Sul fondamento giuridico delle persecuzioni dei Cristiani
Sul fondamento giuridico delle persecuzioni dei Cristiani
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persistessero nella fede cristiana: nessuna volontà, dunque, di procedere all’eliminazione in massa<br />
<strong>dei</strong> <strong>Cristiani</strong>.<br />
Ma dopo la pubblicazione dell’editto, secondo il racconto tradizionale, scoppiarono ben due<br />
incendi nel palazzo imperiale, a breve distanza l’uno dall’altro, e allora divampò la furia imperiale:<br />
Diocleziano fece arrestare e uccidere sacerdoti e diaconi senza processo e senza attendere la loro<br />
confessione, istruì i giudici affinché si recassero presso i templi, costringendo tutta la popolazione a<br />
compiere sacrifici pagani; ordinò che quanti avessero rifiutato fossero accusati come hostes publici,<br />
dunque considerati rei di crimen maiestatis, e messi a morte come tali o come incendiari, dopo<br />
avere subito la confisca <strong>dei</strong> patrimoni, a seguito di procedimenti di accertamento estremamente<br />
sbrigativi (Lact. de mort. persec. 14-15). Queste esecuzioni, però, non avvennero sulla base del<br />
primo editto, come del resto dimostra il riferimento di Lattanzio a capi d’imputazione quali<br />
l’incendio e la lesa maestà.<br />
Eusebio racconta che nella primavera o estate del 303 Diocleziano emanò un altro editto (hist.<br />
eccl. 8.2.5; 8.6.8-10), con il quale dispose l’arresto di tutti gli ecclesiastici. Un terzo editto, emanato<br />
tra settembre e novembre 303, escluse da un’amnistia i <strong>Cristiani</strong> e i membri del clero che avessero<br />
rifiutato di sacrificare agli <strong>dei</strong> pagani. Infine nel 304, per le pressioni di Galerio, fu emanato il<br />
quarto e ultimo provvedimento, diffuso in tutto il territorio provinciale mediante epistole: si<br />
ordinava all’intera popolazione dell’Impero di sacrificare agli <strong>dei</strong> romani, pena la morte (Eus. hist.<br />
eccl. 8.2.5; 8.6.10). Molti <strong>Cristiani</strong> ricorsero al vecchio espediente della falsa certificazione,<br />
scrivendo di loro pugno il libellus e poi recandosi dal magistrato per la sola firma. Alcuni<br />
addirittura formularono il certificato senza includervi né abiura in senso tecnico, né venerazione<br />
degli <strong>dei</strong> pagani, e lo fecero firmare: “ordino che non si proceda nei confronti di X, per gli<br />
adempimenti relativi all’editto Y. Firmato Z”.<br />
Dopo l’abdicazione di Diocleziano, le disposizioni anticristiane rimasero formalmente in vigore<br />
su tutto il territorio dell’Impero, fino alla loro abrogazione, sopravvenuta nell’anno 311, ad opera di<br />
un editto emanato da Galerio in punto di morte. Con l’editto di tolleranza, Galerio concesse la<br />
libertà di culto ad ogni setta religiosa dell’Impero, purché priva di legami con gente d’oltrefrontiera,<br />
e a condizione che pregassero tutti per la salute dell’Imperatore.<br />
Le <strong>persecuzioni</strong>, insomma, erano tutte fallite, non solo per l’inaspettato fervore della fede<br />
cristiana, ma anche perché male impostate. Inizialmente, le manovre anticristiane erano state<br />
lasciate in balia degli umori popolari ed affidate in prevalenza all’iniziativa episodica dell’autorità<br />
periferica, poi, quando furono condotte dal potere centrale, si caratterizzarono per una durata assai<br />
breve e per essere puntualmente smentite dal successore del persecutore di turno; ma, nel<br />
complesso, le azioni repressive avevano raggiunto con estrema puntualità un obiettivo molto<br />
concreto (che le <strong>persecuzioni</strong> <strong>dei</strong> <strong>Cristiani</strong> condivisero con la repressione <strong>dei</strong> rei di crimen<br />
maiestatis): quello –assai ambito- di lucrare alle casse dello Stato una gran quantità di patrimoni<br />
privati.