<br />
Angelo Terruzzi<br />
Javier Barón<br />
Thaidigsmann<br />
Anna Maria Troili<br />
Dominika<br />
Wronikowska<br />
Marisa Volpi<br />
Un ringraziamento<br />
particolare<br />
a Juan Antonio Pérez<br />
Simón per la generosa<br />
e fondamentale<br />
collaborazione.
ALMA<br />
TADEMA<br />
E LA NO<br />
STALGIA<br />
DELL’<br />
ANTICO<br />
torna all’indice →<br />
testi istituzionali<br />
Saluto con grande interesse e soddisfazione questo importante evento<br />
espositivo. Ancora una volta, dopo il ciclo di mostre “Un Anno al Museo”,<br />
assistiamo a un evento culturale di ampio respiro al Museo Archeologico<br />
Nazionale di Napoli, frutto di un’intensa collaborazione tra le due<br />
Soprintendenze per i Beni Archeologici di Napoli e Caserta e di Pompei,<br />
sotto l’egida della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici<br />
della Campania e in sinergia con l’Assessorato al Turismo e ai Beni Culturali<br />
della Regione Campania, che lo ha inserito nella rassegna “Eventi in<br />
Campania 2007”.<br />
Iniziative come la mostra Alma-Tadema e la nostalgia dell’antico assecondano<br />
e favoriscono un processo, ormai avviato nella città campana, di<br />
riappropriazione del proprio primato intellettuale e culturale; un processo<br />
che questo governo intende favorire e determinare tramite scelte e atti<br />
concreti. L’originalità e il taglio internazionale dato al progetto, così come<br />
l’aspetto interdisciplinare che lo contraddistingue, sapranno incontrare il<br />
favore di un pubblico ampio e diversificato, che potrà ammirare, in un’unica<br />
irripetibile occasione, opere pittoriche e scultoree provenienti da tutta<br />
Italia e dall’estero, ma anche reperti archeologici custoditi da una sede<br />
prestigiosa come il Museo Archeologico Nazionale di Napoli.<br />
La mostra affronta il tema della pittura neopompeiana e del suo più noto<br />
rappresentante, Sir Lawrence Alma-Tadema. Si tratta di un’importante<br />
operazione culturale e di una preziosa risorsa turistica per Napoli e il territorio<br />
campano, luoghi che ancora oggi, come allora nei dipinti di Alma-<br />
Tadema, costituiscono un cuore vitale, plurimillenario, delle culture mediterranee.<br />
Auguro il più grande successo di pubblico ed esprimo l’apprezzamento<br />
e le più vive congratulazioni del Ministero.<br />
Francesco Rutelli<br />
Vice Presidente del Consiglio e Ministro per i Beni e le Attività Culturali
ALMA<br />
TADEMA<br />
E LA NO<br />
STALGIA<br />
DELL’<br />
ANTICO<br />
torna all’indice →<br />
I siti archeologici di Pompei ed Ercolano, fin dai primi ritrovamenti risalenti<br />
a oltre due secoli fa, sono stati fonte d’ispirazione e materia di elaborazione<br />
per il movimento artistico e intellettuale europeo. In particolare,<br />
l’Ottocento reca tracce indelebili delle molteplici e complesse suggestioni<br />
che questo scorcio di Campania ha saputo regalare al talento e all’opera<br />
di numerosi artisti. È per questo motivo che la Regione Campania, nell’ambito<br />
della rassegna “Eventi in Campania 2007”, in collaborazione con<br />
la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici, ha voluto dedicare<br />
una mostra ai capolavori di Lawrence Alma-Tadema, un autentico<br />
punto di riferimento di tutta la pittura neopompeiana. I “quadri-museo”<br />
dell’artista anglo-olandese, vissuto a cavallo tra l’Ottocento e il<br />
Novecento, propongono la rievocazione del vissuto quotidiano di venti<br />
secoli fa in una combinazione tra sogno, mito e realtà. La mostra è arricchita<br />
dalle opere di altri importanti autori della scuola italiana della pittura<br />
neopompeiana (Gigante, Palizzi, Muzzioli, Maccari, Miola, Morelli,<br />
D’Orsi, Netti, Bargellini) oltre che dai numerosi reperti depositati al Museo<br />
Archeologico Nazionale di Napoli. Ogni opera moderna viene, infatti,<br />
affiancata dal ritrovamento antico da cui ha tratto ispirazione, andando<br />
così a ricostruire il percorso di rielaborazione artistica compiuto dall’autore.<br />
Si tratta di un’idea assolutamente originale poiché ricrea le condizioni<br />
stesse entro le quali l’opera è nata.<br />
Questa mostra, d’altro canto, è l’ulteriore dimostrazione di quanto ampio,<br />
ricco e importante sia il patrimonio artistico e culturale della Campania.<br />
Attraverso iniziative ed eventi come questo, stiamo lavorando affinché<br />
esso diventi sempre di più il nostro valore aggiunto per creare sviluppo,<br />
valorizzando il meglio dei nostri territori. Ci sono, infatti, tutte le condizioni<br />
per far diventare questa regione un punto di riferimento mediterraneo<br />
nel panorama dell’evoluzione dei gusti e delle tendenze artistiche. Su questa<br />
strada continueremo a impegnarci in un rapporto di collaborazione<br />
con le altre istituzioni e con tutti coloro che sono impegnati nel mondo<br />
della cultura e dell’arte.<br />
Antonio Bassolino<br />
Presidente della Regione Campania
ALMA<br />
TADEMA<br />
E LA NO<br />
STALGIA<br />
DELL’<br />
ANTICO<br />
torna all’indice →<br />
La mostra Alma-Tadema e la nostalgia dell’antico non poteva non essere<br />
ospitata nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli, e quindi sostenuta<br />
dall’Assessorato Regionale al Turismo e ai Beni Culturali della Regione, che<br />
da anni è impegnato nella valorizzazione del patrimonio archeologico e<br />
monumentale in sinergia con le altre Istituzioni: la Campania è il punto<br />
d’incontro della cultura che la mostra vuole raccontare. Dal 2000 numerose<br />
le mostre realizzate per la promozione turistica della regione. Così, da<br />
poco conclusa Ambre. Trasparenze dall’antico, che ha ottenuto l’apprezzamento<br />
del pubblico, si apre un’altra significativa esposizione, in cartellone<br />
per cinque mesi, per ricordare come le suggestive scoperte archeologiche<br />
di Pompei e dell’area vesuviana, oggetto di scavi approfonditi nel corso<br />
dell’Ottocento, abbiano esercitato un influsso fortissimo sull’immaginario<br />
di pittori e scrittori nel corso del secolo, restituendo un’immagine vivida e<br />
straordinariamente presente del mondo antico.<br />
Esperienze antiche, di enorme importanza culturale, sospinte sia da interesse<br />
propriamente scientifico sia da impulsi più vicini al collezionismo.<br />
Alma-Tadema propone la rinascita del mondo antico, soprattutto romano,<br />
con una tecnica raffinata. Quasi paradossalmente la “nostalgia dell’antico”<br />
viene in Alma-Tadema interpretata in chiave “verista”, coerentemente con<br />
quanto avviene in altri autori che, con soggetti diversi, si aprono a una cultura<br />
romantica. L’artista di origine olandese ricerca invece il mito nel quotidiano,<br />
facendo rivivere l’antico in una chiave finemente estetizzante.<br />
E far rivivere l’antico può servire ai contemporanei a realizzare iniziative<br />
culturali idonee a potenziare l’offerta artistica perché, come abbiamo più<br />
volte sottolineato, in Campania l’arte conta, e con eventi come Alma-<br />
Tadema e la nostalgia dell’antico conta ogni anno sempre di più.<br />
Marco Di Lello<br />
Assessore al Turismo e ai Beni Culturali della Regione Campania
ALMA<br />
TADEMA<br />
E LA NO<br />
STALGIA<br />
DELL’<br />
ANTICO<br />
torna all’indice →<br />
Al valore culturale, all’interesse storico-artistico e al fascino che proverà il<br />
visitatore di questa mostra si unisce un motivo di grande soddisfazione<br />
per la Direzione Regionale ai Beni Culturali e Paesaggistici della Campania.<br />
L’esposizione nasce infatti da un progetto congiunto con le due<br />
Soprintendenze per i Beni Archeologici di Napoli e Caserta e di Pompei,<br />
che l’hanno fortemente voluta e si sono impegnate per realizzarla. Grande<br />
riconoscenza va alla Regione Campania che, nel consolidato quadro della<br />
collaborazione con questa Direzione, ha incluso la mostra nei suoi programmi<br />
di valorizzazione e fruizione turistica “Eventi in Campania 2007”,<br />
consentendone la realizzazione, cui ha contribuito anche la Compagnia di<br />
San Paolo con la sua consueta generosità, già mostrata per precedenti<br />
mostre al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. A tutti va il mio ringraziamento<br />
per il lavoro di sinergia che fin qui si è svolto.<br />
L’esposizione che si presenta ha come obiettivo quello di ricostruire il quadro<br />
iconografico della ricezione dell’antichità classica nel corso del secondo<br />
Ottocento: a partire dal caposcuola Alma-Tadema, attraverso il ricco<br />
filone italiano.<br />
L’argomento è affrontato nelle sue diverse sfaccettature interpretative,<br />
dando perciò spazio anche alla pittura di storia, ispirata dalle evidenze<br />
documentarie e archeologiche del mondo classico, ma anche ai dipinti e<br />
alle rilevazioni eseguite dal vero nei siti archeologici di maggior rilievo da<br />
artisti, architetti e disegnatori professionisti.<br />
Il cuore della mostra è rappresentato da una selezione di opere di Alma-<br />
Tadema che, con tecnica raffinata e disegno meticoloso, evoca il sogno di<br />
un mondo popolato di donne dall’assorta bellezza, dove la corporea materialità<br />
delle rappresentazioni elude il distaccato idealismo neoclassico e<br />
rende struggente e reale la nostalgia dell’antico.<br />
Grazie alla profonda conoscenza archeologica e letteraria dell’antichità<br />
classica, egli riesce a far rivivere, in una chiave finemente estetizzante, un<br />
mondo ormai perduto, dove le scene del quotidiano assumono le sfumature<br />
del mito.<br />
Le monumentali vestigia di Roma, ma ancora di più le rovine e i reperti<br />
provenienti da Pompei, Ercolano e da tutta l’area vesuviana, sono le fonti<br />
d’ispirazione non solo per Alma-Tadema, ma anche per l’ampia schiera di<br />
artisti italiani e stranieri che si accostano al genere neopompeiano. La loro<br />
pittura è destinata a confermare sentimenti nazionali e, ancor più, esotismo<br />
antichizzante, di un ceto alto-borghese che ama riconoscervisi, nobilitando<br />
così i propri vizi e virtù, nei riti e nei costumi di una società ormai<br />
remota ma anche riproposta nel presente grazie ai reperti archeologici le<br />
cui scoperte erano largamente pubblicizzate.<br />
Il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, che ospita la mostra, raccoglie<br />
una delle più prestigiose collezioni archeologiche del mondo e custodisce
ALMA<br />
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DELL’<br />
ANTICO<br />
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molti dei preziosi reperti citati, rievocati, rielaborati nei dipinti degli artisti<br />
italiani e di Alma-Tadema.<br />
Il percorso espositivo, che dedica ampio spazio alla scuola italiana, prende<br />
le mosse dai dipinti che ritraggono paesaggi archeologici per poi passare<br />
a trattare il tema della dimensione quotidiana e le scene di storia<br />
pubblica. Completa una scelta di documenti e di arte decorativa del XIX<br />
secolo, anch’essa ispirata alle scoperte archeologiche e alla rievocazione<br />
dell’antico. Il tema della mostra, finora rimasto ristretto all’ambito degli<br />
specialisti di storia dell’arte dell’Ottocento e degli archeologi, viene ora<br />
presentato al pubblico, per la prima volta in Italia.<br />
È un onore poter presentare capolavori e opere meno note, ma ugualmente<br />
importanti, in connessione con una selezione di materiali archeologici<br />
del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, che hanno affascinato e<br />
influenzato la produzione dei pittori neopompeiani.<br />
Un ringraziamento particolare va ai numerosi musei internazionali e<br />
nazionali e ai collezionisti privati, che con il prestito delle proprie opere<br />
hanno permesso la realizzazione dell’evento.<br />
Vittoria Garibaldi<br />
Direttore Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Campania
ALMA<br />
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DELL’<br />
ANTICO<br />
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Il risultato lusinghiero ottenuto con il numero di visitatori dell’ultima<br />
mostra del Museo Archeologico Nazionale di Napoli nell’ambito della rassegna<br />
“Un Anno al Museo”, che la Soprintendenza per i Beni Archeologici<br />
per le Province di Napoli e Caserta ha fortemente promosso di intesa con<br />
la Regione Campania, premia lo sforzo congiunto delle Istituzioni che<br />
hanno inteso offrire al pubblico una serie di eventi di altissima qualità.<br />
Tra queste la punta di diamante è stata la mostra sull’ambra, per la novità<br />
dell’argomento e i magnifici capolavori esposti, che hanno destato<br />
forte interesse nel pubblico italiano e straniero.<br />
Sono certa che la mostra che ora si presenta, Alma-Tadema e la nostalgia<br />
dell’antico, nata dalla feconda collaborazione tra le due Soprintendenze<br />
per i Beni Archeologici di Napoli e Caserta e di Pompei, sotto l’egida della<br />
Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Campania,<br />
otterrà i più ampi successi di critica e di pubblico, contribuendo a migliorare<br />
sensibilmente l’offerta turistica della Regione Campania, che non a<br />
caso ha sostenuto l’evento inserendolo nella rassegna “Eventi in<br />
Campania 2007”.<br />
La mostra traccia per la prima volta un panorama dello sviluppo della pittura<br />
neopompeiana in Italia, collocandola in un più ampio contesto internazionale<br />
e ponendola a colloquio con le opere del principale e più riconosciuto<br />
cultore del genere: l’artista di nascita olandese, inglese d’adozione,<br />
Lawrence Alma-Tadema (1836-1912). I “quadri-museo” dell’artista<br />
rappresentano una straordinaria rilettura del mondo romano, con tutto il<br />
corredo di antiche suppellettili, abiti raffinati, ambienti impreziositi da<br />
marmi e tripudi di fiori.<br />
Il lungo viaggio in Italia del 1863 fu per Alma-Tadema un’occasione<br />
importante per visitare i musei e i siti archeologici, e avere un approccio<br />
diretto con l’antichità. Visitando scavi e musei ebbe l’opportunità di selezionare<br />
i siti, le architetture e i reperti, di cui raccogliere successivamente<br />
la documentazione grafica e fotografica. Tra le antiche città vesuviane fu<br />
Pompei – la Pompei scavata e restaurata in quegli anni da Giuseppe<br />
Fiorelli – il set preferito delle ambientazioni di Alma-Tadema.<br />
Un importante strumento di documentazione per Alma-Tadema fu la<br />
fotografia. Il suo archivio era un vero e proprio database di materiali<br />
archeologici, greci e romani: sculture e decorazioni architettoniche, ma<br />
anche affreschi parietali delle città vesuviane. Tale “museo virtuale di<br />
reperti antichi”, insieme alla documentazione grafica, era uno strumento<br />
di lavoro essenziale per l’artista.<br />
Dopo il viaggio in Italia, la collezione fotografica, già iniziata in precedenza,<br />
si arricchì di numerose immagini dei reperti dagli scavi di Pompei ed<br />
Ercolano esposti al Museo Archeologico di Napoli. Sicuramente, accanto<br />
al British Museum di Londra, il Museo Archeologico di Napoli fu per Alma-
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ANTICO<br />
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Tadema un vero e proprio “manuale dell’antico”, rappresentando con la<br />
varietà di oggetti e materiali la sua fonte più importante e peculiare di<br />
documentazione per il numero e la particolarità degli oggetti. Alma-<br />
Tadema ebbe modo di conoscere le importanti collezioni della Magna<br />
Grecia, le sculture della collezione Farnese e, soprattutto, i numerosi<br />
reperti provenienti da Pompei e dalle città vesuviane. Questi erano presentati<br />
secondo i criteri museografici del tempo, ovvero suddivisi per classi<br />
di materiali e del tutto estrapolati dal loro contesto.Tale visione decontestualizzata,<br />
per classi di materiali, fu anch’essa fonte di ispirazione per<br />
l’utilizzo che il pittore faceva di questi reperti.<br />
Dei materiali del Museo Archeologico di Napoli circolavano anche numerose<br />
riproduzioni artigianali, che Alma-Tadema, come altri artisti<br />
dell’Ottocento, aveva acquistato, sia in scala sia in riproduzioni al vero. In<br />
particolare, l’artista possedeva bronzi degli ateliers Sommer e Chiurazzi,<br />
che detenevano il monopolio della riproduzione delle opere del Museo<br />
Archeologico di Napoli.<br />
Di tutto ciò intende dar conto la mostra, allestita accostando opere pittoriche,<br />
talora celebri di Alma-Tadema, in alcuni casi meno conosciute di<br />
artisti neopompeiani, a una selezione di materiali archeologici che ne<br />
hanno influenzato la produzione. Sono lieta di mostrare i risultati degli<br />
studi e delle ricerche da cui questa mostra scaturisce, grazie al lavoro<br />
comune tra Istituzioni e professionisti di grande qualità. Sono certa che la<br />
novità del tema trattato e la particolare rilettura dell’artista, operata dai<br />
curatori della mostra che ne hanno con sapienza confrontato e accostato<br />
le pitture ai reperti del Museo, saprà stimolare l’interesse del grande pubblico,<br />
decretando il pieno successo dell’iniziativa.<br />
Maria Luisa Nava<br />
Soprintendente per i Beni Archeologici delle Province di Napoli e Caserta
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La vita di Alma-Tadema trascorre tra l’edizione prima de Gli ultimi giorni<br />
di Pompei e la applicazione delle regole della Altertumswissenschaft.<br />
Dall’antiquaria che cede attenzione all’archeologia, al divenire di questa<br />
una disciplina normata. Ma non troviamo, e di certo non è da meravigliarsi,<br />
echi di questo percorso epistemologico nelle opere del Nostro. In quanto<br />
la sua libera creazione artistica può prendere spunto documentario da<br />
reperti antichi: ma non si può confondere lo spunto con l’ispirazione.<br />
Saremmo, ove ciò fosse avvenuto, di fronte a un illustratore di monumenti<br />
antichi: dagli incisori dei rami che compongono Le Antichità di Ercolano<br />
esposte agli acquarellisti che documentano gli affreschi vesuviani.<br />
Alma-Tadema sogna scene di vita ambientate in un’antichità che, per<br />
essere rigorosa nel dettaglio, rimane comunque fantastica e libera: è la sua<br />
antichità. Non quella che, in parallelo allo scorrere della sua vita e al moltiplicarsi<br />
delle sue opere, gli studiosi si sforzano di intendere in quella che<br />
ritengono sia stata l’originale essenza, grazie a nuovi scavi e scoperte e<br />
all’incessante critica filologica sui testi letterari antichi superstiti.<br />
Che Alma-Tadema abbia preferito, tra tutte le possibili fonti di ispirazione<br />
delle proprie creazioni artistiche, l’antichità classica, oltre che una casualità<br />
che forse gli esperti potranno studiare e chiarire, può essere riportato<br />
all’ultimo spunto di attenzione che la scoperta di Ercolano e Pompei ha<br />
indotto nell’Europa colta. A due generazioni abbondanti da quelle prime<br />
luminose scoperte, il romanzo di Bulwer-Lytton attualizza, e diffonde in<br />
ambienti non più solamente antiquari, l’antica vita disseppellita.<br />
L’accrescersi delle conoscenze, e proprio anche l’impiantarsi della tassonomia<br />
e della categorizzazione nel corso del XIX secolo, rende più articolato,<br />
e possiamo aggiungere oggettivo, quell’improvviso squarcio di luce<br />
sul passato. Che ha lasciato, allora, sbalorditi anche i più acuti fra quanti<br />
se ne sono interessati. Alma-Tadema normalizza visivamente quanto<br />
Bulwer-Lytton aveva, per primo, reso piano, attraverso la formula del<br />
romanzo, a molti lettori. Il tono fantasmatico potrebbe far ricordare Arria<br />
Marcella di Théophile Gautier: ed è segno del tempo che incalza, di una<br />
scienza che non si accontenta più solamente di raccogliere dati ma che<br />
preme per farne sistema, la più recente analisi freudiana della Gradiva. E,<br />
infatti, la pretesa oggettività del Nostro nel rendere gli arredi (così ci limitiamo<br />
a dire, ma Alma-Tadema avrebbe aggiunto e ambientazione generale<br />
e temi illustrati) tende a situare con precisione la libera creazione artistica,<br />
vincolandola, anche qui, a un sistema che gli austeri professori stanno<br />
costruendo, pezzo per pezzo.<br />
L’identificare l’autentico modello dal quale Alma-Tadema ha tratto ispirazione<br />
e documentazione è opera meritoria, ma attiene, se si consente un<br />
paragone, più alla registrazione dei dati climatici che allo studio della<br />
meteorologia. Può, al massimo, documentare rapidità di aggiornamento,
ALMA<br />
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DELL’<br />
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approfondimento delle conoscenze, abilità nell’utilizzazione iconografica<br />
complessiva. Ma senza sfiorare il livello artistico, che è quello che distingue<br />
Alma-Tadema dall’anonima, fitta schiera degli illustratori di monumenti<br />
antichi.<br />
Per gli archeologi di oggi c’è poco da imparare da quei dipinti; il pubblico<br />
più ampio può documentarsi più facilmente su internet. Ma quelle scene<br />
fiorite, rigorose e languide insieme, documentano del fascino e del richiamo<br />
che la visione dell’Antichità induce sulla fantasia artistica. Fosse solo<br />
questo il motivo, varrebbe lo sforzo di conservare quei vetusti monumenti,<br />
renderli noti e visitabili a tanti, illustrarli senza pedanterie.<br />
Fra i milioni di visitatori armati di videocamera potrebbe manifestarsi un<br />
secondo Alma-Tadema. Anche solo per questo, il nostro ingrato lavoro<br />
contro il tempo che erode, contro l’incuria di tanti che sconvolge, deve<br />
continuare a svolgersi.<br />
Pietro Giovanni Guzzo<br />
Soprintendente Archeologo di Pompei
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Fra Babilonia e Pompei.<br />
Teoria e immaginazione<br />
dell’antico.<br />
Carlo Sisi<br />
saggio dal catalogo<br />
In un quadro elegante di Gustave Boulanger (fig. 1) è rievocata la recita<br />
del Joueur de flûte e de La Femme de Diomède fatta nell’atrio pompeiano<br />
della casa del principe Napoleone in rue Montaigne a Parigi dagli attori del<br />
Théâtre Français, con la partecipazione di Théophile Gautier che aveva<br />
composto il Joueur come prologo alla pièce di Émile Auger. Gli attori abbigliati<br />
all’antica recitano sullo sfondo dell’architettura di Alfred Normand<br />
che, su sollecitazione dell’illustre committente, aveva costruito l’edificio<br />
ispirandosi alla villa di Diomede, alla Casa di Pansa e a quella del Poeta<br />
Tragico; e aveva affidato a Sébastien Cornu la decorazione delle pareti alla<br />
maniera del III stile illusionistico di Pompei. Il fatto di cronaca mondana,<br />
reso singolare dall’eccentricità dell’evento e dalla statura dei suoi protagonisti,<br />
avrebbe acquistato ulteriore aura dal duplice risultato cui programmaticamente<br />
aspirava la composizione pittorica: quello di essere un<br />
elegante travestimento di abitudini e di sentimenti moderni, e inoltre “une<br />
excursion ingénieuse [...] dans le domaine du passé”, come scrisse il critico<br />
La Fizelière nella sua recensione al Salon del 1861 1 .<br />
In effetti l’opera interpretava le aspirazioni di alcuni intellettuali del<br />
Secondo Impero disgustati dal ritmo del progresso e dalla banalità della<br />
vita quotidiana, tentati di conseguenza dal fascino di reclusioni immaginative<br />
e spirituali, da quella “maison de rêve” descritta dallo stesso<br />
Gautier in Mademoiselle de Maupin e tanto simile all’eremo pompeiano<br />
del principe Napoleone. Era in questi recinti metastorici e accessibili a<br />
pochi che giungevano infatti a maturazione le teorie di l’art pour l’art e,<br />
d’altra parte, veniva infranta l’intesa conformistica in base alla quale la<br />
cultura della Restaurazione aveva realizzato l’armonia – nella vita come<br />
nell’arte – fra particolare e generale, natura e istituzioni, presente e storia,<br />
esprimendo la passione immediata, coinvolgente e, in fondo, fiduciosa che<br />
era stata della civiltà romantica.<br />
Sempre nel 1861, Ingres lavorava al Bagno turco e, con l’immaginazione<br />
turbata dalla fragranza di promiscuità orientali, insinuava nel puro alabastro<br />
della forma raffaellesca quelle privatissime sensazioni che dovevano<br />
essere percepite ben oltre il selezionato circolo degli ingristes.<br />
Se si pensa infine che nel 1862 Flaubert pubblicava il romanzo ‘archeologico’<br />
Salammbô con l’intento di trasferire nel mito, disumanizzandolo,<br />
l’oscuro lamento del cuore e dei sensi oppressi dal grigiore della quotidia
ALMA<br />
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na fatica 2 , si può intendere compiutamente la temperatura elevatissima<br />
entro la quale si trovò a operare chi, in quegli anni, avesse inteso confrontarsi<br />
con un’arte che non chiedeva più la comprensione e l’assenso dei<br />
contemporanei ma si concentrava nello sforzo di costituirsi al di fuori dei<br />
rapporti di vita, di operare in traccia di ineffabili sintonie ricercate appunto<br />
nel rêve pompeiano, nel molle fascino dell’Oriente o nella brutale maestà<br />
di Cartagine.<br />
Questa diffusa predisposizione intellettuale ed estetica nei confronti della<br />
bellezza eletta e delle metafore del mito aveva prodotto, sin dagli anni<br />
Quaranta, le composizioni neogreche di Jean-Léon Gérôme e di Charles<br />
Gleyre e quelle, ambientate in scenari quasi cesellati e vividi di lapislazzuli,<br />
di Gustave Moreau. Le scelte giovanili di quest’ultimo, venuto a Roma<br />
per studiare il canone classico, maturarono proprio negli anni in cui l’esaltazione<br />
della libertà – e quindi di vie indipendenti invece che convergenti<br />
– aveva ammesso l’imposizione delle particolarità del sentimento nell’ampia<br />
gamma che poteva includere tutte le espressioni connesse con i<br />
sussulti dell’intimità liberata 3 ; quadri quali la Sera di Gleyre e i Giovani<br />
greci che fanno combattere i galli di Gérôme inducevano inoltre a pensare<br />
che la forma levigata e quasi astraente insegnata in Accademia per servire<br />
da antidoto alle grigie apparenze quotidiane fosse tuttavia capace di<br />
alimentare, in virtù della perfezione formale, pensieri anche inquietanti<br />
intorno alla resurrezione di civiltà sepolte 4 .<br />
La favolosa bellezza pagana dei nudi di Hippolyte Flandrin e di William<br />
Bouguereau – per restare nell’eletto contesto di l’art pour l’art e delle sue<br />
conseguenze nella cultura figurativa europea della seconda metà<br />
dell’Ottocento – trascende infatti l’ordinaria avvenenza del modello reale<br />
perché quei pittori vi seppero innestare fantasie letterarie alimentate<br />
dallo stesso bacino estetico nel quale sbocciarono gli Emaux et camées di<br />
Gautier; non diversamente da come Luigi Mussini, dipingendo nel 1855 il<br />
grande quadro raffigurante Eudoro e Cimodoce, saprà estrarre da Les<br />
Martyrs di Chateaubriand il giusto contemperamento degli affetti, riunendo<br />
nella frescura di un bosco arcadico la perfezione della bellezza antica e<br />
i trepidi sentimenti del cristianesimo rivalutato in tutti i suoi aspetti dalla<br />
castità metodologica del purismo e fatto oggetto, proprio a partire da<br />
quel giro d’anni, di avvincenti traslitterazioni romanzesche e figurative 5 .<br />
“O noble poésie du silence vivant et passionné! Bel art que celui qui, sous<br />
une enveloppe matérielle, miroir des beautés physiques, réfléchit également<br />
les grands élans de l’âme, de l’esprit, du cœur et de l’imagination et<br />
répond à ces besoins divins de l’être humain de tous les temps [...]” 6 .<br />
Queste righe scritte da Gustave Moreau sulla pagina di un album chiariscono<br />
il percorso creativo dell’artista che, resuscitando appunto i fantasmi<br />
del passato, attribuisce a quelle spoglie preziose e fragranti la forza
ALMA<br />
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espressiva della bellezza impassibile, la volontà di dire chiusa nell’ermetica<br />
avvenenza del gesto ineffabile e dell’allusione colta.<br />
Gli Ateniesi sacrificati al Minotauro (fig. 2), i Pretendenti, Le figlie di Tespio<br />
sono infatti le giovanili immaginazioni di un pittore sedotto dalla mitologia<br />
e fiducioso nelle capacità evocative della forma; così come il quadro<br />
di Alfred de Curzon, Un rêve dans les ruines de Pompéi. Les ombres des<br />
anciens habitants reviennent visiter leurs demeures (fig. 3), si configura<br />
come apice di questo indirizzo estetico coniugando magistralmente analogia<br />
formale e poesia, tanto che un critico contemporaneo, in vena di traslati<br />
letterari, proponeva di intitolare l’opera Songe d’une nuit d’été aux<br />
ruines de Pompéi e Théophile Gautier la recensiva quale parafrasi figurativa<br />
della sua Arria Marcella, ponendo così in evidenza le diverse matrici<br />
dell’ispirazione che diverranno di lì a poco viatico essenziale del pittore<br />
“neopompeiano”: “fantastique par les personnages qui ne sont que des<br />
ombres; réel par l’architecture qui a la solidité de la chose vraie” 7 .<br />
In virtù di questi pensieri e del dibattito critico sollecitato dalle sempre più<br />
frequenti apparizioni di opere d’arte aventi per soggetto le antiche civiltà,<br />
non passò inosservato all’Esposizione fiorentina del 1861 il Bagno pompeiano<br />
di Domenico Morelli (cat. 36) che avviava un genere ancora inconsueto<br />
per l’arte italiana di quegli anni; non a caso richiamando un celebre<br />
modello francese, il Tepidarium dipinto da Théodore Chassériau nel 1853,<br />
che restituiva alla sua originaria funzione la rovina di una delle sale del<br />
bagno pubblico presso la Porta di Stabia, dove un folto gruppo di giovani<br />
donne è ritornato a godere degli ozi sontuosi attribuiti per antonomasia<br />
agli abitanti di Pompei 8 .<br />
Chi, come Giuseppe Rovani, aveva potuto vedere il quadro di Morelli ancora<br />
nello studio milanese dell’artista, si era soffermato con agio ad ammirare<br />
le trasparenze ardite dei panni nell’ombra stillante dell’edificio, la<br />
fedeltà archeologica della ricostruzione architettonica, la “trascuratezza<br />
cercata” della pittura che dimostrava, anche nell’artista napoletano, la<br />
partecipazione commossa all’evocazione del tempo e del luogo 9 .<br />
Altri, come Yorick, intuirono i probabili debiti letterari, la traccia di letture<br />
capaci di dar nomi e caratteri alle bagnanti pompeiane: era forse tra esse<br />
– si chiedeva, nella sua recensione, il critico toscano – la figlia di Arrio<br />
Diomede, l’amante di Glauco dalle belle chiome, discesa a bagnarsi nelle<br />
terme pubbliche dalla sua splendida villa suburbana? L’integrazione narrativa<br />
avanzata da Yorick poteva in effetti coincidere con l’anastilosi letteraria<br />
operata nel romanzo di Bulwer-Lytton, in cui la risorta Pompei diviene<br />
scenario di passioni attuali, di episodi delineati col sussidio della letteratura<br />
classica e l’entusiasmo delle ininterrotte scoperte archeologiche:<br />
componenti, però, sottratte all’esame della filologia e consegnate all’avvincente<br />
arbitrio della ricostruzione romanzesca 10 .
ALMA<br />
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Nel traffico di una via assolata, nel quartiere delle botteghe, tra fioraie e<br />
servi indaffarati, bighelloni in veste di porpora e, a sfondo, brani di affreschi<br />
negli interni aperti alla vista, Glauco, il protagonista de Gli ultimi giorni<br />
di Pompei, si imbatte in Giulia, la più bella e la più ricca delle donne della<br />
città che, velata e seguita da due schiave, si sta avviando alle terme del<br />
Foro. Può darsi in effetti che da questo spunto narrativo Morelli traesse<br />
materia per la composizione del suo quadro e che rimanesse avvinto dalla<br />
lettura del romanzo, molto diffuso grazie alla frequenza delle sue numerose<br />
traduzioni, proprio per la convivenza in esso della finzione narrativa,<br />
riferita alle passioni dei protagonisti, e della verità storica, ricercata nella<br />
descrizione della città e dei suoi costumi; per cui vi si poteva leggere che<br />
gli abitanti di Pompei “escludevano volentieri la luce dell’ardente loro<br />
cielo, associando nei voluttuosi loro ritiri l’idea del lusso con quella delle<br />
tenebre” 11 . Fra il 1861 e il 1863 Morelli meditava un seguito della storia<br />
letta e poi dipinta con la mente accesa dalla tangibile evocazione dei luoghi,<br />
e poneva quindi mano alla forte istantanea di un triclinio dopo l’orgia<br />
12 , dove l’assopimento scomposto della crapula e la paziente sottomissione<br />
del giovane schiavo ci appaiono come pensieri attuali filtrati attraverso<br />
il fascino turbativo dell’ambientazione antica. Se da una parte la<br />
crudezza del tema avrebbe avuto conseguenze nella polemica restituzione<br />
della storia manifestata in opere, come i Parassiti di Achille D’Orsi (cat.<br />
30), che coniugavano il referto con le istanze sociali; non è d’altro canto<br />
improbabile che l’antitesi di bellezza e decadenza, implicita nella rappresentazione<br />
del soggetto morelliano, dipendesse anche da suggestioni ricavate<br />
dal ‘clima’ del quadro di Chassériau e da analoghi modelli francesi,<br />
come i Romani della decadenza di Thomas Couture 13 , dove l’antico diveniva<br />
tramite di pensieri ulteriori e di privatissime evasioni estetiche: in<br />
Morelli, però, alleviate dal sontuoso fardello parnassiano e animate da<br />
spunti di trepida realtà. Il calidarium delle terme vi appare dunque disadorno<br />
e quasi scabro, come appena estratto dalle secolari scorie del vulcano,<br />
e nella sua ombra il panno luminoso dà risalto alla grazia semplice<br />
della serva contadina; mentre i corpi riversi sul triclinio paion serbare<br />
memoria del groviglio di forme esanimi che Giuseppe Fiorelli estraeva in<br />
quegli anni dalle rovine della città 14 assecondando, attraverso l’impassibile<br />
indagine positiva, il sogno letterario e artistico cresciuto intorno alle<br />
vicende di quelle vite trapassate.<br />
Allora il dato aveva provocato la resurrezione di eventi trascorsi, immaginati<br />
e veri a un tempo (come voleva Morelli), per la pregnanza del referto,<br />
per le implicite suggestioni poetiche, per l’intimo fuoco che li aveva<br />
subito tradotti in impressioni di vita quotidiana, distanti dagli ineffabili<br />
colloqui fra révenants coltivati dai parnassiani francesi 15 . L’abbandono<br />
della monumentalità dell’antico e la sua subordinazione all’accidentalità
ALMA<br />
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dei fatti e dei caratteri, ai diversi pensieri che l’indagine sul vero sapeva<br />
dedurre dall’ambito letterario e dagli orizzonti inaspettati dischiusi dai<br />
nuovi metodi della ricerca archeologica, venivano conferendo anche a<br />
quel genere storico facoltà di introspezione, di spregiudicata inchiesta su<br />
bellezze antiche e decadenza, narrate come inquietudini presenti. La prefazione<br />
di Dall’Ongaro all’edizione fiorentina del Tito Vezio di Anselmo<br />
Rivalta adombra l’aspirazione ormai diffusa a recuperare da quegli inesauribili<br />
depositi della storia i vizi e le virtù che ne costituivano l’ininterrotta<br />
continuità – epoche in cui “agli elementi latini già trasformati e corrotti<br />
dalle conquiste, si venivano mescolando le cupe e misteriose superstizioni<br />
dell’Egitto e dell’Asia Minore, e l’arte greca e la mollezza orientale finivano<br />
di stemperare la ferrea fibra dei vincitori, già vinti” 16 –, e che potevano<br />
rendere vive e spiranti le reliquie del passato soltanto alla sensibilità di<br />
chi le avvicinasse con trasporto letterario, corroborato però dalla storicità<br />
e verità delle circostanze e dei luoghi: il dato appunto, che si contrapponeva,<br />
nell’arte italiana postunitaria, al sontuoso mito flaubertiano e<br />
all’estetismo evocativo di l’art pour l’art.<br />
Roma e Pompei offrirono a questo proposito scenari emozionanti all’officina<br />
di artisti e letterati convinti delle possibili analogie fra passato e presente,<br />
e il romanzo di Bulwer-Lytton – destinato ad avere grande successo<br />
in Italia grazie soprattutto alla traduzione di Francesco Cusani – rappresentò<br />
un campione di quella capacità evocativa basata sui dati dell’archeologia<br />
e della storia, ma subito rivolta a recuperare sensualità e moniti<br />
nutriti appunto dalla nostalgia di epoche restituite per frammenti alla<br />
conoscenza e alla sensibilità dei moderni 17 . Così, per fare un esempio, la<br />
scena in cui Jone sfiora il volto di Nidia per intuirne la celebrata bellezza,<br />
si avvale dell’immediato corrispettivo archeologico – la cosiddetta Psiche<br />
di Capua (fig. 4) – capace di immettere la finzione narrativa nel flusso dei<br />
dati verificabili: “Non aspettò la risposta Jone, ma parlando, passava lenta<br />
e lieve la mano sul volto chino e un po’ ritroso della greca: su quei lineamenti<br />
che solo un’immagine al mondo può ancora rappresentare e ricordare,<br />
una statua mutilata e pur sempre meravigliosa, della sua città nativa,<br />
della sua stessa Napoli; quel volto pario, innanzi al quale tutta la bellezza<br />
della Venere fiorentina è povera e terrena, quell’aspetto pieno d’armonia,<br />
di giovinezza, di genio, d’anima, in cui i moderni studiosi hanno<br />
creduto di riconoscere l’immagine di Psiche” 18 .<br />
Nel capitolo titolato L’anfiteatro, la descrizione dei ludi gladiatorii attesta,<br />
per fare un altro esempio, il meticoloso aggiornamento dello scrittore su<br />
quanto sino ad allora si sapeva intorno all’argomento: in compagnia dell’egiziano<br />
Arbace entriamo nel circo già gremito di spettatori in tutti i suoi<br />
ordini, dai popularia ai sedili più bassi destinati ai magistrati e agli insigniti<br />
di dignità senatoriale o equestre; siamo invitati a osservare i dipinti che
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ornano il parapetto e il velarium tessuto nella più candida tela di Puglia e<br />
ornato di ampie striature cremisi che, manovrato dai guardiani del circo,<br />
quel giorno non andava a posto come di consueto, “e poi che un largo<br />
squarcio di cielo rimaneva visibile in fondo al baldacchino, per l’ostinato<br />
rifiuto di una parte del velario di allearsi al resto, i mormorii di malcontento<br />
furono alti e generali”.<br />
Ma l’apparizione del rituale corteo dei gladiatori distrae il pubblico e in<br />
special modo impressiona le matrone, delle quali possiamo cogliere il concitato<br />
dialogo: “quello è un retiarius; è armato soltanto, vedi, d’una lancia<br />
a tre punte come un tridente e una rete; non porta armatura, solo la<br />
benda intorno al capo e la tunica. È un uomo fortissimo e combatterà con<br />
Sporo, quel gladiatore là, atticciato, con lo scudo rotondo e la spada sguainata,<br />
ma senza corazza; adesso non ha l’elmetto, perché gli si possa vedere<br />
il viso – com’è intrepido ! – ma a suo tempo calerà la visiera”. Grande<br />
effetto sortiscono poi due gladiatori a cavallo – “portavano la lancia e lo<br />
scudo rotondo splendidamente intarsiato; l’armatura era formata di<br />
bande di ferro intrecciate, ma copriva solo le cosce e il braccio destro;<br />
corti martelletti che arrivavano solo alla sella davano al costume un’aria<br />
pittoresca; le gambe erano nude, i sandali allacciati sopra la caviglia” – che<br />
preludono con le loro evoluzioni allo “spettacolo imponente e terribile”<br />
rievocato da Bulwer-Lytton attraverso una sequenza di dettagli e immagini<br />
19 in grado appunto di collegare, sul filo tesissimo della narrazione, le<br />
crudeltà del passato alle curiosità del lettore moderno in cerca di emozionanti<br />
affinità sul confine di immaginazione e di fedeltà archeologica. I<br />
soggetti gladiatorii dipinti da Jean-Léon Gérôme, a cominciare da Ave<br />
Caesar, morituri te salutant (1859, fig. 5), corrisposero in special modo a<br />
quella esigenza di contemperare fantasia colta e precisione narrativa<br />
intorno a un tema di forte coinvolgimento estetico e morale: la nostalgia<br />
per le epoche antiche – prima alimentata dalle forme elette di l’art pour<br />
l’art quindi dall’attenzione al dato dell’indirizzo realista – aveva portato<br />
infatti il pittore a introdurre nel quadro di storia le stesse analisi condotte<br />
in quegli anni in ambito letterario (si veda, nel dipinto, il velario inceppato<br />
che compare anche nel ricordato episodio degli Ultimi giorni di<br />
Pompei), ottenendo di conseguenza la resurrezione di eventi trascorsi per<br />
cui la precisione dello scenario architettonico e la corrispondenza storica<br />
delle armi e degli ornamenti, perfettamente resi dal magistero formale<br />
accademico, facevano quasi sentire al pubblico dei Salons lo strepito dell’anfiteatro<br />
e le grida canoniche: “jugula, ure, verbera!”. Del resto, già per i<br />
pittori neogreci, il tema scelto doveva essere viatico a integrazioni di<br />
diversa natura poiché, scriveva Edoardo Dalbono nella sua commemorazione<br />
di Gérôme, “invenzione non vuol dir soggetto, ma vuol dire quanto<br />
vede e aggiunge l’artista alla interpretazione del soggetto enunciato” 20 :
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che nel caso nostro significa rappresentare l’antico come scenario di passioni<br />
attuali, di episodi delineati col sussidio della letteratura classica e<br />
l’entusiasmo destato dalle sempre più frequenti scoperte archeologiche.<br />
Un’escursione a Pompei poteva del resto lasciare nell’artista l’impressione<br />
d’una vita da poco interrotta se ancora si vedevano dipinti sui muri gli<br />
avvisi di imminenti munera (“venti coppie di gladiatori appartenenti a<br />
Decimo Lucrezio Satrio Valente, sacerdote per la vita di Nerone, figlio di<br />
Cesare Augusto, e dieci coppie di gladiatori appartenenti a Decimo<br />
Lucrezio Valente suo figlio gareggeranno dall’8 al 12 aprile. Ci sarà un programma<br />
completo di combattimenti con bestie feroci e tende di riparo”);<br />
come pure una visita al Museo Nazionale di Napoli era la migliore occasione<br />
per arricchire il repertorio delle armi con la visione diretta di galeae,<br />
galerii, ocreae, baltei, lì raccolti insieme alle altre preziose testimonianze<br />
della civiltà pompeiana. Gérôme dà prova d’aver studiato quei reperti<br />
in una serie di statuette di gladiatori modellate con le attenzioni ricostruttive<br />
di un archeologo (cat. 33, 34), nel celeberrimo Pollice verso (1873) e<br />
nella monumentale scultura (1878) che dallo stesso dipinto ricava le sole<br />
figure del reziario e del mirmillone, dove più evidente appare la fedele<br />
riproduzione dell’elmo decorato con scene della caduta di Troia conservato<br />
nel Museo di Napoli, dettaglio che vincola entrambe le opere al dato<br />
storico ma dal quale esse traggono anche lo spunto per pensieri attuali filtrati<br />
attraverso il fascino turbativo dell’ambientazione antica 21 .<br />
“L’antichità non è morta nel mondo moderno; un ardore d’investigazioni<br />
s’è messo negli intelletti, e rimossi li schermi tra popolo e popolo, riceviamo<br />
per gli aperti spiragli come uno spirito nuovo; i pregiudizi di scuola boccheggiano<br />
tra le querimonie senili di chi sente sguizzarsi di mano la vita, e<br />
bestemmia, pur moribondo, la luce che gli spunta sugli occhi. Le lingue e le<br />
letterature sono già divenute problemi di storia e la storia una scienza.<br />
Abbiamo deposto, ed era già tempo, i logori calzari d’Arcadia in cui siam<br />
nati, per mettere i piedi nella sacra terra abitata dal vero” 22 . Neppure la filologia<br />
restava esente da quella partecipata indagine sulle vicende dell’antichità<br />
se, nel 1868, Gaetano Trezza preludeva al suo corso di letteratura latina<br />
con l’esortazione a introdurre il passato nello studio dei fenomeni<br />
umani essendo l’antico “parte organica del moderno” e il fatto un’evoluzione<br />
ideale di forme eterogenee e non una “specie stabile”, di riferimento<br />
assoluto. In contrasto aperto con la rigidità del dettato accademico, il<br />
richiamo agli studi classici come a linfe rigeneranti il pensiero moderno,<br />
lucrezianamente definite vitaï lampada, doveva dunque richiamare in vita<br />
i mondi defunti, e non tramite colte analogie ma attraverso la predisposizione<br />
sperimentale della cultura positiva, capace appunto di fondere il lirismo<br />
della tragedia classica con il realismo del dramma contemporaneo.
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Antonio Ciseri, impegnato dal 1873 a dipingere la grande scena dell’Ecce<br />
Homo! (fig. 6), avrebbe condiviso quella esplorazione del passato affidandosi<br />
alle pagine della Vie de Jésus di Ernest Renan, che gli consentiranno di<br />
evitare le convenzioni stilistiche e narrative della pittura sacra a favore,<br />
nell’ordine, dell’analisi imparziale delle fisionomie e delle attitudini; dell’oggettiva<br />
messa a fuoco del contesto architettonico, riprodotto con acribia<br />
archeologica; dello scandaglio dei sentimenti che rimanda alle inquietudini<br />
della civiltà di fine secolo, nel dipinto adombrate dalla fede o dal<br />
dubbio dei diversi protagonisti 23 .<br />
Sempre in quegli anni, Raffaello Sorbi (cat. 22 e fig. 7) dipingeva scene<br />
romane nelle quali il forte risalto dato alla descrizione degli ambienti – il<br />
più delle volte ricostruiti sotto la guida del prezioso repertorio di Guhl e<br />
Koner 24 – riverberava sugli episodi narrati suggestioni di verità, a loro volta<br />
accentuate dai ritratti attualissimi di uomini e donne coinvolti nell’avventura<br />
dell’atelier e divenuti attori di eventi che il pittore sottraeva all’epopea<br />
per convertirli in semplice dato di cronaca, in istantanea ricavata dall’accurata<br />
indagine sui costumi di Roma, spesso con un’ardita messa a<br />
fuoco di caratteristiche fisiche e morali.<br />
In linea con quanto accadeva nelle arti figurative, nella filologia positivista<br />
e, in sintesi, nel complice dialogo fra discipline diverse ma per molti<br />
aspetti affini, Giuseppe Rovani scriveva La giovinezza di Giulio Cesare componendo<br />
una sequenza di Scene romane nelle quali il recupero dei più<br />
minuti particolari della vita quotidiana e, insieme, la rappresentazione di<br />
stati passionali spesso anomali e patologici, miravano a studiare il protagonista<br />
come “umano poliedro” formato di qualità molteplici e opposte,<br />
non escluse le “debolezze e le aberrazioni del sentimento e del senso” 25 .<br />
Rovani intendeva innanzi tutto collegare con immediatezza attualizzante<br />
i fatti di Roma antica a quelli dell’esperienza contemporanea: sia nel<br />
descrivere la caratteristica dei luoghi – “Il Palatino era il quartiere dove<br />
sorgevano i palazzi del più vetusto patrizio romano (i nobiloni dei quattro<br />
quarti d’allora). Esso, come dice Ampère, era a Roma quel che il sobborgo<br />
St.Germain è a Parigi. Era la nostra Porta Nuova, il Borgo Nuovo, la via de’<br />
Bigli, la via Monforte; quel che si vuole insomma” 26 –, sia nel delineare icasticamente<br />
le peculiarità di famosi comprimari – “Allora giovane ancora<br />
(Sallustio) faceva quel che oggi si direbbe il giornalista, e redigeva coll’aiuto<br />
d’altri, e segnatamente di Cesare, il Commentarium rerum urbanarum;il<br />
Moniteur d’allora; perché Roma fu la prima ad avere una gazzetta [...]” 27 .<br />
A un livello più emozionante, la pagina letteraria condivide con la pittura<br />
espedienti cromatici e luministici che avvalorano l’indagine inquieta sui<br />
caratteri, come avviene in un episodio del romanzo di Rovani quando la<br />
luce lunare si posa sulle figure di Cesare e di Cetego “tagliando il viso di<br />
quest’ultimo, di maniera che la parte inferiore era in ombra, spiccando
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netta la superiore, la quale pareva uscire, come di soppiatto e sospettosa,<br />
da una selva densissima di capegli a larghe anella, che [...] insieme coi<br />
sopraccigli congiungentisi fitti all’inizio della linea nasale, davano un<br />
aspetto terribilmente fantastico a quella testa giovanile, cui Cesare artista<br />
ed esploratore di caratteri guardò a lungo” 28 . Sono i casi in cui la ricognizione<br />
archeologica e le componenti della narrazione subordinano il vero<br />
storico agli ‘squilibri’ dell’animo umano, alla predilezione scoperta per le<br />
anomalie e le abiezioni che connota il ribellismo di veristi e scapigliati e<br />
dà materia a nuove interpretazioni della vita antica e dei suoi controversi<br />
personaggi, a cominciare da Nerone e dal sontuoso e tragico contesto<br />
delle sue azioni efferate. Applicando all’analisi dei fenomeni sociali e culturali<br />
dei suoi anni la scienza statistica, Domenico Gnoli trovava, per<br />
esempio, che le parole “orgia”, “ebbrezza”, “agonia”, “febbre”, “convulsione”,<br />
erano divenute così frequenti in letteratura da costituire un lessico<br />
poetico della trasgressione, ammesso là dove prima quelle stesse parole<br />
rivestivano significati ributtanti 29 .<br />
Il quadro di Siemiradzki Le torce di Nerone viene allora portato a esempio<br />
della nuova attitudine a privilegiare gli affetti “che fan ballare i nervi”, rappresentando<br />
appunto l’efficace contrasto fra la tortura dei cristiani accusati<br />
dell’incendio di Roma e il sadismo dell’imperatore immerso nel lusso<br />
e nell’orgia: elegante nelle sue voluttà, quasi attraente nella sua ferocia,<br />
Nerone incarna in questo caso l’ideale dell’“essere diverso”, del “patire per<br />
eccezione” cui aspirava la cultura antiaccademica di quegli anni, tanto che<br />
l’Enobarbo diviene protagonista di drammi e di opere in musica – la più<br />
celebre quella composta da Arrigo Boito –, di quadri dipinti senza reticenze<br />
come quelli celebratissimi di Piloty e Kaulbach 30 , di poemi, come<br />
l’Ahasver in Rom di Robert Hamerling, i cui versi contengono l’esplicito<br />
richiamo al piacere incontrollato che gli scapigliati paragonavano ai desideri<br />
violenti e conflittuali della sensibilità moderna (“Altre ebbrezze or<br />
domandano i sensi; / Non la gioja, ma l’orgia furente / E dell’orgia gli strepiti<br />
immensi”) 31 .<br />
Accanto alla provocatoria riabilitazione di Nerone quale uomo in rivolta, i<br />
grandi eventi nei quali si fondevano coraggio e crudeltà davano adito a<br />
inaspettate metafore delle anomalie e dei conflitti sociali in atto nella<br />
società postunitaria: in campo artistico, la prevalenza di temi pompeiani<br />
e, più in generale, romani all’Esposizione di Napoli del 1877 32 rappresentò<br />
la massima affermazione di quel genere e di conseguenza la prima occasione<br />
ufficiale per motivare da un punto di vista critico l’ammissione del<br />
soggetto antico fra le questioni sollevate, da metà secolo, intorno all’autonomia<br />
dell’artista e al concetto di vero anche nelle rappresentazioni<br />
storiche. All’Esposizione di Torino del 1880 l’arte del boudoir sarà d’altra<br />
parte sconfitta dalla “verità non abietta” dei motivi ricavati dalla storia
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antica, tanto più che in quella occasione gli artisti avevano puntato su<br />
soggetti eroici e di esplicito significato morale e politico, come dimostrarono<br />
il gruppo Cum Spartaco pugnavit del massone Ettore Ferrari, che<br />
ribadiva l’interpretazione umanitaria dello Spartaco di Vincenzo Vela e gli<br />
spiriti libertari del popolare romanzo di Raffaello Giovagnoli; o come l’altro<br />
gruppo del Combattimento del reziario col mirmillone di Eugenio<br />
Maccagnini, che fissava in monumentale evidenza l’inesorabile destino<br />
dell’uomo sottoposto ai capricci del potere 33 .<br />
L’impegno ideologico aveva allora sollecitato un classicismo impervio e<br />
senza pregiudizi nella rappresentazione dello strazio, fosse stato quello<br />
dell’eroe proletario o del martire cristiano, e, di conseguenza, l’affondo<br />
spettacolare e il puntiglio didascalico dichiaravano di subordinare la forma<br />
alla preminenza del gesto retorico: un classicismo, si direbbe, di intonazione<br />
carducciana, tra “epodi” e “odi barbare”, che insieme al monito civile e<br />
alla vis polemica ammetteva tuttavia la bellezza oggettiva di rivisitazioni<br />
antiche “lavorate come una tazza greca”, oppure temperate al fuoco di<br />
un’immaginazione sontuosa (“Da i gradi alti del circo ammantellati / Di<br />
porpora, esse ritte / Ne i lunghi bissi, gli occhi dilatati, / Le pupille in giù<br />
fitte, / Abbassavano il pollice nervoso / De la mano gentile, / [...] / E le<br />
nipoti di Camilla, pria / Di cedere le mani / A i ferri, assaporavano l’agonia<br />
/ De’ cerulei Germani”) 34 .<br />
Episodi di crudeltà o di clemenza egualmente enfatizzati dallo scenario<br />
tumultuante dell’anfiteatro si potevano trovare rappresentati, negli anni<br />
Ottanta, in quadri molto graditi al mercato internazionale e ricercati<br />
soprattutto per la loro dipendenza dalla pittura antichizzante di Gérôme,<br />
della quale si ammiravano ancora la lucida oggettività della ricostruzione<br />
storica, intesa come “divinazione perfetta di mondi lontani”, e la coltivata<br />
letterarietà dei contenuti, che allargava gli orizzonti narrativi seguendo la<br />
convinzione ormai diffusa che la storia fosse per l’arte come un immenso<br />
magazzino “dov’essa sceglie quel che meglio convenga allo spirito e alle<br />
idee del suo tempo” rivestendolo infine “de’ propri panni” 35 . Dipinti di<br />
Carlo Ademollo come Il monaco Almadio impedisce gli spettacoli gladiatorii<br />
(1880) dimostrano infatti la fortuna del pittore francese, conosciuto<br />
in Italia grazie alla diffusione delle incisioni della casa Goupil, e documentano<br />
altresì l’affermazione di uno stile narrativo che nuovamente mirava<br />
a svincolare la rappresentazione dei soggetti antichi da metafore civili e<br />
morali, a vantaggio di più cordiali intese sul piano della colta contemplazione<br />
estetica o dell’avventurosa narrazione.<br />
Son queste le ultime figurazioni di un genere artistico destinato a esaurirsi<br />
con la crisi dello storicismo e delle varie declinazioni del principio di<br />
verità, tant’è che Camillo Boito, visitando l’Esposizione Nazionale di<br />
Torino, scriveva a proposito del quadro di Netti: “Finiscono a parere stan-
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tii i Triclinii, sebbene a rallegrare il convito, oltre alle donne ignude e agli<br />
uomini briachi fradici e inghirlandati di fiori, vi sieno gladiatori feriti o<br />
morti lunghi distesi per terra” 36 .<br />
Avranno maggior spazio, a partire dagli anni Ottanta, i sostenitori di una<br />
“pittura di idee” opposta all’erudizione archeologica e alla sensualità<br />
pagana degli epigoni di Gérôme: la luce mediterranea che illumina gli<br />
affreschi del Senato di Cesare Maccari (fig. 8) e certe visioni della Magna<br />
Grecia dipinte da Francesco Netti sono alcuni indizi della nuova aspirazione<br />
dell’artista volta a esprimere nella figurazione l’evidenza di bellezze<br />
tangibili e le risonanze interiori contenute, in misura analoga, nelle rievocazioni<br />
pittoriche di Alma-Tadema e favorite in Italia dall’apporto del classicismo<br />
tedesco e dalle mitologie preziose del Decadentismo letterario 37 .<br />
L’opera d’arte aspira d’ora in avanti a essere “natura ripensata” 38 capace di<br />
“far sentire l’umanità anche dove la figura umana non è presente” 39 ,<br />
secondo un’evoluzione teorica ed estetica che coinvolge persino chi, come<br />
Luigi Capuana, aveva condiviso con Verga la battaglia verista: “quando<br />
siamo costretti dalla meschina realtà e dobbiamo respirare la pesante aria<br />
moderna, sforziamoci di impregnarla di sottili aromi, estratti da fiori esotici,<br />
che hanno virtù di insolite ebrezze; e assottigliamo così la materiale<br />
brutalità del vero, da ridurla almeno a simbolo, ad apparenza che vi faccia<br />
pensare a tutt’altra cosa che al vero” 40 . Se, in questa particolare accezione<br />
estetico-letteraria, le Scene tiberiane di Rocco De Zerbi potevano aver<br />
ispirato le tele di Giovanni Muzzioli e, di pari passo, la prosa immaginosa<br />
di Adolfo Venturi impegnato a ritrascrivere la biografia del pittore modenese<br />
in brani levigati e dannunzianamente traboccanti di immagini 41 , non<br />
è da escludere che la rêverie pagana dei Poemi conviviali di Giovanni<br />
Pascoli presiedesse alla riconversione simbolista del genere storico-antico<br />
quale si avverte nell’arte italiana dell’ultimo decennio del secolo.<br />
Sono soprattutto gli Idilli di Giulio Bargellini (fig. 9) a sostenere questa<br />
svolta idealizzante, e a condividere le evasioni alessandrine coltivate nella<br />
cerchia aristocratica del Convito, dove la dialettica fra realtà e immaginazione<br />
che aveva originato la moderna rivisitazione dell’antico cede alla<br />
fascinazione del tema raro, del traslato allegorico, alla misteriosa risonanza<br />
delle immagini alleviate da ogni contingenza terrena e finalmente consegnate<br />
all’ineffabilità del simbolo: donne in attesa di approdi divini (“Non<br />
forse hanno veduto a fior dell’onde / un qualche dio, che come un grande<br />
smergo / viene sui gorghi sterili del mare?) 42 ; giovani legati da corrispondenze<br />
appassionate di sensi e di intelletto, che abitano residenze marmoree<br />
(“Tra mare e cielo, sopra un’erta roccia / la Scuola era del coro: era, di<br />
marmo / candida, la sonante arnia degli inni) 43 ; conviti intrecciati di<br />
umane tenerezze (“Oh! Nulla, io dico, è bello di più, che udire / un buon<br />
cantore, placidi, seduti / l’un presso l’altro, avanti mense piene / di pani
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biondi e di fumanti carni, / mentre il fanciullo dal cratere attinge / vino, e<br />
lo porta e versa nelle coppe”) 44 ; trionfali apparizioni sulla riva del mare<br />
(“[...] Ed ecco dalla nave / scese una schiera di settanta capi / bruni, tutti<br />
fioriti di corimbi, / e su la spiaggia stettero. Un chiomato / citaredo sedé<br />
sopra un pilastro, / e preso lui gli auleti con le lunghe / tibie alla bocca.<br />
[...]”) 45 ; consoli, guerrieri e schiavi di Roma, atteggiati per un ultimo ricordo<br />
sullo sfondo della città ancora pagana (“[...] Roma dormiva. Agli archi<br />
quadrifronti / battea la luna: e il Tevere sonoro / fioria di spuma percotendo<br />
ai ponti. / Alto fulgeva col suo tetto d’oro / il Capitolio [...]”) 46 .<br />
1 Si veda in L’art en France 1978, p. 314, e,<br />
inoltre, Sisi 1989, pp. 27-34.<br />
2 Lukàcs 1970, pp. 235 e ss.<br />
3 Si veda a proposito Del Bravo 1973, pp.<br />
107-115.<br />
4 Ivi, p. 113.<br />
5 Si veda Sisi 2005, pp. 29-33.<br />
6 H. Rupp, in Musée Gustave Moreau 1983, p.<br />
14.<br />
7 L’art en France 1978, pp. 337-338.<br />
8 Ivi, pp. 323-324.<br />
9 Le osservazioni di Giuseppe Rovani sono<br />
riportate dalla ‘Gazzetta di Milano’, 4-7<br />
novembre 1861 e si leggono in Levi l’Italico<br />
1906, p. 112. Alcune parti del presente<br />
saggio sono riprese da Sisi 1993, pp. 174-<br />
189.<br />
10 Bulwer-Lytton 1955.<br />
11 Tra le innumerevoli traduzioni italiane del<br />
romanzo, la più utorevole è considerata<br />
quella di Francesco Cusani<br />
(Cusani 1871, III, p. 105).<br />
12 Del dipinto, rimasto incompiuto, si parla<br />
in Levi l’Italico 1906, p. 113,<br />
e con ulteriori informazioni in Disegni e<br />
autografi 1975, p. 30.<br />
13 Domenico Morelli poté vedere i due<br />
dipinti nel suo viaggio a Parigi del 1855.<br />
14 Fiorelli 1873 b .<br />
15 Avviato in Francia dalla pubblicazione, fra<br />
il 1824 e il 1838, dei quattro volumi de Les<br />
Ruines de Pompéi di C.F. Mazois, il gusto per<br />
la rievocazione romantica della città<br />
dissepolta trova significative manifestazioni<br />
a partire dal ricordato quadro di Alfred de<br />
Curzon; cfr. L’art en France 1978, pp. 323-<br />
324, n. 90, e pp. 337-338, n. 205.<br />
16 Si veda la prefazione di F. Dall’Ongaro al<br />
racconto storico di A. Rivalta, Tito Vezio<br />
ovvero Roma cento anni avanti l’era cristiana,<br />
Firenze 1867, pp. VIII-IX.<br />
17 Per l’indirizzo archeologico del romanzo<br />
storico dopo il 1848 e, in particolare, sul<br />
concetto di modernizzazione della storia<br />
e l’interpretazione soggettiva della stessa si<br />
rimanda a Lukàcs 1970.<br />
18 Bulwer-Lytton 1955, p. 162.<br />
19 Ivi, pp. 431-446.<br />
20 Dalbono 1915, p. 113.<br />
21 Si veda in Sisi 2003.<br />
22 Trezza 1962, pp. 1009-1010.<br />
23 Si veda il capitolo relativo all’opera in<br />
Antonio Ciseri 1991, pp. 86-104.<br />
24 Guhl, Koner 1875.<br />
25 Si fa qui riferimento ai concetti espressi<br />
nel Preludio in Rovani 1873.<br />
26 Ivi, vol. I, cap. II, p. 35.<br />
27 Ivi, vol. I, cap. II, p. 51.<br />
28 Ivi, cap. V, pp. 107-108.<br />
29 Gnoli 1876, pp. 55-75.<br />
30 Ivi, p. 56.<br />
31 I versi sono tratti dal poema di R.<br />
Hamerling, qui riportati nella traduzione di V.<br />
Betteloni, Nerone (Assuero in Roma), Roma<br />
1877 (seconda edizione).<br />
32 Si vedano i titoli numerosi e i relativi<br />
commenti in Abbatecola 1877, e inoltre gli<br />
scritti di Netti 1980, pp. 141 e ss., e Bindi<br />
1876, pp. 17-18, 24.<br />
33 Mimita Lamberti 1982 a ,<br />
pp. 42-44.<br />
34 Carducci 1879.<br />
35 Gnoli 1876, p. 64.<br />
36 Si veda in Civiltà dell’Ottocento 1997, p.<br />
588, 17.218 (scheda a cura di C. Farese<br />
Sperken).<br />
37 Si veda a proposito Scotoni 1981, pp. 18-<br />
19.<br />
38 Capuana 1905, p. 224.<br />
39 Corradini 1897.<br />
40 Capuana 1905, p.221.<br />
41 Agosti 1991.<br />
42 G. Pascoli, L’ultimo viaggio. XXIV. Calypso,<br />
in Poemi conviviali (1904).<br />
43 Ivi, L’inno eterno.<br />
44 Ivi, Solon.<br />
45 Ivi, I vecchi di Ceo.V. L’inno nuovo.<br />
46 Ivi, In occidente.
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TADEMA<br />
E LA NO<br />
STALGIA<br />
DELL’<br />
ANTICO<br />
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Nostalgia dell’antico.<br />
Alma-Tadema e l’arte<br />
neopompeiana in Italia.<br />
Eugenia Querci<br />
saggio dal catalogo<br />
Se si eccettuano alcuni contributi isolati, tra cui il fondamentale saggio di<br />
Carlo Sisi Umbertini in toga 1 , esiste un vuoto bibliografico sull’arte neopompeiana<br />
motivato, oltreché dal naturale superamento primonovecentesco<br />
di linguaggi e contenuti ormai desueti rispetto alle nuove urgenze<br />
della società e della storia, dall’ostracismo di natura ideologica alimentato<br />
dalla critica dominante soprattutto tra gli anni Quaranta e Sessanta del<br />
Novecento. La stessa definizione di arte neopompeiana (includendo in<br />
questa anche la scultura) è sostanzialmente assente nei dizionari e nei<br />
manuali e, eccettuando interventi critici recenti focalizzati su temi limitrofi<br />
o intersecanti la questione neopompeiana, il termine è scarsamente<br />
utilizzato anche nella saggistica storico-artistica.<br />
Mancano studi specifici e ricognizioni su scala nazionale del panorama<br />
degli artisti che hanno affrontato le tematiche neopompeiane, sia in<br />
forma episodica, sia come pratica sistematica e di mestiere. Una disamina<br />
che al contrario, anche effettuata senza rigorose pretese di sistematicità,<br />
rivela scenari complessi e presenze inattese. Obiettivo di questa<br />
mostra è proprio quello di disegnare un primo quadro d’insieme, cercando<br />
di cogliere le diverse venature e implicazioni. Trattando soprattutto la<br />
scuola italiana, si è scelto di collocarla nel più ampio panorama internazionale,<br />
mettendola a colloquio con le opere del principale e più riconosciuto<br />
cultore del genere: l’artista di nascita olandese, inglese d’adozione,<br />
Lawrence Alma-Tadema (1836-1912). Pur rilevando in molti casi sostanziali<br />
differenze tra l’intonazione tademiana e quella nostrana, fondamentale<br />
è il comune punto di partenza: Pompei. Da qui, l’arte della seconda<br />
metà dell’Ottocento prende spunto come bruciante motivo reale e, a un<br />
tempo, condensato iconografico di suggestioni letterarie e trasposizioni<br />
immaginative, aspirando a ricomporre, in un irresistibile tableau vivant,<br />
quell’antichità classica che in Roma trovava da sempre la massima valenza<br />
simbolica. Ma la Roma imperiale o repubblicana, la sua vita politica, il<br />
linguaggio monumentale dell’architettura, la nobiltà dei sentimenti e<br />
delle aspirazioni ideali, naturali interlocutori della tradizione accademica,<br />
rispondono solo in parte alle necessità della società di fine Ottocento.<br />
Occorre passare dalla sfera dell’ethos al terreno vivo e prosaico della realtà<br />
umana, e Pompei costituisce la parola chiave, l’innesco che permette<br />
all’immaginazione di agganciare e richiamare al fluire vibrante della vita
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DELL’<br />
ANTICO<br />
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quella dimensione quotidiana che i monumenti romani, nella loro magnifica<br />
imponenza, non hanno potuto conservare. Lo aveva già inteso<br />
Madame de Staël: “A Roma non si trovano altro che resti di pubblici<br />
monumenti, e questi non rammentano altro che la storia politica dei<br />
secoli passati. Ma a Pompei vi è la vita privata degli antichi, che si presenta<br />
tal quale essa era” 2 .<br />
Non occorre e non è possibile qui ripercorrere le vicende degli scavi di<br />
Pompei (ma anche Ercolano, Stabia, Oplontis, Boscoreale). È noto il ruolo<br />
fondamentale avuto dall’approccio sistematico e divulgativo di Giuseppe<br />
Fiorelli nella conoscenza della vita di queste città, ma soprattutto il potere<br />
suggestivo esercitato dal metodo dei calchi da lui messo a punto, testimonianza<br />
impressionante di dolore e istantaneità della morte da lasciare<br />
ancora oggi senza fiato. Perfino Auguste Rodin, che a ben altra antichità<br />
usa rivolgere lo sguardo, quella rinascimentale e della statuaria classica,<br />
pare trasfondere in molti dei suoi gessi (tra i tanti Le Jongleur e La Martire,<br />
Parigi, Musée Rodin) quello stesso spasmo muscolare e quelle superfici<br />
scabre e irregolari, come consunte pur nell’orrida corposità.<br />
Senza contare lo stimolo esercitato sull’immaginazione di letterati e artisti<br />
da parte di quelle prime opere illustrate dedicate agli scavi, in cui l’inserzione<br />
all’interno delle rovine ricostruite di figure umane rese con vivacità,<br />
come già nella Pompeiana di William Gell (Londra, 1832), crea l’illusione<br />
dell’antico nuovamente abitato dai suoi defunti. Impostazione che guida<br />
anche François Mazois nel redigere Les Ruines de Pompéi (Parigi, 1824-<br />
1838), che appunto mirava a integrare “la storia dei costumi con la storia<br />
dell’arte”. Infine scopo magistralmente conseguito ne Le case e i monumenti<br />
di Pompei disegnati e descritti (1854-1896), illustrata dai fratelli<br />
Niccolini con splendide tavole litografiche ricche di suppellettili antiche.<br />
Il Bagno pompeiano (1861) di Domenico Morelli è, in ambito italiano, il<br />
primo dipinto d’ispirazione neopompeiana. Ritrae un luogo reale, l’apodyterium<br />
delle Terme Stabiane riportate alla luce in quegli anni e ricostruite<br />
da Morelli con alcune licenze nella definizione delle finiture decorative 3 .Il<br />
confronto è immediato con il Tepidarium (1853, Parigi, Musée d’Orsay) di<br />
Théodore Chassériau 4 , presentato al Salon parigino del 1855: nel solco di<br />
Delacroix, Chassériau unisce un languido scenario orientalista da hammam<br />
algerino, fitto di suggestioni erotiche, alla fine ricostruzione archeologica<br />
delle Terme del Foro di Pompei. È proprio questo dipinto, visto direttamente<br />
al Salon, a muovere per la prima volta Morelli sulla strada del suo<br />
Bagno pompeiano ma, a distanza di sei anni, in quella “voluttà semplice”<br />
voluta da Morelli, i retaggi compositivi accademici si sostanziano in<br />
maniera contundente dei colori e delle luci del vero resi con una pennellata<br />
vibrante. Entrambi i dipinti nascono dalla suggestione di Pompei, ma<br />
Morelli, che dopo il Triclinio (cat. 31) abbandonerà il genere, compie quel
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DELL’<br />
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salto che ci introduce a pieno titolo nel mondo della pittura neopompeiana,<br />
nel reame del ridestamento sensoriale ed estetico di un’antichità<br />
classica resa viva, destituita della sua aura di inarrivabile idealità.<br />
A partire da Morelli, il genere neopompeiano è ampiamente coltivato nell’ambito<br />
napoletano, con diverse declinazioni, da artisti di varia provenienza,<br />
il calabrese Enrico Salfi, il siciliano Giuseppe Sciuti, il lucano<br />
Michele Tedesco 5 , e partenopei come Camillo Miola e Francesco Netti,<br />
che, attraverso il contatto con lo scintillante virtuosismo cromatico di<br />
Mariano Fortuny e il solare luminismo della scuola paesaggista napoletana<br />
(che alle rovine vesuviane dedica ampia attenzione), adottano una fattura<br />
sciolta ma sicura, imprimendo i colori del vero alle loro cronache dell’antico<br />
ricreate sulla scorta degli autori classici latini. Lo snodo morelliano<br />
e napoletano sembra inoltre fecondare, attraverso la ricettiva mediazione<br />
di Eleuterio Pagliano (Zeusi e le modelle, 1889, Milano, Galleria<br />
d’Arte Moderna) anche l’ambito milanese e braidense, sul quale agiscono<br />
d’altro canto, per tutti gli anni Sessanta, gli influssi dell’art pompier esposta<br />
ai Salon. Seppure con cadenza sporadica, in area lombarda si cimentano<br />
nei soggetti neopompeiani artisti tra loro diversi: Mosè Bianchi, per<br />
esempio, che passa dalle sensuali languidezze alla Gleyre di Cleopatra<br />
(1865, Milano, Galleria d’Arte Moderna) alla sciolta e raffinata divagazione<br />
del Bagno pompeiano (cat. 36), percorso da allettanti richiami orientalisti.<br />
Ma anche Federico Faruffini che, ancora una volta sotto lo stimolo<br />
dell’arte parigina da Salon, concepisce l’impegnativo e discusso Le orge di<br />
Messalina (1867), dove coniuga il gusto storicista per la fastosa ricostruzione<br />
archeologica di ambienti e particolari d’arredo antichi, alla prova del<br />
nudo, infine alla rappresentazione di passioni sfrenate e squilibri dell’intelletto<br />
interpretati da figure storiche tradizionalmente simbolo di devianza.<br />
Nel panorama milanese si muovono anche personaggi come Ludovico<br />
Pogliaghi che, accanto alle opere di carattere religioso, si cimenta nella<br />
pittura di storia affontata con taglio cronachistico. Eclettico collezionista<br />
di opere d’arte antica (egizie, greco-romane, rinascimentali, barocche e<br />
settecentesche) riunite in una casa-museo a Sacro Monte di Varese,<br />
Pogliaghi lega il suo nome all’imponente lavoro di illustrazione della Storia<br />
di Roma di Francesco Bertolini (Fratelli Treves, Milano 1886) 6 .<br />
Passaggi fondamentali, nella diffusione del nuovo genere pittorico, sono le<br />
mostre napoletane come le Promotrici del 1876-1877, quando si registra<br />
un’autentica fioritura di soggetti ispirati all’antico, maturati sulla scorta di<br />
profonde conoscenze o più amatoriali infatuazioni archeologiche. Si scontrano<br />
in questi anni due differenti concezioni, quella dell’art pour l’art, per<br />
cui il bello risiede nella forma svincolata da ogni impegno etico, e quella<br />
che attribuisce preminenza all’altezza e alla nobiltà concettuale del soggetto.<br />
A giudicare dai premi via via assegnati, sembra che sia il soggetto a
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prevalere sulla forma. In polemica con questo orientamento, favorito<br />
anche dai critici-letterati, l’Esposizione Nazionale di Torino del 1880 registra<br />
l’intervento di Ippolito Castiglioni che, in polemica con Camillo Boito,<br />
Tullo Massarani, Enrico Panzacchi, si scaglia contro gli abbellimenti “ruffiani”<br />
dei seguaci di Fortuny, la pedanteria erudita nella scelta dei soggetti,<br />
la trascuratezza della forma in nome del sentimento, sostenendo che “il<br />
soggetto è sempre un pretesto per far dell’arte” 7 .<br />
La prima Mostra Internazionale di Roma del 1883, tenuta a Palazzo delle<br />
Esposizioni, sancisce d’altro canto l’affermazione di dipinti e sculture ispirati<br />
alla storia romana repubblicana e imperiale, traguardata attraverso il<br />
filtro dell’attualità post-unitaria. Numerose sono le sculture che interpretano<br />
singoli personaggi fortemente simbolici, come il notevole Giulio<br />
Cesare di Ettore Ximenes 8 .<br />
Il dipinto Il fatto di Virginia di Miola, presentato appunto in questa occasione,<br />
nasce con l’intento di richiamare l’antica vis romana, attingendo<br />
come suggestiva fonte iconografica a Pompei, che riplasma l’immagine di<br />
Roma come una città di provincia palpitante di vita, dalle dimensioni<br />
misurate e senza sfarzi decorativi. Un’immagine sostanziata anche delle<br />
impressioni d’esuberante animazione delle strade e dei vicoli di Napoli 9 .<br />
Se Morelli nel suo Bagno pompeiano aveva scelto un frammento di vita<br />
popolato d’interpreti senza nome, cui lo spettatore colto poteva restituire<br />
un’identità sulla scorta di ricostruzioni letterarie contemporanee (si<br />
veda il saggio di Carlo Sisi), scultori come Vincenzo Gemito o pittori come<br />
Saverio Altamura infondono nel genere neopompeiano umori patriottici<br />
da leggersi alla luce dell’attualità postrisorgimentale. Un abbinamento<br />
adottato anche da Cesare Maccari, con forte investimento simbolico, nei<br />
celebri affreschi di Palazzo Madama. In Dulce pro patria mori 10 , presentato<br />
a Roma nel 1883, Altamura mostra il campo di battaglia con i corpi<br />
ammassati dei soldati della X legione, quasi un ricordo de La Barricade di<br />
Ernest Meissonier (Parigi, Musée du Louvre): un richiamo ai valori della<br />
patria “in questo tempo di materialismo eccessivo, di indecorose transazioni,<br />
di vigliacche apostasie” 11 . Un dipinto forse debole sotto il profilo<br />
“pittorico”, ma “artisticamente” valido, poiché coglie “la poesia della storia,<br />
cioè il vero unito al concetto” 12 .<br />
Alcuni commentatori potevano scusare eventuali cadute ‘tecniche’ in<br />
nome dell’idea, ma la fattura accurata e brillante s’accompagnava il più<br />
delle volte ai soggetti neopompeiani. Come per l’art pompier 13 , per molta<br />
parte di questa produzione, anche quando narrativa, la questione si gioca<br />
tutta sulla téchne, capace di mantenere le opere di artisti tra loro diversi<br />
su un livello di gratificazione estetica tale da rendere perdonabili eventuali<br />
cedimenti contenutistici. Mai come in questa fase contenuto e forma<br />
divengono due insiemi distinti e non necessariamente comunicanti.
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Lo nota già Rocco De Zerbi nel commento alla Mostra Nazionale di Belle<br />
Arti di Napoli del 1877, in cui osserva un fiorire di artisti che “perfezionano<br />
la forma, il procedimento, il mezzo, il mestiere, la verità del tono, la<br />
verità del colore, la verità di luce e d’ombra” 14 . Ma, ammonisce il critico,<br />
non basta parlare agli occhi, “bisogna giungere al cuore, e o turbarlo o<br />
affascinarlo o inebriarlo – o turbamento, o ebbrezza, o fascino – senza<br />
questi sintomi non v’è arte” 15 . Anche sulla scorta delle teorie di Théophile<br />
Gautier, queste vibrazioni del sentimento, dell’anima, dei sensi, potevano<br />
del resto originare esclusivamente dalla sofisticata perfezione formale,<br />
divenendo il tema un mero pretesto come nella Sappho dello svizzero<br />
Charles Gleyre (1867, Losanna, Musée Cantonal des Beaux-Arts, fig. 1); ma<br />
anche nelle squisite finitezze lucenti di raso di Federico Maldarelli (fig. 2 e<br />
cat. 19), che nella lezione purista coniugata alle teorie del vero trova la<br />
misura di un nuovo idealismo risolto nella forma: corporeo e atemporale<br />
insieme. Non il “sublime” nella forma propugnato da Luigi Mussini, che<br />
comprendeva “la linea, il gesto, la nobile espressione del concetto” 16 , ma il<br />
bello tale in quanto non eterno, infiltrato da quei sentori di corruttibilità<br />
diffusi dai princípi del naturalismo ravvisabili per esempio nella Fabiola di<br />
Maccari (Siena, collezione Chigi Saracini, fig. 3), che nelle vicende della<br />
morta e risorta città di Pompei trovava un culmine di significazione.<br />
Certamente, per i primi passi del filone neopompeiano, la lezione francese<br />
è fondamentale. È la graduale, ritrovata fortuna dei temi legati all’antichità<br />
classica, a partire dagli anni Quaranta in Francia, dopo la crisi dei<br />
davidiani, a permettere, pur con le dovute correzioni d’angolazione, il fiorire<br />
del genere neopompeiano.<br />
Già Paul Delaroche, con il suo storicismo cronachistico, aveva indicato un<br />
nuovo possibile approccio alle vicende della storia, testimone raccolto poi<br />
da Jean-Léon Gérôme attraverso la mediazione ingresiana. Se Antioco e<br />
Stratonice di Ingres (Chantilly, Musée Condé), presentato al Salon del<br />
1840, già mostra, nell’accurata raffigurazione di decorazioni murali e suppellettili<br />
antiche, la strada di una fedeltà al dato documentario come possibile<br />
potenziamento della suggestione pittorica pur nel dominio della<br />
linea, è Gérôme, al centro della cerchia dei Neo-Greci 17 , a comprendere lo<br />
straordinario potere insito in una rievocazione dell’antico rivestita delle<br />
spoglie del quotidiano. Un metodo applicato con costanza, in concomitanza<br />
con le richieste della Maison Goupil, ai soggetti greco-romani, storici,<br />
orientalisti.<br />
L’incontro tra Alma-Tadema e Gérôme a Parigi nel 1864, al ritorno dal<br />
primo viaggio dell’artista inglese in Italia, dopo la ‘rivelazione’ di Pompei,<br />
sembra coincidere con la maturazione della pittura neopompeiana di<br />
Alma-Tadema. Quell’accentuazione epico-enfatica che Gérôme non cessa<br />
di imprimere alla narrazione delle cronache della storia e dei frammenti
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del reale (basti vedere Pollice verso, 1872, Phoenix Art Museum e Le ultime<br />
preghiere, The Walters Art Museum, Baltimora), viene epurata già nei<br />
primi dipinti di soggetto romano di Alma-Tadema.<br />
Pur affiancato da altri artisti come Edward Poynter, Alma-Tadema rappresenta<br />
l’artista neopompeiano internazionalmente più noto in grado, grazie<br />
alle formidabili conoscenze archeologiche e alla tecnica impeccabile,<br />
di rievocare l’antico quasi illusionisticamente, in una dimensione non aulica<br />
bensì intima e raffinata. Nelle sue opere è pienamente soddisfatto il<br />
desiderio già espresso, nel 1834, da Edward Bulwer-Lytton dopo aver visitato<br />
le rovine di Pompei: “[...] popolare nuovamente quelle strade deserte,<br />
ricomporre quelle affascinanti rovine, infondere nuova vita in quei corpi<br />
sopravvissuti; attraversare quell’abisso di diciotto secoli e donare una<br />
seconda vita alla Città dei Morti!” 18 . E Alma-Tadema attraversa quell’abisso<br />
con un veleggiare leggero, sospeso tra mito e realtà: ricompone una<br />
società scomparsa, con tutta la sontuosa ricchezza o l’ordinaria semplicità<br />
dei suoi arredi, oggetti, costumi e abitudini, sempre traguardati attraverso<br />
il filtro dell’attualità sociale di fine Ottocento. Alma-Tadema, sentenzia<br />
Ugo Fleres nel 1883, “si slancia indietro attraverso i secoli e pianta<br />
il suo cavalletto nella vera vita pagana” 19 .<br />
Se da un lato l’esito più immediato dei suoi dipinti è quello di appagare<br />
un ampio pubblico, non necessariamente colto, dall’altro l’estrema finezza<br />
tecnica, la sensibilità cromatica e luminosa, la complessità compositiva,<br />
la vaghezza dilettosa e senza tempo delle sue ambientazioni, lo apparentano<br />
pienamente al filone estetizzante anglosassone. Filone estetizzante<br />
che per artisti coevi come Frederic Leighton o Albert Moore tende<br />
però a spostare la visione, nella rarefazione delle atmosfere e nella mitizzata<br />
bellezza dei corpi, verso esiti trasfiguranti e simbolisti. L’orizzonte di<br />
questi artisti è una Grecia favolosa e depurata di ogni accidente, in una<br />
visione apollinea dell’antichità classica (mentre in Alma-Tadema e nei<br />
neopompeiani prevale, anche iconograficamente, la pur controllata componente<br />
dionisiaca) che lascia poco o nessuno spazio agli elementi del<br />
quotidiano: un colloquio con l’antico che si sostanzia dell’ammirazione<br />
per la statuaria classica, tradotta nei corpi torniti, nella purezza del disegno,<br />
nella latente astrazione delle ambientazioni e dei tratti fisionomici<br />
che si ricollega all’estetica preraffaellita. Una contaminazione non estranea<br />
anche a molte opere di Alma-Tadema, dove talune figure mostrano<br />
l’interrogativa fissità di antichi oracoli, dove l’elaborata bellezza femminile<br />
e maschile rinnova senza fine un’impossibile promessa di felicità terrena<br />
e libertà dei sensi, dove la corporea materialità delle rappresentazioni<br />
rende struggente e reale la nostalgia dell’antico. Nei dipinti di Leighton,<br />
osserva acutamente Richard Jenkyns, “il domestico si fa monumentale” e,<br />
aggiungiamo noi, si tratta di un domestico affidato alla sottigliezza delle
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sfumature emotive, all’inafferrabilità delle vibrazioni del sentimento, più<br />
che al dettaglio materiale e decorativo. L’antico di Alma-Tadema è visto<br />
invece con gli occhi di un collezionista che gode nell’assemblaggio, spesso<br />
incoerente, dei capolavori del decoro e della statuaria greco-romana: la<br />
sua resurrezione dell’antico sarebbe stata impensabile senza quella wunderkammer<br />
a cielo aperto chiamata Pompei.<br />
Già Francesco Netti aveva definito i dipinti di Alma-Tadema “quadrimuseo”<br />
20 e non c’è dubbio che il riferimento iconografico principale,<br />
soprattutto per la produzione del decennio 1864-1875, sia, più propriamente,<br />
quello della “casa-museo”; gli esempi sono innumerevoli, ma<br />
basterà citare la stessa dimora di Alma-Tadema in Grove End Road a<br />
Londra, il Museo di Gian Giacomo Poldi Pezzoli a Milano,Villa San Michele<br />
di Axel Munthe a Capri, la casa “petit musée” di Gustave Moreau a Parigi:<br />
in parte museo, in parte cabinet de curiosités, in cui lo sguardo può vagare<br />
tra piccoli bibelot ed eclatanti capolavori. La cultura materiale di fine<br />
Ottocento tende inesorabilmente ad accumulare oggetti secondo una<br />
foga feticista e onnivora che gradatamente, nell’intersecarsi degli umori<br />
decadenti, si raffina nel culto dell’oggetto prezioso, sintesi di qualità estetiche<br />
irripetibili.<br />
E nei dipinti di Alma-Tadema gli oggetti sono spesso i reali protagonisti,<br />
posti sullo stesso piano della figura umana: in Un sacrificio a Bacco (1889,<br />
cat. 61) la baccante che si staglia ieratica sulla sinistra del dipinto è materialmente<br />
ed esteticamente equiparata, quasi accorpata, al prezioso cratere<br />
in argento del tesoro di Hildesheim posto ai suoi piedi. Lo stesso si<br />
può dire de La processione verso il tempio (1882, cat. 63), in cui la giovane<br />
donna fulva coronata di pampini è ‘offerta’ allo sguardo del visitatore<br />
composta in un assemblaggio di importanti oggetti antichi e autentiche<br />
minuzie, come la piccola statuina in bronzo sorretta dalla mano della giovane<br />
donna. Del resto, è proprio in questi anni che le ditte Sommer e<br />
Chiurazzi diffondono nelle case borghesi, attraverso le proprie fonderie di<br />
Napoli, l’oggettistica pompeiana ed ercolanense.Alcuni artisti, come Ettore<br />
Forti, si specializzano in dipinti di piccolo-medio formato in cui il gusto<br />
popolare per l’aneddoto s’unisce all’esposizione di una variegata oggettistica<br />
archeologica: in sinergia con le esigenze del mercato, Forti crea una<br />
messe di scenette dalle tinte vivaci in cui i personaggi, per lo più ripetitivi<br />
e ben distinti in stereotipate categorie psicologiche, sono intenti in azioni<br />
quotidiane oppure occupati in effusioni condite di fatua malizia.<br />
I quadri-museo di Alma-Tadema, come il sontuoso La galleria di statue<br />
(1874, cat. 62), si distanziano dall’antico atemporale proposto dalla casamuseo<br />
neoclassica, in cui si privilegia il bello archetipico della statuaria<br />
greco-romana. I repertori di sculture, dipinti e oggetti proposti da Alma-<br />
Tadema sono invece calati in una dimensione quotidiana che conferisce
ALMA<br />
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ANTICO<br />
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credibilità a un passato ricostruito soggettivamente, creando l’illusione<br />
seducente della “storia recuperata” 21 e vivente. Come è noto, Alma-<br />
Tadema è un conoscitore espertissimo, costantemente aggiornato in<br />
materia archeologica, servendosi, oltre che di libri, di misurazioni e osservazioni<br />
eseguite personalmente durante le sue visite agli scavi e di un<br />
vastissimo repertorio di fotografie di vari autori che ritraggono, oltre ad<br />
ambientazioni pompeiane erotico-arcadiche con giovinetti nudi e rovine<br />
(Wilhelm von Plüschow, Wilhelm von Gloeden), soprattutto immagini<br />
degli scavi vesuviani e oggetti conservati nei musei più importanti<br />
(Giorgio Sommer e altri). Ma non c’è sequenza cronologica nell’ordinamento<br />
delle immagini, bensì raggruppamenti in base al soggetto, il che<br />
allontana metodologicamente l’artista dall’opera-documento, eliminando<br />
l’equivoco di una pittura archeologica filologicamente impeccabile: trionfano<br />
invece la manipolazione di materiali e dimensioni, l’accostamento<br />
antigerarchico di oggetti di diversa epoca e provenienza, in un’eclettica<br />
varietà paragonabile, oltreché a una collezione, all’assortimento di una<br />
galleria antiquaria: un tema, non a caso, spesso raffigurato nei dipinti di<br />
Alma-Tadema. Le sue opere acquistano, in questa traccia, il carattere di<br />
autentici Gesamtkunstwerk, “storia globale” del gusto e delle inclinazioni<br />
di una società in un dato tempo.<br />
Se il filtro interpretativo è quello dell’attualità, come dobbiamo intendere<br />
questi “vittoriani in toga” 22 ? Sulla stessa traccia di Bulwer-Lytton, le opere<br />
di Alma-Tadema partono da un assunto tanto semplice quanto poderoso<br />
per gli esiti immaginativi: gli antichi e i moderni sono fatti della stessa<br />
carne, “mossi dalle stesse passioni ed emozioni” 23 . Le forme sociali che,<br />
nelle diverse stagioni della storia, incanalano, organizzano e disciplinano<br />
questa natura secondo diverse priorità, non mutano nel profondo la sua<br />
sostanza. Pur variando le modalità, questo principio agisce tanto per<br />
Alma-Tadema quanto per tutta la pittura neopompeiana, che dipinge un<br />
altrove fisico e temporale con un’operazione raffrontabile, per certi versi,<br />
a quella orientalista, ma afferma un principio esattamente inverso: non<br />
evasione nella distanza bensì sorprendente contiguità.<br />
In questo orizzonte acquista significato anche la conturbante rinascita del<br />
paganesimo antico cui Alma-Tadema dà vita nei suoi dipinti: una pittura<br />
sostanzialmente sollevata da implicazioni concettuali o preoccupazioni<br />
spirituali, bensì puro godimento estetico e diletto dei sensi. Ma l’edonismo<br />
di fondo che domina le sue opere non impedisce di leggerle anche come<br />
un tributo all’affermarsi dell’irrazionalismo di fine secolo, all’interesse, diffuso<br />
anche dagli studi antropologici, verso magia e superstizione, verso<br />
una visione del mondo sollevata dalla responsabilità e dalla problematicità<br />
del messaggio cristiano. Acquista senso in tale orizzonte la frequente<br />
raffigurazione dei culti dionisiaci nelle opere di Alma-Tadema e in genera-
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le dei neopompeiani: “ogni epoca è capace di vedere solo quei simboli<br />
dell’Olimpo che può riconoscere e assimilare in virtù dello sviluppo dei<br />
suoi strumenti di visione interiore”, avrebbe più tardi sostenuto Aby<br />
Warburg 24 . È evidente, però, che il dionisismo di Alma-Tadema rimane in<br />
superficie, avulso dalla problematicità nietzschiana, bensì impegnato in<br />
una celebrazione della bellezza come dato essenzialmente materiale,<br />
esprimibile attraverso lo splendore abbagliante della forma e della sostanza<br />
degli oggetti, e grazie alla sicurezza della tecnica pittorica.<br />
Come è noto, una più larga conoscenza della pittura di Alma-Tadema da<br />
parte del pubblico italiano si ha all’indomani della Mostra Internazionale<br />
di Roma del 1883, seguita alla prima mostra retrospettiva dell’artista alla<br />
Grosvenor Gallery di Londra (1882-1883). Di Alma-Tadema, che quell’anno<br />
visita Roma e si trattiene a lungo a Pompei, sono in mostra a Palazzo<br />
delle Esposizioni i due acquerelli Un domanda e La scala, e tre oli “che l’incisione<br />
ha popolarizzato” 25 , Lo studio del pittore, Il gabinetto dello scultore,<br />
Le feste vendemmiali. Non si tratta di una rivelazione, dato che Alma-<br />
Tadema è legato all’Italia da un’intensa familiarità, connessa ai suoi ripetuti<br />
viaggi (1863, 1875, 1878, 1883) e ai rapporti stretti a partire dagli<br />
anni Sessanta con l’ambiente napoletano, con Giovan Battista Amendola<br />
e Morelli, di cui diviene amico e corrispondente 26 , argomenti approfonditi,<br />
in questo stesso catalogo, da Luisa Martorelli e Alba Irollo. Ma sono molti<br />
i contatti anche con gli artisti della cerchia romana. Nella capitale lavorano<br />
Luigi Bazzani e Roberto Bompiani, specializzati nel genere neopompeiano<br />
già negli anni Settanta, e molti altri artisti legati ad Adolphe Goupil<br />
(si veda il saggio di Gianluca Berardi); senza contare l’attività<br />
dell’Academia de España al Gianicolo 27 , i cui pensionanti, come Joaquín<br />
Sorolla, Arcadio Mas Fondevila (cat. 41), Manuel Ramírez Ibáñez, si cimentano<br />
nelle tematiche neopompeiane attraverso la mediazione di fortunismo<br />
e pittura pompier. A Roma lo stesso Alma-Tadema incontra gli artisti<br />
del Caffè Greco e visita lo studio del polacco Henryk Siemiradzki che in via<br />
Gaeta si era costruito, non lontano dal Villino Maccari in piazza Sallustio,<br />
una dimora in stile eclettico-antico. L’artista inglese è poi in amichevoli<br />
rapporti con Guglielmo De Sanctis: presso il Fondo De Sanctis del Museo<br />
di Roma sono infatti conservate tre fotoincisioni di dipinti di Alma-<br />
Tadema affettuosamente dedicate “à mon ami De Sanctis” 28 .<br />
Senza contare che l’ampia circolazione di incisioni 29 che riproducono le<br />
opere del pittore anglosassone contribuisce (come nel caso di Gérôme) a<br />
diffondere il nome e l’iconografia tademiana. Carlo Bonatto Minella sembra<br />
conoscere le opere di Alma-Tadema quando nel 1878 esegue La religione<br />
dei trapassati (Torino, Galleria Civica d’Arte Moderna e<br />
Contemporanea, fig. 6): pur basato sui modelli iconografici della pittura<br />
vascolare greca (cfr. Guhl, Koner 1875, fig. 321), è accostabile all’analogo
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Un’offerta votiva (1873, opus CXVIII, collezione privata 30 ) dell’artista inglese,<br />
portando però il soggetto sul terreno della rievocazione malinconicamente<br />
toccante di un’antichità più sognata che materialmente riportata<br />
alla vita. Era d’altro canto consuetudine di artisti e critici viaggiare oltre<br />
confine per visitare le mostre europee: al Salon parigino del 1873,<br />
Telemaco Signorini dichiara interesse per l’arte di James Tissot e Alma-<br />
Tadema 31 , e all’Esposizione Universale di Parigi del 1878 Diego Martelli, di<br />
dichiarato credo verista, spende parole di apprezzamento per l’opera di<br />
Alma-Tadema, di cui ammira la sensibilità coloristica, quasi un’eco dei<br />
veneziani e di Veronese 32 .<br />
Non mancano polemiche in merito ai dipinti dell’artista anglosassone<br />
esposti a Roma nel 1883: Ferdinando Fontana, quell’anno in forte contrasto<br />
con De Zerbi 33 , nota come altri suoi contemporanei la rigidità delle<br />
figure, le pose poco naturali, il disegno secco e meticoloso. Ma nel complesso<br />
le reazioni della critica sono positive. Luigi Bellinzoni, tradendo un<br />
approccio languido e sentimentale, definisce gli acquerelli, inseriti nella<br />
prima sala “gentile e profumata come un canestro di rose”, come un<br />
“incanto di grazia inventiva e di fattura” 34 , mentre gli oli rivelano la profonda<br />
conoscenza del mondo antico, tale da fare di Alma-Tadema un<br />
“Winkelmann della pittura moderna” 35 .<br />
Ma soprattutto è D’Annunzio a catalizzare l’attenzione attorno ad Alma-<br />
Tadema, dedicandogli un celebre articolo sul “Fanfulla della Domenica” 36<br />
in cui, commentando l’esposizione romana, dimostra ammirazione per<br />
“quelle fini fioriture architettoniche e quelle suppellettili sacre e quegli<br />
ornamenti eleganti”, a contatto con i quali “le carni prendono una nitidezza<br />
gemmea”. D’Annunzio ha impresse negli occhi quelle fanciulle eteree e<br />
attonite, le loro chiome fulve che incorniciano visi diafani illuminati da un<br />
sole che più che la potenza del Mediterraneo esprime i riverberi argentei<br />
dei cieli anglosassoni. La suggestione di queste visioni agisce a lungo sulla<br />
sua penna, fino a manifestarsi con enfasi trasfigurante, attraverso il meccanismo<br />
ecfrastico 37 , ne Il Piacere (1889), suo romanzo d’esordio.<br />
Alma-Tadema è accostato da D’Annunzio ai Preraffaelliti di cui si fa sostenitore,<br />
contribuendo a diffondere il gusto estetizzante della loro pittura<br />
nell’ambiente artistico che frequenta a Roma, riunito, a partire dal 1889,<br />
attorno al conte Giuseppe Primoli e al principe Baldassarre Odescalchi.<br />
Nei primi anni Novanta, Primoli è anche autore di curiosi tableaux vivant<br />
in cui lui stesso, la marchesa San Felice e Giulio Aristide Sartorio mimano,<br />
forse non senza ironia, scene neopompeiane con anfore, buccheri e pelli di<br />
leopardo (Roma, Fondazione Primoli). Sartorio sembra particolarmente<br />
risentire delle indicazioni dannunziane, producendo a partire dalla fine<br />
degli anni Ottanta alcuni dipinti d’ambientazione neopompeiana-tademiana,<br />
per lo più dispersi e noti attraverso fotografie d’epoca (fig. 5).
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Un’antica riproduzione di Un caloroso benvenuto di Alma-Tadema (1878,<br />
Oxford, Ashmolean Museum), conservata presso gli Eredi Sartorio, conferma<br />
la traccia di questo interesse verso l’artista, mentre sarebbe da vagliare<br />
con attenzione il contenuto delle Carte Pietro Giorgi, recentemente<br />
depositate alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma 38 .<br />
La datazione delle opere tademiane di Sartorio non è chiara, ma pare evidente<br />
che esse riflettono una genesi sofferta e non del tutto coerente,<br />
frutto di una molteplicità di stimoli e forse anche della confusione creata<br />
dalle valutazioni di D’Annunzio (e non solo) tra temperie preraffaellita e<br />
tademiana, certamente limitrofe, talvolta intrecciate (si veda la produzione<br />
di John William Waterhouse), ma non sovrapponibili. Confusione poi<br />
superata da Sartorio nei dipinti bizantini e simbolisti.<br />
Le ricerche di Sartorio sono raffrontabili con quelle condotte da Giulio<br />
Bargellini 39 a Firenze a partire dal 1889, anno in cui, ventenne, dipinge<br />
Mestizia (Foto Alinari, ubicazione ignota). Li accomuna la predilezione per<br />
gli intrecci sentimentali-amorosi, lo stretto taglio orizzontale, la vaghezza<br />
dei riferimenti archeologici, lontana dall’erudizione di Alma-Tadema ma,<br />
allo stesso tempo, non estranea a molti dei suoi dipinti degli anni Ottanta<br />
più liberi dal citazionismo del primo decennio.<br />
A queste date, l’ambiente fiorentino risulta già pienamente fecondato dai<br />
dipinti ispirati alla storia di Roma del modenese Giovanni Muzzioli che, già<br />
nel 1876, vi aveva esposto La vendetta di Poppea (cat. 48), concepito sulla<br />
scia di Gustave Boulanger e Gérôme, continuando poi a specializzarsi nel<br />
genere neopompeiano con un’angolazione sempre più tademiana:<br />
all’esposizione di Parigi del 1878, infatti, ha modo di osservare, secondo<br />
quanto testimonia Adolfo Venturi 40 , i dipinti dell’artista inglese, di cui tradurrà<br />
poi le suggestioni archeologiche e d’ambientazione in opere raffinate<br />
come Al tempio di Bacco (1881, cat. 28), reinterpretato in scultura da<br />
Luigi Preatoni nel 1884 41 ,e L’offerta nuziale (esposto a Torino nel 1884, cat.<br />
27). Seguono poi capolavori come I funerali di Britannico (esposto a<br />
Bologna nel 1888, cat. 47), in cui vibra una forza espressiva del tutto peculiare,<br />
aliena dalla composta rarefazione ritratta da Alma-Tadema, più affine,<br />
forse, alla carica drammatica e al senso del pathos tipico dell’arte storicista<br />
francese dell’epoca, capace di far convivere retaggi romantici e<br />
accuratezza verista.<br />
Del resto, Muzzioli produce anche, sospinto dalle indicazioni mercantili<br />
impartite da Luigi Pisani soprattutto tra fine anni Ottanta e primi anni<br />
Novanta, dipinti di piccolo-medio formato in cui trionfano, analogamente<br />
alle opere contemporanee di Raffaello Sorbi e Amos Cassioli, scene<br />
galanti, talvolta leziose, ambientate in eleganti interni marmorei (Il<br />
responso delle nozze, ubicazione sconosciuta 42 ). Giovanni Fattori ha forse<br />
in mente alcune di queste opere più frivole quando definisce criticamen-
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te Giovanni Muzzioli come un “Almatadema [sic] in decadenza” 43 .La<br />
Galleria Pisani, analogamente alla linea di mercato di Goupil ed Ernest<br />
Gambart per Alma-Tadema, sembra favorire i soggetti neopompeiani,<br />
commerciando opere scenografiche e di notevole forza espressiva, in linea<br />
con il gusto internazionale geromiano, come La corsa delle bighe nel Circo<br />
Massimo di Carlo Ademollo (ubicazione sconosciuta 44 ), tema allora molto<br />
in voga come testimoniano numerosi e più seriali dipinti di Ettore Forti,<br />
ma anche The Chariot Race di Alexander von Wagner (Manchester Art<br />
Gallery). È lecito pensare che su Bargellini agisca anche l’influsso di<br />
Muzzioli, sebbene la sua resa dei soggetti tradisca il più delle volte una differente<br />
intonazione, talvolta quasi misticheggiante, più facilmente conciliabile<br />
con gli umori preraffaelliti-simbolisti respirati a Roma da Sartorio<br />
grazie alla mediazione dannunziana.<br />
Gli anni Novanta vedono un’affermazione internazionale assoluta di<br />
Alma-Tadema: alla World’s Columbian Exhibition di Chicago del 1893 45<br />
viene affermato che quello di Alma-Tadema, che presenta Un passo di<br />
Omero, è probabilmente il nome più popolare dopo quello del presidente!<br />
In Italia, negli stessi anni, Alma-Tadema espone alla prima Biennale di<br />
Venezia (1895) e alla celebre Festa dell’Arte e dei Fiori di Firenze (1896-<br />
1897), dove presenta l’Autoritratto donato agli Uffizi (1896, cat. 55). A<br />
consacrare la fama italiana di Alma-Tadema contribuirà infine la voce<br />
autorevole del mensile illustrato “Emporium” che, nell’ambito di una politica<br />
pubblicistica volta alla valorizzazione di tutta l’arte inglese orbitante<br />
attorno al preraffaellismo e alle correnti estetizzanti (Rossetti, Burnes<br />
Jones, Poynter, Millais), gli dedica nel 1897 un lungo articolo ampiamente<br />
illustrato a firma Helen Zimmern 46 . A suggello di questo lungo rapporto<br />
con l’Italia, nel 1912 47 , anno della morte dell’artista, entra a far parte<br />
delle collezioni dell’Accademia di San Luca, per donazione dell’autore, un<br />
Autoritratto in cui Alma-Tadema, nella stessa posa dell’autoritratto degli<br />
Uffizi, si ritrae con il cappello di paglia, feriale e dimesso, al lavoro su una<br />
tela senza cornice che ci piace immaginare sia ancora da compiere.<br />
È curioso che un romanzo come À rebours di Joris-Karl Huysmans (1884),<br />
testo cardine della poetica simbolista e dello spirito decadente, ci fornisca<br />
una delle possibili chiavi di lettura della temperie culturale che ha permesso<br />
l’affermazione del genere neopompeiano. Entriamo nella biblioteca del<br />
protagonista del romanzo, Des Esseintes. Su tutta la cultura letteraria latina<br />
cala, tagliente e senza appello, la condanna del protagonista: per Des<br />
Esseintes solo Petronio è in grado di procurare un autentico godimento:<br />
“[...] eccolo finalmente un acuto osservatore, un fine analista, un pittore<br />
meraviglioso”, sentenzia il protagonista. Il Satyricon, di cui anche Alma-<br />
Tadema possiede una copia nella vasta biblioteca 48 , è per lui un autentico<br />
romanzo verista: una “fetta di vita romana tagliata nel vivo” dove l’auto-
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re “dipinge in una lingua da orafo i vizi d’una civiltà decrepita, d’un impero<br />
che si va sfasciando” 49 . In queste parole prende corpo un topos della<br />
pittura e in generale dell’arte neopompeiana, ovvero l’istintivo confronto<br />
tra l’opulenta e materialista società borghese di fine Ottocento e quella<br />
romana imperiale, satolla e corriva, già infiltrata dei germi che avrebbero<br />
causato, nel collidere con la ‘rivoluzione’ cristiana, il futuro disfacimento.<br />
È, in qualche misura, l’atteggiamento che ritroviamo nei sontuosi dipinti<br />
neopompeiani di Siemiradzki. Nel fastoso Orgia romana al tempo dei<br />
Cesari (San Pietroburgo, Museo Russo), l’artista immagina scenari di lascive<br />
sfrenatezze che amplificano, estremizzandolo, il senso di dissoluzione<br />
dei valori e corruzione dei costumi che già Thomas Couture aveva impresso<br />
al suo celebre dipinto I Romani della decadenza (1847, Parigi, Musée<br />
d’Orsay), ispirato a Giovenale. Ma se nel dipinto di Couture resiste ancora<br />
un senso di classica e ariosa compostezza, il rigore metrico della quinta<br />
architettonica, l’intensa significatività del gesto di sicura derivazione<br />
accademica, nell’opera di Siemiradzki prevalgono il disordinato ammasso<br />
dei corpi, la flacca grassezza dei ventri, i violenti contrasti luministici in<br />
un’atmosfera notturna e losca che costituisce il reale commento alla<br />
scena. Anche nel dipinto più celebre di Siemiradzki Le torce di Nerone<br />
(1876, Cracovia, Muzeum Narodowe, fig. 7), eseguito a Roma e presentato<br />
in tutta Europa, a partire dall’Accademia di San Luca a Roma (1876), in<br />
un trionfante tour d’ammirate ovazioni, permane un atteggiamento ambiguo:<br />
sebbene il tema principale sia quello del martirio cristiano celebrato<br />
con esibita e indifferente crudeltà dallo scellerato per eccellenza, il Divo<br />
Nerone, ai sacrificandi non è lasciata che un’angusta porzione della scena.<br />
In una spettacolare ambientazione architettonica, sorprendente anticipazione<br />
del futuro Vittoriano a Roma 50 , una folla di uomini e donne, che<br />
incarna tutte le categorie e tutte le classi della società romana d’epoca<br />
imperiale, prende posizione in questa pantomima della lussuosità, licenziosa<br />
e crapulona, che tuttavia non sembra incorrere in un’effettiva condanna<br />
da parte dell’autore.<br />
Due mondi, quello pagano e quello cristiano, del tutto incomunicanti. Ma<br />
da quel mondo antico è distante anche l’uomo moderno, tormentato dai<br />
tumulti dell’anima e dalla “tempra nervosa”, stordito dal rêve e dal sentimento.<br />
Al mondo romano si può guardare, è il caso di Rocco De Zerbi,<br />
come a un’èra perduta di libero e sensuale “rigoglio del sangue”: “Amore,<br />
pel Romano, era possedere; il godimento era l’orgia, l’orgia alla quale le<br />
nostre forze non reggono. […]. L’ubbriachezza nostra è opposta a quella<br />
del mondo romano. L’orgia della birra ha vinta l’orgia del Falerno” 51 .<br />
Per l’uomo (e l’artista) moderno, De Zerbi disegna due Rome, entrambe<br />
capaci di corrispondere ai bisogni della sua epoca: una terribile e affascinante,<br />
la grande Roma, quella dei Silla e dei Cesari, dove regna “la vertigi-
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ne dell’insaziabilità, del poter suscitare ed abbattere, del creare e distruggere”,<br />
l’altra, la piccola Roma, quella elegante e piena di gusto, comoda e<br />
posata (borghese) di Orazio, “una pozza piena d’acqua di rose” opposta<br />
alla vertigine oscura dell’Impero.<br />
“Il culmine del vizio è il soglio dei Cesari. Su quel soglio si levano pingui<br />
profumi che ubriacano gli imperatori di vanità sublime e terribile […] e il<br />
papato è stato erede dei Cesari”, conclude De Zerbi. Dunque è ancora sulla<br />
natura umana che si fissa l’obiettivo, sulla sostanziale immutabilità delle<br />
sue aspirazioni e dei suoi squilibri, come anche delle sue qualità.<br />
Guardiamo due facce della stessa medaglia: le familiari scene da cortile di<br />
Camillo Miola (Orazio in villa, cat. 49), piene di garbo brioso e verità di<br />
tono, e il Nerone di Siemiradzki che uccide con indifferenza sublime.<br />
L’imperatore sanguinario, il primo persecutore dei cristiani, l’artista paradossale<br />
ed egotico, l’uomo lascivo e volubile, tiranneggiato dalle proprie<br />
debolezze, immorale: in una parola Nerone. La sua è senza dubbio una<br />
delle figure più popolari nella letteratura 52 e nell’arte italiane, anzi europee,<br />
tra fine Ottocento e primi Novecento, la cui narrazione prende spunto<br />
dai princípi veristi, si intreccia ai languori di un incipiente decadentismo<br />
e a tutti quegli studi che, sotto diverse angolazioni, ripercorrono e riesaminano<br />
la storia della prima èra cristiana.<br />
Citando Paul Saint Victor, nel 1891, Enrico Callegari 53 descrive Nerone: “un<br />
giovane uomo biondo, miope, nervoso, un po’ grasso, gracile di gambe e<br />
dall’aria indecisa. Aveva molto del dandy moderno; ne aveva i tic, l’insolenza,<br />
la passione equestre, l’amore per le coulisses”. Nerone, dunque,<br />
come un moderno, tale anche nella sua versione più domestica, che ne<br />
sottolinea la venatura patetica e risibile, le inclinazioni viziose e sconciamente<br />
trasgressive dell’“istrione da taverna”; ed ecco il noto Nerone travestito<br />
da donna di Emilio Gallori, che Camillo Boito aveva descritto come<br />
“una donnaccia”, dalle mani polpute, le braccia nude, le spalle cicciose che<br />
canta e recita in un teatro da trivio 54 . Un’attrazione per l’equivoco (condannato<br />
o meno) che solletica le fantasie di fine Ottocento, in un salto<br />
temporale che dal lupanare pompeiano, scoperto sotto la guida di Fiorelli,<br />
porta ai bordelli parigini di Henri de Toulouse-Lautrec.<br />
Ma la rievocazione di un’antichità popolata di personaggi di dubbia moralità,<br />
dediti all’appagamento dei propri bisogni e desideri materiali, inclini<br />
all’ebbrezza, lassi e concupiscenti, si tinge delle più diverse sfumature,<br />
come nel caso dell’enorme gruppo scultoreo di Ernesto Biondi I Saturnali<br />
(1888-1899, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, fig. 4) 55 , preceduto<br />
dal ‘caso’ creato dai Parassiti di D’Orsi (cat. 30) e, non a caso, apprezzato<br />
anche da Domenico Morelli. Una scena di pura decadenza, fisica e<br />
morale. Due mondi, quello patrizio e quello plebeo, si intrecciano e si fondono<br />
in un comune destino di annientamento e scomparsa. Biondi,
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agguerrito socialista, anticlericale ma severo fustigatore dei costumi, disegna<br />
“tipi eterni”, trasfonde nel gruppo, alle soglie del nuovo secolo, tutto<br />
il disgusto, l’amarezza, la preoccupazione per il materialismo del suo<br />
tempo, per la vacuità d’ideali e sentimenti che non riempie più le speranze<br />
postunitarie, in una prospettiva che non vuole essere storica, bensì<br />
umana e universale.<br />
1 Sisi 1993. Come interventi successivi si<br />
vedano Sisi 1997-1999; Mazzocca 1997-<br />
1999; Ascione 2003, pp. 84-93; Martorelli<br />
2005; Frezzotti 2006, pp. 41-47.<br />
2 M. de Staël, Corinne ou l’Italie, Parigi 1807.<br />
Edizione consultata de Staël 1985, p. 300.<br />
3 Martorelli 2005, p. 62.<br />
4 Chassériau 2002, pp. 366-369.<br />
5 Si veda il dipinto Filelleni della Magna<br />
Grecia, esposto a Bologna nel 1888, e il<br />
relativo commento ne<br />
L’Illustrazione Italiana 1888.<br />
6 Pogliaghi realizza le tavole da cui vari<br />
incisori ricavano le illustrazioni per più di<br />
mille pagine di testi e immagini. Alcune<br />
tavole originali sono riprodotte, attraverso<br />
fotoincisioni dell’Ospizio di San Michele di<br />
Roma, in Una raccolta di 180 tavole<br />
riproducenti opere d’arte (s.a.) conservata<br />
presso la Biblioteca di Archeologia e Storia<br />
dell’Arte, Roma, Palazzo Venezia (BIASA).<br />
7 Castiglioni 1880, p. 18.<br />
8 Riprodotto in incisione in Chirtani 1883.<br />
9 Lo nota anche Bulwer-Lytton all’inizio del<br />
primo capitolo di The last days of Pompeii<br />
(1834) descrivendo l’arrivo di Clodio in Via<br />
Domitiana: “era affollata di passanti e carri e<br />
mostrava tutta quella gaia e animata<br />
esuberanza di vita e movimento che<br />
troviamo ai nostri giorni per le strade di<br />
Napoli” (traduzione dell’autore).<br />
10 Riprodotto in incisione in Chirtani 1883.<br />
11 Lazzaro 1883, p. 38.<br />
12 Ibidem.<br />
13 Si veda in proposito Luderin 1997.<br />
14 De Zerbi 1877, p. 46.<br />
15 Ibidem,p.47<br />
16 Mussini 1893.<br />
17 Il termine Néo-Greques è coniato da<br />
Claude Vignon nel 1852 (Vignon 1852).<br />
Sui rapporti tra Alma-Tadema e i Neo-Greci<br />
si veda Whiteley 1996, pp. 69-76.<br />
18 Edward Bulwer Lytton, The last days of<br />
Pompeii, prefazione all’edizione del 1834. La<br />
presente traduzione è dell’autore.<br />
19 Fleres 1883. Sulla mostra del 1883, si<br />
veda Piantoni, in Il Palazzo delle Esposizioni<br />
1990, pp. 109-121.<br />
20 Netti 1938, p. 145; Netti 1980, p. 231.<br />
21 L’espressione è utilizzata da Mottola<br />
Molfino 2003, p. 99, a proposito degli<br />
allestimenti museali di secondo Ottocento.<br />
22 Definizione utilizzata da Forbes 1973.<br />
23 Alma-Tadema 1909.<br />
24 Cfr. Gombrich 2003, p. 166.<br />
25 Bellinzoni 1883, p. 105. I titoli sono<br />
quelli utilizzati nei cataloghi d’epoca.<br />
26 Cfr. Picone Petrusa 1991, vol. 2, pp. 510-<br />
513, 520.<br />
27 Sull’argomento González, Martí 1996.<br />
28 Ringrazio Teresa Sacchi Lodispoto per<br />
l’utile segnalazione.<br />
29 Ne dà chiarissima testimonianza<br />
Francesco Netti (Netti 1938, p. 144)<br />
commentando le opere esposte alla mostra<br />
di Roma del 1883: “una bella incisione della<br />
Festa della vendemmia ricomparisce<br />
periodicamente nelle vetrine dei negozianti<br />
di stampe da quattro o cinque anni; e coloro<br />
che sfogliano i giornali illustrati inglesi,<br />
conoscono Lo studio dello scultore […] e Il<br />
gabinetto di un amatore”.<br />
30 Riprodotto in Alma-Tadema 1996, p. 178.<br />
31 Monti 1984, pp. 101-108.<br />
32 Dini, Dini 1996, p. 189.<br />
33 Fontana 1883.<br />
34 Bellinzoni 1883, p. 27.<br />
35 Ibidem,p.105<br />
36 D’Annunzio 1883.<br />
37 Pieri 2001.<br />
38 Bruno Mantura accenna al contenuto di<br />
alcune di queste lettere in Giulio Aristide<br />
Sartorio 1989, pp. 20-22.<br />
39 Presso il Museo di Roma di Palazzo<br />
Braschi si trova, nel Fondo Bargellini, un<br />
gruppo di riproduzioni a stampa di dipinti di<br />
Alma-Tadema, senza date, dediche o<br />
iscrizioni, a testimoniare il supporto<br />
documentario ricercato dall’artista alla<br />
produzione di questi anni.<br />
40 Cfr. Modena Ottocento e Novecento<br />
1991, p. 116.<br />
41 Riprodotto come L. Preantoni [sic], Al<br />
tempio di Bacco, in Ricordo della Pubblica<br />
Esposizione 1884. Devo la segnalazione di<br />
questo album, che raccoglie alcune opere
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E LA NO<br />
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DELL’<br />
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neopompeiane importanti oggi disperse, a<br />
Teresa Sacchi Lodispoto, Archivio<br />
dell’Ottocento Romano.<br />
42 Riprodotto in Raccolta di 180 tavole,<br />
cit., serie III, tav. 23, Roma, BIASA.<br />
43 Lettera indirizzata nel 1887 a Diego<br />
Martelli, in Giovanni Fattori 1983, p. 242.<br />
44 Riprodotto in Raccolta di 180 tavole,<br />
cit., serie III, tav. 22, Roma, BIASA.<br />
45 Cfr. “The World’s Columbian Exposition<br />
of 1893” in http://columbus.gl.iit.edu/, sito<br />
web dell’Illinois Institute of Technology che<br />
fornisce informazioni rigorose e complete<br />
(testi e immagini dei cataloghi compresi)<br />
su questo evento di rilevanza mondiale.<br />
46 Zimmern 1897. La Zimmern era già<br />
autrice di un ampio intervento<br />
monografico su Alma-Tadema pubblicato a<br />
Londra nel 1886<br />
(Zimmern 1886).<br />
47 L’artista aveva esposto anche l’anno<br />
prima a Roma, nel padiglione inglese della<br />
mostra del Cinquantenario: Galleria di<br />
sculture (n. 119), Il bacio (n. 120), Ritratto<br />
del prof. George Aitchison (n. 121).<br />
48 Barrow 2001, p. 39.<br />
49 Huysmans 1994, p. 47.<br />
50 Il 9 gennaio 1878, due anni dopo<br />
l’esposizione a Roma, presso l’Accademia di<br />
San Luca, dell’imponente dipinto di<br />
Siemiradzki Le torce di Nerone,il<br />
Parlamento italiano decide di erigere un<br />
monumento al Re Padre della Patria<br />
Vittorio Emanuele II, morto quell’anno. È<br />
possibile che il dipinto di Siemiradzki,<br />
stabilitosi a Roma già nel 1872 e lì<br />
residente fino alla morte (1902), abbia<br />
costituito motivo di ispirazione per il<br />
progetto del Vittoriano. Per le vicende e la<br />
storia del Vittoriano si confrontino:<br />
Antellini 2003 e Brice 2005.<br />
51 De Zerbi 1877, p. 59.<br />
52 Numerose e diverse le opere che<br />
potremmo citare: la commedia Nerone di<br />
Pietro Cossa (1871), il poema di Robert<br />
Hamerling Nerone: Assuero a Roma (1872),<br />
Lucio Domizio Nerone Claudio Imperatore.<br />
Baloccagine fiorentina di Diego Martelli<br />
(1872), la tragedia Nerone di Arrigo Boito,<br />
rappresentata postuma nel 1924, il<br />
melodramma Nerone, di Attilio Catelli<br />
(1888), infine il classico Quo vadis di<br />
Henryk Sienkiewicz (1894-1896). Senza<br />
contare il noto romanzo di Alexandre<br />
Dumas padre dedicato all’amante di<br />
Nerone Actè (1838).<br />
53 Gli interventi di Callegari (Callegari<br />
1890, Callegari 1891) erano stati preceduti<br />
da quello di Domenico Gnoli, Nerone<br />
nell’arte contemporanea (Gnoli 1876).<br />
54 Boito 1877 b , pp. 333-334.<br />
55 Per una più ampia trattazione cfr.<br />
Frezzotti 2006, pp. 41-47.
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Materiali archeologici nei quadri di<br />
Alma-Tadema: alcune considerazioni<br />
Nadia Murolo<br />
saggio dal catalogo<br />
Alma-Tadema non è un archeologo. Né è sua intenzione esserlo.<br />
Pur apparendo ai suoi contemporanei come “un ricercatore instancabile di<br />
cose antiche” 1 , il suo rapportarsi con gli spazi e le strutture architettoniche<br />
dell’antichità, con le più svariate suppellettili, è altro, evidentemente,<br />
da quello di uno specialista.<br />
Pur suscitando ammirazione per la ricchezza e i dettagli degli oggetti<br />
riprodotti nei suoi quadri (paragonati a veri e propri ‘musei’), il suo approccio<br />
all’antico e ai suoi materiali è segnato dall’intrecciarsi di esperienze di<br />
documentazione e di interventi di manipolazione sugli oggetti così come<br />
sulle strutture, che gli permettono di farli scivolare dalla dimensione di<br />
reperti archeologici a quella di edifici abitati, di oggetti in uso o di opere<br />
d’arte pienamente fruibili nella loro integrità.<br />
Le forme e le fonti della documentazione sui materiali archeologici<br />
“My first visit to Italy was a revelation to me. It extended my archaeological<br />
learning to such a degree that my brain soon become hungry for it” 2 .<br />
Per Alma-Tadema le visite ai musei e ai siti archeologici durante il lungo<br />
viaggio in Italia del 1863, e in quelli che seguirono, furono occasioni ineguagliabili<br />
per conoscere l’antichità con un approccio diretto, senza alcuna<br />
forma di mediazione. Poté veder riuniti nelle grandi raccolte dei maggiori<br />
musei italiani 3 , veri e propri ‘ammassi’ di opere d’arte antica (esposte<br />
secondo i criteri positivistici dominanti al tempo) e li ripropose poi, nell’effetto<br />
di accumulo, in alcuni spettacolari dipinti (Una galleria di statue<br />
nella Roma augustea, La galleria di statue (cat. 62), Il collezionista di quadri<br />
al tempo di Augusto, La galleria di quadri (fig. 1), Appassionato d’arte<br />
romano del 1868 (fig. 2), Appassionato d’arte romano del 1870,<br />
Giocoliere, Festa della vendemmia. Ebbe modo di confrontarsi direttamente<br />
con i grandi monumenti di Roma e soprattutto di conoscere le peculiarità<br />
delle città vesuviane, con gli edifici e i tessuti urbani riemersi in oltre<br />
un secolo di scavi archeologici. Di Pompei riprodusse alcuni scorci in<br />
Ingresso in un teatro romano, Il mercato dei fiori, Un altarino, Un’esedra<br />
(cat. 65) riportando le rovine alla loro antica integrità, rivitalizzandole con<br />
i colori degli intonaci e delle stoffe, popolandole di personaggi. Visitando<br />
scavi e musei ebbe l’opportunità di selezionare i siti, le architetture e i<br />
reperti di cui raccogliere successivamente la documentazione grafica e<br />
(ormai soprattutto) fotografica, di fare rilievi e disegni, di ricopiare iscri
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zioni e particolari architettonici, di fare rapidi schizzi degli oggetti che<br />
maggiormente lo interessavano. Della sua pratica del disegno dal vero e<br />
delle sue elaborazioni ci restano diversi bozzetti che riuniscono insieme<br />
oggetti della stessa tipologia 4 e sviluppi grafici – nella ben collaudata tecnica<br />
che risaliva già alla pubblicazione della prima collezione di antichità<br />
di William Hamilton 5 – come quello realizzato per trasformare la decorazione<br />
dello stamnos del Pittore del Deinos al Museo Archeologico di<br />
Napoli 6 (fig. 4) in una pittura parietale nel dipinto Una festa privata.<br />
Lo strumento che più caratterizza il modo con cui Alma-Tadema si documentava<br />
sui materiali archeologici è, però, la fotografia 7 . Il suo archivio,<br />
organizzato con criteri tematici, comprendeva un gran numero di immagini<br />
di reperti greci e romani: in prevalenza sculture e decorazioni architettoniche<br />
ma anche le immancabili riproduzioni di affreschi parietali<br />
delle città vesuviane. Esso costituiva il suo personale data base di materiali<br />
archeologici, un vero e proprio ‘museo virtuale di reperti antichi ’ cui<br />
l’artista attingeva in maniera sistematica e che, insieme alla documentazione<br />
grafica e alle copie di reperti archeologici di cui pure disponeva, era<br />
per lui, così come i colori e i pennelli, uno strumento di lavoro fondamentale<br />
8 . Dopo il viaggio in Italia del 1863 la collezione fotografica, già iniziata<br />
in precedenza, si arricchì di numerose immagini dei reperti dagli scavi<br />
di Pompei ed Ercolano esposti al Museo Archeologico di Napoli. Il quadro<br />
Tibullo nella casa di Delia del 1866 (fig. 3 e cat. 56), con l’inserimento nell’arredo<br />
di diversi oggetti provenienti dai siti vesuviani, di cui possedeva<br />
copie fotografiche 9 , dimostra che il sistema di elaborazione delle immagini<br />
pittoriche partendo da spunti fotografici era pienamente consolidato. Il<br />
suo archivio comprendeva in gran numero le serie di fotografie realizzate<br />
dai maggiori fotografi di antichità come souvenir, per una clientela di turisti<br />
colti, dei siti più frequentati al tempo: le immagini di Pompei, molto<br />
ben documentata, sono di Michele Amodio, Robert Rive e Giorgio<br />
Sommer 10 , che collaborò a lungo con il direttore degli scavi Giuseppe<br />
Fiorelli. Anche Atene, e in particolare l’Acropoli della città antica, di cui si<br />
realizzavano in quegli anni lo scavo e il restauro 11 , è ben documentata nel<br />
suo archivio con fotografie di William Stillman; tra queste, l’immagine con<br />
vista del fregio del Partenone dalle impalcature 12 presenta la stessa inquadratura<br />
con cui fu realizzato Fidia mostra agli amici il fregio del Partenone 13 .<br />
L’endiadi disegno dal vero-fotografia, quali strumenti di documentazione<br />
del pittore, è ben rappresentata nella scelta di farsi fotografare mentre è<br />
impegnato a far rilievi e a disegnare nella Casa di Sallustio a Pompei.<br />
Come molti altri artisti dell’Ottocento Alma-Tadema possedeva, inoltre,<br />
una collezione di riproduzioni di oggetti antichi, sia in scala sia in proporzioni<br />
pari al vero: in marmo, bronzo, terracotta o realizzati con la recente<br />
tecnica della galvanoplastica. Tali riproduzioni, ben distinte dagli oggetti
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antichi falsificati, ma al tempo stesso non esenti da integrazioni moderne<br />
in stile, rientravano pienamente nel gusto eclettico dell’epoca e allo stesso<br />
tempo risultavano funzionali per il suo lavoro. Tra queste, alcune dei<br />
vasi in argento più spettacolari del tesoro di Hildesheim, rinvenuto nel<br />
1865, di cui fece uso ricorrente nelle sue composizioni 14 : il grande cratere<br />
a campana decorato a sbalzo con girali ed eroti, la patera lobata 15 e molto<br />
probabilmente anche la patera con, sul fondo, Atena in trono a rilievo.<br />
Aveva, inoltre, bronzi degli ateliers Sommer e Chiurazzi (che detenevano il<br />
monopolio della riproduzione delle opere del Museo Archeologico di<br />
Napoli) 16 oltre, ovviamente, alle meno costose ceramiche, anche queste<br />
spesso oggetto di rielaborazioni se non di vere e proprie falsificazioni da<br />
parte degli artigiani ottocenteschi i quali, approcciandosi con notevole<br />
autonomia agli originali, le riproducevano realizzando in diversi casi veri e<br />
propri pastiches di tecniche, forme e decorazioni evidentemente improbabili<br />
che pure ritornano in alcuni suoi quadri 17 .<br />
Anche la sua biblioteca privata fu per Alma-Tadema un’importante fonte<br />
di documentazione. Con i suoi oltre quattromila volumi 18 essa costituiva,<br />
certamente, una delle più ricche raccolte di tema storico e archeologico<br />
nell’Inghilterra vittoriana 19 .<br />
Ma, al di là dell’antichità riprodotta o descritta, è soprattutto quella nota<br />
per esperienza diretta, nelle visite ai musei e ai siti archeologici, a fornire,<br />
come ricordato, documentazione e soprattutto ambientazione per le sue<br />
composizioni. Tra i tanti visitati, il British Museum di Londra e il Museo<br />
Archeologico di Napoli costituirono, sicuramente, i poli di maggior interesse;<br />
veri e propri ‘manuali dell’antico’ squadernati nella loro varietà di<br />
oggetti e materiali, nella loro vivacità di colori accompagnarono negli anni<br />
la sua pittura. Nel grande museo britannico ebbe modo di avvicinarsi alle<br />
diverse realtà archeologiche del mondo antico 20 , conoscere le collezioni<br />
Hamilton e Townley e i complessi delle decorazioni architettoniche del<br />
Partenone e del tempio di Apollo a Basse 21 , e poté, inoltre, familiarizzare<br />
con alcune classi di materiali tra cui le cosiddette “tanagrine”, statuette<br />
greche femminili di terracotta policroma che ritorneranno con le loro eleganti<br />
silhouettes nei suoi quadri, riprodotte come ninnoli d’arredo o riecheggiate<br />
di frequente negli abbigliamenti e nelle pose dei personaggi<br />
femminili 22 . Al Museo Archeologico di Napoli, di certo la sua fonte più<br />
importante e peculiare di documentazione per il numero e la particolarità<br />
degli oggetti, Alma-Tadema conobbe soprattutto la grande varietà di<br />
reperti dalle città vesuviane. Anche questi, evidentemente, erano presentati<br />
secondo i criteri museografici del tempo, già tipici dell’allestimento<br />
borbonico, suddivisi cioè per classi e del tutto privati del loro contesto originario,<br />
per cui, per esempio, intere sezioni di affreschi parietali staccate<br />
dagli edifici erano incorniciate ed esposte come quadri e gli emblemata dei
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mosaici, originariamente decorazioni pavimentali, erano murati alle pareti.<br />
Tale visione decontestualizzata, per categorie, incoraggiava, evidentemente,<br />
l’impiego per singoli elementi che il pittore faceva di questi reperti.<br />
Tra le antiche città vesuviane fu Pompei il set preferito delle ambientazioni<br />
di Alma-Tadema. La Pompei visitata e disegnata dal pittore era fondamentalmente<br />
la Pompei scavata e restaurata da Giuseppe Fiorelli 23 , concretamente<br />
fissata nel plastico di sughero che lo stesso archeologo faceva<br />
realizzare in quegli anni 24 . Una città, a quell’epoca, riportata alla luce<br />
per metà circa della sua estensione, nella parte a ovest della Via di Stabia;<br />
una città dalla conservazione ineguale che nelle zone indagate negli anni<br />
più lontani era già ridotta a un rudere con i muri sbrecciati e le pitture<br />
sbiadite, mentre in quelle di esplorazione più recente mostrava la possenza<br />
delle murature e i colori vivi degli affreschi anche se le case e gli edifici<br />
pubblici erano ancora senza tetti, riparati piuttosto solo da modeste<br />
tettoie. Le ricostruzioni complete degli ambienti con gli alzati e con i<br />
sistemi di copertura erano al tempo, infatti, soltanto disegnate dagli illustratori<br />
dell’opera dei fratelli Niccolini Le case ed i monumenti di Pompei<br />
disegnati e descritti (1854-1896) 25 , come già in passato dai pensionnaires<br />
dell’École des Beaux-Arts, e fu forse proprio il successo indiscusso di queste<br />
‘ricostruzioni per immagini’ – presenti sia nelle illustrazioni delle grandi<br />
pubblicazioni scientifiche sia nei quadri di soggetto ‘antico’ (di cui i<br />
dipinti di Alma-Tadema rappresentano una delle massime espressioni<br />
europee) – a spianare la strada al metodo del restauro di ricostruzione<br />
inaugurato con l’intervento sulla Casa dei Vettii (scavata nel 1894-1895)<br />
a opera di Michele Ruggiero e proseguito, nella generazione successiva, da<br />
Vittorio Spinazzola sugli edifici dei Nuovi Scavi di Via dell’Abbondanza 26 .<br />
La ricostruzione inventiva delle strutture e degli spazi<br />
Pur se essenzialmente vera, l’affermazione che le case antiche di Alma-<br />
Tadema sono quelle di Pompei va mitigata nel senso che il pittore le reinterpreta<br />
in chiave grandiosa e sfarzosa; mai meschine come pure spesso<br />
erano in realtà, mai povere, esse diventano nei suoi quadri ampie e sontuose,<br />
dotate sempre di colonne e pavimenti marmorei, di statue di<br />
marmo e bronzo, come potevano essere solo le domus e le villae dell’aristocrazia<br />
romana.<br />
La rappresentazione dello spazio domestico si fa più aderente agli<br />
ambienti delle domus pompeiane nella riproduzione di pareti decorate ad<br />
affreschi e squarci di giardini. È il caso, per esempio, del triclinio in cui è<br />
ambientato Tibullo nella casa di Delia (cat. 56) che sul fondo ripropone la<br />
sintassi di una parete di III-IV stile (la loro classificazione a opera di A. Mau<br />
avverrà solo nel 1882) con l’inserimento di quadri (l’unico ben visibile<br />
sembra, però, un pastiche) e decorazioni accessorie, come il pannello cen-
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trale con il sileno funambolo che, invece, trova un riscontro puntuale da<br />
Pompei 27 . Uno degli spazi preferiti nell’immaginario del pittore è l’atrio,<br />
certamente ispirato a modelli pompeiani e tuttavia più solenne e ricco,<br />
corinzio, ovvero con più colonne per lato, piuttosto che tetrastilo, con l’alto<br />
tetto munito di sontuosi cassettonati e architravi decorati con fregi e<br />
con il particolare delle grondaie fittili a testa leonina o di cane, più fedele<br />
di altri elementi agli originali.<br />
Questa ricostruzione inventiva degli atri ricorre in Appassionato d’arte<br />
romano del 1868 (fig. 2), in Appassionato d’arte romano del 1870, in<br />
Giocoliere e in Festa della vendemmia. L’inquadratura del primo dipinto si<br />
concentra su un lato dell’ambiente ponendo in primo piano un angolo<br />
della vasca dell’impluvium e la pavimentazione musiva. La parete di fondo,<br />
non sviluppata in tutta la sua altezza, più che richiamare una sintassi di III<br />
stile presenta un affollarsi di quadri non coerenti con l’impianto decorativo;<br />
all’estremità sinistra c’è un’apertura che dà su un peristilio di cui si<br />
intravedono le colonne ioniche e il fregio. L’atrio nella seconda versione di<br />
Appassionato d’arte romano è ancora più imponente e più ampia è l’inquadratura<br />
con cui è presentato. È un atrio corinzio esastilo con fregio di<br />
grifi sulla trabeazione su cui si alzano balaustre che segnano lo sviluppo di<br />
un secondo piano (la sua veduta è, però, interrotta dall’estremità superiore<br />
del quadro); le pareti sono decorate all’incirca alla maniera del III stile<br />
e il soffitto a grottesche, le aperture su spazi esterni sono solo suggeriti,<br />
sul fondo, dal portone chiuso all’estremità delle fauces. Anche in<br />
Giocoliere è riprodotto sostanzialmente lo stesso spazio architettonico<br />
ma l’inquadratura ne copre un solo angolo, come in una zoomata fotografica;<br />
manca il secondo piano e c’è, invece, una resa puntuale delle trabeazioni<br />
del tetto, mentre sono riproposte in maggior dettaglio, e con qualche<br />
modifica della composizione, le decorazioni ad affresco delle pareti e<br />
del soffitto. Lo spazio dell’atrio è espanso ancor di più nella larga composizione<br />
di Festa della vendemmia dove la profondità dei piani della composizione<br />
e gli ‘sfondamenti’ prospettici richiamano, forse, come modello<br />
le architetture tipiche delle pitture di IV stile. La struttura è sempre corinzia<br />
esastila, l’ampio spazio centrale non coperto, su cui si alzano balaustre,<br />
è decorato come il resto dell’ambiente da statue in marmo e pitture; l’ingresso<br />
sul fondo, all’estremità destra, è incorniciato da un portale con<br />
girali di acanto che riprende fedelmente quello dell’edificio di Eumachia 28<br />
e lascia intravedere un piccolo scorcio del paesaggio.<br />
Ancora edifici pompeiani sono alla base delle riproduzioni di alcuni<br />
ambienti termali, tra cui quello di Un’abitudine prediletta dove è ricostruito,<br />
introducendo alcune soluzioni autonome nella resa dei motivi decorativi,<br />
il tepidarium della sezione maschile delle Terme Stabiane (qui destinato,<br />
però, a un’utenza femminile) con le nicchie per il deposito degli abiti
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lungo le pareti, la volta di stucco baccellato e la vasca circolare per i bagni<br />
tiepidi. Il quadro Thermae Antoninianae, invece, si rifà ai grandi impianti<br />
termali romani e, pur richiamandosi nel titolo alle Terme di Caracalla,<br />
ripropone quasi puntualmente la struttura della grande aula centrale delle<br />
Terme di Diocleziano 29 .<br />
A monumentali modelli di architetture urbane, inoltre, modificati nella<br />
composizione con evidente autonomia e tagliati spesso di netto nelle<br />
inquadrature, si rifanno le messe in scena di quadri come Un’udienza da<br />
Agrippa, Dopo l’udienza, Il trionfo di Tito e La primavera del 1899.<br />
Un caso a sé è, infine, quello della riproduzione in Un’esedra (cat. 65) della<br />
tomba a schola della sacerdotessa Mamia eretta sulla Via dei Sepolcri a<br />
Pompei. La ripresa dell’ubicazione e dell’architettura è fedele 30 , completata,<br />
quest’ultima, dall’aggiunta arbitraria di due acroteri a palmetta posti a<br />
coronamento dei pilastrini laterali, e il rivestimento in tufo nell’originale<br />
sostituito con il più pregiato marmo; l’antica funzione del sepolcro-sedile<br />
per viandanti è riproposta con l’inserimento di un gruppo di personaggi<br />
che coprono con le loro figure buona parte dell’iscrizione 31 rendendola<br />
quasi illeggibile. La stessa struttura, liberata da ogni elemento di contesto<br />
e con diverse varianti decorative, sarà riproposta in molte composizioni<br />
successive 32 come spazio conclusus che accoglie i personaggi della scena<br />
e allude, giocando sul nitore del marmo che si staglia sugli sfondi luminosi<br />
dei paesaggi mediterranei, alle grandi esedre e ai sontuosi peristili delle<br />
lussuose villae maritimae del golfo di Napoli.<br />
La trama sottile del ricorrere degli oggetti antichi<br />
Si è discusso su quanto Alma-Tadema fosse un approfondito conoscitore<br />
dei materiali archeologici e su quanto fosse attento – e in qualche modo<br />
anche partecipe – al dibattito su alcuni aspetti della ricerca archeologica<br />
del suo tempo 33 . Dal suo modo di selezionare, presentare e contestualizzare<br />
i materiali emerge una dimensione per certi aspetti contraddittoria: su<br />
alcuni temi si dimostra sorprendentemente aggiornato mentre riguardo ad<br />
altri cade in qualche ingenuità; d’altra parte la libertà che dimostra nel<br />
gestire gli oggetti può spiegare, in diversi casi, le sue scelte.<br />
Si è insistito, inoltre, sulla sua precisione nel riprodurre i dettagli archeologici<br />
evidenziando che tale abilità, da una parte, trasmette all’osservatore<br />
una sensazione di realismo e dall’altra lo coinvolge nella sfida erudita a<br />
cogliere le citazioni e a riconoscere nei dipinti gli oggetti esposti nei musei 34 .<br />
Sicuramente Alma-Tadema si avvaleva, lo abbiamo visto, di un notevole<br />
bagaglio di documentazione, ma su questa operava forti interventi di selezione,<br />
modifica e interpolazione, tanto che i materiali archeologici risultano<br />
inseriti nelle sue composizioni con un procedimento eclettico di “interpolazione<br />
creativa” di immagini tratte da fonti differenti 35 .
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Nel riprodurre gli oggetti antichi, infatti, il pittore spesso interveniva su di<br />
essi: li manipolava, li modificava, li sottoponeva a un processo di restauro-rifacimento<br />
che li riportava all’originaria integrità (o presunta tale,<br />
come per esempio nel mosaico della battaglia di Isso in Appassionato<br />
d’arte romano del 1868 (fig. 2); li trasformava modificandone il materiale<br />
costitutivo 36 e le dimensioni originarie; in alcuni casi, poi, ne cambiava la<br />
funzione inserendoli in contesti differenti 37 . Inoltre riproponeva i medesimi<br />
oggetti in diverse composizioni, spesso anche lontane nei tempi di esecuzione<br />
(basti pensare alla piccola oinochoe d’argento, al pendente d’oro<br />
con maschera di sileno o ancora al set da bagno in bronzo) 38 tessendo una<br />
trama sottile di ricorrenze che, al di là delle esigenze funzionali, può essere<br />
letta come una ‘marca d’autore’ e rendendo, così, ancor più stimolante<br />
il gioco delle citazioni e dei riconoscimenti.<br />
La presenza di anacronismi in alcuni dipinti con composizioni di materiali<br />
cronologicamente o culturalmente incoerenti è un altro aspetto da<br />
prendere in considerazione.Talvolta si tratta di un anacronismo solo apparente,<br />
giacché, in verità, sono raffinate citazioni da connaisseur: così per gli<br />
oggetti di antiquariato di epoca greca classica o ellenistica che arredano<br />
ricche domus romane (Appassionato d’arte romano del 1868, fig. 2,<br />
Appassionato d’arte romano del 1870, Giocoliere, Festa della vendemmia)<br />
o sono esposti in gallerie commerciali di opere d’arte (Una galleria di statue<br />
nella Roma augustea, La galleria di statue, cat. 2, Il collezionista di quadri<br />
al tempo di Augusto, La galleria di quadri, fig. 1). Allo stesso modo la<br />
presenza di alcuni oggetti egizi in quadri di contesto greco e romano non<br />
è il segno di anacronismi, inammissibili in un frequentatore di musei come<br />
Alma-Tadema, ma la citazione di oggetti ritenuti più intensamente carichi<br />
di significati rituali, come le statuine di Bes in La processione verso il tempio<br />
(cat. 63), Un oleandro e Un sacrificio a Bacco (cat. 61), o di preziosa<br />
cultura esotica (la statuina di faraone in Prosa), o ancora indicativi di<br />
nazionalità, come le cassettine degli ushabty che fanno da contenitori per<br />
gli oggetti del saltimbanco egizio in Giocoliere. Anacronismi apparenti<br />
sono inoltre provocati anche dall’inserimento in contesti antichi di oggetti<br />
di produzione moderna o di forte rielaborazione moderna su frammenti<br />
antichi che Alma-Tadema non poteva identificare come tali: per esempio<br />
l’oinochoe ad alto collo 39 in Tibullo nella casa di Delia (fig. 3), il bacino<br />
in marmo rosso con sostegno configurato come Scilla e la scultura<br />
dell’Eracle bambino che strozza i serpenti di G. della Porta 40 in La galleria<br />
di statue (cat. 62) e il candelabro in marmo in stile neoattico decorato con<br />
sfingi e trampolieri 41 in Festa per la vendemmia.<br />
In altri quadri, invece, gli anacronismi sono più evidenti e derivano dal<br />
mancato riconoscimento delle cronologie e degli ambiti di appartenenza<br />
(peraltro al tempo ancora incerti anche presso gli archeologi specialisti)
ALMA<br />
TADEMA<br />
E LA NO<br />
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DELL’<br />
ANTICO<br />
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dei materiali utilizzati, come nel caso di alcune pitture funerarie italiche<br />
proposte (in assenza di pitture greche certe) come decorazioni parietali di<br />
templi e di case in contesti definiti come greci (La processione verso il tempio,<br />
cat. 63, Donna greca e Il soldato di Maratona) 42 o di alcuni vasi ed elementi<br />
d’arredo di epoca romana più disinvoltamente inseriti in ambienti in<br />
cui si svolgono scene per il resto connotate come greche anche nei titoli<br />
(Vino greco, cat. 60), La cena (greca) 43 . Ma una scelta ancor più forte nella<br />
gestione dei materiali archeologici rispetto a tutte quelle che abbiamo sino<br />
a ora evidenziato – e che si intreccia profondamente con la conoscenza dei<br />
materiali stessi – è la dimensione del “non visibile”, del “tagliato fuori dall’inquadratura”<br />
su cui ha efficacemente insistito da tempo E. Prettejohn 44 .<br />
Queste soluzioni compositive sono interpretate come allusive alla dimensione<br />
necessariamente lacunosa della conoscenza e della comprensione<br />
del mondo antico; il segno, cioè, dei dati irrimediabilmente persi, di quei<br />
lost data di cui lo stesso Alma-Tadema prendeva atto non solo vedendo i<br />
materiali archeologici musealizzati, ma soprattutto confrontandosi con la<br />
realtà della irriducibile incompletezza nella nostra percezione del mondo<br />
antico anche nello scavo archeologico di siti come Pompei.<br />
Questo approccio ricorre nelle manipolazioni dell’artista sui diversi tipi di<br />
materiali archeologici ma risulta soprattutto efficace nella rappresentazione<br />
delle sculture e delle pitture antiche, con soluzioni che si possono<br />
considerare, ormai, paradigmatiche 45 .<br />
D’altronde la consapevolezza che parte consistente delle sculture delle collezioni<br />
dei musei archeologici era copia 46 di originali greci ancor più antichi<br />
e irrimediabilmente persi, così come lo erano le pitture parietali e i mosaici<br />
figurati che tornavano alla luce nelle città vesuviane ha segnato, di certo,<br />
il modo di rapportarsi di Alma-Tadema con queste classi di materiali.<br />
Alla base c’era, comunque, una conoscenza ampia e consolidata degli<br />
oggetti: notevole era, infatti, la documentazione di cui egli disponeva per<br />
la scultura e la pittura, composta non solo da un ricco bagaglio di immagini<br />
ma anche da testimonianze delle fonti letterarie antiche. Notevole<br />
doveva essere, poi, la suggestione delle forme di musealizzazione di questi<br />
stessi materiali che pure gli erano familiari: La galleria di quadri (fig. 1)<br />
ripropone una delle sale degli affreschi del Museo Archeologico di Napoli,<br />
La galleria di statue (cat. 62) ha alla base del suo impianto compositivo la<br />
sala dell’Agrippina e dei busti dei Cesari dei Musei Capitolini, fissata nella<br />
sua monumentalità da una fotografia Sommer.<br />
Su questi spazi reali si innestava, quindi, un processo di rielaborazione in<br />
cui si andavano a intrecciare l’estrapolazione e la ricollocazione dei singoli<br />
elementi, la concentrazione volutamente anacronistica delle opere d’arte,<br />
le modifiche di materie e dimensioni, le inversioni delle posizioni gerarchiche,<br />
la rappresentazione di quanto era perduto attraverso le immagini
ALMA<br />
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E LA NO<br />
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ANTICO<br />
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interrotte o negate. Ecco dunque, per esempio, la statua di Sofocle riproposta<br />
in bronzo e i quadri di Timante e M. Ludio esposti insieme o, ancora,<br />
il bacino con piede configurato, manufatto di non particolar pregio, che<br />
occupa il centro della composizione e il quadro con la battaglia di Isso<br />
confinato all’estremità della scena 47 .<br />
Alla sua vasta conoscenza di esemplari di pittura e di scultura Alma-<br />
Tadema attingeva in modo ricorrente punteggiando le sue composizioni<br />
di richiami ai dipinti antichi e soprattutto alla grande statuaria, ai rilievi e<br />
alla piccola plastica, rinnovando così, di quadro in quadro, la sfida erudita<br />
con l’osservatore 48 . Inoltre, la scelta di riprodurre il fregio del Partenone<br />
colorato come doveva essere in antico in Fidia mostra ai suoi amici il fregio<br />
del Partenone se da un lato rientra perfettamente nel suo modo di<br />
ricomporre l’antichità, riportando gli oggetti nella loro originaria dimensione,<br />
dall’altro è segno della sua attenzione per il dibattito che proprio in<br />
quegli anni cresceva intorno al colore della scultura antica 49 .<br />
L’interesse di Alma-Tadema per la ceramica antica si concentra sulle produzioni<br />
a figure rosse attiche e della Magna Grecia e sulle produzioni della<br />
Gallia romana di cui possedeva bozzetti con serie di forme vascolari,<br />
sezioni di vasi e acquerelli con riproduzioni a colori di singoli esemplari 50 .<br />
I vasi a figure rosse ricorrono essenzialmente in quadri di ambientazione<br />
greca 51 , soprattutto in rappresentazioni di banchetti e simposi (La siesta<br />
ecc.) ma è Le donne di Anfissa che presenta il numero e la varietà maggiori<br />
di esemplari, così come richiedeva il soggetto stesso 52 . Le forme utilizzate<br />
da Alma-Tadema sono le più tradizionali dei repertori delle officine<br />
attiche e magnogreche, anche se non mancano alcuni pastiches 53 , mentre<br />
i soggetti delle decorazioni, talvolta non ben distinguibili, risultano quasi<br />
sempre coerenti con le forme cui sono abbinati, come l’hydria con Eracle<br />
in La processione verso il tempio (cat. 63), lo skyphos con civetta e la lekythos<br />
con Eros alato in Decoratrici di ceramica o il piatto da pesce con<br />
fauna marina in Le donne di Anfissa. Sempre a ceramiche attiche e magnogreche<br />
si rifanno, inoltre, le pitture murali inserite come sfondo in Una<br />
festa privata, Tra speranza e timore, Vino greco (cat. 60) e La cena (greca)<br />
che si rivelano, a ulteriore dimostrazione dell’autonomia con cui Alma-<br />
Tadema gestiva i materiali archeologici di cui disponeva, la trasposizione<br />
in affreschi di pitture vascolari 54 . La modesta ceramica gallo-romana è,<br />
invece, il tema principale del grande quadro, poi suddiviso in tre tele,<br />
Adriano in Inghilterra: visita a una bottega anglo-romana di vasaio 55 (cat. 64<br />
per la parte tagliata e ridipinta intitolata Un vasaio anglo-romano): una<br />
produzione seriale di scarso pregio artistico, ben documentata al British<br />
Museum, che costituiva uno dei principali temi di studio della nascente<br />
archeologia romano-britannica (non a caso il protagonista del dipinto è<br />
l’imperatore del Vallum Hadriani). Oltre che in questo quadro l’interesse di
ALMA<br />
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E LA NO<br />
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DELL’<br />
ANTICO<br />
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Alma-Tadema per il lavoro artigianale dei ceramisti è ancor più evidente<br />
in Decoratrici di ceramica dove, a dispetto delle tante firme maschili sui<br />
vasi attici, sono due decoratrici a dipingere in rosso (invece che lasciarle<br />
non dipinte a risparmio) palmette e girali su vasi verniciati di nero.<br />
Gli elementi d’arredo, gli utensili – e quant’altro rientra nell’instrumentum<br />
domesticum –, documenti della vita quotidiana che gli scavi nelle città<br />
vesuviane continuavano a restituire mettendo in luce la dimensione ‘privata’<br />
della vita dei pompeiani, erano un’altra tipologia di materiali che<br />
interessava notevolmente il pittore. La fonte primaria di documentazione<br />
era, evidentemente, il Museo Archeologico di Napoli ma anche di questi<br />
materiali, che in alcuni casi rientrano nelle produzioni di vero e proprio<br />
artigianato artistico, circolavano numerose riproduzioni 56 : l’ammasso di<br />
candelabri e lucerne raffigurati sullo sfondo insieme a statue di bronzo di<br />
piccole e medie dimensioni di Una galleria di statue nella Roma augustea<br />
e di La galleria di statue (cat. 62) richiama l’allestimento del Museo<br />
Archeologico di Napoli ma anche i cataloghi di vendita dei riproduttori.<br />
Questi oggetti, nella loro varietà e specificità costituivano veri e propri<br />
‘marchi di fabbrica’ di ambientazioni pompeiane e quindi, per traslato, dell’antichità<br />
romana, e ricorrevano chiaramente anche nei repertori dei pittori<br />
“neopompeiani” 57 .<br />
Nello specifico dei dipinti di Alma-Tadema in molti casi è stato possibile<br />
giungere a una puntuale identificazione degli esemplari riprodotti con<br />
quelli del Museo Archeologico di Napoli, come per il tavolino con gambe<br />
pieghevoli, lo sgabello e la stufa samovar 58 in Tibullo nella casa di Delia<br />
(fig. 3 e cat. 56), il candelabro portalucerne 59 in La galleria di statue (cat.<br />
62) o ancora la statuetta di sileno portalampada in Vino greco (cat. 60) e<br />
il candelabro ad altezza regolabile in Giocoliere 60 .<br />
La riproduzione accurata e dettagliata di iscrizioni greche e latine è ricorrente<br />
nei quadri di Alma-Tadema 61 e si realizza in un’ampia gamma di<br />
soluzioni. Appare già consolidata alla metà degli anni Sessanta in Ingresso<br />
in un teatro romano, con la lunga iscrizione parietale dipinta in rosso, l’annuncio<br />
della messa in scena di una commedia di Terenzio, e perdura sino<br />
alle ultime produzioni, come in Preparativi al Colosseo del 1912 dove a un<br />
segmento di epigrafe su marmo leggibile sullo sfondo si aggiunge il meticoloso<br />
dettaglio dei numeri incisi e dipinti di rosso sugli schienali dei sedili.<br />
La diversità dei supporti e delle tecniche e la varietà dei contenuti delle<br />
iscrizioni si intrecciano di quadro in quadro con un gioco sottile di richiami:<br />
sono epigrafi in greco o in latino iscritte su superfici di marmo, in alcuni<br />
casi con la semplice ma regolare incisione delle lettere, in altri casi con<br />
la loro coloritura in rosso porpora o ancora con l’applicazione di lettere in<br />
bronzo 62 ; sono iscrizioni realizzate a mosaico su soglie e pavimenti 63 , sono<br />
sbalzate su bronzo o ricamate su tappezzerie 64 , sono graffite o dipinte su
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DELL’<br />
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pareti, cornici, anfore o su altri grandi contenitori 65 . Riproducono iscrizioni<br />
ufficiali o tracce della vita quotidiana e in alcuni casi, poi, il testo è costituito<br />
da un gruppo di versi tratti da componimenti poetici che chiosano<br />
le scene raffigurate 66 . Anche nel caso delle iscrizioni la suggestione del<br />
dato archeologico lacunoso, non più comprensibile pienamente, si realizza<br />
con il ‘gioco’ del messaggio frammentato e interrotto. In alcuni casi il<br />
testo è reso con caratteri troppo piccoli per essere leggibile ed è collocato<br />
sullo sfondo, in altri è parzialmente coperto dalla sovrapposizione di<br />
oggetti o personaggi, in altri, infine, come nel caso di Un passo di Omero<br />
(cat. 66), è troncato dall’inquadratura del dipinto.<br />
Per realizzare le iscrizioni Alma-Tadema prende spunto, ancora una volta,<br />
dalle diverse fonti documentarie di cui dispone, ma soprattutto utilizza i<br />
testi che ha visto di persona e ha puntualmente ricopiato, in particolare a<br />
Pompei. Tra le riproduzioni fedeli di iscrizioni del corpus pompeiano, in<br />
Un’esedra (cat. 65) compaiono, oltre all’epigrafe del sepolcro di Mamia,<br />
anche un’epigrafe su un cippo confine della tomba di M. Porcio 67 rinvenuta<br />
accanto a quella della sacerdotessa; l’iscrizione elettorale in cui il tribuno<br />
pretoriano T. Suedio Clemente sostiene la candidatura di M. Epidio Sabino 68<br />
è, invece, collocata liberamente al lato del thermopolium raffigurato in Il<br />
mercato dei fiori; l’iscrizione otiosis locus hic non est / discede morator 69 ,rinvenuta<br />
su un muro in Via del Lupanare, è riprodotta in nero su una parete<br />
intonacata in Un altarino, cui segue, con gli stessi caratteri paleografici, in<br />
un gioco di epoche e ruoli, la firma del pittore. Infine l’epigrafe M.OLCO-<br />
NIUS.M.F. 70 su una soglia di marmo in Festa per la vendemmia è stata puntualmente<br />
ricopiata dal pavimento dell’odeion di Pompei come documenta<br />
anche il disegno che Alma-Tadema fece del monumento 71 .<br />
I lost data e gli oggetti ‘interrotti’ – Il gioco delle inversioni gerarchiche<br />
e gli oggetti camuffati<br />
In Le rose di Eliogabalo con la metafora del sommerso e del riemerso si<br />
declina ancora una volta il suggestivo modello di lettura dei lost data.<br />
Dalla coltre di petali di rosa riemergono piccoli oggetti preziosi e raffinati:<br />
sono gioielli di alta oreficeria, sono le pregiate coppe murrine, sono gli<br />
intarsi in madreperla e le ageminature in argento che rifiniscono i piedi dei<br />
mobili del triclinio.<br />
La fonte letteraria 72 ci racconta la crudeltà del giovane imperatore che per<br />
puro divertimento faceva morire i suoi ospiti soffocati da una pioggia di<br />
petali di rose ma il richiamo alla tragica fine dei pompeiani – certamente<br />
Alma-Tadema aveva visto i calchi dei loro corpi realizzati dal Fiorelli – è<br />
altrettanto forte: i piccoli oggetti preziosi, i visi e le mani dei personaggi<br />
del dipinto riemergono a tratti dalla impalpabile coltre di petali di rose<br />
così come dalla grumosa coltre di lava riemergevano a tratti i resti degli
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uomini e i frammenti degli oggetti sepolti dall’eruzione. Entrambe le piogge<br />
leggere, di petali di rose e di grumi di lapillo – ci narrano le fonti –<br />
coprirono e soffocarono fino a uccidere.<br />
Anche l’inversione delle posizioni degli oggetti rispetto a una gerarchia<br />
compositiva tradizionale, quale segno caratterizzante delle composizioni<br />
di Alma-Tadema, è stata efficacemente evidenziata già da tempo 73 per<br />
alcuni dipinti, tra cui Una galleria di statue (cat. 62).<br />
Uno dei quadri dell’artista, Festa della vendemmia, offre lo spunto per sottolineare<br />
la valenza di questo modello interpretativo anche da un punto di<br />
vista specificamente archeologico, dell’archeologia della cultura materiale<br />
cioè, e non solo della storia dell’arte antica. Il tema bacchico, evidentemente,<br />
permea tutta la composizione in un richiamo complesso che intercorre<br />
tra gli oggetti con i loro significati puntuali e i loro valori simbolici, ma il<br />
centro della scena, sottolineato dall’irraggiarsi delle tibiae delle suonatrici,<br />
su cui convergono con i loro movimenti e i loro sguardi i personaggi in<br />
primo piano, è tenuto da un semplice dolio in terracotta grezza con coperchio,<br />
un recipiente di uso comune per conservare il vino 74 , qui coronato con<br />
un tralcio d’edera e poggiato su un treppiedi di bronzo, per nulla pertinente<br />
al suo uso, ma che ne enfatizza la posizione e quindi il ruolo. In una collocazione<br />
marginale all’estremità destra della scena, dopo due anfore da<br />
trasporto, invece, camuffato tra grappoli d’uva in un cesto di vimini e reso<br />
in monocromo blu su blu – che spegne l’effetto di forte contrasto cromatico<br />
del vetro cammeo – c’è il “vaso blu”, uno degli oggetti più pregiati<br />
delle collezioni del Museo Archeologico di Napoli 75 , anch’esso legato, in una<br />
sfera molto più alta e raffinata, al consumo del vino.<br />
Il gioco sottile di Alma-Tadema dell’inversione delle posizioni gerarchiche<br />
nella composizione e quindi della diversa sottolineatura dei ruoli torna<br />
ancora una volta: si propone in una dimensione estrema tra il pregio del<br />
vaso in vetro cammeo e l’ordinarietà del dolio e proprio in questo suo<br />
definirsi punta il fuoco su una classe di materiali di uso comune, documento<br />
della cultura materiale del mondo romano, che gli scavi a Pompei<br />
e negli altri siti vesuviani degli ultimi decenni andavano riscoprendo e su<br />
cui andava crescendo, progressivamente, l’interesse degli studiosi. L’ ‘ironia’<br />
dell’artista che evidenzia oggetti di scarso valore a scapito di oggetti<br />
di pregio è allo stesso tempo l’interesse dell’autore che presta attenzione<br />
al dibattito contemporaneo tra i fautori della tradizione delle arti maggiori<br />
e i rivalutatori delle arti minori.
ALMA<br />
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1 Netti 1906, p. 231. Cfr. il saggio di L.<br />
Martorelli in questo catalogo.<br />
2 Alma-Tadema 1909, p. 295.<br />
3 Durante il primo viaggio in Italia e nei<br />
successivi visitò la Galleria degli Uffizi a<br />
Firenze, i Musei Vaticani, i Musei Capitolini, e<br />
altre raccolte romane oltre che il Museo<br />
Archeologico di Napoli.<br />
4 Cfr., per esempio, il bozzetto con<br />
pettinature femminili da sculture antiche<br />
(Disegni Alma Tadema Portfolio CXVII, n. E.<br />
2623) e il bozzetto con ceramiche<br />
magnogreche (Disegni Alma Tadema Fiche<br />
19192 E 5).<br />
5 Le Antiquités étrusques, grecques et<br />
romaines furono pubblicate a Napoli nel<br />
1766-1767 a cura di P.F.H. d’Hancarville con<br />
tavole di P. Bacci. Cfr. Vases and Volcanoes<br />
1996.<br />
6 MANN, inv. 81674. Cfr. inoltre i disegni da<br />
decorazioni vascolari raccolti in Disegni Alma<br />
Tadema Portfolio LXXXI.<br />
7 Pohlmann 1996.<br />
8 Aveva la consuetudine di procurarsi diverse<br />
inquadrature dei pezzi che più lo<br />
interessavano. Molte delle sue fotografie,<br />
inoltre, documentano l’attenzione per le<br />
riproduzioni dettagliate dei particolari.<br />
9 Braciere-samovar, che compare anche in Il<br />
mercato dei fiori, MANN, inv. 72968 e tavolo<br />
MANN, inv. 72995 riprodotti nella fotografia<br />
Foto Alma-Tadema Birmingham CXIX 11089.<br />
10 Cfr. Fanelli 2007.<br />
11 Melucco Vaccaro 2000, pp. 178-179. Vlad<br />
Borrelli 2003, pp. 113-117.<br />
12 La fotografia è del 1868 circa (Foto<br />
Alma-Tadema Birmingham LXXVIII, 9890).<br />
13 Pohlmann 1996, p. 120, osserva che la<br />
data della pubblicazione della fotografia,<br />
successiva alla realizzazione del dipinto, non<br />
può essere stata modello per la<br />
composizione; una posizione così categorica<br />
non è condivisibile dal momento che<br />
sicuramente immagini come questa<br />
circolavano tra gli “addetti ai lavori” anche<br />
prima della loro pubblicazione.<br />
14 Il cratere, per esempio, è riprodotto in<br />
Dopo l’udienza (con una leggera modifica del<br />
profilo), Un sacrificio a Bacco (come vaso<br />
utilizzato per il rituale), in Confidenza<br />
indesiderata (come vaso da fiori), in L’ora<br />
d’oro e in Un’abitudine prediletta (come<br />
recipiente impiegato nei bagni termali); la<br />
patera lobata in La cena (greca), Un’udienza<br />
da Agrippa, Preparativi al Colosseo; la patera<br />
con Atena compare in primo piano in La<br />
galleria di statue.<br />
15 La patera lobata compare sul camino del<br />
suo studio in una fotografia del 1884, cfr.<br />
Treuherz 1997, p. 47, fig. 28.<br />
16 La riproduzione avveniva tramite calchi<br />
in gesso e le fonderie Chiurazzi avevano nel<br />
tempo creato una formidabile gipsoteca di<br />
modelli con oltre tremila calchi. Cfr. il saggio<br />
di L. Martorelli in questo catalogo con<br />
relativa bibliografia.<br />
17 Per esempio un’imitazione di un aryballos<br />
attico a figure rosse decorato con un<br />
improbabile elmo crestato è riprodotta in La<br />
siesta (versione californiana), in Scriba<br />
romano che compila messaggi e in<br />
Confidenze mentre pastiches che rielaborano<br />
la forma del lébes gamikòs sono in entrambe<br />
le versioni di La siesta, in Una festa privata e<br />
in Decoratrici di ceramica.<br />
18 Barrow 2004, p. 30.<br />
19 Possedeva, per esempio, una copia<br />
dell’opera Les ruines de Pompéi di F. Mazois<br />
da una cui immagine trasse spunto per<br />
dipingere il thermopolium di Il mercato dei<br />
fiori.<br />
20 È il caso della conoscenza dell’arte e<br />
dell’artigianato egizio che Alma-Tadema<br />
basò e consolidò essenzialmente sullo studio<br />
della collezione del British Museum, mentre<br />
si recò in Egitto solo nel 1902. Barrow 2004,<br />
pp. 22-27 e p. 179.<br />
21 Furono acquistati dal British<br />
rispettivamente nel 1772, 1805, 1816, 1818.<br />
Il fregio del tempio di Apollo a Basse è<br />
inserito in Un sacrificio a Bacco (cat. 61), in<br />
La modella dello scultore e in La primavera<br />
del 1894.<br />
22 Cfr. La processione verso il tempio (cat.<br />
63) e Appassionato d’arte romano del 1868<br />
(fig. 2). Per le donne-tanagrine cfr. Pesca, Un<br />
poeta favorito, Le donne di Anfissa,<br />
Prospettiva privilegiata o ancora Favoriti<br />
d’argento.<br />
23 A Giuseppe Fiorelli 1999.<br />
24 Sampaolo 1993.<br />
25 Edita in quattro volumi dai fratelli<br />
Niccolini tra il 1854 e il 1896, è stata riedita<br />
nel 2004 da Franco Di Mauro a cura di S. De<br />
Caro.<br />
26 De Caro 2006, p. 326. Sulle città<br />
vesuviane come soggetti ideali per la<br />
riprduzione grafica di architetture e oggetti<br />
antichi cfr. da ultime Lyons, Reed 2007.<br />
27 MANN, invv. 9119 e 9163; il medesimo<br />
soggetto compare anche in Il mercato dei<br />
fiori.<br />
28 Il portale dell’edificio di Eumachia a<br />
Pompei era uno dei soggetti preferiti del<br />
pittore tanto che ne volle una riproduzione<br />
in bronzo come ingresso del suo studio e ne<br />
inserì ben due riproduzioni nella scenografia<br />
che curò per l’allestimento del Giulio Cesare<br />
di H. Tree. Lo dipinse anche, con una variante<br />
nel profilo della cornice, in La galleria di<br />
statue (cat. 62) e ne ripropose un segmento<br />
in Un saluto silenzioso.
ALMA<br />
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29 In epoca rinascimentale su progetto di<br />
Michelangelo la grande aula centrale era<br />
stata trasformata nella chiesa di Santa Maria<br />
degli Angeli; Alma-Tadema aveva fotografie<br />
di entrambi i complessi termali.<br />
30 La tomba per la sua forma peculiare e il<br />
suo buono stato di consevazione è stata<br />
riprodotta in diverse vedute dal vero. Cfr. il<br />
dipinto di Ph. Hackert Due tombe a forma di<br />
esedra in Zanker 1993, p. 135, fig. 71.<br />
31 CIL X, 998.<br />
32 Esedre sono riprodotte, per esempio, in<br />
Una dichiarazione, Il riposo, Bisbigli di<br />
mezzogiorno, Favoriti d’argento,<br />
L’improvvisatore, Non chiedermelo più, La<br />
voce della primavera; in una struttura a<br />
esedra è ambientato anche Un passo di<br />
Omero (cat. 66) mentre l’esedra di Autunno<br />
del 1874 presenta un’epigrafe sulla spalliera<br />
del sedile sul modello dell’esedra di Mamia.<br />
33 Barrow 2004 con relativa bibliografia.<br />
34 Barrow 2004, p. 25.<br />
35 Lippincott 1990, p. 40.<br />
36 È il caso, per esempio, dei rytha a testa di<br />
cervo: il modello è, molto probabilmente,<br />
l’esemplare del MANN, inv. 69174 in bronzo<br />
ed esso è riprodotto in oro in La processione<br />
verso il tempio (cat. 63), in entrambe le<br />
versioni di La siesta, in Saffo ecc., è invece in<br />
argento in Festa della vendemmia e così via.<br />
37 È il caso, per esempio, della sfinge in<br />
bronzo trasformata in fontana in Un bagno,<br />
mentre con la sua originaria funzione di<br />
elemento decorativo per mobile (cfr. Foto<br />
Alma-Tadema Birmingham CXIX, 11082)<br />
compare in Promesse di primavera.<br />
38 L’oinochoe riprende l’esemplare in bronzo<br />
del MANN, inv. 69082 e ricorre in<br />
Un’udienza da Agrippa (1875), Un bagno<br />
termale (1876), La processione verso il<br />
tempio (1882), Un sacrificio a Bacco (1889)<br />
(cat. 61), Il trionfo di Tito AD 71 (1885), Un<br />
saluto silenzioso (1889), Tra speranza e<br />
timore (1876) (di dimensioni maggiori), Le<br />
rose di Eliogabalo (1888) e La conversione di<br />
Paola per opera di San Girolamo (1898). Il<br />
pendente è molto simile a quello del Louvre<br />
in oro, configurato a testa di Acheloo e<br />
decorato a granulazione, ma richiama anche<br />
le protomi di sileno della collana d’oro con<br />
protomi, ghiande e fiori di loto da Ruvo del<br />
MANN, inv. 24883 e ritorna, sempre come<br />
oggetto d’ornamento femminile in Donne<br />
gallo-romane (1865), Festa della vendemmia<br />
(1870), e ancora in La conversione di Paola<br />
per opera di San Girolamo (1898). Il set da<br />
bagno MANN, inv. 69904 a-f è riprodotto in<br />
Balneator (1877) e Il bacio (1891).<br />
39 Si tratta di un pastiche di frammenti<br />
antichi pertinenti a oggetti diversi realizzato<br />
in epoca moderna di cui circolavano<br />
riproduzioni fotografiche Sommer. Già<br />
MANN, inv. 69089, è stata di recente<br />
smontata. Cfr. Rolley 1996, p. 232, n. 15.19.<br />
Ringrazio Angela Luppino e Andrea Milanese<br />
della Soprintendenza Archeologica di Napoli<br />
e Caserta per le ricerche d’archivio.<br />
40 MANN, inv. 5821. Il solo bacino è antico<br />
e proviene da Pompei, il sostegno<br />
configurato fu probabilmente predisposto<br />
per l’esposizione nel Museo Palatino della<br />
regina Carolina Murat, cfr. Borriello 1997, p.<br />
286, n. 14.9 e Borriello 2002,<br />
p. 392, n. 96. La statua di G. della Porta,<br />
attualmente nella Pinacoteca di<br />
Capodimonte, era all’epoca nelle collezioni<br />
del MANN; si tratta di un bronzo raffigurato<br />
come tale in Giocoliere mentre in La galleria<br />
di statue è riprodotto in marmo.<br />
41 Il candelabro riprodotto nel dipinto<br />
compone, con un altro molto simile, MANN,<br />
invv. 6781, 6782, una coppia della quale si è<br />
fortemente discussa l’autenticità: Borriello<br />
1997 p. 286,<br />
n. 14.7; Bosso 2005.<br />
42 Nei primi due quadri è raffigurato<br />
l’affresco tombale con “Il ritorno del<br />
guerriero” da Nola MANN, inv. 9363; nel<br />
terzo una lastra dell’affresco tombale con<br />
“danzatrici” da Ruvo MANN, inv. 9355. Lo<br />
stesso anacronismo ricorre in Il tempio di<br />
Venere di Sciuti (cat. 25) dove è riprodotta<br />
un’altra lastra, MANN, inv. 9357, del<br />
medesimo affresco.<br />
43 Rispettivamente la statuetta di sileno<br />
portalampada MANN 72199 e una coppa<br />
d’argento su piede (cfr. MANN 25696) e la<br />
patera lobata dal tesoro di Hildesheim e<br />
coppette d’argento tipiche di contesti<br />
romani.<br />
44 Prettejohn 1996, in particolare pp. 34-35.<br />
45 In Rivali inconsapevoli sono raffigurate<br />
soltanto le gambe della statua del Gladiatore<br />
seduto di Palazzo Altemps; in Il collezionista<br />
di quadri al tempo di Augusto (e in La galleria<br />
di quadri) del quadro di Apelle, il più<br />
importante della galleria, è raffigurato solo il<br />
retro della tavola su cui era dipinto.<br />
46 Gasparri 1994.<br />
47 I quadri di riferimento sono quelli<br />
paradigmatici per queste due classi di<br />
materiali: Una galleria di statue nella Roma<br />
augustea, La galleria di statue (cat. 62), Il<br />
collezionista di quadri al tempo di Augusto, La<br />
galleria di quadri (fig. 1).<br />
48 Anche nei quadri di piccole dimensioni<br />
c’è posto per un richiamo alla scultura<br />
antica. Cfr., per esempio, Una baccante, dove<br />
inserisce il rilievo del MANN, inv. 6688 con<br />
Apollo e le Grazie di cui pure il pittore aveva<br />
una riproduzione fotografica (cfr. Foto Alma-<br />
Tadema Birmingham LXVIII, 9529).
ALMA<br />
TADEMA<br />
E LA NO<br />
STALGIA<br />
DELL’<br />
ANTICO<br />
torna all’indice →<br />
49 Cfr. Barrow 2004, pp. 43-45 con relativa<br />
bibliografia. È da osservare, però, che il fregio<br />
del tempio di Apollo a Basse, che pure<br />
ritorna più volte nei suoi quadri, è sempre<br />
raffigurato senza colore così come tutta<br />
l’altra scultura in marmo.<br />
50 Cfr. nota 4; cfr., inoltre, le sezioni di un<br />
cratere apulo e di un cratere attico a volute<br />
(Disegno Alma Tadema Fiche 192 A 2) e<br />
l’acquerello con piatto da pesce campano a<br />
figure rosse (Disegno Alma Tadema Fiche<br />
192 C 2).<br />
51 La lekythos attica (così come le statuette<br />
tanagrine), in Appassionato d’arte romano<br />
del 1868 è normalmente interpretata come<br />
un oggetto d’antiquariato posseduto dal<br />
collezionista.<br />
52 Rappresenta l’episodio narrato nei<br />
Moralia di Plutarco (249-250) in cui le Taiadi<br />
in fuga furono rifocillate dalle donne della<br />
città di Anfissa.<br />
53 Cfr. nota 17.<br />
54 Le prime due derivano rispettivamente<br />
dallo stamnos attico del cosiddetto Pittore<br />
del Deinos MANN, inv. 81674 e dal cratere a<br />
campana apulo della cerchia del Pittore<br />
dell’Iliupersis MANN, inv. 82130.<br />
55 Alcuni esemplari di coppe di questa<br />
classe compaiono in Festa della vendemmia.<br />
56 In Tibullo nella casa di Delia (cat. 56), per<br />
esempio, è raffigurato un candelabro<br />
decorato alla sommità con una sfinge<br />
(MANN s.n.i.) che rientra tra gli oggetti<br />
riprodotti negli atelier Sommer e Chiurazzi<br />
(cfr. il catalogo Sommer del 1886).<br />
57 Cfr., per esempio, il braciere in bronzo<br />
MANN, inv. 73104 in Bagno pompeiano di<br />
D’Agostino (cat. 35), il tripode con satiri<br />
MANN, inv. 27874 in Donna romana di<br />
Altamura (cat. 20).<br />
58 MANN, inv. 72995 (il medesimo tavolino<br />
è riprodotto anche in Appassionato d’arte<br />
romano del 1868 (fig. 2) e in Donna e fiori),<br />
MANN, inv. 74009, MANN, inv. 72968.<br />
59 MANN, inv. 72191; il medesimo<br />
candelabro compare anche in Catullo legge<br />
le sue poesie nella casa di Lesbia.<br />
60 MANN, inv. 72199 (il medesimo bronzo<br />
ritorna anche nell’Antiquario di Forti e in<br />
Ione e Nidia di Maldarelli) e MANN, inv.<br />
111228.<br />
61 Sono gli anni del crescente interesse per<br />
gli studi epigrafici e delle pubblicazioni dei<br />
grandi Corpora.<br />
62 Cfr., per esempio, Un’esedra (cat. 65),<br />
Autunno del 1874, Xante e Faone, La<br />
conversione di Paola per opera di San<br />
Girolamo, Il bacio, Un’udienza da Agrippa.<br />
63 Cfr., per esempio, Un imperatore romano<br />
A.D. 44.<br />
64 Cfr., per esempio, Un poeta favorito, Voti<br />
d’amore.<br />
65 Cfr. Il mercato dei fiori, Un altarino, La<br />
galleria di quadri (fig. 1), Festa della<br />
vendemmia, Bacco e Sileno, Autunno del<br />
1877.<br />
66 Cfr. Un poeta favorito, La primavera del<br />
1894.<br />
67 CIL X, 997. Il margine destro della<br />
medesima iscrizione ritorna anche in Una<br />
domanda (cat. 68).<br />
68 CIL IV 1059. Il pittore aveva ricopiato<br />
puntualmente l’iscrizione, cfr. Disegno Alma<br />
Tadema CLX E 2846.<br />
69 CIL IV, 813.<br />
70 CIL X, 845.<br />
71 Cfr. Disegno Alma Tadema CXLIX, E. 2823.<br />
L’epigrafe in lettere di bronzo sul pavimento<br />
dell’orchestra dell’odeion fu erroneamente<br />
integrata in un restauro ottocentesco con il<br />
gentilizio Olconius (scritto senza l’aspirata<br />
iniziale) invece che Oculatius. Alma-Tadema<br />
la riprodusse puntualmente perpetuando<br />
l’errore epigrafico (mentre scrive<br />
correttamente il nome della gens Holconia<br />
sulla tunica di un servo in Un’esedra, cat. 65).<br />
72 Scriptores Historiae Augustae, De vita<br />
Eliogabali, 21.5.<br />
73 Prettejohn 1996, p. 33 ss.<br />
74 Alma-Tadema doveva aver visto anche<br />
esemplari di doli interrati che riprodusse in<br />
Autunno del 1877.<br />
75 MANN, inv. 13521; il vaso era stato<br />
rinvenuto in una sepoltura pompeiana nel<br />
1834.
ALMA<br />
TADEMA<br />
E LA NO<br />
STALGIA<br />
DELL’<br />
ANTICO<br />
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Lawrence Alma-Tadema (1836-1912)<br />
biografia<br />
Lawrence Alma-Tadema è uno dei pittori più conosciuti dell’epoca vittoriana,<br />
apprezzato soprattutto per i suoi dipinti ispirati all’antichità classica,<br />
in particolare greco-romana. Grazie alle approfondite conoscenze<br />
archeologiche e storiche, Alma-Tadema ricrea verosimili ambientazioni<br />
neopompeiane, fitte di oggetti per lo più ispirati a reperti archeologici<br />
reali, molti provenienti dagli scavi di Pompei e dell’area vesuviana e conservati<br />
al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.<br />
Nasce l’8 gennaio 1836, nel villaggio di Dronrijp in Olanda, ma viene<br />
naturalizzato inglese nel 1873. Destinato ad una carriera giuridica, ottiene<br />
infine di iscriversi all’Accademia di Belle Arti di Anversa, in Belgio, dove<br />
si forma sotto l’influenza di Gustave Wappers, pittore di storia d’ispirazione<br />
romantica. Frequenta poi Louis de Taeye, con cui divide casa e studio<br />
tra il 1855 e il 1858, ed entra nello studio di Henri Leys, che conferma<br />
l’orientamento verso la pittura romantica di storia e di genere interpretata<br />
con fedeltà ai dettagli ambientali. In quest’epoca Alma-Tadema si<br />
appassiona alle vicende della dinastia Merovingia, che traduce in vari<br />
dipinti storici con cui attira le prime attenzioni di pubblico e critica. Si<br />
accosta anche ai soggetti tratti dal mondo egizio.<br />
Nel 1861, lascia Anversa e si sposta in Germania, poi a Londra; nel 1863<br />
ha luogo il matrimonio con la prima moglie Marie Pauline Gressin<br />
Dumoulin de Boisgirard. Il viaggio di nozze porta la coppia in Italia, dove<br />
visitano anche Roma, Napoli e soprattutto Pompei. L’Italia costituisce per<br />
l’artista, secondo i suoi stessi ricordi, un’autentica rivelazione, esercitando<br />
un’influenza fondamentale e duratura sulla sua carriera.<br />
L’anno seguente Alma-Tadema conosce il mercante belga Ernest Gambart,<br />
che diventerà il suo promotore e rappresentante commerciale. In quest’epoca<br />
l’artista inizia a produrre dipinti ispirati al mondo romano e alle<br />
ville pompeiane, genere coltivato con costanza durante il lungo soggiorno<br />
a Bruxelles, dove Alma-Tadema si trasferisce con la famiglia nel 1865. I<br />
dipinti neopompeiani contribuiscono al suo successo e alla sua fama,<br />
soprattutto in Gran Bretagna, dove questo tipo di soggetti è molto<br />
apprezzato e coltivato, sebbene con approccio diverso, da altri artisti<br />
come Edward Poynter.<br />
Morta la prima moglie nel 1869, dopo lo scoppio della guerra franco-prussiana<br />
nel 1870, si trasferisce a Londra, dove incontra la futura seconda<br />
moglie Laura Epps, anche lei pittrice, presentatagli dal pittore preraffaellita<br />
Ford Madox Brown.
ALMA<br />
TADEMA<br />
E LA NO<br />
STALGIA<br />
DELL’<br />
ANTICO<br />
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Nel 1873 diviene cittadino britannico. Gli anni Settanta sono dominati da<br />
un grande successo commerciale e di pubblico; nel 1879 diviene membro<br />
della Royal Academy of Arts di Londra.<br />
Nel frattempo è stato ancora una volta in Italia (1875), visitando varie<br />
città tra cui Firenze e Roma, dove compra numerose foto di architetture e<br />
oggetti antichi.<br />
Nel 1878 è a Pompei, dove si intrattiene schizzando, disegnando, misurando<br />
e studiando le rovine.<br />
Tra il 1882 e il 1883 la Grosvenor Gallery di Londra, dedica ad Alma-<br />
Tadema un’importante mostra personale.<br />
Nel 1883, quando alcune sue opere vengono esposte alla Mostra internazionale<br />
di Belle Arti di Roma, l’artista è di nuovo a Pompei, dove trascorre<br />
molto tempo. In quest’epoca i suoi dipinti diventano meno “enciclopedici”<br />
e colmi di oggetti preziosi e citazioni, puntando di più a cogliere la<br />
suggestione delle atmosfere.<br />
Nel 1884 compra a Londra la casa appartenuta all’amico James Tissot,<br />
ristrutturandola completamente in uno stile eclettico (mobili, decorazioni<br />
e oggetti in stili diversi) che riflette il suo gusto originale, la sua passione<br />
antiquaria e l’interesse per l’antichità in generale: alcuni mobili del suo<br />
studio sono ispirati a manufatti pompeiani.<br />
In questi anni Alma-Tadema mette insieme un’enorme biblioteca e uno<br />
straordinario archivio fotografico di tema per lo più archeologico, di cui si<br />
serve per le sue ricerche e i suoi quadri. Conduce un’intensa vita sociale ed<br />
è in generale benvoluto dalla comunità artistica londinese.<br />
A partire dagli anni Novanta si osserva un progressivo calo produttivo. I<br />
soggetti dei dipinti sono sempre più semplificati e privi di oggetti. Prevale<br />
su tutto la fascinazione per il cielo e il mare Mediterraneo, per scene di<br />
incontri e liaison sentimentali ambientate in bianche terrazze affacciate<br />
sul mare. Nel 1892 Alma-Tadema diventa membro della Japan Society di<br />
Londra e nel 1906 membro onorario del Royal Institute of British<br />
Architects, che lo invita a tenere una conferenza sull’architettura antica in<br />
virtù delle sue approfondite conoscenze in materia.<br />
Muore nel 1912 a Wiesbaden.
ALMA<br />
TADEMA<br />
E LA NO<br />
STALGIA<br />
DELL’<br />
ANTICO<br />
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Introduzione<br />
percorso della mostra<br />
Alma-Tadema e la nostalgia dell’antico<br />
Per la prima volta in Italia, la mostra offre una panoramica dell’arte ‘neopompeiana’,<br />
che cioè si ispira, nella seconda metà dell’Ottocento, alla<br />
suggestione degli scavi di Pompei e dell’area vesuviana e, più in generale,<br />
all’antichità e all’archeologia classiche. Dipinti e sculture di artisti italiani<br />
dialogano con le opere del pittore olandese, naturalizzato inglese,<br />
Lawrence Alma-Tadema (1836-1912).<br />
Perché Alma-Tadema<br />
Alma-Tadema è internazionalmente riconosciuto come il più coerente e<br />
raffinato cultore del genere neopompeiano: i suoi ‘quadri-museo’, carichi<br />
di oggetti, statue, suppellettili, evocano il sogno di un mondo antico nuovamente<br />
riportato in vita, di struggente bellezza e ricercata eleganza, vicino,<br />
nell’interpretazione data dall’artista, ai bisogni e ai desideri dell’uomo<br />
dell’Ottocento.<br />
Il Museo Archeologico Nazionale di Napoli<br />
Il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, che ospita la mostra, raccoglie<br />
una delle più prestigiose collezioni archeologiche del mondo e custodisce<br />
molti dei reperti citati, rievocati, rielaborati nei dipinti degli artisti italiani<br />
e di Alma-Tadema. Una corposa selezione di questi oggetti provenienti<br />
dagli scavi vesuviani viene presentata in mostra.<br />
Il percorso espositivo<br />
La mostra segue un percorso ideale che porta il visitatore dalla raffigurazione<br />
di paesaggi archeologici còlti dal vero, alla materiale rievocazione di<br />
quegli antichi luoghi e ambienti, ricostruiti e di nuovo popolati dai loro<br />
abitanti.
ALMA<br />
TADEMA<br />
E LA NO<br />
STALGIA<br />
DELL’<br />
ANTICO<br />
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Gli scavi<br />
Il paesaggio archeologico<br />
Le opere, dedicate alla rappresentazione realistica o evocativa del paesaggio<br />
archeologico, sono disposte sui due lati di un asse centrale, che idealmente<br />
richiama il rettilineo di una strada pompeiana. Come in una passeggiata<br />
tra le rovine, i dipinti aprono scorci sul panorama degli scavi col<br />
Vesuvio sullo sfondo, ma anche sui cumuli di detriti, sui resti di botteghe,<br />
sui particolari di case e vedute d’interni, in quegli anni portati alla luce o<br />
sistematicamente studiati su vasta scala dall’archeologo Giuseppe Fiorelli,<br />
poi dal collaboratore Michele Ruggero.<br />
Tanti occhi, una sola Pompei<br />
Una Pompei vista con tanti occhi: quelli della popolana-scavatrice che si<br />
ferma a riflettere sull’antico; quelli della turista borghese che, persa nelle<br />
proprie riflessioni, si isola nell’ombra di un peristilio; quelli dei visitatori<br />
colti e curiosi, che disegnano e studiano i reperti; quelli degli aristocratici<br />
che delle suggestive rovine fanno lo scenario dei propri intrattenimenti.<br />
Pittura dal vero<br />
Artisti diversi, tutti di area napoletana, dipingono dal vero sotto un sole<br />
brillante, ognuno adottando un punto d’osservazione diverso, talvolta aiutandosi<br />
con la fotografia, rendendo le rovine una materia palpitante e viva<br />
che tramanda l’immagine di una Pompei popolare, ma non ancora invasa<br />
dal turismo di massa.
ALMA<br />
TADEMA<br />
E LA NO<br />
STALGIA<br />
DELL’<br />
ANTICO<br />
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Vita Quotidiana<br />
Immaginare il quotidiano<br />
Dalla contemplazione del paesaggio archeologico si passa alla sua ricostruzione.<br />
Nell’ampia sezione dedicata alla dimensione quotidiana, costellata<br />
di reperti archeologici inerenti i dipinti, pittori ma anche scultori<br />
immaginano di ricostruire quelle rovine e far risorgere le antiche case e<br />
botteghe, ridando corpo a tutti gli aspetti della vita di ricchi e plebei: l’intimità<br />
domestica, gli ozi, le cerimonie pagane, gli intrattenimenti gladiatorii,<br />
il rito delle terme.<br />
La citazione dei reperti<br />
Con maggiore o minore fedeltà, gli artisti-archeologi citano o reinterpretano<br />
antichi reperti, oggetti semplici o lussuosi osservati nei musei più<br />
importanti o studiati su quei libri illustrati (con incisioni o litografie a<br />
colori) che nel corso dell’Ottocento rendono popolari soprattutto gli<br />
oggetti di provenienza vesuviana.<br />
Rispecchiarsi nell’antico<br />
L’immagine dell’antico che ne risulta, pur verosimile e credibile, reca in<br />
realtà le tracce del pensiero e della sensibilità ottocentesca che in quell’immagine<br />
tende a rispecchiarsi. Dalle donne che filano ai crapuloni gonfi<br />
di cibo e bevande, l’antico si presta tanto alla semplice celebrazione della<br />
pace domestica, tipica dell’agio borghese, quanto alla critica della decadenza<br />
dei costumi e del materialismo dell’Italia postunitaria.<br />
La storia<br />
La storia come cronaca<br />
Una sezione speciale è dedicata alla rievocazione dell’antico non più popolato<br />
di personaggi anonimi, ma di personalità risonoscibili, le cui vicende<br />
sono tramandate dai grandi scrittori latini, come Svetonio e Tacito. Ma non<br />
si celebrano le gesta clamorose o le battaglie memorabili, soggetti tipici<br />
della pittura di storia neoclassica. Oggetto d’attenzione sono invece i delitti<br />
e i drammi interiori, gli svaghi e gli ozi campestri, che fanno somigliare la<br />
storia degli antichi alla cronaca dell’Ottocento. Da un lato, della storia ci<br />
viene mostrato l’aspetto più domestico e familiare, riconoscibile nelle semplici<br />
vicende biografiche del poeta Orazio o del commediografo Plauto.<br />
Dall’altro si narrano episodi più eclatanti della storia romana, prediligendo<br />
vicende fosche che illuminano la crudeltà e la miseria della natura umana,<br />
come nel caso del sanguinario imperatore Nerone.
ALMA<br />
TADEMA<br />
E LA NO<br />
STALGIA<br />
DELL’<br />
ANTICO<br />
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Alma-Tadema<br />
Alma-Tadema, l’Italia, Pompei<br />
Alma-Tadema ha un rapporto strettissimo con l’Italia, che visita più volte<br />
nel corso della sua vita, intessendo rapporti d’amicizia con numerosi artisti,<br />
tra cui Domenico Morelli e Giovan Battista Amendola. Nel 1863 è per<br />
la prima volta a Roma, attratto dalla storia del tardo impero e del primo<br />
Medioevo, ma la successiva tappa a Pompei chiarisce definitivamente la<br />
sua passione per la storia romana, repubblicana ed imperiale, e per l’ambiente<br />
mediterraneo.<br />
Archeologo e artista<br />
A Pompei misura e disegna le rovine come un vero archeologo. Matura le<br />
sue conoscenze tramite lo studio sul campo e la lettura di libri di ogni tipo,<br />
dal romanzo storico, ai classici latini, ai manuali d’architettura e archeologia.<br />
Questa preparazione viene riversata nelle sue opere, che non si risolvono<br />
in erudite esposizioni di oggetti: i reperti sono manipolati con libertà,<br />
i soggetti attualizzati secondo il punto di vista di un uomo<br />
dell’Ottocento, la bellezza femminile e maschile è modellata su modelli<br />
anglosassoni e interpretata secondo un fine estetismo.<br />
Le opere in mostra<br />
Vengono toccate le tappe fondamentali del percorso dell’artista, attraverso<br />
dipinti di ampio formato, usualmente concepiti su commissione di<br />
facoltosi clienti, ma anche di piccolo formato, prodotti per il mercato e<br />
destinati agli spazi misurati delle case borghesi. Accanto ai dipinti, viene<br />
presentata una ricca scelta di materiali archeologici che hanno stimolato<br />
l’immaginazione dell’artista, tutti conservati nel Museo Archeologico di<br />
Napoli.
ALMA<br />
TADEMA<br />
E LA NO<br />
STALGIA<br />
DELL’<br />
ANTICO<br />
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Le arti applicate<br />
Il gusto eclettico e lo stile neopompeiano<br />
Verso metà Ottocento si diffonde in Europa un eclettismo che porta alla<br />
rilettura di tutti gli stili storici, tra cui anche quello pompeiano. Si fa strada<br />
un gusto archeologizzante che nelle decorazioni predilige i violenti<br />
accostamenti cromatici dei riquadri rossi e neri delle pareti pompeiane.<br />
Un gusto adatto ad adornare le pareti degli edifici pubblici, come ministeri,<br />
teatri o musei, dove la borghesia umbertina ama ritrovarsi.<br />
Come la decorazione parietale, anche l’arredamento (mobili, oggetti)<br />
risente del gusto pompeiano, sebbene siano più rari gli esempi a noi noti.<br />
Tavoli intarsiati, porcellane dipinte, diffondono invenzioni originali ma<br />
anche rivisitazioni di soggetti tratti da dipinti italiani e stranieri, resi celebri<br />
dalle incisioni o dalle grandi esposizioni internazionali.<br />
Un interessante esempio dello stile decorativo pompeiano è quello legato<br />
al progetto (pareti e arredi) per le quattro “sale pompeiane” volute da<br />
Giuseppe Fiorelli nel Museo Archeologico di Napoli, destinate ad ospitare<br />
il riallestimento della prestigiosa collezione di statue in bronzo del museo.
ALMA<br />
TADEMA<br />
E LA NO<br />
STALGIA<br />
DELL’<br />
ANTICO<br />
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Gli scavi<br />
Alessandro La Volpe<br />
Panorama di Pompei<br />
Napoli, Galleria “Vittoria Colonna”<br />
Una veduta degli scavi di Pompei<br />
col Vesuvio sullo sfondo, forse<br />
presa dai cumuli di terreno<br />
solitamente lasciati ai margini<br />
delle aree appena portate<br />
alla luce.<br />
Laezza<br />
Panorama di Pompei<br />
Napoli, Galleria “Vittoria Colonna”<br />
Tre contadini in costume, gli scavi<br />
di Pompei osservati in<br />
prossimità dell’imbocco di Via<br />
delle Scuole e in lontananza il<br />
Vesuvio fumante.<br />
Michele Cammarano<br />
Veduta degli scavi di Pompei<br />
collezione privata<br />
Dalla Torre di Mercurio, punto di<br />
vista utilizzato anche da fotografi<br />
dell’epoca, il dipinto abbraccia<br />
l’intero paesaggio archeologico<br />
con le colline vesuviane sullo<br />
sfondo.<br />
Filippo Palizzi<br />
Gli scavi di Pompei<br />
1865<br />
collezione privata<br />
Palizzi si interessa agli scavi dopo<br />
una visita a Pompei e Pestum nel<br />
1864. Qui immagina una<br />
popolana-scavatrice che depone<br />
la cesta per riflettere sull’affresco<br />
appena riemerso.<br />
elenco delle opere<br />
Filippo Palizzi<br />
Studio di uno scavo (Pompei)<br />
1864<br />
Roma, Galleria Nazionale<br />
d’Arte Moderna<br />
I resti di un’architettura<br />
monumentale, frammenti di<br />
colonne e di trabeazioni, sono<br />
colti dal vero e in piena luce,<br />
esaltando il carattere di attualità<br />
di una realtà appena esumata.<br />
Enrico Gaeta<br />
L’arco trionfale del Foro di Pompei<br />
1873 ca.<br />
Napoli, Museo di Capodimonte<br />
L’insolita inquadratura risulta<br />
presa dall’interno dell’arco<br />
onorario imperiale, sulla strada<br />
che fiancheggia il Tempio di<br />
Giove, a nord-est del Foro di<br />
Pompei.<br />
Teodoro Duclere<br />
Veduta del Foro<br />
dopo il 1860<br />
Sorrento, Museo Correale Terranova<br />
Duclere si interessa a Pompei<br />
durante la sua collaborazione al<br />
progetto editoriale di Fausto e<br />
Felice Niccolini Le Case e i<br />
monumenti di Pompei,<br />
pubblicato a partire dal 1854.<br />
Teodoro Duclere<br />
Bottega<br />
dopo il 1860<br />
Sorrento, Museo Correale Terranova<br />
Si tratta di una bottega di Pompei<br />
ampiamente descritta<br />
dall’archeologo Giuseppe Fiorelli,<br />
caratterizzata da un pilastro<br />
affrescato con Venere e Mercurio,<br />
oggi perduto.
ALMA<br />
TADEMA<br />
E LA NO<br />
STALGIA<br />
DELL’<br />
ANTICO<br />
torna all’indice →<br />
Enrico Gaeta<br />
Veduta della casa così detta<br />
dell’Argenteria<br />
collezione privata<br />
È l’atrio secondario con colonne<br />
ioniche della Casa dell’Argenteria<br />
(scavata tra il 1829 e il 1835), così<br />
detta per il ricco complesso di<br />
vasellame d’argento che vi fu<br />
ritrovato.<br />
Giacinto Gigante<br />
Casa di Cornelio Rufo<br />
1862<br />
Sorrento, Museo Correale Terranova<br />
Giacinto Gigante<br />
Casa di Cornelio Rufo<br />
1861<br />
Napoli, collezione privata<br />
L’ambientazione dei due dipinti è<br />
un luogo reale di Pompei,<br />
riconoscibile dai due sostegni con<br />
forme animali del cartibulum,<br />
tavolo usualmente posto nell’atrio<br />
delle case romane, e dall’ermaritratto<br />
di Cornelius Rufus sullo<br />
sfondo, conservata<br />
nell’Antiquarium di Pompei.<br />
Marco de Gregorio<br />
Signora a Pompei-La casa dei<br />
capitelli colorati<br />
collezione privata<br />
Una turista a Pompei: dietro di lei<br />
il peristilio dalla Casa detta anche<br />
di Arianna, una delle più grandi e<br />
decorate di Pompei, assai<br />
danneggiata dai bombardamenti<br />
alleati del 1943.<br />
Giacinto Gigante<br />
Cena notturna nella casa<br />
di Sallustio<br />
1859<br />
Sorrento, Museo Correale Terranova<br />
Nelle rovine della casa di Sallustio<br />
a Pompei, un gruppo di<br />
aristocratici ha organizzato una<br />
cena al chiaro di luna; tre popolani<br />
improvvisano un intrattenimento<br />
per allietare gli ospiti.
ALMA<br />
TADEMA<br />
E LA NO<br />
STALGIA<br />
DELL’<br />
ANTICO<br />
torna all’indice →<br />
Vita quotidiana<br />
Enrico Salfi<br />
Venditore di anfore a Pompei<br />
1883 ca.<br />
Milano, Galleria d’Arte Moderna<br />
Salfi è un appassionato studioso<br />
delle rovine vesuviane: una scena<br />
di semplice quotidianità è qui<br />
ambientata in una delle tante<br />
botteghe ancora oggi visibili a<br />
Pompei.<br />
Roberto Bompiani<br />
Salutatio matutina<br />
1899<br />
Milano, Galleria d’Arte Moderna<br />
Sono raffigurati i clientes,<br />
persone che in cambio di<br />
protezione<br />
o assistenza materiale, erano al<br />
servizio di notabili romani,<br />
omaggiandoli ogni mattina con<br />
il proprio saluto.<br />
Gaetano d’Agostino<br />
I saltimbanchi a Pompei<br />
1877<br />
Comune di Capua<br />
Lo spunto è la commedia Hecyra<br />
di Terenzio di cui, sulla cornice,<br />
è riportato un verso del secondo<br />
prologo: in esso si rivela al<br />
pubblico che alla prima della<br />
rappresentazione era stato<br />
preferito uno spettacolo di<br />
funamboli.<br />
Luigi Bazzani<br />
Interno pompeiano<br />
1882<br />
New York, Dahesh Museum<br />
Bazzani si basa sulla diretta<br />
conoscenza dei materiali<br />
archeologici: il tavolo con i grifi<br />
alati al centro del dipinto è quello<br />
della Casa di Meleagro a Pompei.<br />
Cesare Mariani<br />
Gelosia<br />
Firenze, collezione privata<br />
L’attento studio archeologico si<br />
lega qui ad un’iconografia<br />
maliziosa che attribuisce agli<br />
antichi la sensibilità e la<br />
psicologia dell’uomo<br />
dell’Ottocento.<br />
Francesco Saverio Altamura<br />
Donna romana<br />
1881<br />
Foggia, Galleria Provinciale d’Arte<br />
Moderna e Contemporanea<br />
(proprietà San Paolo IMI - Banco<br />
di Napoli) A destra, su un tavolo<br />
marmoreo, poggia il famoso<br />
tripode bronzeo con satiri itifallici<br />
rinvenuto a Pompei nel 1755<br />
e conservato nel Museo<br />
Archeologico Nazionale di Napoli.<br />
Federico Maldarelli<br />
La vestizione<br />
1864<br />
Roma, collezione privata<br />
Sebbene non illustri un episodio<br />
preciso, Maldarelli trae<br />
probabilmente ispirazione dal<br />
romanzo di Edward Bulwer-Lytton<br />
Gli ultimi giorni di Pompei (1834).
ALMA<br />
TADEMA<br />
E LA NO<br />
STALGIA<br />
DELL’<br />
ANTICO<br />
torna all’indice →<br />
Raffaello Sorbi<br />
Scena pompeiana<br />
1879<br />
collezione privata<br />
Due patrizie filano ed elargiscono<br />
cure materne in un peristilio:<br />
un’immagine sovrapponibile alle<br />
tante scene d’intimità domestica<br />
della pittura di secondo<br />
Ottocento.<br />
Francesco Sagliano<br />
L’ultimo giorno dei baccanali<br />
1867<br />
Napoli<br />
Amministrazione Provinciale.<br />
Due fanciulle rendono omaggio<br />
all’erma di Pan. Dal soffitto pende<br />
una lucerna trilicne in bronzo, un<br />
reperto del I secolo a.C.<br />
conservato al Museo Archeologico<br />
di Napoli.<br />
Amos Cassioli<br />
L’offerta a Venere<br />
1875-1885 ca.<br />
Firenze, Galleria d’Arte Moderna<br />
di Palazzo Pitti<br />
Sulla parete affrescata di rosso<br />
a destra, il motivo ornamentale<br />
monocromo con menadi danzanti<br />
è tratto da studi su stoffa eseguiti<br />
dal pittore forse per decorare<br />
ventagli.<br />
Giuseppe Sciuti<br />
Il tempio di Venere<br />
1876<br />
Roma, Galleria Nazionale<br />
d’Arte Moderna<br />
Tre fanciulle recano un omaggio<br />
floreale alla dea dell’Amore la cui<br />
statua, liberamente ispirata alla<br />
Venere Capitolina, è custodita da<br />
un vecchio sacerdote.<br />
Roberto Bompiani<br />
Sacerdotessa di Minerva<br />
1875-1880<br />
Roma<br />
collezione privata<br />
Sulla destra si intravede in<br />
controluce, sullo sfondo di un atrio<br />
con colonne, una statua di<br />
Minerva, riconoscibile dall’elmo e<br />
dallo scudo rotondo.<br />
Giovanni Muzzioli<br />
L’offerta nuziale<br />
1884 ca.<br />
Trieste, Civico Museo Revoltella<br />
Il rito nuziale è studiato nei minimi<br />
dettagli, come il velo rosso della<br />
donna (flammeum). L’altare in<br />
marmo è basato su un esemplare<br />
romano conservato agli Uffizi di<br />
Firenze.<br />
Giovanni Muzzioli<br />
Al tempio di Bacco<br />
1881<br />
Roma, Galleria Nazionale<br />
d’Arte Moderna<br />
La scena bacchica è ambientata<br />
nella Roma imperiale del I secolo<br />
d.C., con la danzatrice Vistilia, la<br />
prostituta ricordata da Tacito negli<br />
Annali, coperta di una pelle<br />
maculata.
ALMA<br />
TADEMA<br />
E LA NO<br />
STALGIA<br />
DELL’<br />
ANTICO<br />
torna all’indice →<br />
Ernesto Biondi<br />
Testa di donna patrizia<br />
(modello per i Saturnali)<br />
1888-1899 ca., gesso<br />
Roma, collezione privata<br />
Modello di una delle figure de I<br />
Saturnali, monumento bronzeo<br />
della Galleria d’Arte Moderna di<br />
Roma, la testa mostra<br />
un’acconciatura ispirata a<br />
esemplari romani d’età flavia.<br />
Achille D’Orsi<br />
I Parassiti<br />
1877<br />
gesso patinato color bronzo,<br />
Napoli, Museo di Capodimonte<br />
Due crapuloni, satolli di cibo e di<br />
vino, sono accasciati su un triclinio<br />
modellato su analoghi esemplari<br />
rinvenuti a PompeieErcolano.<br />
Domenico Morelli<br />
Il triclinio o Il triclinio<br />
dopo l’orgia<br />
1860-1862 ca.<br />
Roma, Galleria Nazionale<br />
d’Arte Moderna<br />
In un triclinio all’aperto, struttura<br />
tipica nelle zone meridionali e<br />
frequente a Pompei, uno schiavo,<br />
al lavoro, getta un’occhiata sui<br />
corpi dei bacchettanti<br />
abbandonati nel sonno.<br />
Francesco Netti<br />
Lotta dei gladiatori durante una<br />
cena a Pompei<br />
1880 ca.<br />
Napoli, Museo di Capodimonte<br />
Il gladiatore ucciso viene<br />
trascinato via mentre il vincitore,<br />
che indossa un elmo confrontabile<br />
con reperti da Pompei, viene<br />
esaltato dall’entusiasmo delle<br />
giovani donne.<br />
Jean-Léon Gérôme<br />
Reziario<br />
1859 ca.<br />
bronzo<br />
Phoenix, Phoenix Art Museum<br />
Jean-Léon Gérôme<br />
Mirmillone<br />
1859-1873 ca., bronzo, Phoenix,<br />
Phoenix Art Museum<br />
I due gladiatori sono ispirati a un<br />
bronzetto (II sec.) conservato<br />
presso la Bibliothèque Nationale<br />
di Parigi, ma anche a reperti del<br />
Museo Archeologico Nazionale<br />
di Napoli.<br />
Gaetano d’Agostino<br />
Bagno pompeiano (o La vita<br />
romana sotto Claudio)<br />
Roma, collezione privata<br />
- D. Morelli, Bagno pompeiano,<br />
1861 (non in mostra ma in<br />
catalogo)<br />
Una donna, introdottasi nelle<br />
terme maschili, giace abbracciata<br />
al suo amante: la probabile fonte<br />
letteraria è la VI satira di<br />
Giovenale, contro le donne di<br />
costumi dissoluti.
ALMA<br />
TADEMA<br />
E LA NO<br />
STALGIA<br />
DELL’<br />
ANTICO<br />
torna all’indice →<br />
Attilio Simonetti<br />
Attrice pompeiana<br />
1863-1864<br />
Milano, Pinacoteca di Brera<br />
in deposito presso Civiche<br />
Raccolte d’Arte. Il giovane<br />
Simonetti si ‘esercita’ sul genere<br />
neopompeiano: al nudo sensuale<br />
accosta un un flautista di sapore<br />
arcadico seduto su un cartibulum,e<br />
maschere teatrali greche.<br />
Federico Maldarelli<br />
Pompeiana al bagno<br />
1871<br />
collezione privata<br />
L’ambientazione rimanda<br />
all’apodyterium (spogliatoio)<br />
femminile con pareti a nicchie delle<br />
Terme Stabiane di Pompei.<br />
La donna sosta sulla vasca per il<br />
bagno in acqua fredda.<br />
Mosè Bianchi<br />
Bagno pompeiano<br />
1892 ca.<br />
collezione privata<br />
L’autore assembla motivi tardoantichi,<br />
elementi ercolanensi, ma<br />
anche egizi, come le due sculture<br />
leonine poste sul bordo del<br />
frigidarium (vasca per il bagno<br />
freddo).<br />
Alessandro Pigna<br />
Frigidarium<br />
1882<br />
Roma, Galleria Comunale d’Arte<br />
Moderna e Contemporanea<br />
Sullo sfondo, un letto con protomi<br />
animali raffrontabile con quello<br />
funerario in bronzo proveniente da<br />
una tomba di Amiterno, nelle<br />
collezioni dei Musei Capitolini<br />
di Roma.<br />
Arcadio Mas Fondevila<br />
Fanciullo pompeiano<br />
1879<br />
Barcellona, Museu Nacional<br />
d’Art de Catalunya<br />
L’ambientazione rimanda a Pompei<br />
non con circostanziate citazioni<br />
archeologiche ma per via evocativa,<br />
attraverso l’acceso colore rosso<br />
‘pompeiano’ delle colonne<br />
stuccate.<br />
Erulo Eroli<br />
Suonatore di nacchere<br />
1875 ca.<br />
Roma, collezione privata<br />
Su un pilastro è sistemata una<br />
statua di Venere accovacciata,<br />
disegnata su una delle tante copie<br />
romane dell’originale in bronzo<br />
attribuito allo scultore Doidalsas di<br />
Bitinia (III secolo a.C.).<br />
Giulio Bargellini<br />
Eterno Idioma<br />
1899 ca.<br />
Firenze, Galleria d’Arte Moderna di<br />
Palazzo Pitti<br />
Una scena romantica, in cui<br />
l’artista raffigura sè stesso: a destra<br />
trattiene la mano di una fanciulla,<br />
emblema della musa ispiratrice, a<br />
sinistra canta alcuni versi<br />
accompagnato dalle note di un<br />
organo.
ALMA<br />
TADEMA<br />
E LA NO<br />
STALGIA<br />
DELL’<br />
ANTICO<br />
torna all’indice →<br />
La storia<br />
Aslan d’Abro Pagratide<br />
(Funus Indictivum) Funerale d’un<br />
console presso Miseno nell’epoca<br />
dell’impero Romano<br />
1877<br />
Napoli, Museo di San Martino<br />
(in sottoconsegna alla Prefettura<br />
di Napoli)<br />
Il funus indictivum, funerale<br />
pubblico di un console romano la<br />
cui descrizione è basata sulla<br />
Pragmateia di Polibio, si staglia su<br />
una veduta di Capo Miseno con<br />
Monte di Procida sul fondo.<br />
Cesare Maccari<br />
Quo usque tandem<br />
1881-1887<br />
Roma, Galleria Nazionale<br />
d’Arte Moderna<br />
Studio preparatorio per l’affresco<br />
di palazzo Madama, a Roma,<br />
raffigurante Cicerone che<br />
pronuncia l’invettiva contro<br />
Catilina. “Quo usque tandem”è<br />
appunto l’inizio della prima<br />
Catilinaria.<br />
Camillo Miola<br />
Il fatto di Virginia<br />
1882<br />
Napoli, Museo di Capodimonte<br />
A terra è Virginia, giovane plebea<br />
uccisa dal padre (nella folla con il<br />
pugnale in mano) per sottrarla<br />
alle bramosie non corrisposte del<br />
decemviro Appio Claudio.<br />
Giovanni Muzzioli<br />
I funerali di Britannico<br />
1888<br />
Ferrara, Gallerie d’Arte Moderna<br />
e Contemporanea Museo<br />
dell’Ottocento<br />
Nerone fa avvelenare Britannico,<br />
potenziale minaccia al trono<br />
imperiale. I sostegni del tavolo su<br />
cui è riversa la sorella di<br />
Britannico, Ottavia, sono ispirati<br />
a quelli della casa di Cornelio<br />
Rufo a Pompei.<br />
Giovanni Muzzioli<br />
La vendetta di Poppea<br />
1876<br />
Modena, Museo Civico d’Arte<br />
Medievale e Moderna<br />
Nerone e Poppea sono quasi<br />
nascosti dall’ombra del velabro<br />
sospeso: un servo porta la testa<br />
di Ottavia, prima moglie di<br />
Nerone, sacrificata per volere di<br />
Poppea che le subentra come<br />
imperatrice.<br />
Camillo Miola<br />
Orazio in villa<br />
1877, Napoli<br />
Museo di Capodimonte<br />
Un momento di gioco e di festa,<br />
durante i Saturnali, nella villa<br />
Sabina che Orazio aveva ricevuto<br />
in dono da Mecenate.
ALMA<br />
TADEMA<br />
E LA NO<br />
STALGIA<br />
DELL’<br />
ANTICO<br />
torna all’indice →<br />
Camillo Miola<br />
Plauto mugnaio<br />
1864<br />
Napoli, Museo Civico<br />
di Castelnuovo<br />
Un episodio della vita di Plauto: a<br />
seguito di un cattivo<br />
investimento, il commediografo<br />
Plauto si vide costretto a lavorare<br />
presso un mugnaio girando le<br />
macine.<br />
Giulio Bargellini<br />
Pigmalione<br />
1896<br />
Roma, Galleria Nazionale<br />
d’Arte Moderna<br />
Si tratta della leggenda dello<br />
scultore di Cipro, Pigmalione, che<br />
si invaghisce della statua da lui<br />
modellata ottenendo, con la<br />
supplica e il sacrificio ad Afrodite,<br />
che essa si animi.<br />
Alma-Tadema<br />
Giovan Battista Amendola<br />
Ritratto di Laura Alma-Tadema<br />
bronzo<br />
collezione privata<br />
Amendola, amico e protetto di<br />
Alma-Tadema, conosciuto a<br />
Napoli, ne eseguì un ritratto in<br />
marmo, disperso, insieme ad una<br />
statuetta d’argento raffigurante la<br />
seconda moglie, qui replicata in<br />
bronzo.<br />
Giovan Battista Amendola<br />
Venere che avvolge la chioma<br />
1886<br />
bronzo<br />
collezione privata<br />
Amendola segue un’impostazione<br />
simile a quella del dipinto del<br />
maestro olandese Una modella<br />
dello scultore (1877).<br />
Jean-Léon Gérôme<br />
Danzatrice con il cerchio<br />
1891<br />
bronzo dorato<br />
Bloominton, Indiana University<br />
Art Museum<br />
Gérôme inserisce questo soggetto<br />
in diversi dipinti, in un costante<br />
gioco di autocitazione. Lo stesso<br />
Alma-Tadema raffigura la statuina<br />
in Ore dorate (1908).
ALMA<br />
TADEMA<br />
E LA NO<br />
STALGIA<br />
DELL’<br />
ANTICO<br />
torna all’indice →<br />
L. Alma-Tadema<br />
Autoritratto<br />
1896<br />
Firenze, Galleria degli Uffizi,<br />
Corridoio Vasariano<br />
L’autoritratto viene<br />
appositamente eseguito, su<br />
esplicita richiesta, per la Galleria<br />
degli Uffizi di Firenze, delle cui<br />
collezioni entra a far parte nel<br />
1896.<br />
Riproduzione retroilluminata:<br />
L. Alma-Tadema<br />
Tibullo nella casa di Delia<br />
1866<br />
Boston, Museum of Fine Arts<br />
opera non in mostra<br />
Il poeta Tibullo declama un<br />
componimento all’amante Delia<br />
nella sua casa, un tipico<br />
ambiente pompeiano fitto di<br />
oggetti, come la stufa di bronzo<br />
rinvenuta in una villa vicino a<br />
Stabia.<br />
L. Alma-Tadema<br />
Agrippina visita le ceneri<br />
di Germanico<br />
1866<br />
Città del Messico<br />
collezione Pérez Simon<br />
Modello di fedeltà muliebre,<br />
Agrippina contempla<br />
mestamente lo scrigno con le<br />
ceneri del marito Germanico<br />
all’interno di un cinerarium<br />
finemente ricostruito.<br />
L. Alma-Tadema<br />
La scala<br />
1870<br />
New York, Dahesh Museum<br />
La cornice, architettonicamente<br />
costruita, può essere considerata<br />
parte integrante dell’opera, poichè<br />
inquadra e allo stesso tempo<br />
amplia l’angusto spazio pittorico.<br />
L. Alma-Tadema<br />
Un altarino<br />
1883<br />
Cecil Higgins Art<br />
Dietro la ghirlanda tesa dalla<br />
donna, un’iscrizione latina<br />
presente a Pompei in Vico del<br />
Lupanare Otiosis locus hic non est.<br />
Discede Morator/ Non c’è posto<br />
per gli sfaccendati. Via di qua<br />
perditempo!, maliziosamente<br />
riferito al flautista.<br />
L. Alma-Tadema<br />
L’architetto del Colosseo<br />
1875<br />
Città del Messico<br />
collezione Pérez Simon<br />
Alma-Tadema, che possedeva<br />
approfondite conoscenze<br />
architettoniche, immagina<br />
l’artefice del Colosseo mentre<br />
medita sui complessi problemi<br />
costruttivi del monumento.<br />
L. Alma-Tadema<br />
Vino greco<br />
1873<br />
Città del Messico<br />
collezione Pérez Simon<br />
Il modello sono le tante scene di<br />
simposio che decorano vasi greci<br />
antichi, in cui spesso compare<br />
anche la suonatrice di aulos qui<br />
raffigurata di profilo.
ALMA<br />
TADEMA<br />
E LA NO<br />
STALGIA<br />
DELL’<br />
ANTICO<br />
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L. Alma-Tadema<br />
Un sacrificio a Bacco<br />
1889<br />
Amburgo, Hamburger Kunsthalle<br />
Un bambino è iniziato al culto di<br />
Bacco. Il Gruppo scultoreo con<br />
uomini che cuociono un cinghiale,<br />
a sinistra, è conservato presso il<br />
Museo Archeologico di Napoli.<br />
L. Alma-Tadema<br />
La galleria di statue<br />
1874<br />
Hanover, Dartmouth College,<br />
Hood Museum of Art<br />
Un mercante d’arte mostra ad un<br />
collezionista una vasca, copia<br />
dell’originale in marmo rosso<br />
scavato a Pompei. Il supporto, su<br />
cui è avvolto il mostro Scilla, è<br />
un’aggiunta successiva.<br />
L. Alma-Tadema<br />
La processione verso il tempio<br />
1882<br />
Londra, Royal Academy of Arts<br />
Sullo sfondo di una processione,<br />
una donna vende statuette e<br />
oggetti votivi. Accanto a lei un<br />
vaso greco (hydria) a figure rosse,<br />
con Eracle e Leontè, ed un<br />
elegante tripode etrusco.<br />
L. Alma-Tadema<br />
Un vasaio anglo-romano<br />
1884<br />
Parigi, Musee d’ Orsay<br />
Il dipinto è una delle tre porzioni<br />
in cui Alma-Tadema divise l’opera<br />
originale, con l’imperatore<br />
Adriano in visita ad un’officina<br />
per la produzione ceramica nella<br />
Britannia romana.<br />
Riproduzione retroilluminata:<br />
L. Alma-Tadema<br />
La galleria di pittura<br />
1874<br />
Burnley,Towneley Hall Art Gallery<br />
and Museum<br />
Con ironia, Alma-Tadema ritrae al<br />
centro in piedi Ernest Gambart,<br />
mercante di opere d’arte e suo<br />
rappresentante europeo,<br />
circondato da membri della sua<br />
famiglia.<br />
L. Alma-Tadem<br />
Un’esedra<br />
1871<br />
Città del Messico<br />
collezione Pérez Simon<br />
L’ampia panca marmorea su cui<br />
riposano e da cui ammirano il<br />
paesaggio i viaggiatori, è la<br />
tomba di Mamia, ancora oggi<br />
visibile sulla Via dei Sepolcri, alla<br />
periferia di Pompei.<br />
L. Alma-Tadema<br />
Un passo di Omero<br />
1885<br />
Filadelfia, Philadelphia Museum<br />
of Art, George<br />
W. Elkins Collection<br />
Il dipinto era appeso nella stanza<br />
da musica di una casa di New<br />
York, progettata da Alma-Tadema<br />
e decorata con mobili<br />
liberamente ispirati a modelli<br />
pompeiani.
ALMA<br />
TADEMA<br />
E LA NO<br />
STALGIA<br />
DELL’<br />
ANTICO<br />
torna all’indice →<br />
L. Alma-Tadema<br />
Missile d’amore<br />
1909<br />
Città del Messico<br />
collezione Pérez Simon<br />
Il “missile” è un mazzo di fiori<br />
lanciato sulla terrazza da un<br />
ammiratore segreto. Sullo sfondo<br />
la casa londinese di Alma-Tadema,<br />
in primo piano un lectus affine a<br />
quelli in stile pompeiano che<br />
decoravano lo studio dell’artista.<br />
L. Alma-Tadema<br />
Una domanda<br />
1877<br />
Città del Messico<br />
collezione Pérez Simon<br />
Il dipinto, una scena di<br />
corteggiamento, ispirò una<br />
novella dell’egittologo tedesco e<br />
romanziere storico Georg Ebers,<br />
amico di Alma-Tadema.<br />
Oliver Rhys<br />
Sulla terrazza<br />
1891<br />
collezione privata<br />
Sulle orme di Alma-Tadema,<br />
Rhys si specializza nella<br />
raffigurazione di donne sognanti,<br />
abbandonate su bianche terrazze<br />
marmoree affacciate sul<br />
Mediterraneo.<br />
Le arti applicate<br />
Francesco Grandi<br />
Scuola d’Arte d’Intarsio di<br />
Sorrento, e Arturo Guidi<br />
Tavolo<br />
1890<br />
legno di mogano intagliato e<br />
intarsiato<br />
Sorrento, Museo della tarsia<br />
lignea. Al centro, una scena<br />
pompeiana e ai lati quattro<br />
vedute della penisola sorrentina<br />
tutte incorniciate da ornati<br />
all’antica<br />
in avorio.<br />
Almerico Gargiulo<br />
Interno di casa pompeiana<br />
1895<br />
legno impiallacciato, intarsiato e<br />
in parte dipinto<br />
Sorrento, Collezione privata<br />
La tarsia si ispira a dipinti coevi<br />
aventi come soggetto scene di<br />
genere ispirate alla vita<br />
quotidiana dell’antichità classica.<br />
Wagner (da Henryk Siemiradzki)<br />
Il vaso o la fanciulla?<br />
1878<br />
porcellana dipinta<br />
collezione privata<br />
Il soggetto di questa porcellana<br />
firmata Wagner è tratto<br />
dall’omonimo e analogo dipinto<br />
dell’artista polacco Henryk<br />
Siemiradzki, esposto a Parigi nel<br />
1878.
ALMA<br />
TADEMA<br />
E LA NO<br />
STALGIA<br />
DELL’<br />
ANTICO<br />
torna all’indice →<br />
Carlo Nogaro<br />
Progetto di decorazione in stile<br />
neopompeiano<br />
1874-1878<br />
acquerello e tempera su carta<br />
Asti, Museo Civico<br />
Il dipinto fa parte di una serie di<br />
cinque studi per decorazioni<br />
neopompeiane ideate dal pittore<br />
astigiano Carlo Nogaro dopo il<br />
suo trasferimento a Parigi nel<br />
1868.<br />
Ulisse Ribustini<br />
Progetto di decorazione in stile<br />
neopompeiano<br />
1872<br />
tempera su carta<br />
Perugia, Accademia di Belle Arti<br />
Questo progetto decorativo<br />
segue un gusto diffuso dalla<br />
Maison pompèienne fatta<br />
costruire a Parigi dal principe<br />
Gerolamo Napoleone tra il 1856<br />
e il 1860.<br />
Repertorio archeologico<br />
che ha ispirato i pittori<br />
neompompeiani:<br />
una selezione dal Museo<br />
Archeologico Nazionale<br />
di Napoli<br />
Sileno portalampada da Ercolano<br />
bronzo<br />
MANN<br />
Il portalampada, che veniva utilizzato<br />
per il banchetto – e la<br />
scelta di un personaggio del<br />
mondo dionisiaco ne è la conferma<br />
– è puntualmente riprodotto<br />
in Vino greco di Alma-Tadema.<br />
Rython a forma di cervo<br />
Bronzo<br />
MANN<br />
Il corno, proveniente da Ercolano,<br />
era principalmente utilizzato<br />
nella sfera cultuale. L’oggetto<br />
ritorna in diverse varianti nelle<br />
opere di Alma-Tadema: in argento<br />
in Festa alla vendemmia e in<br />
oro in La processione verso il<br />
tempio.<br />
Askos da Ercolano<br />
Bronzo<br />
MANN<br />
Molti recipienti di questo tipo,<br />
utilizzati per l’olio, si sono rinvenuti<br />
in area vesuviana.<br />
Il vaso è riprodotto in più opere<br />
di Alma-Tadema, tra le quali<br />
Festa alla vendemmia.
ALMA<br />
TADEMA<br />
E LA NO<br />
STALGIA<br />
DELL’<br />
ANTICO<br />
torna all’indice →<br />
Patera con presa a testa<br />
di medusa, da Ercolano<br />
Bronzo<br />
MANN<br />
La patera con presa a testa di<br />
medusa, di uso termale, è raffigurata<br />
in Tibullo a casa di Delia di<br />
Alma-Tadema.<br />
Candelabro<br />
Bronzo<br />
MANN<br />
Il candelabro, a stelo scanalato<br />
su zampe ferine e capitello ionico<br />
con coronamento a sfinge, era<br />
molto noto nell’Ottocento. Viene<br />
riprodotto in Tibullo a casa di<br />
Delia di Alma-Tadema.<br />
Lucerna bilicne<br />
Bronzo<br />
MANN<br />
Una lucerna di questo tipo, sormontata<br />
da una larga foglia<br />
triangolare, viene riprodotta, su<br />
candelabro, in Tibullo a casa di<br />
Delia di Alma-Tadema.<br />
Tavolo<br />
bronzo e marmo<br />
MANN<br />
Tavolo con gambe pieghevoli a<br />
zampa di leone, che terminano<br />
con un calice di foglie di acanto,<br />
da cui emerge un satirello che<br />
stringe al petto un leprotto. Il<br />
tavolo è riprodotto anche in<br />
Tibullo a casa di Delia di Alma-<br />
Tadema<br />
Sgabello<br />
bronzo<br />
MANN<br />
Questa tipologia di sgabello era<br />
un arredo molto diffuso nelle abitazioni<br />
romane. L’esemplare, di<br />
dimensioni più grandi, viene riprodotto<br />
in Tibullo a casa di Delia di<br />
Alma-Tadema .<br />
Letto rimontato come<br />
sedile-bisellio<br />
bronzo e legno moderno; intarsi di<br />
argento e rame<br />
MANN<br />
Ricostruzione ottocentesca di elementi<br />
decorativi pertinenti a più<br />
letti di provenienza pompeiana,<br />
rimontati come sedile-bisellio su<br />
quattro piedi torniti.<br />
Sgabello tipo “sella curule”<br />
bronzo<br />
MANN<br />
Lo sgabello, di provenienza pompeiana,<br />
ha la tipica forma della<br />
sella curule, ovvero il sedile in origine<br />
di spettanza solo di alcuni<br />
alti magistrati e che poi si diffuse<br />
nell’ambito dell’arredo domestico<br />
di committenza elevata.<br />
Coronamenti di letto<br />
a forma di mulo<br />
bronzo<br />
MANN<br />
Le teste di mulo fungevano da<br />
coronamento del telaio (fulcrum)<br />
del letto tricliniare, di cui erano<br />
considerati gli spiriti tutelari.<br />
Riferimento puntuale a coronamenti<br />
di letto di questo tipo si ha<br />
in Le rose di Eliogabalo di Alma-<br />
Tadema.
ALMA<br />
TADEMA<br />
E LA NO<br />
STALGIA<br />
DELL’<br />
ANTICO<br />
torna all’indice →<br />
Labrum decorato con figura di<br />
Scilla avvinghiata al piede<br />
marmo rosso<br />
MANN<br />
Il bacino di fontana, dall’atrio di<br />
una casa pompeiana, venne portato<br />
nel 1812 nel Real Museo<br />
Borbonico, e posizionato su un<br />
sostegno moderno (il mostro<br />
marino Scilla). La riproduzione, in<br />
marmo nero, si ha in Galleria di<br />
sculture di Alma-Tadema.<br />
Cartibulum<br />
marmo bianco<br />
Soprintendenza archeologica<br />
di Pompei<br />
Coppia di sostegni di tavolo (trapezofori)<br />
decorati con grifi, dalla<br />
Casa di Cornelio Rufo a Pompei.<br />
Riiprodotto in Galleria di sculture<br />
di Alma Tadema..<br />
Statue di caprioli<br />
bronzo<br />
MANN<br />
Le statue, che appartenevano<br />
all’apparato decorativo della Villa<br />
dei Papiri di Ercolano, vengono<br />
riprodotte in versione miniaturistica<br />
su uno scaffale in alto in<br />
Galleria di sculture di Alma-<br />
Tadema.<br />
Candelabro con bracci a volute<br />
per lucerne<br />
bronzo, agemine in argento<br />
MANN<br />
Il candelabro, proveniente dalla<br />
Casa di Pansa di Pompei, si compone<br />
di un pilastrino dal cui<br />
capitello partono quattro bracci<br />
a volute, da cui pendono quattro<br />
lucerne. La base ospita una statuetta<br />
di Dioniso su pantera con<br />
rhyton e un’arula. E’ raffigurato in<br />
diverse opere di Alma-Tadema,<br />
tra cui la Galleria di sculture.<br />
Lanterna<br />
bronzo<br />
MANN<br />
La lanterna, che era sospesa<br />
mediante anelli e catene si ritrova<br />
in Galleria di sculture di Alma-<br />
Tadema.<br />
Lucerna trilicne<br />
bronzo<br />
MANN<br />
Lucerna a sospensione del I sec.<br />
a.C., con tre lunghi becchi e<br />
vasca decorata da maschere di<br />
schiavi musicisti addetti al banchetto.<br />
E’ riprodotta in Galleria di<br />
sculture di Alma-Tadema.<br />
Lucerna con catenella<br />
bronzo<br />
MANN<br />
Lucerna con catena di sospensione.<br />
Sul rostro è un piccolo topo<br />
accucciato. Si ritrova tra i numerosi<br />
esemplari raffigurati in<br />
Galleria di sculture di Alma-<br />
Tadema.
ALMA<br />
TADEMA<br />
E LA NO<br />
STALGIA<br />
DELL’<br />
ANTICO<br />
torna all’indice →<br />
Lucerna con tabula ansata<br />
bronzo<br />
MANN<br />
Lucerna a due becchi con catene<br />
di sospensione e una tabula<br />
ansata, priva di epigrafe. Si ritrova<br />
tra i numerosi esemplari raffigurati<br />
in Galleria di sculture di<br />
Alma-Tadema.<br />
Gruppo scultoreo con uomini che<br />
cuociono un cinghiale<br />
marmo<br />
MANN, Collezione Farnese<br />
Rielaborazione di età romana per<br />
decorazione di giardini e ville di<br />
originale alessandrino del II sec.<br />
a.C. Due satiri seminudi sono<br />
impegnati nella cottura di un<br />
cinghiale nel calderone. La scultura<br />
viene riprodotta, in parte, in<br />
Sacrificio a Bacco di Alma-<br />
Tadema.<br />
Rilievo con tiaso dionisiaco<br />
da Ercolano<br />
marmo<br />
MANN<br />
Il rilievo neoattico della prima<br />
età imperiale, da Ercolano, sembra<br />
ispirare la composizione del<br />
Sacrificio a Bacco di Alma-<br />
Tadema: una menade con tamburello<br />
e due satiri, uno con pelle<br />
ferina e doppio flauto e l’altro<br />
che danza con il tirso.<br />
Candelabri quadrilicni<br />
bronzo<br />
MANN<br />
Candelabri scanalati da Pompei,<br />
con base a piedi ferini e coronamento<br />
a quattro bracci, per il<br />
sostegno di lucerne. Vengono<br />
riprodotti in Sacrificio a Bacco di<br />
Alma-Tadema, ma a sostegno di<br />
candele.<br />
Situla<br />
bronzo<br />
MANN<br />
La situla priva di manici è provvista<br />
un breve orlo piano, al di<br />
sotto del quale corre una decorazione.<br />
Maniglia<br />
bronzo<br />
MANN<br />
La maniglia, probabilmente<br />
appartenente a un braciere o un<br />
samovar di produzione campana<br />
del I secolo a.C., presenta gli<br />
attacchi a forma di mani aperte.<br />
Cembali<br />
bronzo<br />
MANN<br />
Strumento musicale tipico dei<br />
culti orientali e orgiastici, quali<br />
quelli di Iside, Dioniso e Cibele. I<br />
sonagli si battevano l’uno contro<br />
l’altro.
ALMA<br />
TADEMA<br />
E LA NO<br />
STALGIA<br />
DELL’<br />
ANTICO<br />
torna all’indice →<br />
Statuetta di Afrodite<br />
bronzo<br />
MANN<br />
Copia di età romana di una celebre<br />
statua di Afrodite pudica,<br />
funzionale all’arredo di giardino.<br />
In versione minuta, come questa,<br />
ritorna in opere di Alma-Tadema,<br />
tra cui L’appassionato di arte<br />
romana.<br />
Statua di Eros con delfino<br />
marmo<br />
MANN, Collezione Farnese<br />
L’Eros che gioca con delfino è<br />
una scultura decorativa per fontana<br />
di età imperiale. La statua<br />
funge da ambientazione termale<br />
in Strigili e spugne di Alma-<br />
Tadema.<br />
Meridiana da Pompei<br />
marmo, bronzo<br />
MANN<br />
Lo gnomone fuoriesce dal foro<br />
superiore. Linee orarie sono incise<br />
sul quadrante emisferico.<br />
Tanagrina a capo coperto<br />
Terracotta<br />
MANN<br />
Statuetta femminile panneggiata<br />
a capo velato, tipica dell’età ellenistica<br />
e di ambito cultuale.<br />
Statuette di questo tipo sono<br />
riprodotte in opere di Alma-<br />
Tadema, tra le quali per esempio<br />
L’appassionato di arte romana.<br />
Piatti da pesci a figure rosse<br />
ceramica<br />
MANN<br />
Pesci e seppia decorano i due<br />
piatti. Sono riprodotti, a mo’ di<br />
quadro, come decoro dello stipite<br />
del tempio nelle Donne di<br />
Anfissa di Alma-Tadema.<br />
Affresco con Medea, da Ercolano<br />
MANN<br />
L’affresco in IV stile, derivante da<br />
originale ellenistico, raffigura<br />
Medea che, pur se esitante,<br />
medita la tragica vendetta nei<br />
confronti del marito, che realizzerà<br />
con l’uccisione dei figli. E?<br />
riprodotto in Galleria di pitture di<br />
Alma-Tadema.<br />
Affresco con sacrificio di Ifigenia,<br />
da Pompei, Casa del Poeta<br />
Tragico<br />
MANN<br />
Raffigura un episodio della saga<br />
omerica, legato al sacrificio di<br />
Ifigenia. A sinistra Agamennone<br />
che accetta di dare in sacrificio<br />
la figlia ad Artemide; a destra<br />
Ulisse e Diomede conducono la<br />
giovinetta al sacrificio, contro il<br />
suo volere. In alto Artemide<br />
interviene e salva la giovane,<br />
sostituendola nel sacrificio con<br />
una cerva. L’affresco è riprodotto<br />
in Galleria di pitture di Alma-<br />
Tadema.
ALMA<br />
TADEMA<br />
E LA NO<br />
STALGIA<br />
DELL’<br />
ANTICO<br />
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Affresco con Eracle e Onfale<br />
MANN<br />
Eracle in abiti femminili stordito<br />
dal vino e dalla musica, ed<br />
Onfale con la leontè e la clava<br />
osserva i risultati della propria<br />
vittoria. L’affresco è riprodotto in<br />
Galleria di pitture di Alma-<br />
Tadema.<br />
Affresco con coppia in volo<br />
MANN<br />
Il satiro e la menade con corona<br />
volano, recando nel manto frutti<br />
e fiori, simbolo di fertilità.<br />
E’ raffigurato su un’insegna portata<br />
da un partecipante al corteo<br />
bacchico di Primavera di Alma-<br />
Tadema.<br />
Affresco con coppia in volo<br />
MANN<br />
Un satiro e una baccante si sollevano<br />
in volo. E’ raffigurato su<br />
un’insegna portata da un partecipante<br />
al corteo bacchico di<br />
Primavera di Alma-Tadema.<br />
Braciere-tripode con satiri itifallici<br />
bronzo<br />
MANN<br />
Il tripode, che divenne molto<br />
noto nel Settecento, proviene<br />
dalla Casa di Giulia Felice di<br />
Pompei. Sorretto da tre piedi,<br />
configurati come giovani itifallici<br />
nell’atto, forse di danza, di tendere<br />
il braccio, è riprodotto nell’opera<br />
di Saverio Altamura<br />
Donna romana.<br />
Statua di Afrodite del tipo<br />
“pudica” da Ercolano<br />
marmo<br />
MANN<br />
La dea, raffigurata nel gesto<br />
pudico di coprirsi con il braccio<br />
destro ripiegato il seno e con<br />
quello sinistro il pube, è una<br />
copia di età romana del tipo<br />
Dresda-Capitolino. E’ riprodotta<br />
nell’opera di Giuseppe Sciuti Il<br />
tempio di Venere.<br />
Lastre dipinte con danzatrici<br />
da Ruvo<br />
MANN<br />
Lastre dipinte con danza di<br />
lamentatrici funebri a mani<br />
intrecciate, provenienti da una<br />
tomba a semicamera da Ruvo<br />
della seconda metà del IV secolo<br />
a.C. Sono riprodotte nell’opera di<br />
Giuseppe Sciuti Il tempio di<br />
Venere.<br />
Elmi e schinieri<br />
Bronzo<br />
MANN<br />
Armi gladiatorie da parata rinvenute<br />
nel quadriportico dei teatri<br />
di Pompei. Hanno ispirato la<br />
figura del gladiatore dell’opera di<br />
Francesco Netti Lotta dei gladiatori<br />
durante una cena a Pompei.
ALMA<br />
TADEMA<br />
E LA NO<br />
STALGIA<br />
DELL’<br />
ANTICO<br />
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Braciere<br />
bronzo<br />
MANN<br />
Braciere, proveniente dalla Casa<br />
del Fauno di Pompei, con piedi a<br />
zampa di animale ed applique sui<br />
lati lunghis a testa leonina. E<br />
riprodotto in Gaetano d’Agostino,<br />
Bagno pompeiano o la vita romana<br />
sotto Claudio.<br />
Afrodite accovacciata ed Eros<br />
marmo<br />
MANN, collezione Farnese<br />
Copia di età romana di originale<br />
reato dallo scultore bitinio<br />
Doidalsas alla metà del III secolo<br />
a.C. La scultura della dea nuda al<br />
bagno, priva di Eros, è riprodotta<br />
in Erulo Eroli, Suonatore di nacchere<br />
.<br />
Busto del cosiddetto “Thespis”<br />
da Ercolano, Villa dei Papiri<br />
bronzo, boccoli in rame<br />
MANN<br />
Copia romana di originale del<br />
tardo ellenismo, dalla Villa dei<br />
Papiri di Ercolano. L’acconciatura<br />
particolare, a parrucca, di Thespis<br />
-musicista alla corte di Tolomeo I<br />
di Egitto o uno degli ultimi sovrani<br />
del regno di Arabia?.- sembra<br />
ispirare una delle figure di Giulio<br />
Bargellini, Eterno idioma.
torna all’indice →<br />
Alma-Tadema e la nostalgia dell’antico<br />
Catalogo Electa - www.electaweb.com<br />
Formato 24x28 cm<br />
Pagine 312<br />
Illustrazioni 250<br />
Prezzo in libreria euro 35<br />
A cura di Eugenia Querci e Stefano De Caro<br />
Sommario<br />
Pag. 19 Saggi<br />
Pag. 20 Nostalgia dell’antico. Alma-Tadema e l’arte<br />
neopompeiana in Italia.<br />
Eugenia Querci<br />
Pag. 40 Arte, archeologia e antichità:<br />
Alma-Tadema e Pompei<br />
Rosemary Barrow<br />
Pag. 54 I materiali archeologici nei quadri di<br />
Alma-Tadema: alcune considerazioni<br />
Nadia Murolo<br />
Pag. 70 Alma-Tadema e Napoli: incontri sui<br />
modelli dell’antico<br />
Luisa Martorelli<br />
scheda catalogo<br />
Pag. 86 Artisti, opere e mercato fra Napoli e Londra:<br />
appunti su Alma-Tadema, Amendola e Morelli<br />
Alba Irollo<br />
Pag. 98 I “pittori archeologi” nella Roma postunitaria<br />
e il signor Goupil<br />
Gianluca Berardi
ALMA<br />
TADEMA<br />
E LA NO<br />
STALGIA<br />
DELL’<br />
ANTICO<br />
torna all’indice →<br />
Pag. 110 Dall’Olimpo al Vesuvio: pittori vittoriani a Pompei<br />
Giuseppe Pucci<br />
Pag. 122 Questa rovina viva: Pompei nella letteratura del<br />
secondo ottocento<br />
Eric M. Moormann<br />
Pag. 138 Fra Babilonia e Pompei.<br />
Teoria e immaginazione dell’antico<br />
Carlo Sisi<br />
Pag. 158 Il gusto neopompeiano nelle arti applicate<br />
Enrico Colle<br />
Pag. 168 Nostalgia dell’antico o nostalgia d’un contesto?<br />
Sale neopompeiane nel Museo Nazionale<br />
di Napoli tra 1864 e 1870<br />
Andrea Milanese<br />
Pag. 181 Opere<br />
Pag. 295 Apparati<br />
Pag. 296 Bibliografia generale<br />
Pag. 311 Referenze fotografiche
torna all’indice →<br />
Compagnia di SanPaolo<br />
scheda San Paolo<br />
STANZIATO UN CONTRIBUTO DI 100 MILA EURO A FAVORE DELLA<br />
DIREZIONE REGIONALE PER I BENI CULTURALI E PAESSAGISTICI DELLA<br />
CAMPANIA A SOSTEGNO DELLA MOSTRA<br />
“ALMA TADEMA A POMPEI. LA NOSTALGIA DELL’ANTICO”<br />
L’impegno per il 2007 nel settore arte<br />
Nel 2007 le azioni di restauro continuano ad assorbire un’ampia quota<br />
delle risorse che la Compagnia destina al patrimonio artistico. Tale scelta<br />
nasce dalla premessa che la riqualificazione dei monumenti e del paesaggio,<br />
applicata secondo logiche integrate, è in grado di generare valori<br />
aggiunti che consentono di migliorare la vita dei cittadini e sviluppare<br />
nuove opportunità.<br />
Accanto alle attività di restauro, un peso non secondario è riservato al<br />
tema della valorizzazione, declinato, da un lato, in termini di fruizione -<br />
attraverso il sostegno alle Associazioni che si adoperano per le visite guidate<br />
ai monumenti - dall’altro, in termini di conoscenza e sensibilizzazione<br />
di nuovi pubblici attraverso eventi di grande spessore culturale. Aree<br />
geografiche di intervento sono Torino, Genova e, per il Mezzogiorno, l’area<br />
di Napoli. Ad esse si affianca un impegno a valenza più capillare in<br />
Piemonte e in Liguria, con azioni mirate a potenziare e a sviluppare<br />
distretti culturali su cui fondare un’economia del turismo significativa e<br />
rispettosa dei luoghi.<br />
Continua il sostegno accordato al Programma Musei al fine di generare<br />
ricadute positive sullo spazio urbano e sui sistemi di governance del sistema<br />
museale del centro storico di Torino. Il maggior uso dello strumento<br />
dei bandi, ben tre nell’anno, e la rinnovata adesione all’Accordo Quadro in<br />
materia di Beni Culturali, hanno consentito di limitare la logica del “pronto<br />
soccorso”a favore di un’attività tesa al corretto equilibrio tra il recupero<br />
di complessi monumentali di eccellenza e la salvaguardia di “beni artistici<br />
minori”. Il tratto comune dell’attività del settore Arte rimane comunque<br />
l’impegno per trasformare l’insieme dei beni culturali in un patrimonio<br />
“noto”, e in questa chiave vanno letti gli interventi a favore di campagne<br />
di catalogazione e di riordino di archivi d’arte, e per sensibilizzare gli<br />
studiosi e gli abitanti delle singole città a una progettualità volta al rispetto<br />
dei valori e della cultura del territorio.<br />
Nel 2006 le iniziative sostenute nel settore Arte sono state 162 per un<br />
ammontare di 27,5 milioni di euro.
ALMA<br />
TADEMA<br />
E LA NO<br />
STALGIA<br />
DELL’<br />
ANTICO<br />
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Una fondazione per lo sviluppo della società<br />
La Compagnia di San Paolo, fondata il 25 gennaio 1563 come confraternita<br />
a fini benefici, è oggi una fondazione di diritto privato, tra le maggiori in<br />
Europa, con un patrimonio superiore a 9 miliardi di euro.<br />
Persegue finalità di interesse pubblico e di utilità sociale, allo scopo di favorire<br />
lo sviluppo civile, culturale ed economico delle comunità in cui opera<br />
ed è attiva nei settori della ricerca scientifica, economica e giuridica; dell’istruzione;<br />
dell’arte; della conservazione e valorizzazione dei beni e delle<br />
attività culturali e dei beni ambientali; della sanità; dell’assistenza alle categorie<br />
sociali deboli. Nel corso del 2006 la Compagnia ha effettuato stanziamenti<br />
per 880 iniziative nei settori istituzionali di attività per complessivi<br />
148,5 milioni di euro.<br />
Compagnia di San Paolo - www.compagnia.torino.it<br />
Corso Vittorio Emanuele II, 75 – 10128 Torino<br />
Tel. (+39) 011 5596911 – Fax (+39) 011 5596976<br />
info@compagnia.torino.it<br />
Enti strumentali della compagnia di San Paolo<br />
Fondazione per l’arte<br />
La Fondazione per l’Arte interviene nel settore dei beni culturali con<br />
modalità prettamente operative, che integrano e completano il profilo<br />
prevalentemente grantmaking della Compagnia. Il suo ruolo si delinea<br />
sempre più quale quello di “incubatore” di enti volti a presidiare aspetti<br />
peculiari della valorizzazione dei beni e delle attività culturali, della formazione<br />
e della gestione museale.<br />
www.fondazionearte.it<br />
Fondazione per la scuola<br />
La Fondazione per la Scuola è una struttura operativa che sviluppa progetti<br />
volti a promuovere una migliore qualità dell’istruzione, aiutare le scuole<br />
a valorizzare e gestire efficacemente le opportunità offerte dall’autonomia<br />
scolastica, facilitare la diffusione di buone esperienze, contribuire alla<br />
formazione degli insegnanti, sostenere il sistema educativo nel promuovere<br />
la crescita culturale, umana e sociale delle nuove generazioni.<br />
www.fondazionescuola.it
ALMA<br />
TADEMA<br />
E LA NO<br />
STALGIA<br />
DELL’<br />
ANTICO<br />
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Ufficio Pio della compagnia di San Paolo - Onlus<br />
Fondato nel 1595, l’Ufficio Pio svolge una funzione di sostegno a favore<br />
delle fasce più deboli di cittadini, mediante interventi destinati a persone<br />
e nuclei familiari in difficoltà, nell’area metropolitana torinese. L’Ufficio<br />
Pio, grazie all’azione di circa 200 Delegati riuniti in Associazione, opera sia<br />
come “Pronto Soccorso Sociale”, attraverso due sportelli dedicati, sia realizzando<br />
attività progettuali e percorsi finalizzati all’integrazione sociale.<br />
www.ufficiopio.torino.it<br />
Istituto superiore Mario Boella sulle tecnologie dell’informazione<br />
e delle telecomunicazioni<br />
Fondato nel 2000 dalla Compagnia e dal Politecnico di Torino, l’ISMB ha<br />
poi accolto i soci industriali Motorola, SKF, STMicroelectronics e Telecom<br />
Italia. Oggi è un Centro di Ricerca Applicata Industriale nelle tecnologie<br />
wireless con circa 250 ricercatori nelle aree Antenne e Compatibilità<br />
Elettromagnetica, e-Security, Fotonica, Microsistemi, Navigazione<br />
Satellitare, Networking, Tecnologie Radiomobili per Multimedialità.<br />
www.ismb.it<br />
Collegio Carlo Alberto<br />
La Fondazione Collegio Carlo Alberto è stata costituita dalla Compagnia e<br />
dall’Università di Torino e oggi è al centro di un sistema articolato nella<br />
didattica avanzata e nella ricerca in campo economico e politico-istituzionale.<br />
La sua attività è fondata sull’utilizzo di research fellows, assistant<br />
professors selezionati sul job market internazionale. L’attività di ricerca si<br />
articola anche nell’azione di cinque Unità di ricerca.<br />
www.carloalberto.org<br />
SiTI - Istituto Superiore sui Sistemi Territoriali per l’Innovazione<br />
Associazione senza fini di lucro fondata nel 2002 dalla Compagnia e dal<br />
Politecnico di Torino. Produce ricerca e formazione superiore orientate alla<br />
crescita socio-economica. Il compito principale di SiTI, sin dall’inizio della<br />
sua attività, è quello di offrire un supporto allo sviluppo innovativo dei sistemi<br />
territoriali attraverso ricerche basate su un approccio multidisciplinare.<br />
www.siti.polito.it