DIPINTI ANTICHI - wannenes

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DIPINTI ANTICHI
8 GIUGNO 2009 GE61
DIPINTI ANTICHI
Genova 8 Giugno 2009

8 GIUGNO 2009
8 TH
JUNE 2009

DIPINTI ANTICHI
GENOVA, 8 GIUGNO 2009
ORE 21
OLD MASTER PAINTINGS
GENOA, 8 TH JUNE 2009
AT 9PM
ASTA - AUCTION
Genova
Palazzo del Melograno
Piazza Campetto, 2
Lunedì 8 Giugno
Monday 8th June
Tornata Unica
ore 21 Lotti 1 - 147
Single Session
at 9pm lots 1 - 147
ESPOSIZIONE - VIEWING
Genova
Palazzo del Melograno
Piazza Campetto, 2
Venerdì 5 Giugno
ore 10-13 15-19
Friday 5th June
10am to 1pm - 3 to 7pm
Sabato 6 Giugno
ore 10-13 15-19
Saturday 6th June
10am to 1pm - 3 to 7pm
Domenica 7 Giugno
ore 10-13 15-19
Sunday 7th June
10am to 1pm - 3 to 7pm
Lunedì 8 Giugno
ore 10-15
Monday 8th June
10am to 3pm
La partecipazione all’Asta implica l’integrale e incondizionata accettazione
delle Condizioni di Vendita riportate in questo catalogo
I lotti potranno essere ritirati esclusivamente a partire da Martedì 9 Giugno dalle 8.00 alle
12.00 e dalle 14.30 alle 16.30

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SINGLE SESSION
MONDAY 8TH JUNE 2009 AT 9.00PM
LOTS 1 - 147
TORNATA UNICA
LUNEDÌ 8 GIUGNO 2009 ORE 21.00
LOTTI 1 - 147

8
1.
PITTORE SPAGNOLO DEL XVIII SECOLO
Natura morta con fichi, pere e brocca
Olio su tela, cm 30X40
Stima € 3.000 - 4.000
L’immagine di quest’affascinante natura morta, ha nella sua essenzialità l’apparenza di uno
scatto fotografico, leggermente sottoesposto, ma preciso nel duplicare la concretezza e la natura
degli oggetti. L’iconografia trova i suoi precedenti non solo nella pittura spagnola, ma
anche, nella tradizione figurativa seicentesca italiana, ricordiamo a questo proposito, alcune
prove dell’Empoli o del Ceruti. Nel nostro caso è la luce la principale protagonista, non solo
nel descrivere le forme, i colori e la densità corporea delle cose, ma anche per la capacità di
creare una visione di straordinaria poesia. Il prosaico piatto sbeccato, la brocca, i colpi di
lume, si stagliano sul fondo scuro e proiettano la loro ombra sul piano, con forza ed eloquente
presenza.
2.
PITTORE ATTIVO NELLA PRIMA META’
DEL XVIII SECOLO
Natura morta con melograni
(Allegoria della Terra Promessa)
Olio su carta applicata su tavola, cm 18,5X23,5
Stima € 2.000 - 3.000
La semplicità e il rigore di questa natura morta, rammenta composizioni arcaiche, da riferire
non oltre la metà del Seicento, ciò nonostante, la peculiare luminosità, la delicatezza della stesura
e la precisione naturalistica con cui il pittore descrive i grani della melagrana e la traslucida
superficie degli acini d’uva, suggerisce un’origine non italiana dell’autore, forse
francese e una data d’esecuzione allo scadere del Secolo. Difficile formulare ipotesi attributive
pertinenti, specialmente a causa della caratteristica del supporto, che cancella molti dei
dati filologici necessari, tuttavia, sono indiscutibili le qualità artistiche dell’opera, che a dispetto
delle contenute dimensioni, manifesta un’eccezionale concretezza decorativa. A circoscrivere
alcuni particolari delle composizioni d’Abraham Brueghel, Giovanni Battista
Crescenzi, Giovanni Paolo Castelli detto Spadino, possiamo trovare simili frutti così descritti,
nondimeno, la nostra composizione presenta un rigore ottico minuzioso, illuminata con sensibilità
caravaggesca, che evidenzia le forme e la profondità, evocando oltremodo il significato
simbolico: “perché il tuo Signore t’indurrà in un’ottima terra...terra da grano, da orzo
e da viti, dove prosperano i fichi, i melograni e gli uliveti”.
9

10
fig.1
3.
PITTORE ATTIVO A ROMA NELLA
SECONDA METÀ DEL XVII SECOLO
Natura morta
Olio su tela, cm 60X68
Stima € 3.000 - 4.000
Opera suggestiva e di notevole qualità, realizzata da un punto di vista ravvicinato e una peculiare
cura per i dettagli. Le diverse tipologie dei frutti, sono raffigurati in tutta la loro fragranza, si può
notare il delicato pulviscolo e la trasudazione dei succosi acini d’uva, la rossa polpa dei fichi e i brillanti
semi del melograno. L’artista, con pennellate fluide e accurate, descrive le irregolari forme, la
luce che scorre sulle superfici seriche delle mele e le increspature delle foglie con una lucidità ottica
di memoria caravaggesca e fiamminga, ma con esiti che preannunciano la grande stagione romana
della natura morta barocca. Queste caratteristiche di stile si accordano con le opere
d’Abraham Brueghel ( Anversa 1631 - Napoli 1697), giunto nella capitale delle arti nel 1659, quando i capifila del genere erano
il Cerquozzi e il Campidoglio. La tela in esame si può confrontare con La natura morta di uva fichi e melagrane conservata
presso il Rijksmuseum di Amsterdam, firmata e datata “A. Breugel F. Roma 1670” e pubblicata da Laura Laureati nel volume
sulla natura morta italiana curata da Federico Zeri (fig. 1).
Bibliografia di riferimento:
L. Laureati, Abraham Brueghel, in, La natura morta in Italia, a cura di Federico Zeri, 1989, II, pp. 788 - 796, fig. 934.
L. Trezzani, Abraham Brueghel detto Rijngraaf, in Pittori di Natura Morta a Roma, Artisti stranieri 1630 - 1750, a cura di
Achille e Ulisse Bocchi, Viadana 2005, pp. 117 - 147, con bibliografia precedente
4.
PITTORE DEL XVIII SECOLO
Natura morta con fichi, pane, bottiglia e
botticella
Olio su tela, cm 45,5X34
Stima € 4.000 - 5.000
Una luce proveniente dall’alto a sinistra, un’atmosfera d’oscurità attenuata, suggestiva e silenziosa. Sono queste le impressioni
suscitate dal dipinto, che raffigura un piatto di fichi, una pagnotta, un fiasco e una botticella di vino. L’ottimo stato di conservazione
del tessuto pittorico, ci consente di osservare la raffinata conduzione con cui sono descritti gli oggetti e di poter percepire
la granulosa superficie lignea della botticella, la fragranza del pane e il profumo della frutta. La ricchezza dei dettagli,
il virtuosismo nell’evocare la consistenza delle superfici e di tradurne la qualità tattile, offre all’osservatore una straordinaria
impressione di realtà. Databile alla seconda metà del XVIII secolo, la tela si può riferire ad un maestro spagnolo, ma non si
può escludere l’eventualità che sia di un autore lombardo, vicino al Ceruti, come quelle pubblicate da Luigi Salerno della collezione
Silvano Lodi, che lo studioso non esitò a definire “quasi opere di un Meléndez italiano”.
Bibliografia di riferimento:
L. Salerno, catalogo della mostra, Natura morta italiana, Firenze 1985, p. 159 - 161, nn. 77 - 78.
11

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5.
PITTORE DEL XVII SECOLO
Natura morta con carne, verdure, salumi, formaggio
e cacciagione
Natura morta con pesci, crostacei, zucca e vaso di
fiori
Olio su tela, cm 87X116 (2)
Stima € 20.000 - 25.000
Bibliografia di riferimento:
M. Medica, in La Raccolta Molinari Pradelli, catalogo della mostra a cura di Carlo Volpe, Firenze 1984, p. 48, n. 7a - 7b.
M. Gregori, Linee della natura morta fiorentina, in catalogo della mostra Il Seicento fiorentino, a cura di Piero Bigongiari e
Mina Gregori, Firenze 1986, pp. 31 - 51, con bibliografia precedente.
E. Fumagalli, in catalogo della mostra Il Seicento fiorentino, a cura di Piero Bigongiari e Mina Gregori, Firenze 1986, pp. 132
- 136, nn. 1.32 - 1.34.
S. Casciu, in Natura morta italiana tra Cinquecento e Settecento, catalogo della mostra a cura di Mina Gregori e Johann
Georg Prinz von Hohenzollern, Milano 2002, pp. 260 - 261.
Bellissime e affascinanti, queste nature morte di sapore arcaico per le ancor forti suggestioni caravaggesche, sono databili non
oltre il terzo decennio del Seicento. Scrupolosa e didascalica è la disposizione degli oggetti, rischiarati da una luce intensa proveniente
da sinistra, che pare bruciare i colori come una foto sovraesposta. Il rigore con cui l’artista descrive il taglio di manzo,
le diverse tipologie di salumi, specie di pesci e crostacei, è ragguardevole; un naturalismo all’apparenza più scientifico che pittorico,
culminante nel vaso fiorito, risolto con pennellate corpose e veloci, attente al dettaglio d’ogni singolo petalo. La qualità
e la struttura ricordano le opere di Jacopo da Empoli (Firenze 1551 - 1640), uno dei principali artisti fiorentini d’inizio
secolo, ma non possiamo escludere l’eventualità di riferire queste immagini allo spagnolo Alejandro de Loarte (Toledo
1595/1600 - 1626). L’affinità fra i due autori e le conseguenti incertezze attributive sono state rilevate sin dal 1952 dallo Sterling,
specialmente per le tele appartenenti alla collezione Molinari Pradelli, inizialmente riferite al fiorentino da Mina Gregori
e oggi dalla stessa studiosa ricondotte al Loarte. Secondo Cirillo e Godi, la produzione di nature morte dell’Empoli è da distinguere
in due gruppi, quello più antico, vede ogni singolo elemento raffigurato in modo a se stante, in analogia con le bodegones
iberiche, ma nonostante il problema filologico, le opere in esame mantengono inalterato il loro potere di seduzione,
grazie ad una qualità e una conservazione eccellenti. Detto ciò, non dobbiamo dimenticare che il precedente iconografico lo
troviamo nelle nature morte riferite al Maestro di Hartford e che Federico Zerì attribuì al giovanissimo Caravaggio, specificando
che l’origine iconografica di queste peculiari raccolte di cibi e oggetti in posa, si trova nella cultura pittorica lombarda
ed emiliana di Fede Galizia, Vincenzo Campi e Bartolomeo Passerotti. A Roma in quegli anni sono attivi il Salini, il Crescenzi
e Pietro Paolo Bonzi. A metà strada si colloca l’Empoli, con la sua visione spoglia e intellettualistica della realtà oggettiva, in
linea con l’espressione toscana della controriforma.
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6.
DOMINICUS NOLLET
(Bruges, 1640 - Paris, 1736)
Scaramuccia
Olio su tavola, cm 40X26
Stima € 800 - 1.200
Allievo a Parigi di Frans van der Meulen,
le sue opere sono meno definite e
presentano un ductus pittorico più
sciolto e veloce. Nel 1687 l’artista è
iscritto alla corporazione dei pittori di
Bruges, per poi passare al servizio del
duca Massimiliano Emanuele di Baviera,
governatore dei Paesi Bassi.
Verso il 1690 accompagna la duchessa
in un viaggio a Venezia e nel
1726, dopo la morte del suo protettore
si stabilisce a Parigi.
Bibliografia di riferimento:
La Battaglia nella pittura del XVII e
XVIII Secolo, a cura di Patrizia Consigli
e Federico Zeri, Parma 1994, p,
401, con bibliografia precedente.
7.
MATTEO STOM (Attr. a)
(1643 - Verona, 1725)
Scontro di cavalleria
Olio s tela, cm 79X89
Stima € 2.000 - 3.000
La cifra stilistica dell’artista, si può riconoscere
nel gusto elegante e cromaticamente
peculiare di definire i
paramenti dei cavalli e le vesti dei soldati.
Nella tela in esame, possiamo
notare nella generale tonalità monocroma
dei fumi e della polvere, i rossi
e i blu lumeggiati che descrivono la
sella del cavallo in primo piano e del
cavaliere a destra, tocchi di colore veloci,
che ravvivano la scena e il movimento
convulso della battaglia.
Bibliografia di riferimento:
G. Sestieri, I Pittori di Battaglie,
Roma 1999, pp. 500 - 511, con bibliografia
precedente.
8.
AUGUST GUEREURT O QUERFORT
(Wolfenbuttel, 1696 - Vienna, 1761)
Scaramuccia
Olio su tavola, 41X54
Siglato in basso a sinistra
Stima € 1.500 - 2.000
Allievo del padre Tobias il Vecchio e in seguito presso la bottega
di Rugendas ad Augusta. Le sue scene preferite sono gli
scontri di cavalleria presso accampamenti, le scaramucce e le
scene di caccia, ma è nota la sua attività di falsario, imitando
i modi del Courtois, del Parocel, di Van Meulen e Wouwerman.
La compilazione del suo catalogo è stata agevolata dalle
numerose opere firmate o siglate, che ha facilitato lo studio
della sua cifra stilistica, soventemente confusa con quella di
pittori d’area veneta come il Calza.
Bibliografia di riferimento:
La Battaglia nella pittura del XVII e XVIII Secolo, a cura di
Patrizia Consigli e Federico Zeri, Parma 1994, p, 410.
G. Sestieri, I Pittori di Battaglie, Roma 1999, pp. 601 - 602.
9
9.
MARZIO MASTURZO
(Attivo a Napoli verso il 1670)
Battaglia
Olio su tela, cm 41,5X78
Stima € 2.000 - 3.000
Allievo e amico di Salvator Rosa (DeDominici, III, pp. 254 -
255), il catalogo dell’artista trova nelle due battaglie conservate
alla Galleria Corsini di Roma i documenti figurativi per
definirne la produzione, che conta altresì una notevole compagine
d’imitatori e seguaci. L’opera in esame dimostra le peculiari
qualità artistiche del pittore e la sua origine napoletana,
ma anche l’adesione ai moduli compositivi oramai barocchi
del Courtois. La stesura, morbida e pastosa, chiara e armonica,
rivela notevoli qualità ornamentali, espresse con una
verve e una cifra stilistica personalissima.
Bibliografia di riferimento:
G. Sestieri, I Pittori di Battaglie, Roma 1999, pp. 382 - 393,
con bibliografia precedente.
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10.
FRANCESCO MONTI detto BRESCIANINO DELLE BAT-
TAGLIE (Attr. a)
(Brescia, 1646 - Parma, 1712)
Battaglia di cavalleria
Olio su tela, cm 102X165,5
Stima € 6.000 - 8.000
E’ l’Abecedario Pittorico dell’Orlandi a corredare le prime notizie biografiche su Francesco Monti, documentandone l’alunnato
presso Pietro Ricchi a Venezia e il Borgognone a Roma. Il soggiorno capitolino e la collaborazione con il più famoso battaglista
dell’epoca, indica la via alla sua carriera, destinata a inseguire fortune, commesse e fama nelle principali città della
penisola. Documentati sono i soggiorni a Genova, Venezia, Napoli, Piacenza e Parma, dove affina la sua arte emancipandosi
dagli insegnamenti del maestro, dedicandosi alla pittura di figura e paesaggio, eseguendo altresì, affascinanti fortune di mare
ispirandosi a Pieter Mulier. La tela qui attribuita, presenta caratteri di stile e scrittura conformi alle opere del Brescianino, specialmente
nel brano di paesaggio e nei modi con cui sono delineate le figure e i cavalli. Altrettanto prossima è la modulazione
cromatica e la regia scenica, dove grumi di nuvole si amalgamano ai fumi densi della battaglia. Unica discordanza in questo
vortice di violenza, è la figura impassibile del cane al centro della composizione, la cui araldica apparenza, resiste ad ogni nostro
tentativo d’interpretazione.
Bibliografia di riferimento:
P. A. Orlandi, Abecedario Pittorico, Bologna 1704, p. 166.
R. Arisi, Il Brescianino delle Battaglie, Piacenza 1975.
G. Sestieri, I Pittori di Battaglie, Roma 1999, pp. 206 - 227, con bibliografia precedente.
11.
NORBERT JOSEPH CARL GRUND
(Attr. a)
(Praga, 1717 - 1767)
Battaglia
Olio su tela, cm 47X64
Stima € 2.000 - 3.000
Il Grund è da considerarsi fra i migliori
battaglisti boemi, capace di evocare affascinanti
scontri di cavalleria. Le sue composizioni
sono solitamente conformate da
un gruppo centrale di figure a cavallo,
mentre sui lati si delineano il campo di battaglia
e il paesaggio circostante, caratterizzato
da una fortezza o una città in
lontananza.
Bibliografia di riferimento:
J. Neumann, Ceský barok, Prag 1974.
12.
JACQUES COURTOIS detto IL BOR-
GOGNONE (Attr. a)
(St. Hyppolite, 1621 - Roma, 1676)
Scontro di cavalleria
Olio su tela, cm 49X64.5
Stima € 2.000 - 3.000
Trasferitosi in Lombardia per svolgere
la professione di soldato nell’esercito
spagnolo, si specializzò nella pittura
di battaglia ragguingendo una fama
straordinaria. Sia il Lanzi che il Baldinucci
pongono l’accento sulla sua capacità
di rendere reali gli eventi,
evocandone gli odori acri e la perfetta
descrizione dei moti dell’animo. Il dipinto
in esame ben si adatta alle descrizioni
lasciataci dai biografi, dove
tutta l’energia dello scontro e il coraggio
dei cavalieri sono rappresentati
a distanza ravvicinata, possiamo, infatti,
osservarne gli sguardi, la tensione
dei corpi e la velocità dei loro
destrieri.
Bibliografia di riferimento:
G. Sestieri, I Pittori di Battaglie, Roma
1999, pp. 154 - 205, con bibliografia
precedente.
13.
PITTORE DEL XVIII SECOLO
Battaglia
Olio su tela, cm 43X65
Stima € 3.000 - 4.000
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17

14.
VEDUTISTA DEL XVIII SECOLO
Veduta della cattedrale di Pavia
Olio su tela, cm 77,5X59,5
Stima € 3.000 - 4.000
La tela in esame è attribuita al momento giovanile di Giuseppe Zocchi, quando su suggerimento del suo protettore, il marchese
fiorentino Pier Antonio Gerini, l’artista fu invitato a compiere un viaggio di studio a Roma, Bologna e in Lombardia perchè
meglio s’istruisse. Secondo Luigi Salerno, durante questi viaggi Zocchi eseguì disegni di vedute da cui furono tratti dipinti e
incisioni.
Bibliografia di riferimento:
L. Salerno, I Pittori di vedute in Italia (1580 - 1830), Roma 1991, pp. 269, 276, con bibliografia precedente.
15.
HENDRICK VAN CLEVE III (Attr. a)
(Antwerpen, 1526 ca. - 1589)
La Torre di Babele
Olio su rame, cm 23,5 x 29,5
Stima € 6.000 - 8.000
Questa affascinante opera si può riferire a Hendrick Van Cleve III, che ha più volte affrontato il soggetto nell’arco della sua
carriera (fig. 1). Maestro in Anversa, Cleve è documentato in Italia prima del 1551, perché dopo questa data è nuovamente
attestata la sua presenza in patria e l’iscrizione alla gilda di San Luca. Della sua attività italiana esistono diversi paesaggi, fra
le quali la bellissima Veduta di San Pietro e del Belvedere conservata presso il Reale Museo di Belle Arti a Bruxelles.
Bibliografia di riferimento:
Fiamminghi a Roma 1508 - 1608, catalogo della mostra a cura di Nicole Dacos e Bert W. Meijer, Milano 1995, pp. 120 - 122,
con bibliografia precedente.
Sotheby’s Londra, 12 dicembre 2002, n. 126.
18 19
fig.1

20
16.
PITTORE ATTIVO AGLI INIZI DEL XIX SECOLO
Veduta portuale
Veduta costiera
Olio su tela, cm 132X162 (2)
Stima € 8.000 - 12.000
Fantasiose e di grande impatto decorativo, queste due vedute si possono attribuire ad
un artista suggestionato dalla pittura veneziana. Cronologicamente collocabili tra il
XVIII e il XIX Secolo, la lettura delle immagini non fornisce specifiche informazioni
per riconoscere la realtà dei luoghi rappresentati. Le dimensioni e le caratteristiche di
stile, suggeriscono la loro destinazione ornamentale, sorta d’eleganti rivestimenti da
incastonare alle pareti di una stanza. La felicità narrativa e la nitida visione del paesaggio,
illuminato da una luce uniforme e irreale che evidenzia ogni singolo dettaglio,
mantiene un’adeguata tenuta formale e qualitativa, che consente d’apprezzare
ogni singolo brano di pittura.
21

22
17.
PITTORE FRANCESE DEL XVIII SECOLO
Veduta di Mont Saint Michel
Olio su tela, cm 44X56
Stima € 4.000 - 6.000
18.
TOMMASO PORTA
(Brescia, 1686 - Verona, 1766)
ANDREA PORTA
(Verona, 1719/20 - 1805)
Paesaggio fluviale con viandanti
Olio su tela, cm 78X94
Stima € 6.000 - 8.000
Tommaso e Andrea Porta sono i più stimati paesaggisti veronesi del Settecento, il cui atelier era situato vicino all’antica chiesa
di Santo Stefano, dove si raccoglievano le botteghe d’arte cittadine, tra il fiume Adige all’altezza del Ponte di Pietra e il Teatro
Romano. Le loro vedute sono prospetticamente impostate per dare rilievo al paesaggio fluviale delimitato da un ambiente boscoso
e un cielo azzurro variegato da nuvole. Il dipinto in esame, inizialmente riferito al solo Tommaso, si data attorno alla
metà del sesto decennio, quando la collaborazione fra padre e figlio li vede impegnati a eseguire gli affreschi di villa Pompei
Parlotti a Illasi. In questo ciclo d’affreschi l’individuazione delle due mani è assai problematica, talvolta impossibile e ciò dimostra
la raggiunta padronanza tecnica d’Andrea. Nel nostro dipinto si nota per di più un deciso schiarimento della tavolozza
e un punto di vista rialzato della veduta, che dilata gli spazi e consente un’armonica disposizione dei personaggi. Si tratta di
sentimenti arcadici sintomo di una mutata educazione mentale, letteraria e ideologica, che in quella terra di confine con la Lombardia,
può esprimere e percorrere il solo Andrea, oramai avviato a sensibilità neoclassiche.
Bibliografia di riferimento:
F. Butturini, Tommaso, Andrea Porta e Agostino, paesisti veronesi del Settecento, catalogo della mostra, Verona 1977.
23

24
19.
CARLO BONAVIA
(documentato dal 1755 al 1788)
Pesaggio con ninfe
Olio su tela, cm 120X90
Stima € 30.000 - 40.000
Il dipinto raffigura un paesaggio lacustre con ninfe, il perfetto stato di conservazione consente la piena leggibilità del raffinato
tessuto pittorico, pervaso da una sensibilità cromatica e luministica, che equilibra la compiutezza dell’immagine. Gli ingredienti
stilistici mutuati da Joseph Vernet, trovano nel cielo rosato attraversato da nubi e nella peculiare descrizione della natura, una
sapiente applicazione, che Bonavia esprime con genuina emancipazione, tanto da trasfigurarne i modelli. L’influenza del pittore
francese si riconosce nei caratteri tematici e di stile, ma anche nelle inquadrature prospettiche. La data d’esecuzione di quest’affascinante
composizione può essere collocata attorno al 1760, la similitudine con Diana al Bagno già Heim - Gairac a
Parigi, datata 1758 (fig. 1), offre interessanti spunti di confronto, non solo per la favola mitologica rappresentata, ma anche
per le sottili tonalità azzurre - verdine da stoffa serica. Queste qualità impongono di giudicare Carlo Bonavia l’unico paesaggista
del settecento napoletano d’autentico valore europeo: l’opera in esame ne costituisce un’indubbia testimonianza.
Bibliografia di riferimento:
F. Zeri, A. González Palacios, Un appunto su Vernet a Napoli, in “Antologia di Belle Arti”, II, 1978, 5, pp. 59 - 61.
N. Spinosa, Pittura Napoletana del Settecento, dal Barocco al Rococò, Napoli 1988, II, p. 157.
N. Spinosa, L. Di Mauro, Vedute Napoletane del Settecento, Napoli 1989, pp. 90 - 91.
R. Muzii, Carlo Bonavia, in La pittura di paesaggio in Italia. Il Settecento, a cura di Anna Ottani Cavina ed Emilia Calbi, Milano
2005, pp. 130 - 131, con bibliografia precedente.
fig.1

26
20 21
22 23
20.
SCIPIONE PULZONE DA GAETA (Studio)
(Gaeta, 1550 - Roma, 1598)
Madonna con Bambino, detta Madonna della Divina Provvidenza
Olio su tela, cm 78X76
Stima € 400 - 600
21.
PITTORE TOSCANO ATTIVO ALLA FINE DEL XVII SE-
COLO
Sacra Famiglia
Olio su tela, cm 78X66
Stima € 1.500 - 2.000
22.
PITTORE DEL XVII SECOLO
Gesù Bambino
Olio su tela, cm 65X50
Stima € 2.000 - 3.000
24
23.
PITTORE LOMBARDO DEL XVIII SECOLO
Scena di genere
Olio su tela, cm 94X72
Stima € 1.000 - 1.500
24.
PITTORE FIORENTINO DEL XVI SECOLO
La Vergine Maria
Cristo deriso
Coppia di tempere su carta, cm 23X20 (2)
Stima € 1.500 - 2.000
25.
PITTORE DEL XVIII SECOLO
Animali da cortile
Olio su tela, cm 72X53
Stima € 200 - 300
27

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26.
SEBASTIANO CONCA (Studio)
(Gaeta?, 1680 - Napoli, 1764)
Salomone incensa gli idoli
Olio su tela, cm 98X135
Stima € 4.000 - 6.000
L’opera in esame è da attribuire ad un seguace di Sebastiano
Conca, si conosce di questa composizione un modelletto conservato
al museo del Prado (olio su tela, cm 54 x 71), a cui è abbinato
un secondo dipinto raffigurante Alessandro il Grande nel
Tempio di Gerusalemme. Sono note inoltre due tele di medesimo
soggetto, conformazione e misura (98.5 x 137) vendute all’incanto
presso la Sotheby’s di Londra il 17 aprile 1991, n. 12 e attribuite
alla cerchia dell’artista. Un altro modelletto autografo si
trova nella Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini
(olio su tela, cm 35 x 51.4, inv. N. 2398) recentemente pubblicato
da Lorenza Mochi Onori. Le opere spagnole sono probabilmente
state commissionate da parte dell’architetto italiano Filippo Juvarra,
per la decorazione del Palazzo La Granja.
Bibliografia di riferimento:
Sebastiano Conca 1680 - 1764, catalogo della mostra a cura
di Nicola Spinosa, Gaeta 1981, nn. 66 - 67.
L. Mochi Onori, Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo
Barberini. Dipinti del ‘700, Roma 2007, p. 85, n. 92, con bibliografia
precedente.
27.
PITTORE FIAMMINGO DEL XVII SECOLO
Scena biblica
Olio su tela, cm 161X222
Stima € 8.000 - 12.000
28.
SCUOLA NAPOLETANA DEL XVIII SECOLO
Sant’Alessio
Olio su tela, cm 101X128
Stima € 5.000 - 6.000
29.
PITTORE DEL XVII SECOLO
Scena biblica
Olio su tela, cm 73,5X97,5
Stima € 500 - 800
27
28
29

30
30.
GIOACCHINO ASSERETO (Seguace di)
(Genova, prima metà del XVII secolo)
Giobbe deriso dalla moglie
Olio su tela, cm 119X142
Stima € 8.000 - 10.000
Bibliografia:
A. Orlando, in Il Male. Esercizi di pittura crudele, catalogo della mostra a cura di V. Sgarbi, Torino - Milano, pp. 327-328, n. 68
L’enorme successo riscosso da Gioacchino Assereto già in vita, soprattutto a partire dalla fine degli anni Trenta, alimentò un mercato
di sue opere anche al di fuori della ristretta cerchia delle mura della Superba. Già le fonti ricordano esplicitamente dell’invio di tele in
Spagna, parte delle quali realizzate con l’aiuto di allievi, per poter soddisfare la notevole richiesta. Il Soprani scrive: “furono anche mandate
in Siviglia molte sue tavole di eccellente maniera, e perché erano là molto preggiate, v’era in Genova chi per mano d’altri Pittori,
faceva ricavar molte copie dagli originali, andavale mandando con suo grand’utile in quella città, e ne cavò grossa somma di contante”
(R. Soprani, vite..., 1674, p. 172).
Alcuni soggetti, quali le sue animate storie bibliche a più figure, o altri episodi sacri dotati di grande pathos e drammaticità, risultano
essere i più replicati, sia attraverso redazioni autografe, sia attraverso opere eseguite dagli allievi, probabilmente sotto il diretto controllo
del maestro, proprio ai fini di questa ampia divulgazione.
Nel Museo di Belle Arti di Budapest, significativamente proveniente da Siviglia, si conserva un Giobbe deriso dalla moglie che costituisce
senza dubbio il prototipo di riferimento per la tela qui presentata. Un’altra versione si conserva al Museo di Stoccolma ed è indicata
come non autografa da G.V. Castelnovi (in La Pittura a Genova e in Liguria..., Genova 1987, p. 134). Il saldo impianto formale
e la diligenza esecutiva della versione che qui si presenta suggeriscono trattarsi opera di un capace imitatore dell’Assereto.
Anna Orlando
31.
GIUSEPPE BONITO (Attr. a)
(Castellamare di Stabia, Napoli 1707 - Napoli, 1789)
La rissa
Olio su tela, cm 75X101
Stima € 10.000 - 12.000
Bibliografia:
Il Male. Esercizi di pittura crudele, catalogo della mostra a cura di V. Sgarbi, Torino - Milano, cat. 108, p. 336, tav. p. 172.
Esposto con una proposta attributiva al Bonito di Vittorio Sgarbi alla sua mostra dal titolo Il Male. Esercizi di pittura crudele,
l’opera si configura come un vero e proprio frammento di vita quotidiana, colta nell’immediatezza del suo accadere.
La presa diretta ravvicinata delle figure, la teatralità convulsa delle loro pose, la ricerca di una spazialità dinamica pur nel ristretto
palcoscenico dell’evento, fanno di questo dipinto una singolare prova di realismo, in conformità ai caratteri più tipici
della pittura napoletana.
Giuseppe Bonito, specializzato in soggetti di genere, dalle bambocciate alle caricature, parrebbe mostrarsi qui particolarmente
debitore nei confronti della pittura napoletana del secolo precedente, in una sorta di recupero di caravaggismo alla Mattia Preti,
vuoi per le tonalità cupe prive di alcun rialzo coloristico, vuoi per il taglio che con diagonali di luci attraversa dinamicamente
il campo visivo del dipinto.
31

32.
GIOACCHINO ASSERETO
(Genova, 1600 - 1650)
L’arcangelo Raffaele
Olio su tela, cm 128X89,5
Stima € 60.000 - 80.000
Quando l’opera fu mostrata a Mina Gregori, alcuni anni or sono, fu giudicata con
entusiasmo dalla studiosa “opera autografa e di bellissima qualità del pittore genovese
Gioacchino Assereto”.
Protagonista della tela è l’arcangelo Raffaele, insolitamente presentato non tanto
in un contesto narrativo, ma stante e volto verso di noi, in atto di indicare cosa accade
alle sue spalle. Un’impostazione di grande modernità, dunque, in cui l’Assereto
sceglie di accantonare la sua tipica parlata discorsiva - quella in cui racconta
su grandi tele un brano biblico che si dipana nel senso orizzontale del dipinto - e
predilige la centralità anche umana ed emotiva di questo angelo. Una presenza divina
quanto mai vicina all’uomo, non solo per il suo ruolo di intercessione (ha appena
indicato al piccolo Tobiolo di prendere il fegato di un pesce per curare la
cecità del padre ), ma anche per quel sentimento, quel piglio fattivo e quasi eroico
che si scorge sul suo volto e nel suo atteggiarsi.
La scena biblica viene relegata sullo sfondo del dipinto, realizzata quasi in monocromia
con infinite variazioni di bruni e con una pennellata veloce e vibrante, nei
modi dell’Assereto maturo, qui all’opera intorno al 1640.
La figura monumentale di Raffaele è ammantata di ampi drappi mossi dal vento,
e dal movimento del suo incedere verso il riguardante con passo sicuro. L’Assereto
riesce così a rendere la verità della sua esistenza, a calare nel presente il suo arrivo.
L’artista nutre la sua opera con lo spirito di una religiosità che è sentita come fatto
quotidiano, dove il sacro è l’altra faccia dell’umano, presenza vera, qui e ora.
Anna Orlando
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33.
GIOVANNI BATTISTA CARLONE
(Genova 1603 - 1683/1684 circa)
Il Sacrificio di Isacco
Olio su tela, cm 140X157
Stima € 80.000 - 120.000
Bibliografia:
A. Morandotti, Gli esordi naturalistici di Giovanni Battista Carlone, tra Genova e Milano, in “Nuovi Studi. Rivista di Arte
Antica e Moderna”, VI-VII, n.9 (ma 2003), pp. 161-167, tav. VI e fig.162
Giovanni Battista Carlone, figlio dello scultore Taddeo originario di Rovio (attuale Canton Ticino), ebbe più di un’occasione
di entrare in contatto diretto con la cultura lombarda, pur essendo nato e vissuto sempre a Genova. A Milano si recò nel 1631
per ultimare gli affreschi della chiesa di Sant’Antonio Abate lasciati interrotti dal fratello Giovanni per la morte improvvisa;
nel 1640 eseguì una pala per la parrocchiale di S. Pietro di Maroggia e in due riprese (anni Quaranta e 1660) lavorò per affreschi
alla certosa di Pavia.
Pur scorgendosi in quest’opera tutta la cultura genovese del suo autore - dalla fisionomia e i modi pittorici quasi strozzeschi
nel viso di Giacobbe, a quel senso esuberante della natura e del naturale che pervade l’opera sua tutta - essa appare certamente
molto “lombarda”, e non meramente “genovese” o “caravaggesca”. O meglio, tutto ciò insieme, in una felice miscela che
stempera e addomestica il verbo caravaggesco, e, in più, coniuga il naturalismo lombardo a quello genovese più verace, ove
la componente di forte colorismo di matrice rubensiana gioca un ruolo fondamentale.
Riconosciuto al Carlone da Alessandro Morandotti, il dipinto è da accogliersi nel catalogo del pittore genovese come una
della sue prove più alte e certamente più significative di adesione al la coeva cultura pittorica lombarda, probabilmente eseguito
intorno al 1640 (Orlando 2006).
Del soggetto del Sacrificio di Isacco, palestra di meditazioni sul testo caravaggesco oggi agli Uffizi per tanti pittori seicenteschi,
si conoscono oggi cinque redazioni da parte del Carlone (Morandotti, 2001-2002, figg. 160-162, 166-167). Circa una
decina di redazioni note costituiscono “l’instancabile esercizio sul tema” da parte di Giuseppe Vermiglio (Ibidem, p. 163). E
tra questa vasta campionatura di immagini risulterà evidente a tutti il parallelo visivo tra il Sacrificio di Isacco del Vermiglio
oggi presso la Cassa di Risparmio di Cesena e l’omologo del Carlone qui presentato.
Anna Orlando

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34.
PITTORE DEL XVII SECOLO
Ritratto di filosofo (Diogene)
Olio su tela, cm 48,4X45
Stima € 3.000 - 4.000
Questo affascinante dipinto è stato attribuito al pittore francese Jean Michelin (Francia, 1616 - 1670) da Giovanni Testori (comunicazione
orale ai proprietari). I confronti con le opere note trovano interessanti punti d’affinità, tuttavia, in questa sede
non escludiamo l’origine spagnola dell’autore, per il vigoroso disegno, la forza incisiva con cui è tracciata la mano e la linea
del volto. Il naturalismo di questo ritratto, infatti, trova pochi punti di contiguità con la cultura pittorica dei Le Nain, mai così
introspettiva e disinvolta; piuttosto è più congeniale la visione scarna e sofferente pronunciata da Antoine Rivalz. Tornando
all’ipotesi iberica, è fin troppo semplice invocare il nome di Diego Vélasquez, ma è chiaro che la collocazione cronologica dell’immagine
si debba posticipare alle soglie se non oltre del XVIII Secolo. Arrendendosi ai complessi quesiti filologici, dobbiamo
in ogni caso riconoscergli una notevole qualità pittorica ed espressiva, atta a sollecitare studi e approfondimenti.
Bibliografia di riferimento:
Les Peintres de la réalité, catalogo della mostra a cura di Pierre Georgel, Parigi 2007.
Bibliografia:
35.
FRANCESCO BOTTI
(Firenze, 1645 - 1711)
Allegoria della Giustizia
Olio su tela, cm 85.5X68.5
Stima € 3.000 - 4.000
F. Baldassari, Simone Pignoni (Firenze, 1611 - 1698), Torino 2008, pp. 44, fig. 29
Il dipinto è stato attribuito a Francesco Botti da Francesca Baldassari e pubblicato dalla studiosa nella recente monografia dedicata
a Simone Pignoni. L’immagine riproduce l’allegoria della Giustizia, impersonata da una figura femminile che emerge dall’ombra.
Il tessuto pittorico, sfumato e morbido, accentua l’evanescenza delle forme, visibilmente più dense nelle zone colpite
dalla luce che cade dall’alto. Una luce però, che non delinea i volumi ne delimita uno spazio scenico, ma produce una carica
emozionale tenebrosa, che l’artista ha certamente desunto dal Pignoni ma anche dal caravaggismo di Gherardo delle Notti,
senza dimenticare gli eleganti esempi di Francesco Furini.
Bibliografia di riferimento:
S. Bellesi, Ricognizioni sull’attività di Francesco Botti, in “Bollettino della Accademia degli Euteleti della Città di San Miniato”, 77,
1996, 63, p. 63-138.
37

38
36.
PIETRO PAOLO RAGGI
(Genova, 1627 - Bergamo, 1711)
Astronomo
Olio su tela, cm 120X95
Stima € 15.000 - 20.000
Bibliografia:
A. Gesino, M. Romanengo, Pietro Paolo Raggi, Roma, in corso di stampa.
Il ritrovamento dell'atto di morte avvenuto a ottantaquattro anni nel 1711, in base al quale si
pone la data di nascita al 1627, e la pubblicazione da parte di Ferdinando Noris delle tele bergamasche
che attesta al 1696 l’inizio dell’attività lombarda, permette un’analisi più dilatata dell’attività
di Pietro Paolo Raggi. Grazie a questi dati la formazione del pittore si colloca al quinto
decennio a cui seguono al principio degli anni cinquanta le prime opere autonome, nel momento
in cui i protagonisti della pittura genovese sono Domenico Piola, Valerio Castello e Giovanni
Benedetto Castiglione. L’opera qui presentata, già attribuita e pubblicata da Anna
Orlando (A. Orlando 2006, pp. 142 – 143), è un’eccellente testimonianza della prima maturità,
attorno al settimo decennio, quando il Raggi, affrancatosi dai modelli del primo Seicento
genovese e di Giovanni Battista Langetti, si misura con l’arte del Grechetto e il naturalismo asserettiano,
pervenendo ad una cifra stilistica personalissima e un “colorito cotanto pastoso e
vivace che soprammodo piace e diletta” (Ratti 1769, p. 124). L’influenza delle teste di carattere
o all’orientale di Giovanni Benedetto (G. Dillon. Dall’acquaforte al monotipo, in catalogo
della mostra Il Genio di G.B.Castiglione. Genova 1990, pp. 179 – 250), sono il riferimento
eloquente per comprendere il lessico dell’artista e l’evoluzione in chiave tenebrosa della sua
arte, tanto da provocare disguidi attributivi con i principali pittori veneziani dell’epoca, in
modo particolare con Francesco Rosa, Francesco Ruschi e Antonio Molinari, tuttavia, la stesura
del Raggi presenta caratteri inconfondibili, con pennellate cariche di colore luminoso. Nel
nostro caso, l’attenzione dell’autore è concentrata sul volto del vecchio astronomo, il pennello
indaga le ombre che si creano nella carne, con una sensibilità tragica e un gusto quasi caricaturale,
enfatizzato dalla tremolante luminosità della lampada ad olio. Il soggetto, l’accentuato
naturalismo e l’atmosfera di magico raccoglimento, ricorda le tele giovanili di Luca Giordano,
laddove il caravaggismo d’ascendenza riberesca insieme al colore di gusto veneto e cortonesco,
crea una peculiare estetica barocca, di cui il Raggi n’è interprete e precursore.
Antonio Gesino
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37
38 39
37.
NUNZIO ROSSI (Attr. a)
(Napoli, 1626 - Palermo, 1690)
Teste di Santi
Olio su tela, cm 60X48 (2)
Stima € 2.000 - 3.000
38.
PITTORE EMILIANO DEL XVII SECOLO
Putto
Olio su tela, cm 48 x 35
Iscrizioni: Nel 1834, giudicato dal P. Anastasio Cor…..o […]
essere originale […] Correggio, stimato £ 3
Stima € 1.500 - 2.000
39.
FRANCESCO FRACANZANO (Attr. a)
(Monopoli, 1612 - Napoli, 1656)
San Pietro
Olio su tela, cm 61X48,5
Stima € 1.500 - 2.000
40
40.
PHILIP PETER ROOS DETTO ROSA DA TIVOLI (Attr. a)
(Francoforte, 1657 - Roma, 1706)
Paesaggio con pastore e Armenti
Olio su tela, cm 121X171
Stima € 4.000 - 5.000
41.
PITTORE GENOVESE DEL XVII SECOLO
Visione di San Francesco
Olio su lavagna, cm 73X62
Stima € 1.200 - 1.600
42.
PITTORE UMBRO DEL XVII SECOLO
Madonna col Bambino e San Giovannino
Olio su tela, cm 97X75
Stima € 2.000 - 3.000
41

42
43.
ANTONIO SCALVATI (Attr. a)
(Bologna, 1557/1559 - Roma 1622)
Ritratto del cardinale Ottaviano de’Medici
Olio su tela, cm 150X110
Stima € 3.000 - 4.000
Il ritratto è stato recentemente pubblicato da Francesco Petrucci (F. Petrucci, Pittura di Ritratto a Roma, Il Seicento, Roma
2008, II, pp. 383 - 386 e III, p. 738, fig. 667) e attribuito al pittore bolognese Antonio Scalvati, allievo di Bartolomeo Passerotti
e di Tommaso Laureti, con cui si reca a Roma per decorare la Sala di Costantino nel Palazzo Vaticano. Secondo la testimonianza
del Baglione, l’artista eseguì numerosi ritratti di pontefici, divulgati in più repliche: “ Indi si diede a far ritratti, e in
particolare quello di Papa Clemente Ottavo, che da lui fu molto simile rapportato, e espresso…In fatti tutta la corte, e tutti li
principi di Roma volevano il Papa dello Scalvati…“ (G. Baglione, Le vite de’Pittori Scultori et Architetti dal pontificato di Gregorio
XIII del 1572 in fino a’tempi di Papa Urbano Ottavo nel 1642, Roma 1642, p. 172).
44.
PITTORE ROMANO ATTIVO NELLA
SECONDA META’ DEL XVII SECOLO
Ritratto di dama
Olio su tela, cm 96,5X60
Stima € 1.500 - 2.000
Dipinto da riferire ad un artista di scuola romana e attivo nella seconda metà del XVII Secolo, influenzato dalla ritrattistica
di Carlo Maratta e Jacob Ferdinand Voet (1639 - 1689). Il taglio d’immagine rammenta il Ritratto di Maria Madalena Rospigliosi
oggi al Louvre, eseguito dal Maratta nell’ottavo decennio, ma altrettanto calzante è l’analogia con la famosa “ Serie
delle belle” dipinta dal Voet per la famiglia Chigi e databile al 1680 circa. La giovane donna colta di tre quarti e illuminata
da una luce intensa, indossa un’elegante veste scollata in voga tra gli anni 1660 e il 1680, dettaglio che conferma la datazione
suggerita dai caratteri di stile e scrittura.
43

44
45.
OTTAVIO VANNINI (Attr. a)
(Firenze, 1585 - 1644)
Sansone e Dalila
Olio su tela, cm 119X101
Stima € 10.000 - 12.000
Esponente di spicco di quel classicismo nella pittura di stampo narrativo della Fi-
fig.1
renze del Seicento, in netta e dichiarata contrapposizione con le coeve tendenze
eccentriche ed estetizzanti di un Cecco Bravo o di un Furini, Ottavio Vannini mostra
in questo quadro “da stanza” tutte le sue peculiarità di stile. Fedele alla diligenza
disegnativa di stampo cinquecentesco, attento a rendere con ricercati
contrappunti coloristici tutta la felicità di una tavolozza chiara e squillante, egli
adotta un linguaggio piano che senza pathos eccessivo né ricercata drammaticità,
racconta l’episodio biblico nel suo svolgersi. Una teatralità quasi trattenuta vede entrare
nel palcoscenico il soldato sulla destra, mentre un paio di comparse spuntano silenziose sul fondo. Ma l’eroina è colta nel suo
gesto trionfale, quasi scultorea, mentre Sansone giace addormentato e senza forze sul suo grembo.
Quasi identica è quest’ultima figura a quella del Giaele che soccombe sotto il gesto deciso di Sisara nella tela ottagona che ha dimensioni
pressoché identiche a questa del Seminario Maggiore di Firenze (fig. 1; cm 122x96), al punto da far pensare a un pendant anche
in virtù della frequenza con cui, in epoca seicentesca, i due soggetti venivano abbinati, se non fosse che l’ottagono fiorentino ha una
nota storia di provenienza con altre sette tele di diversi artisti fiorentini (cfr. G. Pagliarulo in Il Seiecento fiorentino, Firenze 1986, pp.
252-253). Non un pendant dunque, ma certamente un precedente per l’inedita tela che qui si presenta, opera, come il Giaele e Sisara,
di un Vannini tardo, intorno al 1640.
46.
PIETRO RICCHI detto IL LUCCHESINO
(Lucca, 1606 - Udine, 1675)
San Sebastiano
Olio su tela, cm 98X73
Stima € 10.000 - 15.000
Il dipinto è stato sottoposto all’attenzione del prof. Nicola Spinosa alcuni anni or sono.
Spinosa, nello scartare la precedente ipotesi attributiva che lo associava al nome di Luca Giordano, ha potuto riconoscere nel
San Sebastiano la mano di Pietro Ricchi, il cui stile “sembrerebbe conciliare i modi naturalistici di Ribera, peraltro diffusi a
Venezia presso pittori come Giambattista Langetti, e il pittoricismo di Luca Giordano, notoriamente di matrice neoveneta e
di cui non pochi esempi erano presenti proprio nella città lagunare” (N. Spinosa, comunicazione scritta, 2002).
Il Lucchesino, attivo prima nel territorio lombardo-veneto e poi approdato a Venezia nei primi anni Cinquanta, mostra anche
in questo intenso San Sebastiano la “propensione a conciliare fermezza di disegno di ascendenza toscana con intensità luministica
di derivazione lombarda” (idem).
Tra le opere più affini, sia per il luminismo cupo che per l’attento studio dell’anatomia della figura, possono richiamarsi il Giacobbe
in lotta con l’angelo del Museo Calvet di Avignone. Il peccato originale già nella collezione Dante Isella di Casciago,
La Creazione di Adamo ed Eva e La cacciata di Adamo ed Eva, in collezione privata a Rovigo; opere tutte collocate dalla critica
nella piena maturità dell’artista (si veda Pietro Ricchi 1606-1675, catalogo della mostra di Riva del Garda a cura di M.
Botteri Ottaviani, Milano 1996).
45

46
47.
ALESSANDRO MAGNASCO detto IL LISSANDRINO
(Genova, 1667 - 1749)
Ritratto di dama
Olio su tela, cm 79,5X50,5
Stima € 40.000 - 50.000
Lo storiografo Carlo Giuseppe Ratti scrisse di Alessandro Magnasco: “Riuscì specialmente nel far de’ ritratti, de’ quali buon
numero ne condusse, e a maraviglia colti dal naturale” (C.G. Ratti, Delle vite dei pittori..., Genova 1769, p. 156).
A Fausta Franchini Guelfi va riconosciuto il merito di aver avviato la ricostruzione del corpus ritrattistico del Lissandrino, cui
la stessa studiosa ha accettato di accogliere questo dipinto da datarsi tra la fine del nono e gli inizi dell’ultimo decennio del
Seicento (Franchini Guelfi 2006).
Siamo agli esordi dell’attività pittorica del genovese, che poi lascerà questo genere pittorico, come ricorda il Ratti, per la gran
fama che gli valsero da subito le sua scene di genere con grandi paesaggio o suggestivi interni bui animati da piccole figure tracciate
con velocità di pennello e accese da guizzi luminosi di biacca. La stessa scrittura pittorica, tuttavia, nervosa e franta, segmentata
e scheggiata, si scorge già in questa prova giovanile (dettaglio), accostabile al Ritratto di dama della Pinacoteca Civica
di Como, al Ritratto di Bartolomeo Micone di Brera e al Gentiluomo di Palazzo Bianco.
Tra tutti i ritratti noti del Magnasco (a oggi sotto la decina), questo è forse il più precoce: vi si scorge la lezione del suo maestro
milanese Filippo Abbiati, ma anche il richiamo all’opera del suo concittadino Giovanni Battista Gaulli, in quegli forse il
più acclamato ritrattista della Roma barocca e punto di partenza da cui non era possibile prescindere per chi allora, genovese
o non genovese che fosse, volesse dedicarsi al ritratto.
Anna Orlando

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48.
MANIERISTA NORDICO DEL XVI SECOLO
La morte di Didone
Olio su tela, cm 123X103
Stima € 15.000 - 18.000
Il dipinto in esame raffigura l’episodio virgiliano della morte di Didone (Eneide,
IV, 642 - 705), la storia racconta che la leggendaria regina di Cartagine, innamoratasi
d’Enea e falliti tutti suoi tentativi per convincere l’eroe a non partire, decise
di dar fuoco al letto nuziale e alle armi che il condottiero lasciò distrattamente
al palazzo. Quando vide le navi troiane salpare, Didone si gettò nel rogo e si trafisse
con la spada dell’amato. L’immagine ritrae anche Iris, la divina messaggera
di Giunone nell’atto di tagliare una ciocca di capelli, per far sì che l’anima della
sventurata potesse lasciare il corpo. L’opera è da riferire ad un artista nordico italianizzante, influenzato dalla cultura rudolfina
e dai manieristi d’Anversa: la bellezza del tessuto pittorico e la scrittura, manifestano qualità esecutive notevoli, altrettanto
avvincente è la sensibilità cromatica che il pittore esprime nel rappresentare i serici tessuti della veste e il brano di natura morta
composto dalle armi d’Enea. L’avvenenza di Didone, la vivacità compositiva e la tonalità coloristica, riesce a stemperare la
drammaticità della scena, evidenziandone le potenzialità rappresentative e la straordinaria valenza decorativa. Queste peculiarità
non hanno tuttavia suggerito un’attribuzione precisa e le ricerche sin ora condotte, penalizzate dal poco tempo a nostra
disposizione, ci consentono solo d’evocare il nome di Hans von Aachen (Colonia 1551/52 - Praga 1615), ma ancor più
quello di Bartholomäus Spranger, in una data tra il nono e l’ultimo decennio del Secolo. Possiamo, infatti, confrontare la nostra
tela con L’Ercole e Onfale oggi al Kunsthistorisches Museum di Vienna (1585), dove non poche sono le analogie stilistiche
e formali riscontrate (fig. 1), la cui memoria trova nel Tarquino e Lucrezia di Jacopo Tintoretto (Chicago, The Art Institute)
un illustre modello iconografico.
fig. 1
49.
PITTORE FIORENTINO DELLA PRIMA METÁ
DEL CINQUECENTO
Cleopatra
Olio su tavola, cm 86X58
Stima € 10.000 - 12.000
Il dipinto presenta caratteri di stile e scrittura affini alle opere di Francesco
Ubertini detto il Bachiacca (Borgo San Lorenzo, 1494 - Firenze, 1557), artista
formatosi tra il primo e il secondo decennio del Cinquecento presso la bottega
del Perugino, come testimoniano le opere giovanili, quali l’Adamo ed Eva
del museo di Filadelfia e il San Nicola conservato presso la Pinacoteca di Ferrara.
L’esordio autonomo lo vede avvicinarsi alla maniera del Franciabigio e
Andrea del Sarto, da cui trarrà diverse copie, insieme all’interpretazione delle opere raffaellesche e di Michelangelo. Intorno al 1520
queste diverse influenze trovano un’unica formula stilistica, dove si fondono altresì gli originari stilemi umbri e perugineschi, come si
vede nel lavoro svolto insieme al Pontomo, al Granacci e Andrea del Sarto nella decorazione della camera nuziale commissionata da
Pier Francesco Borgherini. Intorno al 1525 - 1527 sì colloca il viaggio a Roma, dove l’influenza del michelangiolismo si coglie specialmente
nelle tavole datate al quarto decennio, come dimostra la Decapitazione di San Giovanni Battista oggi a Berlino. L’opera in
esame pare disporsi cronologicamente al terzo decennio, verosimilmente prima del soggiorno romano, per le evidenti sfumature desunte
dal Pontormo e il Puligo, autore quest’ultimo, di una Cleopatra oggi conservata al museo di Budapest che ebbe una notevole
fortuna iconografica attorno al 1520. A questo proposito citiamo altresì una Lucrezia attribuita a Leonardo da Pistoia già di collezione
privata forlivese (fig. 1) che testimonia come la tipologia illustrativa del soggetto a carattere moraleggiante, era ampliamente frequentata
dai pittori toscani dell’epoca.
fig. 1
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50.
ANDREA CELESTI
(Venezia, 1637 - Toscolano ? 1712)
Adorazione dei Magi
Olio su tela, cm 285X395
Stima € 15.000 - 20.000
“Il dipingere di questo valentuomo era assai singolare
nel modo. Molte volte non meschiava i colori sulla tavolozza,
siccome ognuno suol fare; ma mettendo sulla
tela una striscia di biacca, una di terra rossa, di gialla,
e d’altri colori, univa ogni cosa sul quadro istesso e
formava quelle parti, ch’egli avea pensato con incredibile
felicità, e con bell’effetto di tenerezza. [...] Il contorno
delle figure del Celesti non erano de’ più eruditi;
ma grande n’era il carattere, bella la forza, e armoniose
erano le composizioni delle opere sue; finché meritatamente
è tenuto per uno de’ primi Maestri di quell’età”
(Zanetti 1771). Esplicativa è questa descrizione
della tecnica pittorica d’Andrea Celesti, la cui fortuna
critica moderna contrasta con la notevole qualità delle
sue opere, come ben si evince osservando l’eccelsa tela
in esame, che esibisce una stesura cromatica ricca d’impasti
di sapore giordanesco e un colore vivido, ravvivato
da una pennellata nervosa e fluide campiture, che
l’artista acquisì da Sebastiano Mazzoni. La composizione
è impaginata in maniera suntuosa, memore di un
gusto veronesiano, ma l’esito d’insieme pare preannunciare
l’eleganza rococò di Sebastiano Ricci, Giambattista
Pittoni e Francesco Fontebasso. Tra il 1659 ed
il 1669 il Celesti si assicura a Venezia importanti commissioni,
come ad esempio la decorazione della sala
principale di Palazzo e il ritratto del doge Nicolò Sagredo
per la Sala dello Scrutinio di Palazzo Ducale.
L’apprezzamento di queste opere è testimoniato dall’investitura
a cavaliere conseguita nel 1679-80, dal
doge Alvise Contarini e dalla nomina a priore del Collegio
dei pittori veneziani nel 1687. Il seguito della sua
attività si svolse prevalentemente a Brescia e nel gardesano
sino al 1700, data in cui è attestata nuovamente
la sua presenza nella città lagunare. La tela qui
presentata si può datare attorno alla metà del nono decennio,
in analogia con l’Adorazione dei Magi della
chiesa di Santa Maria Annunciata di Salò, documentata
al 1688.
Bibliografia di riferimento:
I. Marelli, Andrea Celesti 1637 - 1712. Un pittore sul
lago di Garda, San Felice del Benaco 2000, pp. 54 -
57, n. 2, con bibliografia precedente.
51

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51.
GIACOMO FARELLI
(Roma, 1624 - Napoli, 1706)
Martirio di San Pietro
Olio su tela, cm 171X120
Stima € 6.000 - 8.000
Bibliografia:
R. Lattuada, Pittura di storia e questioni di committenza
nelle opere di Giacomo Farelli in
“Abruzzo e altrove”, in atti del convegno, Il Barocco
negato. Aspetti dell’arte del Seicento e del
Settecento in Abruzzo, 20-21-22, Novembre
2007.
Già riferito al pittore francese Pierre Louis Cretey, per le analogie con la pala raffigurante Il Martirio di San Pietro oggi conservata
al Museo di Belle Arti di Rennes, quest’affascinante dipinto dal forte carattere naturalista, è stato riconosciuto a Giacomo
Farelli da Riccardo Lattuada. Farelli che secondo il De Dominici nacque a Roma, si trasferì in giovane età a Napoli nella
bottega d’Andrea Vaccaro. Le sue prime opere sono allineate stilisticamente con quelle del maestro, ma presentano anche l’influenza
delle tele giordanesche e il gusto tenebroso di Mattia Preti, senza dimenticare l’importantissimo apporto di Giovanni
Batista Beinaschi, che nella seconda metà del Seicento avrà un ruolo primario per l’arte partenopea. Ciro Fiorillo nel suo studio
biografico dedicato all’artista in occasione della mostra Civiltà del Seicento a Napoli, pone in evidenza anche il fascino esercitato
da Guido Reni e il dipinto qui presentato n’è una testimonianza precisa, perché direttamente ispirato dalla similare
composizione eseguita dal bolognese per San Pietro in Vaticano, ma non dobbiamo dimenticare la potente versione caravaggesca
della cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo. La datazione dell’opera in esame, si pone al settimo decennio, per le
evidenti affinità con le tele di medesimo soggetto di Mattia Preti e Luca Giordano. Del pittore calabrese ricordiamo in questa
sede le redazioni del museo di Grenoble e Birmingham e le versioni più tarde conservate nella chiesa dei Gesuiti a La Valletta
e nella cattedrale di Mdina, (M. Utili, 1999, p. 108 - 109). Di Luca Giordano citiamo altresì la pala della Parrocchiale di sant’Evasio
a Pedrengo in provincia di Bergamo, datata dalla critica agli anni 1650/54 (Ferrari - Scavizzi, II, p. 470, fig. 83, scheda
A21.c.) e le più tarde composizioni rispettivamente conservate a Venezia nella Galleria dell’Accademia ed in collezione privata
tedesca (Ferrari - Scavizzi, II, p.531, figg. 200 - 201, schede A123 - A124), databili al 1659/60.
Bibliografia di riferimento:
P. Rosenberg, G. Chomer; Lucie G. de Boissier, Pierre-Louis Cretey: le plus grand peintre lyonnais de son siècle ?, “Revue de
l’Art”, 1988, v. 82, n.1, pp. 19 - 38, fig. 9.
C. Fiorillo, Giacomo Farelli, in Civiltà del Seicento a Napoli, catalogo della mostra a cura di Raffaello Causa e Giuseppe Galasso,
Napoli, 1984, p. 135 - 138.
52.
PITTORE ATTIVO NEI PRIMI ANNI DEL
XVII SECOLO
San Francesco in preghiera
Olio su tela, cm 90X65
Stima € 3.000 - 4.000
L’alta qualità pittorica di questa tela e l’analisi stilistica, suggeriscono una datazione precoce, non oltre i primi anni del XVII
Secolo, mentre il disegno, di sapore controriformato, può trovare nei moduli compositivi del Barocci interessati spunti di riflessione
formale, specialmente con il San Francesco riceve le stimmate conservato alla Galleria Nazionale d’Urbino e l’Acquaforte
raffigurante Il pentimento di San Francesco (Parigi, Biblioteca Nazionale), tenendo pure in debito conto le differenti
dimensioni e impostazioni d’immagine. Detto ciò, osservando il fondale cogliamo una dicotomia di gusto e cultura che manifesta
un’origine non italiana, il paesaggio, infatti, richiama alla memoria gli scenari di Paul Brill. La medesima considerazione
possiamo applicarla analizzando il dettagliato fogliame che avvolge il masso ove si trovano la croce e il teschio, delineato con
precisione e cura per il dettaglio, anche grazie ad una sapiente regia di lume, irrealizzabile senza una meditazione attenta dei
precoci testi caravaggeschi. Questi indizi suggeriscono la città di Roma quale luogo d’esecuzione del dipinto e il suo autore mette
in pratica gli insegnamenti dei “grandi maestri”, specialmente dei controriformati toscani come Ludovico Cigoli, il cui San Francesco
in preghiera della Galleria Palatina presenta ragguardevoli analogie.
Bibliografia di riferimento:
R. Contini, Il Cigoli, Soncino1991.
R. Spinelli, I Fiorentini, in “Uffizi e Pitti. I dipinti delle Gallerie fiorentine”, a cura di Mina Gregori, Udine 1996, pp.
367 - 369, fig. 492.
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53.
GIUSEPPE NUVOLONE
(Milano 1619-1703)
Figura femminile (Sofonisba ?)
Olio su tela, cm 77 x 61,3
Stima € 10.000 - 15.000
Provenienza:
Finarte Milano, 16 marzo 1994,
lotto 66
Bibliografia:
F.M. Ferro, Nuvolone. Una famiglia
di pittori nella Milano del
‘600, Soncino 2003, p. 239 e tavola
LVII
Il dipinto è stato reso noto da Filippo Maria Ferro in occasione del suo recente volume monografico dedicato ai due fratelli
Nuvolone: Carlo Francesco (1609-1662) e Giuseppe (1619-1703) ed è poi stato pubblicato da F. Frangi e A. Morandotti
(2004, n. 68, p. 207).
A fronte di una indubbia affinità stilistica tra le opere dei due fratelli sono oggi più agevolmente distinguibili grazie all’attento
lavoro critico di Ferro, che ha raccolto un vasto repertorio di immagini e ha circostanziato l’attività dei due pittori, così da poterne
rilevare le differenza, pur nella contiguità culturale e di stile.
Sofonisba, figura “romantica”, molto amata dalla pittura barocca, è forse da riconoscersi in questa figura di giovane, come
ha suggerito Ferro. Ella è colta in tutta la sua sensualità femminile, in una tela da stanza che la veda unica e isolata protagonista.
La stessa fanciulla riappare nelle vesti di Rebecca in un dipinto di collezione milanese che Ferro mette a confronto con
il nostro (Ferro 2003, cit. ) e che si avvicina alla nostra tela anche per qual modo di trattare le superifici e gli incarnati tipici
di Giuseppe. Nella ricerca di uno sfumato e della morbidezza di incarnati e panni, riesce a rendere una delicatezza acerba e
una dolce naturalezza che quanto più gli riesce in soggetti meno affollati, se non addirittura a figure singole. E’ qui che si manifesta
al meglio il suo barocco intimo e non trionfale.
54.
GIOVANNI BATTISTA MERANO
(Genova, 1632 - Piacenza, 1698)
San Pietro
Olio su tela, cm 88,5X73
Stima € 10.000 - 12.000
La prossimità di quest’opera coi modi pittorici di Valerio Castello - nella leggerezza del tocco, nel vibrare dei contorni, nella
lievità dei panni - si spiega una sua collocazione tra le primizie artistiche del suo allievo Giovanni Battista Merano. Assai diverso,
questi, nella sua fare matura, una volta morto il maestro e spostatosi egli a nutrirsi di cultura emiliana direttamente in
quelle terre, ma qui ancora fortemente suggestionato dalla lezione dei suoi maestri genovesi: non solo Valerio, ma anche Giovanni
Andrea de Ferrari.
Scorgiamo bene in questo San Pietro, da una lato, il naturalismo di Giovanni Andrea - evidente nel viso di vecchio, per esempio
- dall’altro, la concezione dinamica della figura nello spazio e la libertà di segno insegnata da Valerio.
Sebbene si tratti di una composizione serrata e non certo di ampio respiro, il pittore riesce a infondere movimento e pathos
alla figura, che si volge su se stessa, occupa trasversalmente lo spazio e si dispone su un incrocio di diagonali, movimentando
non poco l’immagine.
Il confronto con il Mosé che fa scaturire l’acqua dalla roccia, datato 1675 (A. Orlando, Stefano Magnasco e la cerchia di Valerio
Castello, fig. 22 p. 27) fornisce una duplice indicazione: la figura di Mosé è molto simile al san Pietro, e ne conforta quindi
l’attribuzione; ma la trattazione là più disegnativa e più compatta delle figure aiuta a comprendere il progressivo allontanarsi
del Merano dalla maniera di Valerio. Si può dunque datare il San Pietro ben prima di quella tela del 1675, e probabilmente
anche prima del viaggio a Parma, ossia intorno al 1648-50 circa (Orlando 2006).
Anna Orlando
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55.
LUCA SALTARELLO
(Genova, 1610 ca. - Roma, 1645 ca.)
San Sebastiano
Olio su tela, cm 142,5X105,5
Stima € 30.000 - 35.000
Di Luca Saltarello ci informa brevemente Raffaele Soprani (Le vite dei pittori...,1674, p. 83) che lo dice nato a Genova da una
famiglia di umili condizioni intorno al 1610, e formato alla bottega di Domenico Fiasella. Dopo aver eseguito molte opere per
i privati (non meglio specificate) e tre opere a destinazione pubblica (di cui una sola reperibile, firmata e datata 1632, Genova,
chiesa di Santo Stefano), il giovane pittore decise di trasferirsi a Roma dove prese a studiare dai marmi e dalle tavole antiche.
Lì probabilmente continuò a dipingere per la committenza privata, ma la morte lo colse in quegli anni giovanili, probabilmente
intorno al 1645.
Sono sufficienti le poche opere conosciute e certe per ricondurre alla stessa mano anche questo San Sebastiano, che denuncia
la sua appartenenza all’area genovese - per quel naturalismo di derivazione anche vandychiana - e che appare prossimo alla
maniera di Domenico Fiasella, senza coincidere con essa. Nel Sarzana non viene mai meno il saldo impianto disegnativo, nella
definizione dei contorni, nella costruzione plastica dei panneggi e dei corpi. Qui invece la pittura vibrante e leggera porta a visibili
pentimenti (la mano in alto, la posizione del perizoma) e rende i contorni mossi, creando un suggestivo effetto atmosferico.
La pittura di Luca è più “liquida” e “vandychiana”, e si coniuga con un chiaroscuro talvolta di forte impatto. Non pare
possibile prescindere dal suo contatto con l’ambiente romano: non solo per l’attenzione allo studio del nudo, anatomicamente
perfetto - probabilmente per l’attento studio dei marmi antichi le fonti ricordano - ma anche per quella sensibilità luministica
quale evidente reminiscenza caravaggesca.
L’opera può datarsi al 1635-40 circa e può essere accostata alla tela di analogo soggetto conservata presso la Pinacoteca Tosio
Martinengo di Brescia, già assegnata ipoteticamente al Fiasella ma di recente restituita al Saltarello (fig. 1).
fig. 1
Anna Orlando

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56.
PITTORE DEL XVIII SECOLO
Paesaggio
Olio su tela, cm 73X84
Stima € 1.500 - 2.000
57.
PITTORE ATTIVO A ROMA ALLA FINE DEL
XVII SECOLO
Paesaggio costiero con castello e navi in riparazione
Olio su tela, cm 143X113 (2)
Paesaggio costiero con veliero alla fonda, porta
e torre d’avvistamento
Olio su tela, cm 147X107
Stima € 4.000 - 6.000
Queste due vedute costiere di fantasia, si possono
attribuire ad un pittore straniero attivo in
Italia tra Sei - Settecento. Il gusto italianizzante,
nel nostro caso desunto dai modelli d’Agostino
Tassi e specialmente dagli esempi di Gaspare
Vanvitelli, trova riscontri precisi, basti citare le
diverse vedute ideate da quest’ultimo, per cogliere
le analogie di gusto e taglio d’immagine. Il
tessuto pittorico, sia pur attenuato nella luminosità
a causa della vernice ossidata, esibisce
una buona qualità d’impasto e pigmento. La
pennellata veloce e corsiva, è solo in apparenza
sommaria, l’osservazione tradisce bensì una cura
dei dettagli ammirevole, come si evince analizzando
il disegno e la descrizione delle navi alla
fonda.
Bibliografia di riferimento:
Gaspare Vanvitelli e le origini del vedutismo, catalogo
della mostra a cura di Fabio Benzi, Roma
2002, con bibliografia precedente.
58.
PITTORE VENETO DEL XVIII SECOLO
Ascensione di San Giuseppe
Olio su tela, cm
Stima € 400 - 500
59.
PITTORE ATTIVO A ROMA NEL
XVIII SECOLO
Veduta di Campo Vaccino
Tempera su carta, cm 38X53
Stima € 800 - 1.000
Il Settecento è il grande teatro delle rovine,
viste, osservate e dipinte attraverso
la lente di diverse propensioni culturali:
ma è una poetica, che sia prettamente
archeologica o maggiormente incline a
sentimenti letterari, resta un fenomeno
che attraversa il secolo senza interruzioni.
L’opera in esame ne rappresenta
una gradevole testimonianza, da riferire
probabilmente ad un artista francese, influenzato
da Charles Louis Cléisseau e
Jean Baptiste Lallemand.
60.
PITTORE ROMANO DEL XIX SE-
COLO
Scorcio di un acquedotto romano
Olio su tavola, cm 23X39
Stima € 300 - 400
La tavoletta in esame, testimonia il
“riuso” avvenuto nei secoli delle vestigia
imperiali. Lo scorcio rappresenta
verosimilmente un tratto di
acquedotto, i cui bastioni e arcate
sono adattati a private abitazioni. La
medesima sorte toccò al Teatro Marcello,
che nel Medioevo fu trasformato
in fortezza e che nel XIV Secolo
la famiglia Savelli trasformò in un singolare
palazzo signorile con architetture
di Baldassarre Peruzzi.
61.
PITTORE VENETO DEL XVIII SE-
COLO
Veduta
Olio su tela, cm 63X86
Stima € 3.000 - 4.000
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62.
MICHELE ANTONIO RAPOUS
(Torino 1733 - 1819)
Natura morta con fiori e frutta
Olio su tela, cm 51X105
Stima € 8.000 - 12.000
Pittore naturamortista fra i più eccelsi del Settecento piemontese, influenzato dalla coeva pittura francese, autore di raffinate
composizioni floreali. La tela in esame è un esempio tipico della sua arte, databile all’ottavo decennio e particolarmente affine
a quella pubblicata da Alberto Cottino nel catalogo della mostra: La seduzione della natura. Natura morta in Piemonte nel
600 e nel 700 (p. 112).
Bibliografia di riferimento:
A. Cottino, La seduzione della natura. Natura morta in Piemonte nel 600 e nel 700, Torino 2000.
Siamo grati ad Alberto Cottino che ha confermato l’attribuzione a Michele Antonio Rapous.
61

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63.
AMBROSIUS BOSSCHAERT
IL VECCHIO (Studio)
(Anversa, 1573 - l’Aia, 1621)
Rose e tulipani in un vaso di vetro
Olio su tavola, cm 33,5X26
Stima € 4.000 - 5.000
L’inizio dell’attività di Bosschaert è documentata attorno al 1593, anno d’iscrizione alla Gilda di San Luca nella ricca città olandese
di Middelburg. I dipinti autografi riconosciuti dalla critica sono poco più di una cinquantina e derivano da uno studio
dal vero delle diverse specie botaniche, descritte con una notevole attenzione delle cromie e dei volumi. Ogni singolo stelo è
accuratamente accostato all’altro in base ai colori e alle forme, per conferire ad ogni dipinto una caratteristica unica e singolare.
L’aspetto concettuale di queste opere, è rimarcato dagli inserti simbolici di farfalle, mosche, api e conchiglie. Le conchiglie
ad esempio, sono il simbolo della vita come esperienza effimera se vissuta fuori della fede, così i fiori rimandano ad un
preciso significato religioso: il giglio bianco si riferisce alla Vergine Maria, il garofano alla Passione, il tulipano alla Morte e
la farfalla, rappresenta la Resurrezione. La tavola qui presentata si può riferire ad un seguace seicentesco del pittore.
Bibliografia di riferimento:
P. Mitchell, European Flower Painters. London, 1973.
S. Segal, Masters of Middelburg. Exh. cat. Kunsthandel K. & V. Waterman, Amsterdam, 1984
64.
JEAN BAPTISTE
MONNOYER (Studio)
(Lille, 1636 - Londra, 1699)
Bouquet di fiori
Olio su tela, cm 61X50
Stima € 6.000 - 8.000
In ottimo stato di conservazione, il dipinto si può confrontare con le opere di Jean Baptiste Monnoyer (fig. 1, Fitzwilliam Museum,
Cambridge e fig. 2, Museo dell’Hermitage di San Pietroburgo), uno degli artisti di primo piano della pittura floreale francese.
Il modello naturalistico italianizzante delle sue opere, deriva dai fioranti romani e dal Baudesson, percepibile non solo
nel taglio d’immagine, ma anche dal peculiare luminismo, che anima il vivace gioco cromatico dei fiori ed evoca sapientemente
la profondità in cui sono collocati. La sua arte influenzerà notevolmente gli artisti della successiva generazione, cronologicamente
attivi nel XVIII Secolo.
fig. 1 fig. 2
Bibliografia di riferimento:
S. H. Pavière, Jean Baptiste Monnoyer 1634-1699, F.
Lewis 1966.
M. F. Bowman, Jean-Baptiste Monnoyer : peintre de
fleurs, 1993.
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64
65.
ANTONIO FRANCESCO PERUZZINI (Studio)
(Ancona, 1643 o 1646 - Milano, 1724)
Paesaggio
Olio su tela, cm 112X141
Stima € 4.000 - 5.000
Opera da riferire ad un collaboratore d’Antonio Francesco Peruzzini. Al maestro possiamo attribuire la tipologia dell’immagine,
caratteristica della sua produzione e probabilmente predisposta in modo seriale. Alcuni brani, come l’albero a sinistra,
presentano altresì una discreta qualità di stesura e di pigmento, altrettanto apprezzabile è l’equilibrata declinazione prospettica
del paesaggio, che ci consente di esprimere sul dipinto un giudizio estetico benevolo e tralasciando le fredde considerazioni
filologiche, di apprezzarne altresì le notevoli virtù ornamentali.
Bibliografia di riferimento:
L. Muti, D. de Sarno Prignano, Antonio Francesco Peruzzini, Faenza, 1996
Antonio Francesco Peruzzini, catalogo della mostra a cura di Mina Gregori e Pietro Zampetti, Milano 1997.
66.
JACOB DE HEUSCH
(Utrecht, 1656 - Amsterdam, 1701)
Paesaggio costiero con barche e pescatori
Olio su tela, cm 53X68
Firmato in basso a destra
Stima € 6.000 - 8.000
Allievo dello zio Wilhelm de Heusch, l’artista è documentato nella Bent romana nel 1675 e un disegno datato al 1680 appartenente
al Museo di Sant’Anna a Lubecca, testimonia ancora la sua presenza nella città eterna, oltremodo confermata dal libro
dei conti della famiglia Falconieri, dove si registra negli anni 1686, 1691 e 1692 l’acquisto delle sue opere. L’attività capitolina
dell’artista si orienta inizialmente verso lo stile di Gaspard Dughet e Salvator Rosa, ma sarà quest’ultimo a suscitare una
vera e propria passione, tanto da indurlo ad imitarne le tele. Il gusto per il pittoresco, la sensibilità atmosferica, la capacità di
evocare scenari arcadici di sapore settecentesco ha persuaso la critica a riconoscergli il merito di aver influenzato l’arte di Jan
Frans Van Bloemen e Andrea Locatelli. Il dipinto in esame è un felice esempio della sua produzione databile agli anni novanta,
quando Heusch raggiunge un equilibrio poetico di particolare eleganza, rievocando i fondali scenici di Claude Lorrain e stemperando
il pittoricismo desunto da Salvator Rosa. Andrea Busiri Vici D’Arcevia, nella monografia dedicata al pittore, pubblica
una versione assai simile a quella in esame, citando varie edizioni analoghe di cui una dispersa già appartenente alla Galleria
Martinoja di Roma.
Bibliografia di riferimento:
A. Busiri Vici D’Arcevia, Jacob de Heusch (1656 - 1701), un pittore olandese a Roma detto il Copia, a cura di Cinzia Martini,
Roma 1997, p. 159, n. 58, con bibliografia precedente.
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67.
LEONARDO COCCORANTE
(Napoli, 1680 - 1750)
Paesaggio marino
Olio su tela, cm 38,5X60
Stima € 2.000 - 3.000
Affascinante opera del pittore napoletano Leonardo Coccorante, autore di paesaggi
e vedute fantastiche, caratterizzate da sfondi marini in burrasca e capricci
d’intonazione preromantica. Le prime rivalutazioni della sua personalità si devono
agli studi d’Oreste Ferrari (1954) e Sergio Ortolani (1970), dove la figura del Coccorante
emerge per qualità esecutiva ed invenzione. Le ricerche affrontate in previsione della mostra sul Settecento napoletano
del 1979 e i conseguenti approfondimenti condotti da Nicola Spinosa e Leonardo di Mauro, concedono un’adeguata lettura
critica della sua produzione. Il dipinto in esame, è da riferire alla maturità dell’artista, quando le originarie influenze codazziane
e d’Angelo Maria Costa, lasciano spazio a rivisitazioni rosiane rievocate con sensibilità rococò, in analogia con le tele
raffiguranti: Un porto di mare in tempesta e naufragio (fig. 1) del Lowe Art Museum University of Miami (esposto alla mostra
del 1979) e la Tempesta in porto con figure, recentemente pubblicata da Vincenzo Pacelli. Il corpus, permette di distinguere
il Coccorante fra i migliori paesaggisti del primo Settecento napoletano, sovente coadiuvato nelle parti di figura da
Giovanni Marziale, Giuseppe Tomajoli e Giacomo del Po, come testimonia il De Dominici.
Bibliografia di riferimento:
B. De Dominici, Vite de’ pittori, scultori ed architetti napoletani, Napoli 1742 - 1745, vol. II, tomo III, pp. 566 - 567.
S. Ortolani, Giacinto Gigante e la pittura di Paesaggio a Napoli e in Italia dal’ 600 all’800, Napoli 1970.
O. Ferrari, in Civiltà del Settecento a Napoli: 1734 - 1799, cat. della mostra a cura di R. Causa, Napoli 1979, I, pp. 168 - 171, n. 71b.
N. Spinosa, Pittura napoletana del Settecento, dal Barocco al Rococò, Napoli 1986, pp. 69 - 75, 89, 173 - 174, nn. 344 - 350.
R. Muzii, Leonardo Coccorante, in La pittura di paesaggio in Italia. Il settecento, a cura di Anna Ottani Cavina ed Emilia Calbi,
Milano 2005, pp. 158 - 160, con bibliografia precedente.
fig. 1
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PITTORE OLANDESE DEL XVII SECOLO
Scena di caccia alla balena
Olio su tela, cm 66X89
Iscritto sul retro haran Minderhout
Stima € 6.000 - 8.000
Inconsueto è il soggetto di questo dipinto, riferibile ad un artista certamente olandese e attivo attorno alla metà del XVII Secolo.
La scena raffigura un gruppo di piccole imbarcazioni baleniere, poco lontano si scorgono delle navi a vela, mentre in
primo piano a destra, possiamo distinguere una coppia d’orsi bianchi. Lo stile delle piccole figure e lo scenario, rammenta i
modi di Bonaventura I Peeters (Antwerpen 1614 - Hoboken 1652), artista specializzato in vedute di mare, interpretate con romantica
visualità, cogliendone gli aspetti più avventurosi e peculiari della marineria olandese. Un dipinto ambientato nelle
fredde latitudini artiche dove è raffigurata una caccia all’orso, è conservato al Rijksmuseum d’Amsterdam e datato al 1635
(fig.1). Accanto al Peeters, dobbiamo ricordare anche la figura di Cornelis Mahu (Antwerpen 1614 - 1689), noto per la produzione
di raffinatissime nature morte, ma anche autore d’affascinanti marine eseguite nella maniera del Peeters. Per quanto
riguarda l’iscrizione posta sulla tela, il pittore haran Minderhout è forse identificabile con Hendrik Minderhout, ma il confronto
con le sue opere note, non presenta affinità stilistiche adeguate per confermare un’attribuzione.
Bibliografia di riferimento:
M. Suchomel, Some Observations on the Reciprocal Similarity of Seventeenth-Century Marine Paintings, in “Bulletin of the
National Gallery of Prague”, 10 (2002), pp. 62-67.
S. Alsteens en H. Buijs, Paysages de France dessinés par Lambert Doomer et les artistes hollandais et flamands des XVIe et
XVIIe siècles, Paris 2008, pp. 263-270.
fig.1
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69.
VIVIANO CODAZZI
(Studio)
(Vincente Giner? Attivo a Roma tra il 1660 - 1680 ca.)
Capriccio architettonico con Gesù e la Samaritana
Olio su tela, cm 101X153
Stima € 15.000 - 18.000
Di stile autenticamente codazziano, questo capriccio architettonico con la raffigurazione dell’episodio evangelico di Gesù e la
Samaritana, si può attribuire al pittore spagnolo Vincente Giner, documentato a Roma dal 1660 al 1680, dapprima come allievo
all’Accademia di Spagna e in seguito aiutante di Viviano Codazzi. L’analisi della sua produzione, mostra una compiuta
adesione ai modi del maestro, ma anche, l’attitudine a creare visioni architettoniche con fughe prospettiche e punti di vista,
dove si scorgono fontane o gruppi scultorei.
Bibliografia di riferimento:
D. R. Marshall, Viviano and Niccolò Codazzi and the Baroque Architectural Fantasy, Roma 1993, pp. 505 - 518, con bibliografia
precedente.
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70
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70.
PIETRO MONTANINI (Attr. a)
(Perugia, 1626 - 1689)
Paesaggio con figure
Olio su tela, cm 65X49,5
Stima € 6.000 - 8.000
Opera riferibile al pittore Pietro Montanini, allievo a Roma di
Pietro da Cortona e in seguito profondamente suggestionato dall’arte
di Salvator Rosa. I primi studi si devono a Federico Zeri,
che ha pubblicato due marine siglate, appartenenti alla collezione
Pallavicino di Roma. Il Catalogo dell’artista è tuttavia ancora
inquinato a causa della confusione attributiva creatasi con
le opere d’Alessio de Marchis, generata dagli studi del Voss sui
paesaggi conservati nella cattedrale di Perugia. Molte delle
opere, generalmente assegnate al Rosa, sono da ricondurre al
“nostro”, specialmente i dipinti di piccolo formato, dove il Montanini
riesce ad esprimere una sensibilità di tocco affine a quella
dell’artista napoletano. L’opera in esame, per il taglio d’immagine
pare desunta dal piccolo Paesaggio con eremita del museo
Condé a Chantilly attribuita al Rosa nel 1924 da Pettorelli.
Bibliografia di riferimento:
L. Salerno, Pittori di Paesaggio del Seicento a Roma, Roma
1976 - 1980, II, pp. 666 - 667.
L. Salerno, Salvator Rosa, Milano 1975, p. 103, n. 241.
71.
VIVIANO CODAZZI (Attr. a)
(Bergamo, 1604 ca. - Roma, 1670)
Capriccio architettonico con figure
Olio su tela, cm 65,5X50
Stima € 6.000 - 8.000
Viviano Codazzi, formatosi nella natia Bergamo come quadraturista,
è stato uno dei più celebrati specialisti di vedute
architettoniche, in particolare, durante la sua permanenza a
Napoli, dove risedette dal 1634 al 1647 collaborando con
Nicolò Gargiulo e a Roma, quando, a seguito della rivolta di
Masaniello, vi si trasferisce. Nella città papale l’artista si dedicò
allo studio delle rovine e dei monumenti classici, traendo
da questi, ispirazione per realizzare i suoi eccezionali
“capricci”, coadiuvato per le parti di figura da Antoine
Gobau, Michelangelo Cerquozzi, Jan Miel, Filippo Lauri.
Bibliografia di riferimento:
D. R. Marshall, Viviano and Niccolò Codazzi and the Baroque
Architectural Fantasy, Roma 1993, con bibliografia
precedente.
72.
PITTORE FIAMMINGO DEGLI
INIZI DEL XVIII SECOLO
Paesaggio con contadini e cavalieri
Olio su tela, cm 40X58
Stima € 4.000 - 6.000
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73.
SALVATORE FERGOLA (Attr. a)
(Napoli, 1789 - 1874)
La presa di Messina
Olio su tela, cm 44X66
Stima € 3.000 - 4.000
Il Risorgimento italiano prese l’avvio dalla città di Messina con i moti del 1 settembre 1847 e nel 1848, nuovamente ribellatasi
ai Borboni: la città subì per otto mesi pesanti bombardamenti per poi capitolare all’esercito e alla flotta borbonica, comandata
dal generale Filangeri. La tela in esame raffigura il momento dello sbarco iniziato il 6 settembre, dopo che per tre
giorni consecutivi l’abitato fu vittima di saccheggi e violenze. L’opera segue il modello della veduta settecentesca inaugurata
da Antonio Joli e Jacob Philipp Hackert, ma prediligendone il taglio topografico e descrittivo funzionale alla narrazione storica,
con esiti vicini a quelli di Gaetano Gigante, ma anche di Francesco Zerilli, unico rappresentante del vedutismo siciliano.
Bibliografia di riferimento:
L. Salerno, I Pittori di Vedute in Italia, Roma 1991
M. Picone Petrusa, Salvatore Fergola, in Civiltà dell’Ottocento. Le Arti figurative, catalogo della mostra a cura di Nicola Spinosa,
Napoli 1997, pp. 488 - 490, nn. 17.75 - 17.79.
74.
FRANCESCO ZANIN
(Attivo a Venezia tra il 1850 e il 1880)
Il Ponte delle Pazienze
Tempera su carta , cm 63 x 50,5
Firmato e datato 1856
Stima € 6.000 - 8.000
Bibliografia:
F. Magani, Francesco Zanin, in Idealità neoclassica
e realismo romantico nella veduta
dell’Ottocento, catalogo della mostra, Milano
1998.
F. Magani, Francesco Zanin : un “Canaletto”
nell’Ottocento, Caiati & Salamon, Milano
2008.
Uno sguardo su Venezia, catalogo della mostra
a cura di Teresa Barone, Caiati & Salamoi,
Milano 2008.
L’attività di Francesco Zanin scorre dal 1855
al 1888 e il suo catalogo conosciuto lo vede
esclusivamente dedito al vedutismo, seguitando
la consuetudine settecentesca e moderna,
avviata da Giovanni Bernardino Bison,
Giovanni Migliara e Ippolito Caffi. La sua
formazione avviene all’Accademia di Venezia,
dove era previsto l’insegnamento della prospettiva
e dell’architettura, la cui cattedra dal
1845 fu tenuta da Federico Moja (Milano
1802 - Dolo 1885). Il percorso di studi è brillante,
infatti, nel 1855 è segnalato fra i migliori
allievi e comincia la sua carriera
d’artista, raffigurando i siti veneziani più conosciuti,
fissati con rigore scientifico e una
particolare attenzione per la luminosità atmosferica.
75.
PITTORE DEL XIX SECOLO
Veduta della chiesa della Salute con la punta
della Dogana dal Canal Grande
Olio su tela, cm 41X50
Stima € 3.000 - 4.000
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76.
DANIEL VERTANGEN
(Aia, 1598 ca. - Amsterdam, 1681/84)
Danza di Satiri e ninfe
Olio su rame, cm 12 x 15.7
Siglato a destra: D V
Stima € 800 - 1.000
La raffigurazione di satiri e ninfe che danzano in uno scenario ispirato alla
campagna romana, è un tema ricorrente nelle opere di Polenburgh. Questi
raffinati dipinti, solitamente di piccole dimensioni e di soggetto sottilmente
erotico, ebbero un successo ragguardevole, tanto da influenzare la produzione
e l’intera attività dei suoi allievi e seguaci. Possiamo citare a proposito
l’Haensbergen o Toussaint Gelton, che insieme al Vertangen si sforzarono
d’imitare il maestro sia nella rappresentazione del paesaggio sia nella resa
delle figure, realizzate con rara finezza. Luigi Salerno, pur inserendone la biografia nel volume dedicato ai pittori di paesaggio
a Roma, dubita che l’artista abbia visitato la penisola, per le evidenti caratteristiche della sua arte, immune dalla solare
luce italiana e caratterizzata da freddi toni blu - verdi e un nordico rigore ottico. Il piccolo rame qui presentato è un’opera tipica
del pittore, preziosa per la tipologia di supporto e la stesura, quasi da porcellana, simile per soggetto alla Danza di ninfe
già Christie’s Londra 16 dicembre 1988, n. 124 (fig.1).
Bibliografia di riferimento:
L. Salerno, Pittori di Paesaggio del Seicento a Roma, Roma 1976, pp. 266 - 267.
N.C. Sluijter-Seiffert, The school of Cornelis van Poelenburch, in: A. Golahny e.a., In his milieu. Essays on Netherlandish art
in memory of John Michael Montias, Amsterdam 2006, p. 441-454.
fig. 1
77.
CHARLES NATOIRE (Studio)
(Nimes, 1700 - Castel Gandolfo, 1777)
Arione
Olio su tela, cm 81X100
Stima € 6.000 - 8.000
Questo elegante dipinto raffigura il celebre musico Arione, che dopo aver vinto una gara poetica in Sicilia e imbarcatosi su una
nave per rientrare in patria con il tesoro guadagnato, i marinai a conoscenza del prezioso carico ordiscono un complotto per
derubarlo e ucciderlo, ma Arione li supplica di poter suonare l’ultima volta la sua lira. Attirati dal canto, alcuni delfini, animali
sacri ad Apollo dio della musica, si raccolgono attorno alla nave e il poeta, vista quest’opportunità di salvezza, si getta
in mare per salire sul dorso di queste meravigliose creature. L’opera presenta caratteri prettamente francesi, che supporta la
tradizionale attribuzione a Charles Natoire avanzata dal conservatore del museo di Mentone Emile Martini.
La felicità decorativa dell’immagine è notevole, Arione è intento a suonare la lira, circondato dalle divinità marine ammaliate
dal suono. Lo stile è felice, genuinamente francese, a dimostrare come l’artista pur trascorrendo gran parte della sua carriera
a Roma, sia come allievo e poi come direttore dell’Accademia di Francia, mantiene inalterato il suo gusto rococò, che esprime
anche in una serie di disegni raffiguranti paesaggi e scorci romani, da cui trassero insegnamento e ispirazione i suoi due migliori
allievi, Hubert Robert e Fragonard, giunti a Roma rispettivamente nel 1754 e il 1756.
Bibliografia di riferimento:
A. Busiri Vici, Paesistica romana di Charles Natoire, in “Antichità Viva”, n. 2, 1976.
F. Boyer, Catalogue raisonné de l’oeuvre de Charles Natoire, peintre du roi, 1700-1777, Armand Colin, 1949.
Charles-Joseph Natoire : Peintures, dessins, estampes et tapisseries des collections publiques françaises, catalogue d’exposition
Troyes, musée des Beaux-Arts, Nîmes, musée des Beaux-Arts, Rome, Villa Médicis, mars - juin 1977.
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78.
CRESCENZO GAMBA
(Documentato a Napoli, 1749 - 1783)
Il Trionfo di Bacco
Bacco e Arianna
Olio su tavola, cm 44,5X56,4 (2)
Stima € 20.000 - 30.000
Provenienza:
London, Matthiessen Fine Art
Napoli, collezione privata
Bibliografia:
Matthiesen & Star Sainty Matthiesen, Colectanea 1700 - 1800, London 1999, pp. 145 - 148.
Queste due bellissime tavole rivelano le eccellenti capacità pittoriche di Crescenzo Gamba, decoratore con uno stile vicino al
De Mura degli anni quaranta e il Bonito. Stilisticamente si confrontano con gli affreschi per la Certosa di San Martino a Napoli,
ma ancor più con l’Apollo e le Muse del Palazzo Reale di Caserta. Probabilmente facenti parte di un rivestimento, le opere
documentano altresì, come il pittore non elabora solo le decorazioni a Fresco, ma tutti gli apparati ornamentali di un ambiente,
approntando soluzioni per il mobilio e gli schemi iconografici. L’artista è documentato in molte residenze vesuviane e palazzi
di città, con uno stile elegantemente rocaille, come nel “Quarto del Priore” della Certosa di San Martino e la villa Favorita di
Ercolano.
Bibliografia di riferimento:
N. Spinosa, Pittura napoletana del Settecento, dal Barocco al Rococò, Napoli 1986, II, p. 60; pp. 84 - 85, nn. 51 - 53, con bibliografia
precedente.
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79.
PITTORE CARAVAGGESCO DELLA PRIMA METÁ DEL XVII SECOLO
Cristo morto sostenuto da un angelo
Olio su tela, cm 130X171
Stima € 20.000 - 30.000
Opera notificata ex d.lgs. 42/2004.
La particolarità iconografica, che vede nella consuetudine il Cristo sorretto in verticale, è in questo affascinante dipinto modificata,
in analogia con la tradizione illustrativa della Pietà, come possiamo osservare nella straordinaria tela di Massimo Stanzione conservata
alla Galleria Nazionale Barberini di Roma, datata ai primi anni del secondo decennio e quindi da considerarsi una sua precoce
testimonianza. I precedenti sono logicamente la Pietà del Caracciolo a Baranello (1618 - 1620) e la versione di Ribera del Louvre. Questi
esempi, non certo appropriati per giungere ad una soluzione attributiva, consentono altresì d’inquadrare cronologicamente l’opera,
che insieme ai dati di stile si può datare tra il 1615 e il 1625 circa. Di notevole bellezza ed eleganza è la figura dell’angelo, che in parte
contrasta con il naturalismo drammatico del corpo di Cristo, livido e scomposto. L’entità angelica in piena luce che sorregge e indica
il Salvatore, richiama alla memoria, specialmente nel volto, i suoi simili gentileschiani, anche nel breve e semplice volger di panni, lineari
e corruschi, non raffinati per taglio, ma certamente preziosi per la qualità intrinseca della stoffa serica, da “sartoria di lusso”volendo
parafrasare Roberto Longhi. Le tracce stilistiche, sino a questo punto perseguite, oltre la datazione, suggeriscono la città di
Roma quale luogo d’esecuzione del dipinto, il cui autore, si può difficilmente riconoscere nell’ambito dei caravaggeschi d’origine nord
italiana o toscana, come il Vermiglio, il Rustici o il Manetti, troppo legati alla loro terra d’origine e nella sostanza, semplici esponenti
di un naturalismo sincero. Tanto meno possiamo affidare la ricerca sfogliando l’album degli osservanti manfrediani, bravissimi ma
sostanzialmente prevedibili nei risultati. Detto ciò, la sorpresa che coglie l’osservatore davanti al dipinto, è la medesima di, quando si
guardano le tele di Cecco del Caravaggio, di Filippo Vitale e del giovane Simon Vouet, specialmente, se condividiamo il confronto con
il Ritratto di giovane appartenente alla Galleria Pallavicini di Roma pubblicato da Benedict Nicolson (vol. II, fig. 734).
Bibliografia di riferimento:
B. Nicolson, Caravaggism in Europe, second edition revised and enlarged by L. Vertova, Torino 1990 (3 voll.), con bibliografia
precedente.
80.
PITTORE ATTIVO TRA LA FINE DEL XVI E GLI INIZI DEL XVII SECOLO
Scena biblica
Olio su tela, cm 207X146
Stima € 20.000 - 30.000
Il dipinto in esame si può riferire ad un pittore tardo manierista. L’immagine, richiama alla memoria i moduli compositivi di
Taddeo e Federico Zuccari, non solo per il carattere scenico della narrazione, ma anche per il risalto scultorio delle figure e la
loro espressività fisionomica. Il linguaggio pittorico, si riconosce in quella corrente tosco- romana che contraddistingue moltissimi
autori fra il XVI e il XVII Secolo, un idioma che avrà una notevole diffusione e lievi differenziazioni a carattere regionale.
Ad esempio, in ambito genovese possiamo citare Bernardo Castello (Genova 1557 - 1629), la cui carriera s’inoltrerà ben
oltre il passaggio del secolo, conservando inalterate le sue formule creative. Per questa motivazione non è sempre possibile suggerire
attribuzioni pertinenti a queste tele, spesso prive di note distintive riconoscibili. Nel nostro caso, possiamo avanzare con
prudenza l’ipotesi di un artista napoletano, vicino negli esiti a Belisario Corenzio (Acaia 1558 - Napoli 1643), vero e proprio
protagonista, o meglio, monopolista nella decorazione a fresco e incredibilmente immune alle novità caravaggesche. La sua
vita leggendaria e colorita è narrata dal De Dominici, che lo dice “pittore copioso ma non scelto” e “iniquo e maligno” per il
modo persecutorio con cui trattava i concorrenti, immagine che contrasta con le sue eccezionali doti organizzative e gestionali
d’innumerevoli cantieri e conseguenti maestranze. Se la congettura attributiva è corretta, la tela in esame si può datare per
ragioni stilistiche tra il primo e il secondo decennio, quando il Corenzio compie gli affreschi nella Cappella Muscettola al Gesù
Nuovo e il ciclo dei Santi Severino in Sossio (1609 - 1615) e realizzata da un suo collaboratore o vicino seguace.
Bibliografia di riferimento:
P. Leone de Castris, Pittura del Cinquecento a Napoli 1573 - 1606, Napoli 1991, pp. 193 - 248.
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ORAZIO DE FERRARI
(Genova, 1606 - 1657)
Martirio di San Bartolomeo
Olio su tela, cm 194X144,7
Stima € 25.000 - 35.000
L’effetto scenico e finanche teatrale di questo dipinto di Orazio De Ferrari è quasi interamente affidato alla figura del protagonista:
al suo corpo, anzi, che si dispone in modo asimmetrico e quasi scomposto ad occupare dinamicamente lo spazio della
scena. Sono solo timide comparse le due figure che confabulano sullo sfondo a sinistra o il candido angioletto che porta gli
attributi del martirio a san Bartolomeo. Figure, quelle, che si stagliano sul fondo chiaro e che, soprattutto con la cromia tenue
e delicata del piccolo messo divino, han la funzione di stemperare, nella narrazione, il tono intenso del dramma in atto. San
Bartolomeo, nel momento di spirare per l’infierire dei colpi mortali dell’aguzzino, è illuminato da una luce che segna le modulazioni
muscolari del suo corpo vigoroso. Quasi a fungere da contrappunto negativo, la corpulenza assai più marcata dell’aguzzino,
è segnata da una luce più cupa, da chiaroscuri più accentuati, da contrasti più forti.
E’ un gioco attento, quello di Orazio de Ferrari in questo brano inedito per la letteratura critica, di equilibri tra il realismo
di matrice caravaggesca da cui in quegli anni un naturalista come lui non poteva prescindere, e il colorismo rubensiano e vandichiano
che appartiene, gioco forza, alla parlata pittorica genovese di tutto il primo Seicento.
Non lontano, seppure assai più convenzionale del nostro, è il San Sebastiano tra San Biagio e San Rocco, della chiesa di San
Giovanni Battista di Loano, firmato e datato 1639 (cfr. P. Donati, Orazio De Ferrari, Genova 1997, fig. 41). Le cromie accese
del cielo sono le stesse, così come analoghi sono gli angioletti che scendono a recare la palma e la corona di rose; prossimo
pare infine lo stile, ancora composto e saldo nel disegno e nell’impianto formale. Un raffronto, questo, che consente di
ipotizzare una datazione intorno al 1640 anche per il dipinto che qui si presenta.
Anna Orlando

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82.
PITTORE FRANCESE DEL XVII SECOLO
Ritratto d’uomo in armatura
Olio su tela, cm 80X65
Stima € 2.000 - 3.000
Questo affascinante ritratto, già attribuito al pittore genovese
Giovanni Battista delle Piane detto il Mulinaretto, raffigura
un uomo in armatura con la croce dell’ordine militare di San
Luigi, fondato il 5 aprile 1696 da Luigi XIV e destinato a ricompensare
gli ufficiali meritevoli per atti d’eroismo o di coraggio.
L’onorificenza era riservata agli ufficiali meritevoli
anche non appartenenti alla nobiltà e si può considerare antesignana
della moderna Legion d’onore. Per questo motivo e
le caratteristiche di stile, la tela è riferita ad un artista francese
di primo Settecento.
83.
TIBERIO TINELLI (attr.a)
Venezia 1586 - 1638
Ritratto di medico
Olio su tela, cm 114,5X85
Stima € 3.000 - 4.000
Il dipinto è databile alla prima metà del XVII Secolo e riferibile
ad un artista di scuola lombardo - veneta che si riconosce
in Tiberio Tinelli (Venezia 1586 - 1638). Il taglio illustrativo
e l’ambientazione, denotano la volontà di rappresentare l’effigiato
quale uomo di cultura, un medico, conoscitore dei trattati
di Galeno e Ippocrate, ma nella scarna ambientazione, si
vedono oggetti che rammentano la vacuità della scienza e del
sapere umano. La clessidra e lo scheletro, alludono all’illusoria
volontà di sondare il mistero della vita, moniti che il giovane
mostra di non trascurare, ma è chiara la sua pervicace
aspirazione di coniugare la morale religiosa con la modernità,
privilegiando tuttavia quest’ultima, esibendo in primo piano
l’elegante volume rilegato del Selvatici, famoso esponente
della scuola medica salernitana.
Bibliografia di riferimento:
M. Ponticelli, Tiberio Tinelli, in La Pittura in Italia. Il Seicento, a
cura di Mina Gregori e Erich Schleier, Milano 1989, II, p. 901.
84.
NICOLA MARIA ROSSI
(Napoli, 1690 - 1758)
Ritratto d’uomo in armatura
Olio su tela, cm 84,5X65
Stima € 3.000 - 4.000
Nicola Maria Rossi apprende l’arte della pittura da Francesco
Solimena, nella cui bottega secondo il De Dominici vi è
accolto appena sedicenne. Le prime composizioni sono particolarmente
affini a quelle del maestro, come possiamo notare
nelle opere eseguite per le chiese di San Nicola alla Carità e di
San Paolo Maggiore. Nel 1726 l’artista è documentato a
Vienna, ove si dedicò a decorare la Galleria di Palazzo Rofrano
e a comporre diversi ritratti. Tornato in patria lo vediamo
impegnato a dipingere a fresco alcuni soffitti per la
residenza estiva del viceré di Napoli conte di Harrach, che gli
commissionò altresì tre tele di notevoli dimensioni raffiguranti
le Funzioni pubbliche dei viceré. Al quarto decennio si datano
gli affreschi eseguiti nei palazzi appartenenti ai principi d’Avellino
e Tarsia Spinelli (oggi distrutti).
Il dipinto è stato attribuito a Nicola Maria Rossi da Nicola
Spinosa (comunicazione orale al proprietario)
Bibliografia di riferimento:
Settecento Napoletano. Sulle ali dell’aquila imperiale 1707 -
1734, catalogo della mostra a cura di N. Spinosa, Napoli
1994, con bibliografia precedente.
85.
BENEDETTO GENNARI (Studio)
(Cento, 1633 - 1715)
Ritratto d’uomo
Olio su tela, cm 108X86
Stima € 3.000 - 4.000
Esiste un’interessante analogia tra la tela in esame e la ritrattistica
di Benedetto Gennari, terzogenito d’Ercole e della moglie
Lucia Barbieri. Si formò nella bottega familiare,
divenendo un abile imitatore delle opere dello zio, il celebre
Guercino, ma la sua fama è dovuta ai raffinati ritratti eseguiti
per le corti di Luigi XIV e Carlo II d’Inghilterra. Il prolungato
soggiorno francese modificò notevolmente i suoi modi espressivi,
modulandone lo stile su i modelli di Mignard e Le Brun,
mentre a Londra, la sua attenzione si rivolse alle tele di Lely
e Kneller. L’opera in esame si può accostare al Ritratto di Girolamo
Graziani della Galleria Estense, per la peculiare posa
dell’effigiato e l’attenzione per i dettagli, tuttavia, nel nostro
caso il tessuto pittorico presenta alcune differenze sostanziali
con le opere autografe, dove è possibile notare una maggiore
inclinazione calligrafica e un più efficace conferimento di distinzione
ai personaggi raffigurati.
Bibliografia di riferimento:
N. Roio, Benedetto Gennari, in La scuola del Guercino, a
cura di Emilio Negro, Massimo Pirondini, Nicosetta Roio,
Modena 2004, pp. 135 - 170, con bibliografia precedente.
84
85
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84
Bibliografia:
Paintings from Irish Collection, catalogo della mostra, Dublino 1957:
86.
PROSPERO FONTANA
(Bologna, 1512 - 1597)
Ritratto di gentiluomo
Olio su tela, cm 118 x 89
Stima € 15.000 - 18.000
Provenienza:
Sotheby’s Londra, 30 novembre 1983,
lotto 159
Il dipinto era conservato nella collezione della famiglia Trench a Loughton House, Roscreen, Tipperary Irlanda, i cui discendenti
posero l’opera all’incanto a Londra nel 1983. In quell’occasione fu rettificata la tradizionale attribuzione a Giorgio Vasari
in quella più consona e convincente a Prospero Fontana, l’artista bolognese che col Vasarì collaborò per le decorazioni a
Palazzo Vecchio a Firenze nel 1563-65. Dal suo raffaellismo e accademismo d’esordio il Fontana prese le distanza proprio grazie
al contatto con il Vasari e con la cultura pittorica fiorentina e con Michelangelo.
Lo dimostra questo ritratto, intensamente intriso di un naturalismo che molto si allontana da un fare di Accademia e che, per
il realismo dell’approccio prelude agli esiti dei Carracci. Lo ha notato Daniele Benati in occasione dello studio di un altro ritratto
del Fontana di analoga impostazione “privata” messo a confronto non tanto con i sui ritratti ufficiali (quali per esempio
il Ritratto di Giulio II della Biblioteca Universitaria di Bologna), ma piuttosto con la Dama del Museo Bargellini o la
donatrice inserita nell’Annunciazione di Brera, caratterizzati come il nostro di verità a libertà di stesura (si veda D. Benati in
Dipinti e disegni emiliani da Manierismo al Neoclassico, catalogo della mostra presso Fondantico, Bologna, 1997, pp. 19-22).
87.
LATTANZIO GAMBARA (Attr. a)
(Brescia 1530-1574)
Ritratto di gentiluomo
Olio su tela, cm 126,5X103
Stima € 10.000 - 12.000
Formatosi a Cremona probabilmente con Giulio Campi, Lattanzio Gambara raggiunse una posizione di spicco nella stagione
del manierismo bresciano, soprattutto dopo la metà del secolo. Abile frescante, egli ebbe notevoli committenze per la committenza
privata, soprattutto per cicli di affreschi a soggetto profano nelle vile del bresciano.
E’ più conosciuta infatti la sua produzione profana rispetto a quella chiesastica e sacra. A questo capitolo appartiene la rara
ritrattistica del Gambara, cui questo Gentiluomo può riferirsi.
Se ne ravvisa ad evidenza la cultura tra Lombardia e Veneto, nell’impostazione dell’immagine, nelle scelte cromatiche, nell’inserto
paesaggistico sul fondo.
Per un confronto si veda il Ritratto di Alberto Martinengo conservato nella Accademia Carrara di Bergamo datato 1560, a
lui dubitativamente riferito (inv. 586).
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88.
MATTEO ROSSELLI (Studio)
(Firenze, 1578 - 1650)
Rebecca al pozzo
Olio su tela, cm 147X125
Stima € 8.000 - 10.000
89.
PIER FRANCESCO MOLA
(Coldrerio, 1612 - Roma, 1666)
Visione di San Galgano
Olio su tela, cm 49X37,8
Stima € 10.000 - 12.000
Delacroix raccomandava ai suoi allievi d’imitare le opere di Pier Francesco Mola “più d’ogni altro pittore del passato”, il
grande artista francese vedeva in lui la modernità, un esponente ante litteram dell’impressionismo. L’arte del Mola, infatti, modulandosi
sul colore “neoveneziano” e guercinesco, sembra anticipare nei risultati la pittura ottocentesca, proprio per il suo
“far di macchia“. La capacità inventiva, la materia densa e luminosa, gli permise tra gli anni ‘50 e la metà degli anni ‘60 del
Seicento, di affermarsi quale primo pittore dell’Urbe, ottenendo prestigiose commissioni dai Colonna, i Pamphilj e i Chigi, godendo
della protezione d’Alessandro VII e Cristina di Svezia, sviluppando una vasta bottega, in un successo crescente culminante
con l’elezione a Principe dell’Accademia di S. Luca nel 1662.
Nicholas Turner suggerisce per questo dipinto una commissione Chigi, per la particolarità del soggetto, e il vincolo d’amicizia
di Mola con Niccolò Simonelli, Guardarobiere del Cardinal Flavio (1631 - 1693). Simonelli è un personaggio interessante
nell’ambiente artistico romano del tempo, amico di Salvator Rosa, Pietro Testa e Giovanni Benedetto Castiglione, che gli dedicò
una stampa raffigurante Diogene impegnato nella vana ricerca di un uomo onesto.
Il dipinto è accompagnato da una comunicazione scritta di Nicholas Turner del 25 marzo 2002 e sarà pubblicato nella monografia
di prossima pubblicazione curata da Jorg Zutter.
Bibliografia di riferimento:
N. Turner, Pier Francesco Mola, i disegni, in Pier Francesco Mola, 1612 - 1666, catalogo della mostra a cura di Manuela
Kahn - Rossi, Milano 1989, pp. 103-120.
L. Grassi, Alcuni disegni di Pier Francesco Mola e il curioso precedente di una tormentosa vicenda, in Scritti in onore di Giuliano Briganti,
a cura di Marco Bona Castellotti, Laura Laureati, Anna Ottani Cavina e Ludovica Trezzani, Milano 1990, pp. 205 - 218.
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90.
PITTORE BAMBOCCIANTE ATTIVO A ROMA
NELLA PRIMA METÀ DEL XVII SECOLO
Monelli che giocano a carte
Olio su tela, cm 33X41
Stima € 800 - 1.000
Opera raffigurante un tema ricorrente nelle composizioni
dei bamboccianti, eseguita con tonalità calde
e morbida luminosità, vicina negli esiti alle composizioni
di Jan Miel, Johannes Lingelbach, Michael
Sweerts.
Bibliografia di riferimento:
G. Briganti, L. Trezzani, L. Laureati, I Bamboccianti.
Pittori della vita quotidiana a Roma nel Seicento,
Roma 1983.
L. Trezzani, La pittura con scene di genere a Roma
nella prima metà del Seicento. I Bamboccianti, in catalogo
della mostra Da Caravaggio a Ceruti. La
scena di genere e l’immagine dei pitocchi nella pittura
italiana, a cura di Francesco Porzio, Milano
1998, pp. 313 - 319, con bibliografia precedente.
91.
PITTORE FIAMMINGO DEL XVIII SECOLO
Scena di genere
Olio su tela, cm 40X56
Stima € 1.500 - 1.800
92.
PITTORE VENETO DEL XVIII SECOLO
Fuga in Egitto
Olio su tela, cm 41X53
Stima € 1.500 - 2.000
L’inconfondibile carattere veneziano di questo dipinto,
vede nella celebre fuga in Egitto di Jacopo Robusti
un preciso modello iconografico. La vasta
composizione che adorna la Sala terrena della Scuola
Grande di San Rocco, rivela la chiave “romantica”
con cui l’artista interpreta il paesaggio e la storia
sacra. La sua visione cromatica e testuale, influenzerà
la pittura lagunare dei secoli a venire, per le pennellate
vibranti e le avvincenti regie di lume. Nel
nostro caso, osserviamo una diversa posizione dei
personaggi e della natura morta, dove si muovono
due vezzosi angioli intenti a dar ordine alle masserizie;
il paesaggio arboreo invece, è diseguale ma affine
per la funzionalità scenica.
Bibliografia di riferimento:
A. P. Zugni Tauro, Gaspare Diziani, Venezia 1971.
R. Pallucchini, Gaspare Diziani, in La pittura nel Veneto.
Il Settecento, Milano 1996, II, pp. 86 - 104,
con bibliografia precedente.
93.
PITTORE DEL XVII SECOLO
Carità Romana
Olio su tela, cm 57,5X68
Stima € 1.500 - 1.800
Il dipinto raffigura l’episodio di Cimone e la figlia
Pero, narrato dallo storico romano Valeriano
Massimo (I secolo d.C.) nell’opera dal titolo “Fatti
e detti memorabili”. Il vecchio Cimone imprigionato,
è visitato dalla figlia Pero, che vedendolo sofferente
per la mancanza di cibo lo sfama
offrendogli il latte dal suo seno. Si tratta visibilmente
di un’allegoria dell’amore filiale, soggetto
assai frequentato dagli artisti italiani e fiamminghi
in età barocca (L. Impelluso, Eroi e Dei dell’antichità.
Milano 2003, p. 334). Il carattere di stile e
scrittura dell’opera indicano una data d’esecuzione
seicentesca e suggerisce quale autore un artista di
cultura veneta.
94.
PITTORE ITALIANO DEL XVIII SECOLO
Cristo morto
Olio su vetro, cm 30X25
Stima € 2.000 - 3.000
95.
PITTORE DEL XVIII SECOLO
Interno con bambini
Tempera su carta, cm 13X23
Datato 1748
Stima € 1.500 - 1.800
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96.
NICOLA VACCARO
(Napoli, 1634 - 1709 ca.)
Venere e Adone
Aci e Galatea
Olio su tela applicato su cartone, cm 51,5 x 64,5 (2)
Stima € 35.000 - 45.000
fig. 1
Già riferite a Paolo de Matteis, queste due eleganti scene mitologiche sono state correttamente attribuite a Nicola Vaccaro da Nicola
Spinosa e datate all’ultimo decennio del Secolo, dopo le tele eseguite per la Parrocchiale di Calvizzano. In belle condizioni di conservazione,
le opere manifestano una spiccata sensibilità rococò, la cui esecuzione è da collocare alla maturità dell’artista, quando i riecheggiamenti
del naturalismo desunto dal padre Andrea e la maniera veloce e incisiva memore del Gargiulo, si attenuano
conformandosi al filone classicheggiante romano, introdotto a Napoli dal De Maria, dal Farelli e vede in Paolo De Matteis uno degli
esponenti principali. Nel nostro caso, la qualità, il ricercato ductus pittorico e la felicità dei soggetti, autorizzano ad un entusiasta giudizio
critico e di classificare le opere le migliori prove dell’artista, da confrontare con il Lot e le figlie della collezione Lucano e La scena
biblica di collezione privata romana, pubblicate da Nicola Spinosa (fig. 1). Precursore della cultura arcadica poi diffusa dal Metastasio,
il Vaccaro si distinse anche come imprenditore teatrale, attività che svolse nella molteplice veste di pittore, impresario e librettista,
consapevole nondimeno, di quanto offriva l’esperienza barocca di Luca Giordano per la vitale creatività del settecento, non solo
napoletano, ma europeo, che possiamo scorgere sino alle leziose scene di Fragonard. Il De Dominici, che nei confronti del Vaccaro
era ben disposto, criticò la scelta di abbandonare i pennelli, imputandone la causa al “teatro e alle donne….che se avesse continuato
con lo studio col quale aveva principiato sarebbe nel numero dei più virtuosi dei tempi suoi”, tuttavia, è facile immaginare che l’artista
non abbia interrotto la sua attività, laddove la passione per il palcoscenico gli offriva nuove opportunità creative che influenzarono
indubbiamente la sua arte.
Bibliografia di riferimento:
N. Spinosa, La pittura napoletana del 600, Milano 1984, nn. 864 - 868.
C. Fiorillo, Nicola Vaccaro a Calvizzano, in Scritti di Storia dell’arte in onore di Raffaello Causa, a cura di Pierluigi Leone de
Castris, Napoli 1988, pp. 265 - 272.
C. Siracusano, Ai margini di un itinerario seicentesco a Napoli: aggiunte a Nicola Vaccaro, in Scritti in onore di Alessandro
Marabottini, a cura di Gioacchino Barbera, Teresa Pugliatti, Caterina Zappia, Roma 1997, pp. 231 - 244.
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97.
MARIANO ROSSI (Attr. a)
(Sciacca, Agrigento 1731 - Roma, 1807)
Martirio di San Paolo
Olio su tela, cm 62.5X30,5
Stima € 1.500 - 2.000
L’opera qui presentata è certamente uno studio per una pala
d’altare centinata, come si può evincere osservando la parte
superiore della tela e databile tra il settimo e l’ottavo decennio,
stilisticamente affine al modelletto (olio su tela, cm 60 x
40, inv. n. 4589) per la pala raffigurante L’ultimo incontro dei
Santi Pietro e Paolo della chiesa di Santa Lucia al Gonfalone
a Roma (1766), donato da Fabrizio Lemme alla Galleria Nazionale
d’Arte Antica Barberini.
Bibliografia di riferimento:
G. Sestieri, Mariano Rossi, in catalogo della mostra a cura di
Pierre Rosemberg e Claudio Strinati, Il Seicento e Settecento
Romano nella collezione Lemme, Roma 1998, pp. 222 - 223,
n. 109, con bibliografia precedente.
L. Mochi Onori, Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo
Barberini. Dipinti del ‘700, Roma 2007, p. 171, n. 244, con
bibliografia precedente.
98.
DOMENICO FETTI (Attr. a)
(Roma, 1588/90 - Venezia, 1623)
Santa Giuliana e il diavolo
Olio su tavola, cm 61X39,5
Stima € 2.000 - 3.000
Si conoscono diverse redazioni di questo dipinto, il cui prototipo
è documentato nel Palazzo Ducale di Mantova sino al
1706. La tavola già di Maffeo Barberini ora a Palazzo Pitti
(cm 60 x 43.5) è quella che presenta il più alto livello qualitativo,
tanto da essere considerata una diretta derivazione dall’originale
e consente di intuire una datazione che scorre tra il
1617 e il 1619, in prossimità con il Cristo nell’orto di Praga.
L’opera in esame, per le evidenti discordanze di misura con le
altre versioni conosciute, è inedita, ma tecnicamente conforme
ad una datazione seicentesca. La superficie pittorica difficilmente
leggibile a causa dell’ossidazione della vernice, non consente
valutazioni critiche obiettive, tuttavia è possibile intuire
una buona qualità di stesura. Il problema della bottega fettiana
è stato recentemente studiato da Raffaella Morselli, che
ha posto l’accento sulle capacità imprenditoriali del pittore,
definendo il suo atelier un vero e proprio epicentro produttivo,
dove i dipinti eseguiti per Ferdinando Gonzaga erano riletti
in infinite varianti e dopo aver ricevuto l’imprimatur del
maestro si destinavano al mercato soprattutto veneziano.
99.
PITTORE DEL XIX SECOLO
Madonna col Bambino
Olio su tavola, cm 126X63.5
Stima € 1.000 - 1.500
L’immagine di questo dipinto riproduce, differenziandosi sensibilmente
per le dimensioni, La Madonna col Bambino di
Sandro Botticelli conservata nella Galleria degli Uffizi (olio su
tavola 124 x 64) e datata dalla critica al biennio 1469 - 1470.
I caratteri di stile e di gusto ricordano le opere d’Umberto
Giunti (1886 - 1970), noto per la sua abilità nell’imitare i capolavori
rinascimentali e autore dei frammenti d’affresco riferiti
da Federico Zeri all’anonimo Maestro del Calcinaccio.
Bibliografia di riferimento:
F. Zeri, Diari di lavoro I, Bergamo 1971, pp. 88 - 89.
G. Mazzoni, Quadri antichi del Novecento, Vicenza 2001.
100.
LORENZO DE CARO
(Documentato a Napoli dal 1740 al 1762)
Martirio di Santo Stefano
Olio su tela, cm 44,5X35,5
Stima € 2.000 - 3.000
Il bozzetto in esame è un’opera tipica di Lorenzo De Caro, i dati
di stile e scrittura suggeriscono una datazione tra il quinto e il
sesto decennio, nel momento in cui la caratteristica suggestione
solimenesca del pittore, declina verso soluzioni d’immagine rococò.
Il buono stato di conservazione, consente un’attenta lettura
del disegno e della stesura, specialmente nei panneggi, dove il colore
è disteso a campiture corpose e trasparenti, sapientemente risolte
con lumeggiature e stacchi tonali. La composizione propone
una soluzione dinamica e per nulla assoggettata alla maniera in
uso dai molti allievi di Francesco Solimena, evidenziandosi altresì
per gli accenti desunti dal classicismo romano, di Corrado Giaquinto
e Francesco Trevisani.
Ringraziamo Riccardo Lattuada per aver suggerito l’attribuzione
del dipinto su fotografia.
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101.
FRANCESCO SOLIMENA detto L’ABATE CICCIO
(Canale di Serino, 1657 - Barra, Napoli 1747)
Ritratto di giovane in armatura
(Carlo Edoardo di Scozia?)
Olio su tela, 90 x 60 cm (ovale)
Stima € 15.000 - 18.000
Bibliografia:
F. Bologna in Mostra del ritratto storico napoletano, catalogo della mostra cura di F. Bologna e G. Doria, Napoli 1954, p.
52, n. 70;
N. Spinosa in Il Gran Teatro del Mondo. L’Anima e il Volto nel Settecento, catalogo della mostra a cura di F. Caroli, Milano
2003, n. I.10, pp. 94-95
Il dipinto è noto alla critica da alcuni decenni, giacché fu reso noto da Raffaello Causa che lo inserì nella propria mostra dedicata
al ritratto storico napoletano (1954).
Riconosciuto dal Causa a Francesco Solimena, il dipinto è stato successivamente studiato da Nicola Spinosa in occasione della
mostra di Palazzo Reale a Milano del 2003, in cui l’opera fu esposta.
Lo studioso lo assegna alla fase tarda del pittore, indicativamente tra il 1734 e il 1740, “quando l’anziano maestro, superata
la fase di purismo accademizzante del decennio precedente, tornò ad un fare pittorico veemente e vigoroso, con rinnovata
foga barocca, con stesure cromatiche ‘a macchia’ dense, dai toni corruschi o bitumiosi e, in più, con una nuova capacità di penetrazione
nella psiche dei personaggi raffigurati e di resa espressiva delle reazioni sentimentali ed emotive più segrete e profonde”
(Spinosa 2003, cit.).
Di indubbio interesse è altresì tutto ciò che si può osservare in merito all’identità dell’effigiato. Secondo Spinosa infatti l’opera,
già conservata nel castello di Vincigliata a San Domenico di Fiesole presso Francesco de Dombrowsi. e ancor prima presso il
duca Marulli di Cesarea, dovrebbe con buone probabilità potersi riconoscere nel principe Carlo Edoardo di Scozia. Questi,
all’età di quattordici anni, partecipò alla battaglia con cui fu espugnata Gaeta, insieme al giovane Carlo di Borbone, figlio di
Filippo V d Spagna e di Elisabetta Farnese. Con la vittoria sugli Asburgo, in quell’occasione, il re Filippo V restituì ai regni di
Napoli e di Sicilia l’indipendenza dalla corona spagnola, trasferendo ogni diritto al figlio, più che probabile soggetto di questa
splendida effigie.

102.
BERNARDO STROZZI detto IL CAPPUCCINO
(Genova, 1581/1582 circa - Venezia, 1644)S
Santa Caterina d’Alessandria
Olio su tela, 65 x 45 cm
Stima € 80.000 - 120.000
Provenienza:
Milano, Collezione Pelliccioli
Milano, Collezione privata
Bibliografia:
G. Delogu, Di alcuni dipinti inediti dello Strozzi, in “L’Arte”, XXXII, p. 29
L. Mortari, Su Bernardo Strozzi, in “Bollettino d’Arte”, 1955, p. 311
L. Mortari, Bernardo Strozzi, Roma 1966, p. 149, fig. 222
L. Mortari, Bernardo Strozzi, Roma 1995, p. 143, fig. 279
Nelle dimensioni ridotte di una tela nata, conservata per il privato godimento di un collezionista, lo Strozzi gioca con l’ambivalenza
espressiva e semantica della sua pittura: in bilico tra opera di devozione e ritratto di sensuale bellezza, egli trova un precario equilibrio,
sul sottile filo tracciato dal suo pennello, tra opera profondamente sacra e altrettanto intensamente profana.
Solo ai grandi è concesso di sfuggire alle classificazioni e alle griglie entro cui la nostra necessità di catalogare, studiare, capire,
vorrebbe imbrigliare ogni cosa. Non è concesso di fronte a questo testo la cui genuinità pittorica e la cui compiutezza iconografica
prevarica ogni punto di vista esterno ed esteriore.
E’ questa Santa Caterina dello Strozzi - une delle tante, ma diversa dalle più ! - dipinta con brio ed estro, con una velocità e una ricchezza
di tocco da richiamare la grande lezione di Rubens nei drappi e nelle vesti, ma con una stesura delicata nel viso, così da far
pensare alle aggraziate prove dei toscani o di un Barocci, iniziali riferimenti di avvio per il Capuccino, al pari di Rubens.
Reso noto da Giuseppe Delogu nel 1929, il dipinto fu poi pubblicato nelle monografie di Luisa Mortari Mortari (1966 e 1995)
quando si trovava nella collezione Pelliccioli a Milano (o in collezione privata a Milano).
E’ opera da assegnarsi al momento della raggiunta maturità del Cappuccino a Genova, in quegli anni di grande felicità espressiva
e di enorme successo che vanno dal 1620 al 1625, prima della morte di un suo importante mecenate in quell’anno (Gio.
Carlo Doria) e dell’avvio di un processo per esercizio illecito della pittura avviato dal Tribunale Ecclesiastico. Era troppo gioiosa
l’arte dello Strozzi, troppo attaccata alla vita, per sottostare alle regole delle autorità. Si capisce anche da un quadro come
questo il perchè della sua fuga nella Venezia più liberale, agli inizi degli anni Trenta. Non vi possono essere regole neanche per
dipingere un’immagine sacra perchè è la pittura, nella sua essenza vitale, che deve potersi esprimere con libertà: nel singolo
tratto del pennello, nell’aggrovigliarsi delle linee di colore che traccia sulla tela, nel sovrapporsi della materia con immediatezza
e naturale (e geniale) spontaneità.
Anna Orlando
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103.
SCUOLA NAPOLETANA DEL XVII SECOLO
Cleopatra
Olio su tela, cm 97,5X85
Stima € 12.000 - 15.000
104.
FRANCESCO FURINI (Attr. a)
(Firenze, 1603 - 1646)
La Maddalena
Olio su tela, cm 135,3X145,2
Stima € 20.000 - 25.000
Scultorea e sensuale, isolata da un fascio di luce che ne ritaglia le forme morbide su un fondo scuro, questa Maddalena furiniana
pare in atto di posare, più che non di mostrare il dolore della penitenza, secondo una voluta e ricercata ambiguità che
spesso sottendono le sue tele. La bellezza femminile delle modelle del pittore fiorentino si carica sovente di implicazioni simboliche
e di richiami allegorici. Qui il gioco sta nel equilibrio precario tra soggetto sacro e tema profano che la pittura di Furini
al meglio sa rendere per una figura del Vangelo che di per sé è tra le più ambigue in assoluto e per ciò tra le più amate dal
Barocco.
Non sarà difficile scorgere questa stessa donna tra le tante eteree figure femminili, dalle epidermidi candide e dalle forme
piene, che affollano le tele del Furini. Si vedano per esempio le Ninfe del grande dipinto di Palazzo Pitti analogamente coperte
di veli, dalla voluta trasparenza; o le Tre Grazie dell’Ermitage, che come la nostra Maddalena, si stagliano su un fondo buio,
scolpite nella luce.
Dipinti, tutti, che dimostrano lo studio dell’antico da parte del Furini e la sua incessante ricerca di una bellezza ideale, dove
la forma nella sua purezza trascende il tempo della narrazione per farsi icona. Qui, per farsi ideale immagine al di fuori del
tempo e dello spazio, al di là del sacro e del profano, di assoluta sensualità.
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105.
GIOVANNI BATTISTA SPINELLI
(attivo negli Abruzzi e a Napoli tra il 1630 e il 1660 circa)
David con la testa di Golia
Olio su tela, cm 81,5X66
Stima € 18.000 - 22.000
Provenienza:
Christie’s Roma, 4 dicembre 1991
Il dipinto è stato studiato da Nicola Spinosa che lo ha riconosciuto al pittore Giovanni Battista Spinelli,
a lungo attivo a Napoli nei decenni centrali del Seicento.
“Il David che qui si presenta è una delle versioni finora note di questo stesso soggetto biblico, che fu
più volte illustrato dal pittore in momenti diversi della sua attività, come nella tela di una privata raccolta
fiorentina (cm 96 x 121), che si colloca alla fine degli anni Quaranta del Seicento (N. Spinosa
- D. M. Pagano, Giovan Battista Spinelli, in I pittori bergamaschi dal XIII al XIX secolo. Il Seicento,
Bergamo 1988, p. 25, n. 9), o nel dipinto, di più accentuata inclinazione classicista, entrato a far
parte nel 1989 delle raccolte del Museo di Capodimonte (N. Spinosa, Un “David” a Capodimonte
e altre aggiunte a Giovan Battista Spinelli, in “Napoli Nobilissima”, XXIX, 1990, pp. 24-25, fig. 3;
ed inoltre Nicola Spinosa, comunicazione scritta, 2006.
Nicola Spinosa, nel ricordare lo studio quasi maniacale delle stampe nordiche dal parte del pittore
chietino, e dunque la sua “predilezione per soluzioni ‘bizzarre’ sia dal punto di vista compositivo
che per inserti di fantastici copricapi, rileva indubbie affinità tematiche e stilistiche,
nonché di impostazione e formato, con la Giuditta con la testa di Oloferne (cm 84,5 x 67,5) di
una collezione privata napoletana (Spinosa, Pagano 1988, cit., p. 28, n. 23), da intendersi come
probabile pendant del David.
Essi vanno datati “entro e non altre il 1650, quando la produzione di Spinelli mostra i segni evidenti
di una sensibile ripresa delle soluzioni di studiato e sontuoso classicismo nei modi tra il
tardo Massimo Stanzione e, in particolare, il maturo Andrea Vaccaro” (Spinosa, c.s., 2006).
Siamo grati a Nicola Spinosa per l’assistenza fornita nella compilazione della presente scheda.

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LOUIS DE CAULERY (Attr. a)
(Caullery, (Cambrai) 1580 ca. - Anversa, ? 1621/ 1622)
Piazza San Marco
Olio su tavola, cm 50X66
Stima € 15.000 - 18.000
Opera di notevole fascino e qualità, raffigurante la veduta di Piazza San Marco,
che per i caratteri di stile e scrittura si può attribuire al pittore francese Louis de
Caulery. Luigi Salerno nel suo volume dedicato ai pittori di vedute in Italia lo dice
allievo di Joos de Momper ad Anversa nei primi anni del XVII Secolo e scorrendo
il catalogo delle opere a lui riferite, possiamo congetturare un suo viaggio in Italia,
come dimostrano la Veduta notturna di Castel Sant’Angelo (Sotheby’s Londra,
4 dicembre 2008), La veduta fantastica del Bacino di San Marco (Finarte
Milano, 22 novembre 2005), Piazza della Signoria (Bonhams Londra 07 luglio
2004) e le due vedute analoghe a questa in esame vendute all’incanto a Londra
presso la Christie’s il 7 luglio del 2000 e la Sotheby’s il 4 Dicembre 1997 n. 245
(fig. 1). La peculiarità di queste opere risiede nella loro precoce datazione, in analogia
di stile con: Antonio Tempesta, Paul Brill, Wilhelm van Nieulandt, ma anche
Francoise De Nomè (fig. 2), autore di una veduta simile per gusto e punto di vista
prospettico (M. R. Nappi, 1991, p. 189, n. A 109). L’analitica precisione delle architetture
e la vivace descrizione dei personaggi, dimostrano il ruolo non secondario
di Caulery all’origine della veduta moderna.
Bibliografia di riferimento:
L. Salerno, I Pittori di Vedute in Italia, Roma 1991, p. 389, S. 2, con bibl. precedente.
fig.1
fig.2
107.
WILLIAM JAMES
(1754 - 1771)
Il Canal Grande fra Palazzo Bembo e Palazzo Vendramin
Olio su tela, cm 38 x 62,5
Stima € 6.000 - 8.000
Bibliografia:
Uno sguardo su Venezia, catalogo della mostra a cura di Teresa Barone, Milano 2008, pp. 17 - 24, fig. 12, con bibliografia
precedente.
Allievo del Canaletto durante il soggiorno di quest’ultimo in Inghilterra (1746-51), William James divenne celebre per le sue
scene ambientate nella laguna veneziana. Le notizie riguardanti la sua biografia sono riportate negli Anecdotes of Painter di
Edward Edwards, pubblicato a Londra nel 1708. L’opera in esame è tratta dalla tela canalettiana oggi conservata a Woburn
Abbey e databile attorno al 1730 (W. G. Constable - J. G. Links, n. 256) e tradotta in incisione dal Visentini nel 1735.
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BARTOLOMEO TORREGGIANI
(Napoli, ? - Roma, 1675)
Paesaggio
Olio su tela, cm 36,5X69
Stima € 3.500 - 4.500
Secondo le fonti, il pittore fu allievo di Salvator Rosa, il punto di partenza per lo studio della sua attività sono i quattro paesaggi
ottagonali conservati alla galleria Pallavicini, identificati da Federico Zeri in base ad una scritta sul retro, che corrisponde
all’inventario della raccolta compiuto nel 1713. In seguito, partendo da queste opere, lo studioso riferì anche il
paesaggio n. 165 della Galleria Spada. Spetta invece al Roethlisberger la pubblicazione dei paesaggi appartenenti al museo di
Bamberga. Caratteristica di queste opere, è una pennellata larga, impressionistica, che ricorda il pittoricismo di Salvator Rosa.
La medesima scioltezza di tocco si riconosce osservando il quadro in esame, che presenta interessanti analogie con il dipinto
già appartenente alla galleria londinese Hazlitt (Salerno, p. 656, 111.5), che mostra altresì una struttura d’immagine affine ai
paesaggi di Garpard Dughet (fig. 1).
Bibliografia di riferimento:
L. Salerno, Pittori di Paesaggio del Seicento a Roma, II, Roma 1976 - 1980, pp. 656 - 659, fig. 111.5, con bibliografia precedente.
fig.1
109.
GASPARD DUGHET (Studio)
(Roma, 1615 - 1675)
Paesaggio con viandanti
Olio su tela, cm 85X125
Stima € 7.000 - 9.000
Dagli inequivocabili caratteri dughettiani, l’opera in esame si avvicina stilisticamente alle composizioni di Giovan Battista Giovannini,
allievo e collaboratore di Gaspard Dughet presso il Palazzo Doria Panphilj e sovente confuso con il maestro e Crescenzo
Onofri.
Bibliografia di riferimento:
A. G. De Marchi, Il Palazzo Doria Pamphilj al Corso e le sue collezioni, Firenze 1999.
M. N. Boisclair, Gaspard Dughet. Sa vie et son ouvre (1615 - 1675), Paris 1986, figg. 386 - 87.
L. Laureati, Gaspard Dughet, in Nature morte e paesaggi italiani ed europei del XVII e XVIII secolo, a cura di Giancarlo Sestieri
e Laura Laureati, Roma 1993, pp. 54 - 55, n. 32.
La Pittura di Paesaggio in Italia. Il Seicento, a cura di Ludovica Trezzani, Milano 2004, con bibliografia precedente.
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110.
PITTORE DEI PRIMI ANNI DEL XIX SECOLO
Veduta di una baia con eruzione
Olio su tela, cm 90X135
Stima € 6.000 - 8.000
Questa affascinante veduta notturna ritrae probabilmente il monte Etna. Si conosce un incisione di G. Martini datata al 1843
probabilmente ispirata da un dipinto simile a questo qui presentato.
111.
PITTORE DEL XIX SECOLO
Eruzione dell’Etna vista dal mare
Olio su tela, cm 103X85
Stima € 5.000 - 6.000
Questa suggestiva immagine notturna del monte Etna visto dal mare, è databile alla prima metà
del XIX Secolo e verosimilmente fa riferimento all’eruzione del 1669, tratta dal dipinto di A. Romagni.
L’opera, dal sapore schiettamente realistico, riesce ad evocare con effetto l’infuocata luminosità
del cielo e il suo riflesso tremulo sull’acqua.
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CORNELIO BRUSCO
(Documentato a Napoli dal 1605 al 1635)
Il Diluvio
Olio su tela, 115 x 155
Stima € 15.000 - 20.000
Bibliografia:
M. R. Nappi, Cornelio Brusco, in La pittura di paesaggio in Italia. Il Seicento, a cura di Ludovica Trezzani, Mlano 2004, pp.
252 – 254, con bibliografia precedente.
Il dipinto qui presentato è un importante documento figurativo del pittore Cornelio Brusco, la cui biografia e analisi critica si
deve a Maria Rosaria Nappi, che ha il merito di aver sciolto quel complesso problema attributivo fra il Filippo Napoletano di
Roberto Longhi con Scipione Compagno, confusione che era oltremodo alimentata dall’errata trascrizione del nome del Brusco
in Bruscer o Bruscher, che induceva a riconoscerlo in Cornelio van Polemburgh, detto dai contemporanei Cornelio Satiro.
Identificato correttamente il nome, si è potuto accertarne la presenza in molti inventari napoletani, scoprendo che il “nostro”
dovette avere una certa notorietà presso i collezionisti dell’epoca. Tuttavia, ancora oggi non si conosce la data e il luogo di nascita
del pittore, salvo circoscriverne l’attività sino al 1635. Già Longhi ipotizzava una formazione olandese e la conoscenza della
pittura veneziana, ma queste sono ancora pure deduzioni non suffragate da documenti. L’opera in esame, presenta una stesura
magra e distesa in strati sottili, in analogia con le altre opere note, caratteristica è anche l’impaginazione prospettica, con il paesaggio
movimentato da improvvisi sprazzi di luce. L’immagine rammenta i drammatici scenari d’Agostino Tassi, la composizione
invece, sembra memore delle analoghe iconografie d’Antonio Carracci e Alessandro Turchi, mentre le figure si possono accomunare
a quelle di Scipione Compagno e Filippo Napoletano. Queste brevi considerazioni, ci consentono di far risaltare la personalità
del Brusco nel vivace panorama artistico partenopeo d’inizio secolo, probabile precursore rispetto agli artisti prima citati
e malauguratamente trascurato dalla critica moderna; tuttavia, la sua recente rivalutazione grazie al volume curato da Ludovica
Trezzani, permetterà una migliore considerazione del suo talento e una perfezionata lettura storica della sua pittura.
113.
PITTORE FIORENTINO ATTIVO NELLA
PRIMA META’ DEL XVII SECOLO
Piramo e Tisbe
Narciso alla fonte
Olio su rame, cm 9,6X11,7 (2)
Stima € 1.500 - 2.000
Questi deliziosi olii su rame ispirati alle Metamorfosi
d’Ovidio, illustrano gli episodi di Piramo
e Tisbe e di Narciso alla fonte. Nel primo dipinto,
è raffigurato il momento culminante della sventura
capitata ai due fidanzati, quando scoperta la
morte di Piramo, il cui sangue ha imporporato i
fiori bianchi dell’albero, Tisbe si trafigge con la
spada dell’amato. Il secondo, vede Narciso, condannato
a struggersi vanamente d’amore per la
propria immagine riflessa nell’acqua dopo aver
respinto la ninfa Eco e alla sua morte si trasformerà
nell’omonimo fiore. Non è semplice circoscrivere
culturalmente le due opere, un’ipotesi
ragionevole è di collocarne l’esecuzione in ambito
toscano, per l’impalpabile ma indiscutibile assonanza
con le tele di Giovanni da San Giovanni e
Giovanni Camillo Sagrestani.
Bibliografia di riferimento:
A. Banti, Giovanni da San Giovanni. Pittore della
contraddizione, Firenze 1977
114.
PITTORE VENETO DEL XVII SECOLO
Resurrezione della carne
Olio su tela, cm 40X59
Stima € 2.000 - 3.000
Opera da riferire ad un artista attivo in veneto
nella prima metà del XVII Secolo, vicino per stile
e gusto ai modi pittorici di Palma il Giovane e
Paolo Farinati.
Bibliografia di riferimento:
N. Roio, ad vocem in La Pittura nel Veneto. Il
Seicento, a cura di Mauro Lucco, Milano 2001,
con bibliografia precedente.
113
114
109

110
115.
FRANCESCO FONTEBASSO (Attr. a)
(Venezia, 1707 - 1769)
Scena storica
Olio su tela, cm 230X101
Stima € 4.000 - 6.000
Il soggetto di questa tela è di complessa interpretazione,
mentre dal punto di vista filologico,
i caratteri di stile e scrittura consentono d’attribuirne
l’esecuzione a Francesco Fontebasso, uno
dei migliori interpreti di quella tradizione espressiva
che nel corso del Settecento crea un tramite
stilistico tra Sebastiano Ricci e Giovanni Battista
Tiepolo, intercalando al gusto decorativo i parametri
della pittura di storia, cimentandosi inoltre,
con il ritratto e la scena di genere,
gratificando la sua arte con una notevole sensibilità
luministica ed energia plastica. La suntuosità
del colore e il disegno, rispecchiano
adeguatamente il fare pittorico dell’artista tra il
1740 e il 1745, la tipologia dei volti e il modo
d’impostare scenograficamente la scena, ricorda
La continenza di Scipione pubblicata da Egidio
Martini e appartenente ad una collezione privata
Veneziana. Questo dipinto, proveniente da Palazzo
Pola a Treviso, partecipava alla decorazione
dell’edificio congiuntamente alle opere di
Guarana e Brusaferro, circostanza che grazie alle
informazioni documentarie del Crico (1833, p.
296), conferma la datazione del quadro qui presentato.
La stesura, infatti, pare affrancata dai
modi di stretta osservanza riccesca e nello stesso
tempo, non esibisce ancora quell’esuberanza cromatica
e rococò che il pittore manifesta specialmente
nei modelletti per la decorazione di Villa
Zenobio a Santa Bona di Treviso oppure in Palazzo
Boldù a San Felice di Venezia, collocabili
al lustro 1745 - 1750. Un’opera in cui è possibile
percepire al meglio la distinzione fra i due momenti
è quella con i Due Bambini con cane (Venezia,
collezione privata), dove possiamo notare
come la stesura sostanzialmente compatta e distesa
in maniera uniforme, si fa più complessa,
attraverso un raffinato gioco di pennellate sovrapposte
e lumeggiature, rendendo le superfici
vibranti di luce e riflessi (Martini 1992).
Bibliografia di riferimento:
M. Magrini, Francesco Fontebasso, Vicenza
1988.
E. Martini, Pittura Veneta e altra italiana dal XV
al XIX Secolo, Rimini 1992, pp. 418 - 419;422
- 423; 428 - 429; 432 - 433.
M. Pallucchini, La pittura nel Veneto. Il Settecento,
a cura di Mauro Lucco, Adriano Mariuz,
Giuseppe Pavanello, Franca Zava, Milano 1996,
II, pp. 117 - 154, con bibliografia precedente.
116.
BERNARDO CAVALLINO (Attr. a)
(Napoli, 1616 - 1656)
L’Immacolata Concezione
Olio su tela, cm 59,5X40
Stima € 7.000 - 9.000
Il dipinto in esame mostra i tratti distintivi di
Bernardo Cavallino. Il soggetto fu oltremodo
familiare all’artista a giudicare dal numero di
redazioni autografe e delle copie, per le quali
rimandiamo all’esauriente scheda compilata
da Ann Percy in occasione della mostra sul
pittore del 1985. Il vaglio delle informazioni
tecniche e attributive fornite dalla studiosa
permette di aggiungere la tela in oggetto a
quelle conosciute, diverse per dimensioni e tipologia.
Il nostro quadro può essere confrontato
con la versione del Museo di Belle
Arti di Caen, affine per qualità, aspetti formali
e di stesura, la cui datazione intorno al
1640 coincide altrettanto bene. In questa
sede si ricorda anche la piccola pala di Brera
(cm 168 x 116), da Nicola Spinosa riferita a
prima del 1645, che evidenzia ancora una
volta la fortuna iconografica dell’Immacolata
Concezione, celebrata a Napoli sin dal nono
secolo e codificata dal pittore spagnolo e consigliere
artistico presso l’inquisizione Francisco
Pacheco (1638); quest’ultimo stabilì che
“l’Immacolata doveva essere ritratta come
una giovane donna, vestita di bianco con un
manto blu, con le mani accostate al seno e
unite in preghiera”.
Bibliografia di riferimento:
A. Percy, in Bernardo Cavallino, catalogo
della mostra a cura di Raffaello Causa, Giuseppe
Galasso, Ann Percy, Ann T. Lurie e Nicola
Spinosa, Napoli 1985, pp. 118 - 119, n.
A. 20, con bibliografia precedente.
111

112
117
118
117.
JOAHNNES HERMANS
detto MONSÚ AURORA (Attr. a)
(Anversa ?,1630 ca. notizie fino al 1665)
Natura morta con fiori frutta e busto marmoreo
Olio su tela, cm 67X92
Stima € 4.000 - 6.000
Opera da confrontarsi con il dipinto di Joahnnes
Hermans, raffigurante fiori e frutta
con cane, scimmia, pappagallo e busto marmoreo
recentemente pubblicato da Andrea
G. De Marchi. Le scarne notizie documentarie
sul pittore n’attestano la presenza a
Roma come padrino di G. P. Castelli e la
sua attività per conto di Camillo Pamphilj a
partire dal sesto decennio. Le sue opere
sono caratterizzate da un’enfasi barocca per
la movimentata struttura compositiva, che
par costruita unendo diversi moduli illustrativi
desunti dalle nature morte romane
di metà secolo.
Bibliografia di riferimento:
A. G. De Marchi, Joahnnes Hermans detto
Monsù Aurora, in Pittori di Natura Morta a
Roma. Artisti stranieri 1630 - 1750, a cura di
Gianluca Bocchi e Ulisse Bocchi, Viadana
2005, pp. 67 - 75, fig. Jh.9, con bibliografia
precedente.
118.
MARGHERITA CAFFI
(Milano, ? 1650 circa - 1710)
Coppia di nature morte
Olio su tela, cm 74X113,5 (2)
Stima € 6.000 - 8.000
Opere da riferire senza indugio alla pittrice
Margherita Caffi, eseguite con una materia
pittorica densa e vibrante, che si accende in
corrispondenza delle parti illuminate. Le pennellate
di tocco strutturano l’immagine, che
sfoca nelle zone in ombra con una sapienza
tecnica sorprendente e i fiori sono evocati da
grumi di colore a rilievo, con effetti di sapore
impressionista. Margherita nelle sue tele interrompe
e modifica la tradizione lombarda,
descrittiva e analitica, desunta dal padre Vincenzo
Volò, dando l’avvio alla natura morta
rococò, influenzando con la sua arte Felice Boselli,
l’anonimo Maestro dei Fiori Guardeschi
ed Elisabetta Marchioni.
Bibliografia di riferimento:
G. Poli in Le tele svelate: antologia di pittrici
venete dal Cinquecento al Novecento, a cura
di Caterina Limentani Virdis, Mirano (VE)
1996, 7, pp. 93-104.
119.
MICHELANGELO PACE detto MICHELANGELO DEL CAMPIDOGLIO (Attr. a)
(Vitorchiano o Roma, 1625 - Roma, 1669)
Natura morta con tacchini e frutti.
Olio su tela, cm 73X112
Stima € 3.000 - 4.000
Inusuale nel repertorio pittorico del Campidoglio, solito creare seducenti combinazioni di frutta e fiori in un paesaggio, questa
composizione rammenta per soggetto le più tarde opere di Franz Werner Tamm (Amburgo 1658 - Vienna 1724) e ancor
più, le vivissime scene di “animali in posa” eseguite da David de Coninck detto Rammelaar (Anversa 1644 ca. Bruxelles notizie
fino al 1701). Sfogliando il catalogo del pittore, scopriamo che le tele dove compaiono animali sono assai rare, ricordiamo
in questa sede La natura morta con zucche e pappagallo dell’Hermitage e quella con Frutta, uccelli e ramarri su sfondo di paesaggio,
pubblicata recentemente da Gianluca e Ulisse Bocchi, ma si tratta sempre d’opere dove i brani di frutta e di fiori, prevalgono
per numero e presenza. Inutile decantare le qualità del pittore, la visione stessa del soffice piumaggio e la descrizione
della mela sbocconcellata, bastano per rendersi conto della sapiente esecuzione, che anticipa moduli e modelli che solo nella
seconda metà del Secolo trovano espressione grazie agli artisti prima citati.
Il dipinto è stato attribuito a Michelangelo Pace da Giuliano Briganti (comunicazione orale al proprietario).
Bibliografia di riferimento:
G. Bocchi e Ulisse Bocchi, Pittori di natura morta a Roma. Artisti stranieri 1630 - 1750, Viadana 2004, con bibliografia precedente.
113

114
120.
MAXIMILIAN PFEILER
(documentato dal 1694 al 1721)
Natura morta di frutta e fiori
Olio su tela, cm 43,6X35
Stima € 4.000 - 6.000
Allievo di Christian Berentz (Amburgo 1685 - Roma 1722), l’artista è anche documentato per la sua collaborazione con Francesco
Trevisani e Michele Rocca nell’esecuzione di tele raffiguranti Fiori frutta e putti rese note dal Di Federico nel 1977. La
coppia di nature morte qui presentate, situate all’aria aperta su uno sfondo paesaggistico, si dimostrano una testimonianza rilevante
del pittore, che sino a pochi anni fa era misconosciuto alla critica e le sue tele riferite ad altre personalità, nonostante
la lusinghiera testimonianza di Lione Pascoli. L’iconografia è tipica della sua produzione, così la cifra stilistica, capace di rendere
l’umidità delle gocce e la superficie epidermica dei frutti, con peculiare sensibilità cromatica e luministica: simili per impaginazione
e risultato, sono due opere recentemente pubblicate da Gianluca e Ulisse Bocchi.
Bibliografia di riferimento:
L. Pascoli, Vite de’ Pittori, Scultori ed Architetti moderni, 1736, II, p. 367.
L. Trezzani, in La Natura morta in Italia, Milano 1989, II, pp. 830 - 835.
G. Sestieri, in Nature Morte italiane ed europee del XVII e XVIII secolo, Roma 2000, pp. 68 - 71, n. 42; pp. 78 - 79, n. 48.
G. Bocchi e U. Bocchi, Maximilian Pfeiler, in Pittori di Natura Morta a Roma. Artisti stranieri 1630 - 1750, Viadana 2005,
pp. 309 - 344, figg. MP. 23, MP, 25.
121.
MAXIMILIAN PFEILER
(documentato dal 1694 al 1721)
Natura morta di frutta e fiori
Olio su tela, cm 43,6X35
Stima € 4.000 - 6.000
115

116
122.
LUCA CARLEVARIJS
(Udine, 1663 - Venezia, 1730)
Porto di mare con navi alla fonda
Olio su tela, cm 42X79
Stima € 20.000 - 25.000
Filippo Pedrocco (comunicazione scritta al proprietario) assegna quest’ opera al primo decennio del XVIII secolo, in concomitanza
stilistica con la tela risalente al 1706 raffigurante Paesaggio con porto di mare (Bergamo, Accademia Carrara, olio su
tela, cm 71 x 115), dove l’artista riesce ad esprimere le sue doti di grande protagonista del vedutismo veneziano e infonde alle
composizioni un eccellente equilibrio scenico e narrativo (fig. 1), che lo vedrà interprete dei bellissimi capricci conservati presso
il Credito Artigiano di Milano, databili ai primi anni del secondo decennio. L’ottima conservazione della tela in esame consente
inoltre una soddisfacente lettura dell’immagine, caratterizzata da una vivace tavolozza e una raffinata stesura, capace
d’evocare quella luminosità distintiva e indagatrice della realtà rappresentata. L’opera ricorda il commento di Pellegrino Antonio
Orlandi, che nella prima edizione dell’Abecedario pittorico risalente al 1704, elogia le composizioni “in piccolo” del pittore,
raffiguranti “porti di mare e paesini con vaghe figure dipinti, si porta tanto bene, che merita se ne faccia degna memoria,
quantunque vivente” (Orlandi, p. 226). Questa produzione riguarda le scene portuali e i paesaggi, dove si muovono vivaci figurette
realisticamente dipinte, sulla tradizione tardo seicentesca dei bamboccianti e degli artisti nordici che il pittore ha conosciuto
durante la sua giovanile permanenza romana: ma non dobbiamo dimenticare che nelle ricche collezioni veneziane si
trovavano opere di Salvator Rosa, Giovanni Ghisolfi e che Jacob de Heusch è documentato nella città lagunare, come Pieter
Mulier e Johan Anton Eisman, che certamente influenzarono il Carlevarijs.
Bibliografia di riferimento:
P. A. Orlandi, Abecedario pittorico, Bologna 1704.
Luca Carlevarijs e la veduta veneziana del Settecento, catalogo della mostra a cura di I. Reale e D. Succi, Milano 1994, nn. 28 - 31
fig.1
123.
PITTORE ROMANO ATTIVO
NELLA PRIMA METÀ DEL XVII
SECOLO
Fuga in Egitto
Olio su tela, cm 70,3X131
Stima € 3.000 - 4.000
Opera di grande fascino e interesse
per la storia del paesaggismo romano,
con caratteri di stile e scrittura
che suggeriscono una datazione al
quarto decennio, quando nella città
eterna alle istanze dell’ideale classico,
si miscelano le innovazioni dei bamboccianti,
la peculiare visione della
natura avanzata da Salvator Rosa
(giunto a Roma nel 1635), le prime
composizioni di Claude Lorrain, Gaspard
Dughet e la conseguente misteriosa
personalità del Maestro della
Betulla.
124.
CARLO COPPOLA
(Attivo a Napoli verso la seconda
metà del XVII Secolo)
Scena di genere
Olio su tela, cm 116X74
Stima € 4.000 - 5.000
Le due C poste sopra l’arco della rovina
archeologica e i dati di stile, consentono
di riferire la tela in esame a
Carlo Coppola, documentato dalle
fonti quale virtuoso allievo d’Aniello
Falcone (De Dominici 1742 - 1745,
III, p. 88).
125.
PITTORE NAPOLETANO DEL
XVII SECOLO
Paesaggio con figure
Olio su tela, cm 40X53
Stima € 3.000 - 4.000
123
124
125
117

118
126.
GIOVANNI ANDREA DE FERRARI
(Genova, 1598-1669)
Lot e le figlie
Olio su tela, cm 117,5X120,5
Stima € 80.000 - 120.000
Tra le prove più genuinamente rubensiane di Giovanni Andrea De Ferrari va segnalato
questo Lot e le figlie, che Angela Acordon ha datato tra la fine degli anni Trenta e gli inizi
degli anni Quaranta (Acordon 2006).
La matrice strozzesca si spiega in Giovanni Andrea con l’iniziale discepolato presso il Cappuccino,
ma persiste in tutta l’abbondante pittorica di una lunga esistenza e di una fortunata
carriera artistica, è qui ben presente nel versimo espressivo e nella ricchezza materica.
E giacché lo Strozzi fu certamente tra i primi a guardare e a capire le novità rivoluzionarie
della pittura di Rubens, a Genova nel 1605, non vi è da stupirsi rintracciare nel catalogo
di Giovanni Andrea un testo così rubensiano.
Il Lot e le figlie però pare richiamare anche precisamente alcune opere dello Strozzi veneziano,
più libere nell’esprimere scene sensuali e licenziose, rispetto a quanto non gli fu
possibile, da religioso, nella propria città. E’ difficile stabilire se a Giovanni Andrea giungesse
dalla Laguna l’eco della nuova felice arte del suo antico maestro; certo la suggestione
è fortissima: si vedano per confronto la Suonatrice di Dresda, l’Allegoria della
Pittura della Biblioteca Marciana, alle sue Berenici o Salomè, e tante altre opere eseguite
dallo Strozzi intorno al 1635 e oltre.
E’ assai probabile, sebbene sarebbe sufficiente leggere come un profondo ripensamento
sulla verità pittorica di Rubens questa straordinaria prova del genovese, maestro di semplicità
narrattiva e di aggraziata naturalezza, che qui con un ricco cromatismo e con il
suo più sugoso impasto pittorico, si spinge ad entusiasmare e a stupire.
Anna Orlando

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129 130
127.
JEAN MARC NATTIER (ambito)
(Parigi, 1685 - 1766)
Ritratto di dama
Olio su tela, cm 40X32
Stima € 1.500 - 2.000
128.
SCUOLA ITALIANA DEL XVII SECOLO
Ritratto di un cavaliere di Malta
Olio su tela, cm 74,5X62,5
Stima € 2.000 - 3.000
129.
PITTORE FIAMMINGO DEL XVII SECOLO
Dama dormiente
Olio su tavola, cm 46,5X32
Stima € 2.000 - 3.000
131
130.
PITTORE FERRARESE DEL XVII SECOLO
Madonna col Bambino
Olio su tela, cm 83X61
Stima € 1.500 - 2.000
131.
PITTORE GENOVESE DEL XVII SECOLO
San Francesco in estasi
Olio su tela, cm 124X98
Stima € 4.000 - 5.000
121

122
132.
PAOLO MONALDI
(Roma, 1725 - dopo il 1779)
Scena agreste
Olio su tela, cm 28X68
Stima € 1.500 - 2.000
Questa piccola tela è una caratteristica testimonianza di Paolo
Monaldi, che nel panorama artistico romano si afferma figurando
“la gente semplice del contado nella loro tranquillità
agreste” (Busiri Vici 1976, p. 97), secondo un indirizzo illustrativo
direttamente desunto dalle iconografie seicentesche
dei bamboccianti. La visione arcadica - pastorale del pittore
però, si distacca dalla visione concreta e disincantata della vita
rurale, regalandoci una traduzione edulcorata della realtà, ma
senza mai regredire nel pittoresco.
132
133
133.
GIAMBATTISTA BASSANO (Attr. a)
(Bassano, 1553 - 1613)
Adorazione dei Pastori
Olio su tela, cm 72X115
Stima € 4.000 - 5.000
Figlio del celebre Jacopo, Giambattista Bassano ha quasi sempre
partecipato alla conduzione della bottega paterna, ad eccezione
della collaborazione “a mezzadria” con Luca Martinelli (Bassano
? - 1640 ca.) nelle pale di Rosà, datate al 1593 e raffiguranti I
Santi Valentino, Lazzaro e Bovio, e i Santi Martino, Rocco e Pancrazio.
Il dipinto in esame, per i caratteri di stile e scrittura si può
attribuire all’artista, pertinenti sono le attinenze con le opere note,
riconoscibili specialmente nella tipologia dei volti e lo schematico
disegno dei panneggi.
134.
GIOVANNI AGOSTINO RATTI
(Genova, 1699 - 1775)
Visione di San Giuseppe
Olio tela, cm 160X100
Stima € 4.000 - 6.000
Questa bellissima tela è da riferire a Giovanni Agostino Ratti, pittore, incisore e ceramista, nato a Savona ma d’educazione
artistica romana, compiuta tra il 1716 e il 1720 (Lanzi, 1816, V. p. 354) presso l’atelier di Benedetto Luti (Firenze 1666 - Roma
1724). I caratteri di stile e scrittura suggeriscono una datazione al terzo decennio, vicina negli esiti alla pala conservata nella
chiesa di San Pietro a Zagarolo, firmata e datata: “GIO…..ATTI ROMAE FECIT A. MDCCXXVIII” e raffigurante San Pietro
d’Alcantara e Sant’Antonio da Padova in adorazione del Bambin Gesù (fig. 1). I rapporti tra il Ratti e il Luti sono proseguiti
anche negli anni seguenti al rientro in Liguria dell’artista genovese, lo testimonia una lettera del maestro datata 2 marzo
1722 ( Bottari - Ticozzi, vol. VI, p. 169 - 170) e ciò spiega la presenza di una sua opera a Zagarolo, feudo dei Rospigliosi, notoriamente
committenti del Luti. La tela in esame manifesta ancora una piena adesione alla cultura pittorica capitolina di
marca post marattesca, in quegli anni condotta da Agostino Masucci (Roma 1691 - 1758) Giuseppe Bartolomeo Chiari (
Roma 1654 - 1727) e Francesco Mancini (Sant’Angelo in Vado 1679 - 1758).
Bibliografia di riferimento:
fig.1
F. R. Pesenti, L’illuminismo e l’età neoclassica, in La pittura a Genova e in Liguria, Sagep, Genova 1987 (2 voll.), II, pp. 349 - 375.
A. Negro, in L’arte per i papi e per i principi nella campagna romana grande pittura del ‘600 e del ‘700, catalogo della mostra
a cura di Almamaria Mignosi Tantillo, Roma 1990, pp. 139 - 138, n. 48, con bibliografia precedente.
Giovanni Agostino Ratti. Pittore incisore ceramista, a cura di Giuseppe Buscaglia, testi di R. Collu, M. Newcome e G. Buscaglia,
Savona 2004. con bibliografia precedente.
G. Sestieri, Repertorio della Pittura Romana della fine del Seicento e del Settecento, Torino 1994.
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135
139
135.
ANTOINE FRANCOISE CALLET
(Parigi, 1741 - 1823)
Angeli
Olio su tela, cm 41X48,5
Stima € 1.500 - 2.000
Probabile bozzetto per una composizione
a fresco, questo dipinto esprime tutta la
classica sensibilità dell’artista, vincitore
del Prix de Rome nel 1764 mentre il Plafond
eseguito per il Palazzo del Louvre,
raffigurante Cibele incoronata da Zefiro
e Flora, gli valse nel 1780 l’ammissione
all’Accademia Reale. La precoce fama
suggerisce all’ambasciatore genovese Cristoforo
Spinola, ad affidargli la decorazione
del suo Palazzo in Strada Nuova
con L’apoteosi di Ambrogio Spinola.
Questo affresco, perduto durante i bombardamenti
del 1942, che danneggiò gravemente
l’edificio rinnovato
dall’architetto Charles de Wailly e altresì
stuccato da Jacques Philipe Beauvais, influenzò
notevolmente il gusto ornamentale
genovese. Per i caratteri di stile, il
modelletto in esame si può datare al medesimo
periodo dell’affresco genovese
(1772 ca.), come si può notare osservando
le figure poste in secondo piano
nella parte superiore dell’immagine, oggi
conservata presso l’archivio di fotografico
di Palazzo Rosso (rip. C. Olcese
Spingardi, fig. 6).
136.
PITTORE ATTIVO A ROMA NEL
XVII SECOLO
San Gerolamo
Maddalena penitente
Olio su tavola, cm 9.5X12.7 (2)
Iscrizione sul retro: Annibale Carracci…[n
4], n 50, Genoa 1862.
Stima € 500 - 800
137.
SCUOLA ITALIANA
DEL XVIII SECOLO
Putti dormienti
Olio su tavoletta ovale, diam. cm 26
Stima € 400 - 600
138.
SCUOLA ITALIANA
DEL XVIII SECOLO
Il Bambino entro coro di putti in adorazione
Olio su tela, cm 82X98
Stima € 1.000 - 1.500
139.
PIETRO BIANCHI DETTO IL CREA-
TURA
(Roma, 1694 - 1740)
Gesù e la Samaritana
Olio su tela, cm 55X46
Stima € 1.500 - 2.000
Il soggetto ha una tradizione celebre
nell’ambito della pittura romana d’età
barocca e classicista, sono note le versioni
d’Annibale Carracci, Giovan Battista
Gaulli, Carlo Maratta, Benedetto
Luti e Sebastiano Conca, ma nel nostro
caso, il pittore ha scelto un punto di
vista distante e rialzato, che permette
una più ampia visuale del paesaggio e
una minore frontalità dei personaggi.
La tela si può ascrivere al pittore romano
Pietro Bianchi, d’origine genovese
e allievo di Gaulli, Giuseppe
Ghezzi e Luti. La tela in esame si presenta
in ottimo stato di conservazione
e possiamo considerarla una rilevante
testimonianza della maturità, quando
l’artista diviene accademico di San
Luca e intraprende l’esecuzione della
pala di Santa Maria degli Angeli (1735
- 1736) e la sua reputazione diviene
tale da indurre Carlo Giuseppe Ratti
ad includerlo nelle sue Vite.
140.
PITTORE DEL XVIII SECOLO
La Sacra Famiglia con San Giovannino
Olio su tela, cm 32X19
Stima € 1.000 - 1.500
141.
SCUOLA ITALIANA DEL XVIII
SECOLO
Lapidazione
Olio su tela, cm 72X57
Stima € 2.000 - 3.000
142.
PITTORE TEDESCO DEL XVII
SECOLO
Ritratto d’uomo
Olio su tela, cm 70X50
Stima € 1.500 - 2.000
143.
PITTORE DEL XVIII SECOLO
Madonna
Olio su tavola, diam. cm 39,7
Stima € 2.000 - 2.500
140
141
125

126
144.
PITTORE DEL XVII SECOLO
Alessandro e Diogene
Olio su tela, cm 97X136
Stima € 3.000 - 4.000
Il dipinto raffigura l’incontro tra Alessandro Magno e il filosofo Diogene, di cui conosciamo due redazioni autografe di Salvator
Rosa, quella conservata in collezione Spencer ad Althorp House (cm 231 x 260) e una di collezione privata resa nota recentemente
da Nicola Spinosa (cm 114 x 163). Si conoscono inoltre il disegno preparatorio della tela Spencer ora conservato
a Lipsia e un’acquaforte al British Museum di Londra, tuttavia nessuna di queste composizioni presenta un’immagine conforme
all’opera in esame. La figura dal carattere nordico alle spalle di Alessandro, la troviamo nell’incisione con La crocifissione di
Policrate ora a Capodimonte, che datata all’estate del 1661, quando l’artista era a Firenze presso la famiglia Ricciardi, ci offre
l’appiglio cronologico per datare l’ipotetico originale rosiano. Sappiamo che il pittore era nuovamente a Roma a Novembre
e la tela qui presentata, esibisce il carattere espressivo della sua produzione matura. Assai più complicato è circoscrivere le possibili
ipotesi attributive, consci della notevole fama del maestro e dell’alto numero di seguaci e imitatori, che in molti casi possedevano
classe e talento. A questo proposito, ricordiamo la copia conservata a Palazzo Pitti della Congiura di Catilina, dipinta
da Nicolò Cassana per il Gran Principe di Toscana e considerata per lungo tempo un originale di Salvator Rosa.
Bibliografia di riferimerimento:
L. Salerno, Salvator Rosa, Milano 1975, p. 89, n. 68.
N. Spinosa, a cura di, Dal Barocco al Romanticismo, Madrid, 2005, pp. 40 - 41, n. 14.
L. Goldemberg Stoppato, Filosofico umore e maravigliosa speditezza. Pittura napoletana del Seicento dalle collezioni medicee,
catalogo della mostra a cura di Elena Fumagalli, Firenze 2007, pp. 200 - 201, n. 29.
M. E. Maffei, in Salvator Rosa tra mito e magia, catalogo della mostra a cura di Nicola Spinosa, Napoli 2008, p. 282, n. 9.
145.
JACQUES COURTOIS DETTO IL BORGOGNONE (Attr. a)
(Saint Hyppolite, 1621 - Roma, 1676)
Paesaggio con cavalieri
Olio su tela, cm 90X133
Stima € 3.000 - 4.000
Già attribuita al figlio di Johann Melchior Roos, documentato a Roma dal 1677, la tela in esame trova migliori conformità
di gusto e scrittura con le opere giovanili del Borgognone, la cui affermazione professionale si colloca alla fine del quarto decennio.
L’analisi formale e stilistica suggeriscono l’origine francese del proprio autore, riconoscibili sono gli echi compositivi
e di stesura, mentre le assonanze con il Cerquozzi e Salvator Rosa, giunto nella città capitolina nel 1635, ne evidenziano la precocità
di catalogo. L’anima bambocciante della composizione trova nella cura dei particolari e nella preziosità di colore, la peculiarità
stilistica dei primi anni romani del pittore, quando la sua tavolozza tonale è attraversata da improvvise accensioni
luminose e i suoi fondali e ampi cieli, come ci ricorda il Baldinucci, s’ispirano a Claude Lorrain e Gaspard Dughet, tuttavia
senza configurare il paesaggio secondo i principi del classicismo. La scenografia, infatti, appare aspra, impervia e desertica,
terra bruciata e bruni, su cui spiccano la vivacità delle vesti, i riflessi metallici dei finimenti e delle armature.
Bibliografia di riferimento:
G. Sestieri, I pittori di Battaglie, Roma 1999, pp. 154 - 205, con bibliografia precedente.
127

128
146.
DOMENICO FIASELLA detto IL SARZANA
(Sarzana 1589 - 1669)
Lot e le figlie
Olio su tela, cm 52X66
Stima € 8.000 - 10.000
Domenico Fiasella visse ottanta anni - un’età straordinaria per quei tempi - e lavorò intensamente
sia per opere ad affresco sia per quadri da cavalletto.
La sua fortuna si deve soprattutto alla sua peculiare capacità di raccontare storie bibliche o profane
con la naturalezza di un linguaggio piano; senza dramma, né enfasi, ma solo con quella giusta dose
di retorica e di teatralità amata dalla stagione del Barocco. Discorsivo è il suo linguaggio, così come
pacati sono i toni della sua pittura: esempio principe di un naturalismo che con lievi inclinazioni
dialettali si sviluppò proprio tra Liguria e Toscana nella prima metà del XVII secolo, e al quale il Sarzana
diede un contributo da assoluto protagonista.
Ebbene, esemplare di tutto ciò è anche questa teletta che appare sul mercato antiquario e che non
era nota alla critica: un Lot e le figlie dove il Fiasella dosa la misurata sensualità e la grazie delle giovani
che devono sedurre il vecchio padre per scongiurare l’estinzione della loro stirpe, dopo la distruzione
di Sodoma e Gomorra.
Di grande interesse è il formato di questa tela, che la lascia intendere quale bozzetto preparatorio per
un’opera di maggiori dimensioni; episodio non frequente questo nell’attività di Fiasella, che è più
noto eseguire disegni preparatori piuttosto che bozzetti o modelletti. Sono noti quelli per le due
grandi tele per i Giustiniani (Il cieco nato e La resurrezione del figlio della vedova di Naim): modelletti
molto “finiti” che si spiegano anche per l’importanza della committenza prestigiosa.
La rarità di questa tipologia di opera, preparatoria e non fine a se stessa, cioè, avrebbe indotto a lasciare
aperta la possibilità che si trattasse di un’opera autonoma la teletta qui illustrata, se non si conoscesse
il quadro di maggiori dimensioni di cui essa costituisce lo studio. Non già il Lot e le figlie
inserito nella più recente pubblicazione dedicata al Sarzana (fig. 1; cfr. Domenico Fiasella 1589-
1669, a cura di P. Donati, in occasione della mostra presso la Cassa di Risparmio di La Spezia, 2008,
fig. 62 p. 94), che riporta evidenti varianti d’impostazione, ma piuttosto la tela di collezione privata
a Palermo di formato ottagono, non necessariamente ab orgine (fig. 2). Resa nota come opera di
scuola genovese è descritta da V. Abbate come “oscillante nella sua straordinaria bellezza e preziosità
tra Fiasella e Gio. Andrea De Ferrari con parti che ricordano lo Strozzi” (V. Abbate, in Pittori
del Seicento a Palazzo Abatellis, Milano 1990, p. 50, fig. 29 p. 28). Non meglio di così si potevano
sintetizzare i modi di quella tela, con parole calzanti anche per il relativo bozzetto, nato nel momento
di maggior tangenza con la pittura di Gio. Andrea De Ferrari e gioco-forza, per la sua genuina
“genovesità”, debitrice in toto del naturalismo dello Strozzi.
Anna Orlando
fig.1
fig.2
129

130
147.
GIOVANNI BATTISTA MERANO
(Genova, 1632 - Piacenza, 1698)
La Strage degli Innocenti
Olio su tela, cm 54,5X69
Stima € 8.000 - 10.000
Bibliografia:
A. Orlando, A. Marengo, Giovanni Battista Merano allievo di Valerio. Metodo e stile dall’abbozzo
all’affresco, in Valerio Castello. Percorsi e approfondimenti, atti del convegno di Genova a cura di
L. Leoncini e D. Sanguineti, Milano, in corso di stampa.
La comparsa di questo inedito bozzetto di Giovanni Battista Merano è di indubbio interesse,
giacché esso costituisce un ulteriore tassello per ricostruire il complesso ed elaborato iter creativo
che condusse il pittore alla realizzazione di una delle sue opere certamente più impegnative:
la grande lunetta per il presbiterio della chiesa de Gesù a Genova.
Come è noto, nel 1632 fu dato alle stampe, postumo, il testo del poeta Giovanni Battista Marino
dal titolo La Strage degli Innocenti. Alla pubblicazione precedettero una prima redazione
entro il 1609 e il componimento inserito nella Galleria del 1620. Ciò diede un eccezionale impulso
alla realizzazione da parte degli artisti genovesi di quadri o affreschi di tale soggetto,
ideale alla messa in scena di una concitata e dinamica pièce di teatro barocco. A Valerio Castello,
maestro del Merano, spetta certamente il primato quanto a entità numerica di tele con
questo tema, insieme a quello, altrettanto scenografico, del Ratto delle Sabine.
Sul tema principale della strage, si potevano innestare e declinare infiniti “motivi”, costituiti da
“micro-scene” con le donne che difendono i loro piccoli, in un ritmico e convulso gioco di alternanze
e richiami.
Quando il Merano, al rientro da Parma e morto il suo maestro (1659), si ritrovò a dover affrontare
l’importante commessa da parte dei Gesuiti, anche in ragione delle imponenti dimensioni
della lunetta, procedette col redigere una serie di schizzi e bozzetti prima di consegnare la
grande tela nel 1661.
Si conoscono già due diverse tele preliminari rese note da Ezia Gavazza e poi esposte alla mostra
genovese del 1992: una probabile prima idea assai libera e veloce nella conduzione pittorica
e priva di un setting scenico (fig. 1); un successivo studio con la probabile funzione di
modelletto da presentare alla committenza, più dettagliato in tutto e per tutto (fig. 2; si veda E.
Gavazza in La pittura in Liguria. Il Secondo Seicento, 1990, pp. 90-91; Genova nell’Età Barocca,
Bologna 1992, p. 225).
Rispetto a quest’ultimo, l’inedito che qui si presenta è meno definito e più abbozzato, quasi si
trovasse stilisticamente e fors’anche dal punto di vista della concezione creativa, a mezza via tra
i due testi pittorici noti. Un’importante aggiunta dunque al catalogo del pittore soprattutto ai
fini della sua modalità di approccio al processo creativo di un’opera di grande impegno. E non
meno importante anche si volesse sostenere un’ipotesi alternativa e dimostrare che questo e il
modelletto (fig. 2) fossero redazioni “da stanza” con varianti per la committenza privata invece
che opere preparatorie. Testi importanti, in entrambi i casi, a dimostrare la capacità di alternanza
di stile in un gioco di virtuosismi sul filo del” dipingere abbozzato”, proprio e peculiare
degli allievi di Valerio Castello (si veda A. Marengo, A. Orlando in c.d.s. cit.).
Anna Orlando
fig.1 fig.2
131

132
CONDIZIONI DI VENDITA
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Ogni asta è preceduta da un’esposizione aperta al pubblico
gratuitamente i cui orari sono indicati nelle prime pagine di
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esempio, l’autenticità, lo stato di conservazione, il materiale,
la provenienza, ecc.
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DIRITTO DI SEGUITO
Con Dlgs n. 118 del 13/2/2006 è in vigore dal 9 Aprile
2006 in Italia il “Diritto di Seguito” (Droit de Suite), ossia il
diritto dell’autore (vivente o deceduto da meno di 70
anni) di opere di arti figurative e di manoscritti a percepire
una percentuale sul prezzo di vendita degli originali
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calcolato sul prezzo di vendita e non potrà comunque essere
superiore ai 12.500 euro per ciascun lotto. L’importo
del diritto da corrispondere è così determinato:
- 4% per la parte del prezzo di vendita fino a 50.000 Euro
- 3% per la parte del prezzo di vendita compresa fra
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- 1% per la parte del prezzo di vendita compresa fra
200.000,01 e 350.000 Euro
- 0,50% per la parte del prezzo di vendita compresa fra
350.000,01 e 500.000,01 Euro
- 0,25% per la parte del prezzo di vendita oltre i 500.000
Euro
Il diritto di seguito addebitato all’Acquirente sarà versato
dalla WANNENES ART AUCTIONS alla SIAE in base a
quanto stabilito dalla legge.
133

134
CONDIZIONI GENERALI DI VENDITA
Art. 1 I beni possono essere venduti in lotti o singolarmente ad insindacabile giudizio della WANNENES ART AUCTIONS (di seguito
ART AUCTIONS o Casa d’Aste). Le aste saranno tenute in locali aperti al pubblico da ART AUCTIONS che agisce unicamente
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Art. 3 ART AUCTIONS si riserva il diritto di ritirare dall’asta qualsiasi lotto. Il Banditore, durante l’asta, ha facoltà di accorpare e/o separare
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dovrà corrispondere anche le imposte conseguenti (i beni interessati saranno contrassegnati dal segno °°).
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coattiva dell’obbligo di acquisto; c) vendere il lotto a trattativa privata, od in aste successive, comunque in danno del
mancato compratore, trattenendo a titolo di penale gli eventuali acconti versati. Nel caso il lotto rimanesse custodito da ART
AUCTIONS ciò avverrà a rischio e spese dell’aggiudicatario e del mancato venditore in solido. In ogni caso fino alla data di
vendita o restituzione l’aggiudicatario dovrà corrispondere ad ART AUCTIONS una somma, a titolo di penale, calcolata,
avendo come base, l’importo di aggiudicazione maggiorato di tutte le tasse e commissioni, al tasso del 30%. Tale somma
sarà dovuta a partire dal sesto giorno successivo all’aggiudicazione.
Art. 11 L’aggiudicatario, dopo aver pagato tutte le somme dovute, dovrà ritirare i lotti acquistati entro 15 giorni lavorativi dalla data
dell’Asta a suo esclusivo rischio, cura e spese, rispettando l’orario a ciò destinato da ART AUCTIONS. Nel caso in cui l’aggiudicatario
non dovesse ritirare i lotti acquistati entro il termine sopraindicato ART AUCTIONS li conserverà, ad esclusivo rischio
e spese dell’aggiudicatario, nei locali oggetto dell’asta per altri cinque giorni lavorativi. Trascorso tale periodo ART AUC-
TIONS potrà far trasportare, sempre a rischio e spese dell’aggiudicatario, i beni presso un qualsiasi depositario, od altro suo
magazzino, liberandosi, nei confronti dell’acquirente, con la semplice comunicazione del luogo ove sono custoditi i beni.
Resta fermo il fatto che per ritirare il lotto l’aggiudicatario dovrà corrispondere, oltre al relativo prezzo con accessori, anche
il rimborso di ogni altra spesa successiva.
Art. 12 In ogni caso ART AUCTIONS potrà concordare con gli aggiudicatari diverse forme di pagamento, di deposito, di vendita a
trattativa privata, di assicurazione dei beni e/o la fornitura di qualsiasi altro servizio che fosse richiesto al fine del miglior andamento
possibile dell’affare.
Art. 13 Tutti sono ovviamente tenuti a rispettare le leggi vigenti all’interno dello Stato ove è stata svolta l’asta. In particolare ART
AUCTIONS non assume nessuna responsabilità in relazione ad eventuali restrizioni all’esportazione dei lotti aggiudicati, e/o
in relazione a licenze e/o permessi che l’aggiudicatario potrà dover richiedere in base alla legge vigente. L’aggiudicatario
non potrà richiedere alcun rimborso ne al venditore ne ad ART AUCTIONS nel caso che lo Stato esercitasse il suo diritto di
prelazione, od altro diritto a lui riservato.
Art. 14 In caso di contestazioni rivelatesi fondate, ed accettate da ART AUCTIONS a seguito della vendita di oggetti falsificati ad arte
la Casa d’Aste potrà, a sua discrezione, dichiarare la nullità della vendita e, ove sia fatta richiesta, rivelare all’aggiudicatario il
nome del venditore. L’acquirente potrà avvalersi di questo articolo solo ed esclusivamente nel caso in cui abbia notificato
ad ART AUCTIONS, ai sensi degli articoli 137 e SS CPC la contestazione con le prove relative entro il termine di 15 giorni dall’aggiudicazione.
In ogni caso, a seguito di un reclamo accettato l’aggiudicatario avrà diritto a ricevere esclusivamente
quanto pagato per l’aggiudicazione contestata, senza l’aggiunta di interessi o qualsiasi altra somma per qualunque altro motivo.
Art. 15 Le presenti condizioni di Vendita sono accettate automaticamente alla firma della scheda di cui all’art 5 e comunque da tutti
quanti concorrono alla vendita e sono a disposizione di chiunque ne faccia richiesta. Per qualsiasi controversia è stabilita la
competenza del foro di Genova
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potrà esercitare i diritti di cui all’art. 13 (accesso, correzione, cancellazione, opposizione al trattamento ecc.ecc.), rivolgendosi
ad ART AUCTIONS S.r.l.. GARANZIA DI RISERVATEZZA Informativa ex art. 10 L. 675/96. I Suoi dati sono trattati in forma
automatizzata al solo fine di prestare il servizio in oggetto, o di altro servizio inerente l’oggetto sociale della società, con le
modalità strettamente necessarie allo scopo. Il conferimento dei dati è facoltativo: in mancanza, tuttavia ART AUCTIONS non
potrà dar corso al servizio. I dati non saranno divulgati. La partecipazione all’asta consente ad ART AUCTIONS di inviare successivi
cataloghi di altre aste.
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PHONE/FAX E-MAIL
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CONFERISCO INCARICO
A Wannenes Art Auctions affinché effettui per mio ordine e conto delle offerte per l’acquisto dei lotti qui sotto elencati fino al prezzo massimo (oltre commissioni,
tasse e/o imposte e quant’altro dovuto) indicato per ciascuno di essi, e/o prenda contatto telefonico con me al momento in cui saranno posti in vendita
i lotti qui sotto elencati, al numero di telefono da me indicato. Dichiaro di conoscere ed accettare integralmente le condizioni di vendita stampate sul catalogo
ed espressamente esonero Wannenes Art Auctions da ogni e qualsiasi responsabilità per le offerte che per qualsiasi motivo non fossero state eseguite in tutto
o in parte e/o per le chiamate che non fossero state effettuate, anche per ragioni dipendenti direttamente da Wannenes Art Auctions.
Data .................................................................... Ora ........................................... Firma...................................................................................................................
RICHIAMO ALLE CONDIZIONI GENERALI DI VENDITA E VARIE
1. Il presente elenco non è da considerarsi esaustivo ma, meramente, esemplificativo; il
partecipante all’asta ha già preso visione delle condizioni generali di vendita che ha dichiarato
di aver compreso ed integralmente gradito ed accettato.
2. Nel caso di parità tra un’offerta scritta ed una in sala prevarrà l’offerta scritta.
3. Nel caso di parità tra più offerte scritte prevarrà quella formulata per prima, purchè formulata
in maniera completa (garanzie bancarie comprese).
4. Il proponente è perfettamente a conoscenza che il prezzo finale di acquisto sarà composto
dalla somma offerta maggiorata dai diritti d’asta e da tutte le imposte e tasse conseguenti,
nonché da tutte le voci di spesa chiaramente indicate nel catalogo.
5. Wannenes Art Auctions s’impegna a cercare di effettuare l’acquisto al prezzo più basso
possibile.
LEGGE SULLA PRIVACY
Ai sensi e per gli effetti dell’art. 10 L. 675/96 e successive modificazioni ed integrazioni i
dati saranno trattati esclusivamente per le finalità per le quali sono stati comunicati e per
l’invio di comunicazioni commerciali e/o pubblicitarie (comunque esclusivamente per
materie inerenti l’oggetto sociale della Wannenes Art Auctions). I dati potranno essere comunicati
a persone ed enti che prestano servizi per conto di Wannenes Art Auctions , ivi
compresi istituti di credito per l’espletamento delle formalità di pagamento. I dati potranno
essere trattati anche con strumenti informatici.
Ai sensi e per gli effetti degli artt. 1341 e 1342 del Codice Civile dichiaro di approvare
specificatamente con l’ulteriore sottoscrizione che segue gli articoli
1, 2, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 11, 13, 14, 15 delle Condizioni di Vendita.
Firma ..................................................................................................................................
LOTTO DESCRIZIONE OFFERTA MASSIMA IN € TELEFONO
QUESTO MODULO SARÀ RITENUTO VALIDO SOLO SE PERVERRÀ PER LETTERA O FAX ALMENO SETTE ORE PRIMA DELL’INIZIO DELL’ASTA
NON SI ACCETTANO OFFERTE TELEFONICHE SOTTO I 500 EURO DI STIMA MASSIMA
THIS FORM WILL BE ACCEPTED ONLY IF RECEVED BY E-MAIL OR FAX AT LEAST SEVEN HOURS BEFORE THE BEGINNING OF THE AUCTION
TELEPHONE BIDS LOWER THAN 500 EURO WILL NOT BE ACCEPTED