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NumeroAprileMaggio2-1 - ANPI Catania

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S t o r i e d a l l e c i t t à d i f r o n t i e r a<br />

ANNO VII NUM.22<br />

aprile‐maggio 2012<br />

L’ultimo partigiano / la Memoria<br />

L’inchiesta / una donna mafiosa aggressiva e violenta<br />

Giorgiana Masi / uccisa per colpire il movimento femminista?<br />

Gianni Lannes Ettore Zanca<br />

Allegra Stefania Mazzone Dora Bonifacio Santina Sconza<br />

Adriana Laudani Rino Giacalone Franco Lo Re<br />

Amalia Fulvio Vassallo Antonella Serafini<br />

Norma Ferrara<br />

Umberto Santino<br />

Alberto Rotondo Antonio Tozzi


CASABLANCA N.24/ aprile – maggio 2012/ SOMMARIO<br />

4 – Stefania Mazzone Donne … Fotografie<br />

9 – La Passione dell’impegno Dora Bonifacio<br />

11 – Ettore Zanca Perché ti amo<br />

12 - Santina Sconza Partigiano Smit<br />

15 – Graziella Proto La Siciliana Maria Di Carlo<br />

20 - Pio La Torre Adriana Laudani<br />

23 – Umberto Santino Peppino Impastato<br />

24 - Mauro Rostagno Rino Giacalone<br />

26 – Fulvio Vassallo Respingimenti egiziani<br />

29 - Omicidio Marconi Gianni Lannes<br />

33 – Graziella Proto Margherita Passalacqua<br />

36 – Salemi… Franco Lo Re<br />

40 – Antonio Tozzi Teatro Garibaldi<br />

41 – In attesa di giudizio Antonella Serafini<br />

43 – Omicidio di Giorgiana Masi Norma Ferrara<br />

46 - Il mondo degli ultimi Alberto Rotondo<br />

48 - Le vignette Gianni Allegra<br />

51 - Nadia Furnari Telejato Abbiamo trasmesso<br />

52- Coppola Editore<br />

53 - “Cronachette” Amalia Bruno<br />

55 - Associazione Antimafie “Rita Atria”<br />

Casablanca – Direttore Graziella Proto – protograziella@gmail.com<br />

Edizione Le Siciliane di Graziella Rapisarda – versione on-line: http://www.lesiciliane.org/casablanca<br />

Registraz. Tribunale <strong>Catania</strong> n.23/06 del 12.07.2006 – dir. Responsabile Riccardo Orioles<br />

Casablanca pagina 2


Editoriale - mensile<br />

Volevamo esimerci<br />

dalle<br />

commemorazioni<br />

La realtà supera la fantasia.<br />

Pensavamo di ricordare Francesca<br />

Morvillo in modo diverso, e prima di<br />

inserire il pezzo, una sua lettera<br />

immaginaria al marito, ci siamo posti<br />

centomila domande. Abbiamo avuto<br />

un milione di dubbi. Sarà capita?<br />

Come potrebbe essere interpretata?<br />

Volevamo esimerci dalle<br />

commemorazioni tradizionali, siamo<br />

stati travolti dalla realtà. La tragedia<br />

di Brindisi alla scuola Francesca<br />

Morvillo. Impensabile! Incredibile!<br />

Nessun commento. Tanto dolore.<br />

Tanto sgomento per i nostri ragazzini<br />

a scuola. I massimi sistemi, i teoremi,<br />

li lasciamo agli altri. Terrorismo?<br />

Mafia? Terrorismo mafioso?<br />

Ognuno faccia la propria parte. Il<br />

proprio dovere. Abbandoni lo<br />

schermo e le prime pagine.<br />

Distraggono. Necessitano attenzioni,<br />

presenza, persone, strumenti. Questo<br />

paese è già molto pressato.<br />

Su questo numero abbiamo voluto<br />

affrontare i vari modi dell’esser<br />

partigiani, ma una ragazzina,<br />

Melissa, ancora non aveva avuto il<br />

tempo di deciderlo, a quell’età,<br />

l’allegria e la leggerezza dovrebbero<br />

essere l’unico obiettivo. L’unico<br />

diritto. Il diritto alla vita. La sola<br />

partigianeria.<br />

***<br />

Questi due mesi dall’altro numero<br />

sono stati densi di avvenimenti. Tutti<br />

importanti. Tutti da segnalare.<br />

Tuttavia i nostri mezzi non sono<br />

all’altezza di seguire tutto. Ce ne<br />

scusiamo. Bisogna selezionare.<br />

Scegliere. Evidenziare. Se non altro<br />

per manifestare da quale parte stare.<br />

Sicuramente stiamo dalla parte<br />

degli operai in via crucis, gli<br />

esodati, i disoccupati, i precari, le<br />

donne di Temini Imererse simbolo<br />

della lotta degli operai Fiat in difesa<br />

del posto di lavoro e contro la<br />

chiusura degli stabilimenti. Dalla<br />

parte di coloro che, di lavoro<br />

muoiono.<br />

***<br />

C’è bisogno d’informazione vera.<br />

Approfondimento sul territorio<br />

soprattutto per l’informazione<br />

antimafiosa. Tuttavia, questo<br />

settore, è quasi totalmente sulle<br />

spalle delle piccole testate e<br />

televisioni. Avete pochi mezzi?<br />

Sembra dire il governo e i grossi<br />

gruppi editoriali, bene vi togliamo<br />

anche questi. E l’informazione sul<br />

territorio? E la democrazia? Vaff….<br />

direbbe qualcuno, ma questo<br />

qualcuno come i grossi nomi del<br />

giornalismo se ne fregano. Telejato,<br />

la piccola televisione di Pino<br />

Maniaci e la sua famiglia, sta per<br />

chiudere. E’ il loro unico lavoro.<br />

Resteranno in mezzo alla strada.<br />

Telejato rappresenta tutti noi.<br />

“Siamo tutti Telejato” e non siamo<br />

d’accordo sul come vengono<br />

assegnate le frequenze. I piccoli<br />

vanno tutelati. Si chiama<br />

Democrazia. Chi di dovere,<br />

dovrebbe ricordarlo ogni tanto<br />

invece di dare solo numeri. Dietro<br />

Casablanca pagina 3<br />

ogni numero ci sono persone. La loro<br />

vita. Le loro dignità, le loro<br />

sofferenze, i loro diritti. Non si può<br />

usare solo il numero del dovere e<br />

dell’Europa vuole e dice. L’Europa<br />

dice anche che la nostra<br />

informazione è fra gli ultimi posti al<br />

mondo. Telejato assieme a tante altre<br />

piccole testate, per l’impegno e il<br />

coraggio che ci mette nel raccontare i<br />

fatti, dovrebbero essere patrimonio<br />

collettivo. Invece sono lottati.<br />

Ufficialmente e in modo sotterraneo.<br />

Santoro per fare un esempio, anziché<br />

dare visibilità ai figli dei mafiosi,<br />

dovrebbe mettere i riflettori su questo<br />

settore. Non solo lui.<br />

L’Europa dice. Dice anche che in<br />

Italia il lavoro è remunerato poco,<br />

non esiste uno stato sociale adeguato,<br />

non ci sono servizi a sufficienza, gli<br />

stipendi in generale ma operai e<br />

insegnanti in particolare sono da<br />

fame e che solo da noi esistono<br />

persone con pensioni di oltre<br />

quaranta mila euro.<br />

VERGOGNA


Palestina Genocidio Culturale<br />

Le Giovani Donne del movimento<br />

Stefania Mazzone<br />

Docente di Storia della filosofia Università di <strong>Catania</strong><br />

Gerta Human Reports<br />

15 marzo Palestinese<br />

Restano UMANE<br />

Il potere di Hamas, Autorità Palestinese, Israele. La violazione della IV Convenzione di<br />

Ginevra. Le violazioni da parte dell’esercito israeliano. Dall’ottobre 2000 al giugno 2008,<br />

658 studenti sono stati uccisi, 4852 feriti di cui 3607 minorenni e 738 imprigionati. Tra i<br />

docenti, trentasette sono stati uccisi, cinquantacinque feriti e 190 detenuti. Durante<br />

l’operazione militare Piombo Fuso (dicembre 2008 – gennaio 2009) l’aviazione israeliana ha<br />

bombardato gravemente duecentoottanta scuole/asili e sedici edifici universitari. Sono stati<br />

uccisi 164 studenti e dodici docenti. Gli ostacoli alla libertà di spostamento per gli studenti e<br />

i docenti scoraggiano, di fatto, l’anelito all’istruzione, alla conoscenza e alla formazione. La<br />

discriminazione degli studenti arabi da parte di università israeliane, denunciati anche da<br />

organizzazioni israeliane per i diritti umani. Il ruolo delle giovani donne della primavera<br />

araba nella lotta contro l’arroganza del potere.<br />

Insieme ad un gruppo di docenti<br />

universitari e ricercatori italiani<br />

particolarmente sensibili alla situazione<br />

universitaria e scolastica del popolo<br />

palestinese, (sia nei territori occupati<br />

Gaza e Cisgiordania, sia all’interno dello<br />

Stato israeliano, in particolare in Galilea,<br />

dove vivono oltre un milione di “arabiisraeliani”),<br />

ho partecipato ad<br />

un’esperienza di insegnamento e di<br />

incontro con la forze e l’intelligenza<br />

della nuova generazione di studenti<br />

palestinesi. Insieme abbiamo denunciato<br />

le gravi violazioni del diritto<br />

all’istruzione, della libertà di<br />

insegnamento e della libertà di pensiero<br />

del popolo palestinese.<br />

Poiché l’Italia nel 2009 è diventata<br />

primo partner europeo nella ricerca<br />

scientifica e tecnologica dello Stato di<br />

Israele, responsabile delle violazioni di<br />

cui sopra, si rende necessario che la<br />

comunità accademica italiana prenda<br />

coscienza delle discriminazioni in atto.<br />

Il livello culturale e scientifico nelle 11<br />

università palestinesi è stato fortemente<br />

condizionato dall’occupazione e dalle<br />

restrizioni alla mobilità di docenti e<br />

studenti, in violazione della IV<br />

Convenzione di Ginevra. Dopo la<br />

chiusura di scuole e università<br />

palestinesi da parte del governo<br />

israeliano durante la Prima Intifada<br />

(1987-93), gli accordi di Oslo hanno<br />

consentito la creazione di un Ministero<br />

dell’Istruzione dell’Autorità Nazionale<br />

Palestinese, ampiamente finanziato allo<br />

scopo di controllare l’ordine pubblico<br />

interno, ma le violazioni da parte<br />

dell’esercito israeliano sono continuate.<br />

In termini di perdita di vite umane,<br />

dall’ottobre 2000 al giugno 2008, 658<br />

studenti sono stati uccisi, 4852 feriti (di<br />

cui 3607 minorenni) e 738 imprigionati.<br />

Tra i docenti, 37 sono stati uccisi, 55<br />

feriti e 190 detenuti.<br />

Casablanca pagina 4<br />

Nello stesso periodo il danno totale alle<br />

università (edifici, attrezzature ecc.) a<br />

causa delle invasioni israeliane ammonta<br />

a 7.888.133 USD, mentre per le scuole il<br />

danno è di 2.298.389 USD. Tutto questo<br />

comporta una bassa percentuale di<br />

studenti iscritti e una scarsa presenza di<br />

docenti. A Gaza, in particolare, la<br />

situazione è drammatica: il 50% degli<br />

studenti è assente e lo è anche il 40% dei<br />

docenti. Qui durante l’operazione<br />

militare Piombo Fuso (dicembre 2008 –<br />

gennaio 2009) l’aviazione israeliana ha<br />

bombardato, distruggendo o<br />

danneggiando gravemente, 280<br />

scuole/asili e 16 edifici universitari. In<br />

pochi giorni sono stati uccisi 164<br />

studenti e 12 docenti. La privazione della<br />

libertà di movimento di studenti e<br />

docenti palestinesi è inoltre una<br />

violazione del diritto allo studio e<br />

all’attività accademica. I check-point<br />

militari che costellano la Cisgiordania


endono difficile raggiungere scuole e<br />

università, e nei periodi in cui si<br />

svolgono esami scolastici e universitari i<br />

controlli si fanno particolarmente severi.<br />

A Gaza invece è l’assedio a impedire<br />

l’entrata e l’uscita dalla striscia di<br />

docenti palestinesi che volessero<br />

svolgere attività di ricerca presso<br />

università estere, di docenti stranieri che<br />

volessero visitare le università di Gaza, e<br />

degli oltre 1000 studenti che ogni anno<br />

fanno domanda per studiare all’estero. E<br />

non dovrebbero essere dimenticati i casi<br />

di discriminazione degli studenti arabi da<br />

parte di università israeliane,<br />

ampiamente denunciati da<br />

rappresentanze studentesche e sindacati<br />

di docenti palestinesi ma anche da<br />

organizzazioni israeliane per i diritti<br />

umani. Più generalmente, le principali<br />

istituzioni accademiche israeliane non<br />

hanno assunto una posizione critica o<br />

neutrale nel conflitto e rivendicano anzi<br />

il sostegno della ricerca scientifica alle<br />

istituzioni governative e militari<br />

israeliane, giungendo persino a tollerare<br />

il riconoscimento dello status di “centro<br />

universitario” al College di Ariel, situato<br />

in un insediamento illegale nei territori<br />

occupati.<br />

IL RUOLO DELLE DONNE<br />

In Palestina, però, la primavera araba è<br />

stata Occidentale e filo-anarchica,<br />

rappresentata dal movimento studentesco<br />

del “15 Marzo”, come i loro alleati<br />

israeliani, sempre più numerosi insieme<br />

ai disertori dell’esercito, gli attivisti di<br />

“Anarchici contro il Muro” e ai militanti<br />

Palestina Genocidio Culturale<br />

di JCall, un’organizzazione transazionale<br />

di Ebrei contro le politiche dello Stato di<br />

Israele. Un movimento, quello del 15<br />

marzo, costretto alla clandestinità e alla<br />

repressione violenta da parte di Hamas<br />

nel territorio di Gaza. Ho incontrato<br />

giovani studenti alla testa di un<br />

movimento che, da Gaza a Ramallah,<br />

mette in discussione intanto il potere<br />

politico, militare, economico, di Hamas<br />

e di Fatah, in nome della parola d’ordine<br />

di un unico stato di diritto in cui ogni<br />

individuo sia considerato libero ed<br />

eguale nei diritti e nei doveri. Citano<br />

Thoreau, mi abbracciano in quanto ebrea<br />

e anarchica, impegnati nella loro terra ad<br />

una non facile lotta all’antisemitismo, il<br />

loro leader a Ramallah, Fadi Quran, è<br />

laureato in fisica alla Stanford<br />

University e ha rinunciato ad un<br />

sicuro e brillante futuro negli<br />

States per continuare la lotta<br />

contro il triplice potere che<br />

assassina la libertà del suo<br />

popolo: Hamas, Fatah, il<br />

Governo dello Stato di<br />

Israele. Arrestato per<br />

una azione di<br />

disobbedienza civile a<br />

Hebron, città fantasma,<br />

in cui vige l’apartheid<br />

del marciapiede e della<br />

carreggiata, voluto da<br />

Israele e dall’Autorità<br />

palestinese, oggi Fadi<br />

continua la sua lotta<br />

insieme alla straordinaria<br />

forza delle militanti palestinesi.<br />

Disseminate per le Università<br />

della Cisgiordania, alle donne il<br />

Casablanca pagina 5<br />

compito di discutere, organizzare,<br />

interpretare le azioni contro l’arroganza<br />

del potere e in sostegno alla strabiliante<br />

quantità di giovani studenti arrestati,<br />

ancora una volta, da Hamas, Autorità<br />

Palestinese, Israele. Sono ragazze<br />

determinate, colte, con l’unico obiettivo<br />

di emanciparsi, insieme agli uomini,<br />

dalle insidie del potere che lì, come nel<br />

mondo, colpisce sostanzialmente il<br />

diritto allo studio, secondo un vero e<br />

proprio progetto di genocidio culturale in<br />

atto a livello globale.<br />

A queste donne il compito di liberare il<br />

Medio Oriente, a queste donne il<br />

compito di incarnare un concetto di<br />

emancipazione e liberazione femminile<br />

divenuto per le nuove generazioni di<br />

ragazze europee forse addirittura<br />

incomprensibile, arretrate come sono nel<br />

riconoscimento della eguaglianza in<br />

mascolinità e non in differenza,<br />

indifferenti al potere emancipatore dello<br />

studio e della conoscenza, dimentiche di<br />

un sapere femminile che ha generato e<br />

curato l’umanità intera dal suo nascere.<br />

Vittorio Arrigoni aveva seguito e<br />

sostenuto questo movimento sul nascere,<br />

denunciando la criminale repressione di<br />

Hamas delle manifestazioni del 15<br />

marzo a Gaza. Vittorio Arrigoni è morto<br />

esattamente un mese dopo, il 15 aprile,<br />

per mano di militanti di una frangia di<br />

Hamas. Le donne e gli uomini<br />

palestinesi restano umani.


Palestina Genocidio Culturale<br />

Casablanca pagina 6


Palestina Genocidio Culturale<br />

Casablanca pagina 7


Palestina Genocidio Culturale<br />

Casablanca pagina 8


Una giovane magistrata e la sua passione civile e professionale<br />

La Passione<br />

delle donne<br />

Dora Bonifacio<br />

Una giovane magistrata fa un resoconto sulla sua passione civile e professionale. Le date e i momenti<br />

del pugno allo stomaco e il tuffo al cuore. La momentanea angoscia che si trasforma in coraggio<br />

e determinazione. Un susseguirsi di flash per spiegare ciò che le ha fatto amare la magistratura.<br />

Il ricordo di Giuseppe Fava e della sua rivista I Siciliani,Pio La Torre,il generale Dalla<br />

Chiesa e tante altre vittime della mafia. Il concorso per la magistratura con Francesca Morvillo<br />

Falcone conclusosi proprio quel 23 maggio del 92. Poche ore dopo la notizia della strage.<br />

Chissà quante volte li hanno messi così…di<br />

fila. Una fila lunghissima. Una linea<br />

rossa. Rossa come il sangue ma anche<br />

rossa come la passione.<br />

La mia fila “personale” inizia cosi.<br />

Pio La Torre: 30.4.1982;<br />

Carlo Alberto Dalla Chiesa: 2.9.1982;<br />

Giangiacomo Ciaccio Montalto :26 gennaio<br />

1983;<br />

Rocco Chinnici 29 luglio 1983;<br />

Giuseppe Fava, 5 gennaio 1984;<br />

Strage di Pizzolungo: 2 aprile 1985 ( autobomba<br />

contro Carlo Palermo);<br />

Peppe Montana: 28 luglio 1985;<br />

Ninni Cassarà: 6 agosto 1985;<br />

Antonino Saetta e il figlio Stefano:<br />

25 settembre 1988;<br />

Mauro Rostagno: 26 settembre<br />

1988;<br />

Rosario Livatino: 21 settembre<br />

1990;<br />

Antonino Scopelliti : 9 agosto<br />

1991;.<br />

Libero Grassi : 29 agosto 1991:<br />

Giovanni Falcone e Francesca<br />

Morvillo: 23 maggio 1992;<br />

Paolo Borsellino: 19 luglio 1992<br />

…<br />

Flash<br />

La mia vita di liceale, già segnata dalla<br />

violenza delle stragi fasciste impunite e da<br />

quella delle Brigate Rosse, si apriva<br />

all’università. Primo anno di Giurisprudenza:<br />

1982.<br />

Era gennaio. Ricordo quel teatro gremito.<br />

Un teatro sulla via Roma a Palermo (dove<br />

anni dopo Santoro avrebbe trasmesso una<br />

famosa puntata di Samarcanda).<br />

Un teatro gremito. Anche di tanti giovani.<br />

Le parole che rimbombano. Tuonano, per<br />

quanta passione hanno dentro.<br />

Casablanca pagina 9<br />

“Quattro punti” (“quatttrro” alla palermitana)…<br />

“La Mafia. La Pace. Lo Sviluppo.<br />

La Sicilia…. Per liberare la Sicilia dal potere<br />

mafioso. Per la pace e il disarmo. Per<br />

lo sviluppo economico e sociale del Mezzogiorno.<br />

Per il rinnovamento democratico<br />

della Sicilia…”. Era la voce di Pio La<br />

Torre, ritornato in una Sicilia, infuocata<br />

contro i missili della Nato a Comiso.<br />

E poi quella mattina. La notizia si sparse<br />

veloce da Palermo a <strong>Catania</strong>. Vidi la macchina<br />

crivellata di colpi. Una “festa del 1°<br />

Maggio” tristissima.<br />

Le elezioni regionali vicine e la certezza<br />

che neanche quel brutale assassinio ne<br />

avrebbe cambiato l’esito.


Una giovane magistrata e la sua passione civile e professionale<br />

Poi di nuovo la speranza. La speranza in<br />

un Carabiniere. Il Generale Carlo Alberto<br />

Dalla Chiesa. Un uomo dello Stato. Ma<br />

anche un uomo libero, uno che parlava<br />

chiaro e sapeva dove: “Oggi mi colpisce il<br />

policentrismo della Mafia, anche in Sicilia,<br />

è questa davvero una svolta storica. È<br />

finita la Mafia geograficamente definita<br />

della Sicilia Occidentale. Oggi la Mafia è<br />

forte anche a <strong>Catania</strong>, anzi da <strong>Catania</strong> viene<br />

alla conquista di Palermo. Con il consenso<br />

della Mafia palermitana, le quattro<br />

maggiori imprese edili catanesi oggi lavorano<br />

a Palermo”<br />

E poi di nuovo colpi che crivellano. Crivellano<br />

la passione…<br />

Il buio che ritorna.<br />

Mi rivedo vicino a Parigi, giovane ragazza<br />

“alla pari” che non voleva dimenticare il<br />

“francese” studiato per anni. Una bellissima<br />

pineta ai margini di una cittadina,<br />

dove portavo il “mio” Germain a giocare e<br />

mangiare il “giacciolo” (lui la “ghi” proprio<br />

non riusciva a pronunciarla).<br />

E quella voce che esce dalla radio del<br />

chiosco “Palerme comme Beyrouth. Une<br />

bombe placée à l'intérieur d'une voiture a<br />

explosé devant la maison du juge Rocco<br />

Chinnici, le tuant, avec ses gardes du<br />

corps et le portier de l'immeuble ".<br />

Quell’esplosione che rimbomba nella mia<br />

testa.<br />

Voglio fare il magistrato.<br />

E ancora speranza.<br />

Un giornale sconosciuto,<br />

“I Siciliani”<br />

diretto da un uomo orgoglioso e caparbio.<br />

Che parla in bianco e nero in una città grigia.<br />

Vidi il suo volto durante un’intervista<br />

a Giorgio Bocca: Giuseppe Fava. Parlava<br />

dei “Cavalieri del Lavoro”, degli intrecci<br />

tra mafia/politica/appalti.<br />

E poi un’altra notte. Una mattina che<br />

vuole risvegliarsi nell’ultimo giorno di<br />

festa e invece arriva una telefonata. Ieri<br />

sera hanno ucciso Giuseppe Fava il direttore<br />

de “I Siciliani”.<br />

E <strong>Catania</strong> si scopre mafiosa. Non tutta<br />

<strong>Catania</strong>.<br />

I mafiosi, i conniventi, i ciechi si svegliano<br />

con un “Pecorelli” di casa nostra, uno<br />

che ricattava la gente per bene. Come<br />

hanno potuto? Come glielo hanno permesso?<br />

E la rabbia sale. Sale ancora.<br />

Rileggere avidamente quel giornale pieno<br />

di squarci di verità su una città che non<br />

vuole capire, non vuole vedere, non vuole<br />

denunciare e, da troppo tempo, non<br />

vuole combattere, è balsamico.<br />

E la scia continua.<br />

L’autobomba contro Carlo Palermo,<br />

l’uccisione di Peppe Montana (un figlio di<br />

questa città), di Ninni Cassarà.<br />

Altri giudici: Antonino Saetta, Rosario<br />

Livatino, Antonino Scopelliti.<br />

Altri giornalisti: Mauro Rostagno.<br />

Un imprenditore: Libero Grassi.<br />

Falcone al Ministero.<br />

Il dubbio della resa. Come si può combattere<br />

la Mafia dai palazzi del potere. Il potere<br />

di uno Stato lontano, incapace e…<br />

spesso colluso.<br />

Lui tentava di spiegarlo. Ma<br />

molti di noi non capivano.<br />

Un altro barlume di speranza arriva<br />

dalla conferma da parte della<br />

Cassazione delle condanne al<br />

primo maxiprocesso alla Mafia.<br />

E poi l’uccisione di Salvo Lima.<br />

Il 20 maggio del 1992 parto per<br />

il concorso di magistratura, che<br />

supererò.<br />

Lei, Francesca Morvillo, è in<br />

commissione. La prima mattina<br />

mi avvicino: “mi scusi dottoressa,<br />

io dovrei solo fumare e non<br />

voglio intasare la fila per i bagni, dove<br />

magari qualcuno aspetta di andare davvero”.<br />

Il suo sguardo dolce: “vedremo che si<br />

può fare”. L’indomani una saletta viene<br />

riservata ai fumatori sempre sotto la stretta<br />

vigilanza dei carabinieri che controllano<br />

che non parliamo tra noi candidati. Chissà,<br />

forse le tante sigarette di Falcone mentre<br />

lavorava l’aiutano a capire.<br />

Casablanca pagina 10<br />

Finisco l’esame e il 23 maggio parto per<br />

Bologna per andare a trovare un pezzo<br />

della mia famiglia.<br />

Il telegiornale dell’una è uno shock per<br />

tutti. Capaci.<br />

La scia continua…e anche la passione.<br />

Il volto di Paolo Borsellino. Il suo saluto<br />

all’amico è anche il suo saluto a noi.<br />

L’uomo che dovrebbe essere il più protetto<br />

dell’Universo è lasciato solo, con la sua<br />

misera scorta.<br />

Quante volte ho pensato che avremmo<br />

dovuto scortarlo noi tutti. Proteggerlo come<br />

l’ultimo baluardo, stringerci intorno a<br />

lui a migliaia, seguendolo passo passo.<br />

Non potevamo sapere che invece lo Stato<br />

“trattava”…. Eppure dovevamo essere più<br />

saggi.<br />

Il male di questa nostra Sicilia, orgogliosa<br />

ma impotente, è la delega.<br />

I puri delegano i puri, i corrotti delegano i<br />

corrotti. Ma nessuno che prende in mano<br />

“l’ascia di guerra”. Nessuno che alza la te-<br />

sta e dice: “IO”.<br />

IO devo combattere la mafia.<br />

IO devo proteggere chi la combatte.<br />

IO devo accusare chi non lo fa.<br />

IO devo essere libero, sempre.<br />

IO devo votare gli onesti.<br />

IO devo urlare: BASTA!


Solo il desiderio di immaginare una donna innamorata…<br />

Perché ti amo<br />

Lettera Immaginaria di<br />

Francesca Morvillo<br />

Ettore Zanca<br />

Lettera immaginaria di Francesca a Giovanni . Nessuna presunzione, solo il desiderio di<br />

immaginare una donna innamorata che pensa al suo innamorato. Una fantasia per<br />

ricordarla come una donna e non solo come un magistrato. Un ventitré maggio diverso,<br />

dolce, gentile, umano. Femminile. Solo un’immaginazione. Timida. Rispettosa. Riguardosa.<br />

Una cosa fatta in punta di piedi, solo per ricordare e sentirli vicini come persone a noi care.<br />

Non me lo hai mai chiesto, non me lo<br />

chiederai mai. Non a parole. I tuoi gesti<br />

e quell’aria protettiva rivelano un amore<br />

che non ti appartiene in dolcezze inutili,<br />

ma in comportamenti quotidiani. Io lo so<br />

che mi ami e tu lo sai che ti amo. E non<br />

me lo chiedi.<br />

Lo sai che ti amo perché hai un profondo<br />

senso del dovere, saldo come una<br />

scogliera, ma hai anche un sorriso che<br />

diventa il mare ondivago e malinconico<br />

che quella scogliera la lambisce. Ti amo<br />

perché so quanto ti costa il sacrificio che<br />

credi di imporre pure a me. Ti amo<br />

perché a volte anche nel momento più<br />

difficile della tua vita e del tuo mestiere,<br />

non mi hai mai negato un sorriso.<br />

Ti amo perché so quanto costa far<br />

valere legalità e diritto, forse perché<br />

faccio il tuo stesso mestiere. Ti amo<br />

perché so quanto tieni alle poche persone<br />

che ami davvero, la tua<br />

scorta, i tuoi amici, tanto<br />

che quando ti allontani e io<br />

resto sola con loro, a volte<br />

gli vorrei dire di non<br />

combattere la mafia con lo<br />

stesso accanimento con cui<br />

la combatti tu.<br />

Ti amo perché da quando<br />

sto con te non vedo il<br />

confine tra pericolo e vita<br />

quotidiana, lo stesso che<br />

forse c’è tra sogni e incubi.<br />

Ti amo perché con me<br />

diventi un bambino, tanto<br />

che ti sei dichiarato a mio fratello come<br />

un ragazzino, o quando davanti ai tuoi<br />

amici più cari hai fatto vedere che mi<br />

davi un bacio perché non ci credevano<br />

che stavamo<br />

insieme.<br />

Ti amo perché<br />

mi fanno ridere<br />

quelli che nella<br />

quotidianità<br />

più grigia<br />

vedono<br />

l’amore come<br />

una fatica, e<br />

noi allora?<br />

Ti amo perché devo dividerti con il tuo<br />

senso del dovere e dello stato. E perché<br />

noi due siamo una cosa simbiotica,<br />

infatti da quando non ci siamo più è<br />

difficile trovare foto pubbliche con me<br />

da sola.<br />

Casablanca pagina 11<br />

Ti amo perché nessun’altra donna<br />

avrebbe preso quello che mi hai detto tu<br />

come il più grande gesto d’amore verso<br />

una nuova vita. E per questo ti ringrazio<br />

Giovanni.<br />

Quando parlammo di bambini, mi dicesti<br />

di no. Ricordo ancora le parole: "Non<br />

generiamo orfani". Ti amo perché forse,<br />

grazie a te adesso ci piange una persona<br />

di meno, ma se ci fosse stato, nostro<br />

figlio avrebbe pianto più forte di tutti gli<br />

altri e io, anche dove siamo adesso non<br />

avrei sopportato il suo dolore, come<br />

qualsiasi madre che ha un cuore.<br />

Sempre tua. Francesca<br />

La mafia non è affatto invincibile; è un<br />

fatto umano e come tutti i fatti umani ha<br />

un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto,<br />

bisogna rendersi conto che si può vincere<br />

non pretendendo l'eroismo da inermi<br />

cittadini, ma impegnando in questa<br />

battaglia tutte le forze migliori delle<br />

istituzioni


Smit<br />

il Partigiano Siculo<br />

Santina Sconza<br />

Smit, il Partigiano siculo<br />

Le scarpe con le suole di sughero per attraversare le montagne piene di neve … freddo, fame,<br />

disagi, paure. Torture. I racconti dei nostri partigiani “morti per la libertà”; storia, poesia,<br />

epica, epopea.<br />

I siciliani che decisero di prendere la strada della clandestinità per lottare contro il fascismo<br />

furono moltissimi. Per lo più si trasferirono al nord. Alla fine della guerra alcuni riuscirono a<br />

ritornare nei loro paesi d’origine, altri no.<br />

Fra coloro che persero la vita nella guerra di liberazione: Graziella Giuffrida e Salvatrice<br />

Benincasa. torturate e uccise una a Genova l’altra a Monza.<br />

Fra i fortunati che riuscirono a ritornare Salvatore Militti, il partigiano Smit. Un arzillo<br />

anziano classe 1922 con tanta voglia di raccontarsi.<br />

Sembra uno scugnizzo<br />

napoletano. Piccolo e sottile di<br />

statura, agile e svelto come un<br />

gatto, gli occhi vivaci e<br />

trasparenti, sempre sorridente.<br />

Salvatore Militti non sembra un<br />

novantenne. Come se avesse<br />

trascorso una vita agevole, senza<br />

problemi. In realtà non è così,<br />

Salvatore inizia ad avere<br />

problemi fin dalla nascita.<br />

A tre mesi dalla nascita, nel<br />

1922 a Lentini in provincia di<br />

Siracusa viene abbandonato dal<br />

padre e vive nella casa dei<br />

nonni materni, famiglia<br />

numerosissima e patriarcale. A<br />

undici anni fa l’apprendista<br />

fabbro, l’anno dopo fa il<br />

meccanico e ripara i motori per<br />

il sollevamento dell’acqua dai<br />

pozzi artesiani. La passione per<br />

la meccanica lo accompagnerà<br />

fino ai nostri giorni, nella<br />

cantina della sua casa c’è ancora<br />

una officina da fabbro dove si<br />

dedica a piccoli lavori.<br />

Nel ‘40 prende il diploma scuola<br />

di avviamento professionale,<br />

l’anno successivo vince il<br />

Casablanca pagina 12<br />

concorso nelle Ferrovie dello Stato e il<br />

12 luglio del ‘41 inizia il suo servizio a<br />

<strong>Catania</strong>.<br />

Il 22 aprile del ‘42 riceve la cartolina<br />

militare per prestare servizio militare in<br />

marina, alla visita militare a Siracusa, a<br />

causa di una punta di ernia inquinale,<br />

viene trasferito nei ruoli di terra e prende<br />

servizio a Cuneo nel 33° Reggimento di<br />

Fanteria. Assegnato all’ufficio matricola,<br />

batte a macchina il modulo M.43 per i<br />

militari che vanno a visita di controllo<br />

all’ospedale militare di Alessandria.<br />

“L’otto settembre 1943 ero andato al<br />

cinema, durante l’intervallo alcuni<br />

commilitoni annunciavano a tutti i<br />

presenti la fine della guerra. Nessuno ci<br />

crede la proiezione continua, dopo alcuni<br />

minuti suona l’allarme e più voci ci<br />

invitano a correre in caserma. Rientrati,<br />

ascoltiamo il messaggio del Maresciallo<br />

Badoglio alla nazione che annuncia<br />

l’armistizio.<br />

Per alcuni giorni aspettiamo degli ordini<br />

che non arrivarono, così tutti decidemmo<br />

di lasciare Cuneo per poter tornare<br />

ognuno alla propria casa, ma l’Italia era<br />

spezzata e per me era impossibile


aggiungere la Sicilia. Mi ritrovai con tre<br />

emiliani tra cui Sergio Camparini e un<br />

romano, che essendo munito di patente,<br />

si reca in un deposito di auto e riesce a<br />

portar via una Millecento nuova di<br />

zecca. Con quell’auto ci avviammo<br />

verso Roma passando per l’Emilia,<br />

durante il percorso attraversammo il<br />

greto di ben cinque fiumi e nell’ultimo il<br />

Taro, essendo più ricco di acqua<br />

rimanemmo in panne, fummo costretti a<br />

spingere la macchina fuori dal fiume con<br />

tutte le nostre forze.<br />

Sulla via Emilia ci imbattemmo in posto<br />

di blocco tedesco, i militari armati di<br />

palette e mitra fermavano i mezzi<br />

pesanti, impauriti svoltammo su una<br />

strada laterale ma ci trovammo ad<br />

attraversare un campo pieno di tedeschi<br />

che sui prati si godevano un tranquillo<br />

riposo. Superato questo pericolo, ed<br />

essendo nelle vicinanze di Campagnola<br />

Emilia paese di Sergio, decidemmo di<br />

abbandonare l’auto e proseguire a piedi,<br />

durante il tragitto giungemmo presso una<br />

famiglia che conosceva il padre di<br />

Sergio, qui ci offrirono una cena calda e<br />

un posto dove dormire. Il giorno dopo ci<br />

prestarono una bicicletta per raggiungere<br />

a Campagnola Emilia la cascina di<br />

Sergio, dove fui accolto come un figlio<br />

ed avendo il padre un podere a<br />

mezzadria, mi fermai con loro a lavorare<br />

i campi”.<br />

Poco dopo la nuova Repubblica Sociale<br />

di Salò pubblicò un bando con il quale<br />

ordinava che tutti gli sbandati dovevano<br />

registrarsi nei comuni dove risiedevano,<br />

perché non sarebbero più stati richiamati<br />

alle armi.<br />

“ I primi di marzo del ‘44, invece i<br />

repubblichini richiamano alle armi le<br />

classi del ’22 e del ’23, a seguito dei<br />

nuovi ordini dovevamo recarci<br />

giornalmente in caserma per l’appello;<br />

ogni giorno qualcuno mancava e<br />

l’addetto alla chiamata alla fine diceva:<br />

quelli che non hanno risposto andranno<br />

subito sotto processo. In quei giorni,<br />

valutando che il regime fascista stava per<br />

essere sconfitto e la Sicilia era stata<br />

liberata, avevo contattato il Comitato<br />

Nazionale di Liberazione per poter<br />

disertare e recarmi in montagna per far<br />

parte delle formazioni partigiane”.<br />

Da quel giorno comincia la tua<br />

avventura da partigiano?<br />

“Si! Abbiamo atteso l’ordine del CNL, il<br />

17 marzo ci viene comunicato di non<br />

presentarci all’appello e di aspettare alla<br />

periferia di Reggio Emilia. Quella sera ci<br />

ritrovammo in sette. Calata la notte, si<br />

Smit, il Partigiano siculo<br />

presentò la nostra prima staffetta che ci<br />

accompagnò per la pianura fino alle<br />

prime colline, sfuggendo ai posti di<br />

blocco. Qui ci prese sotto la sua<br />

protezione Brenno, antifascista da lunga<br />

data.<br />

La marcia fu faticosa, i monti che<br />

sembravano vicini e coperti di neve in<br />

realtà erano sempre più lontani, le nostre<br />

scarpe con le suole di sughero non erano<br />

adatte ai percorsi di montagna, presto si<br />

sfondarono furono momenti di<br />

scoraggiamento, qualcuno pensava che<br />

forse sarebbe stato meglio tornare<br />

indietro. Nel posto convenuto non<br />

trovammo la nostra terza staffetta, allora<br />

Brenno ci lasciò in un bosco, e dovette<br />

tornare indietro per chiedere spiegazioni.<br />

Improvvisamente ecco che incontriamo<br />

la 7° Brigata Garibaldi comandata da<br />

Eros (Didimo Ferrari) reduce da uno<br />

scontro a fuoco con i fascisti.<br />

Eros aveva una lunga militanza<br />

antifascista, aveva già fatto dodici anni<br />

tra galera e confino. Eros era un vero<br />

comandante, quando si accorse che<br />

avevo le scarpe rotte mi disse: Ti do le<br />

mie”.<br />

Cosa successe dopo?<br />

“La nostra postazione fu una chiesa sul<br />

monte Ventasso. Al comando di Eros<br />

attaccammo una caserma di fascisti per<br />

procurarci armi,<br />

munizioni,<br />

vettovaglie e divise,<br />

dopo una breve<br />

sparatoria, i fascisti<br />

si arresero.<br />

Poi il distaccamento<br />

cui appartenevo si<br />

divise ed io passai al<br />

gruppo partigiano<br />

“Don Pasquino” al<br />

comando di William<br />

(Villa Massimiliano).<br />

Si dormiva di giorno<br />

e di notte si entrava<br />

in azione.<br />

Attaccavamo le<br />

caserme dei<br />

Carabinieri e dei<br />

fascisti presenti sul territorio. Una notte<br />

abbiamo anche attaccato e messo fuori<br />

uso una fabbrica di tannino, dove si<br />

produceva una vernice che esportata in<br />

Germania era utilizzata per gli aerei e<br />

carri armati”.<br />

Attaccavate le caserme dei carabinieri,<br />

qual era la loro reazione?<br />

“Ora ti racconto un episodio particolare<br />

Casablanca pagina 13<br />

– dice dopo aver riflettuto per un attimo<br />

- Una sera attaccammo una caserma di<br />

Carabinieri comandata da un sergente<br />

calabrese. L’ufficiale, accetta di<br />

dialogare con William, e gli consiglia di<br />

non tentare di espugnare la caserma,<br />

perché è ben difesa e minata, poi, con<br />

fare enigmatico dice: preferisci dieci<br />

oggi o venti domani. William capisce al<br />

volo e decide di ritirarsi. Il sergente si<br />

vantò con i suoi superiori della brillante<br />

vittoria contro i partigiani e la caserma<br />

fu rafforzata con una mitragliatrice.<br />

Alcune<br />

settimane<br />

dopo<br />

tornamm<br />

o e la<br />

mitragliat<br />

rice fu<br />

nostra. In<br />

altre<br />

incursion<br />

i<br />

incontra<br />

mmo dei<br />

carabinie<br />

ri amici<br />

di alcuni<br />

partigiani<br />

e<br />

facilment<br />

e li persuademmo a passare con noi”.<br />

Avete avuto scontri solo con i fascisti o<br />

anche con i tedeschi?<br />

“Una volta catturammo anche un<br />

capitano medico tedesco, Buck. Era il 17<br />

giugno 1944. Vi racconto com’è andata,<br />

il nostro comandante William, il<br />

commissario Gallo e altri due compagni,<br />

si recarono a Traversetolo per procurarsi


del cibo e riuscirono a farsi dare un<br />

grosso carico di grano. Nel frattempo si<br />

accorsero della presenza di un’auto<br />

tedesca, do ve alla guida c’era un<br />

capitano medico delle SS, la prontezza<br />

dei partigiani non diede tempo al<br />

capitano di difendersi, né di fuggire e fu<br />

catturato. Il nostro comandante felice per<br />

gli obiettivi raggiunti, ordinò di ritornare<br />

con le due macchine al rifugio. La<br />

presenza delle macchine ci fece<br />

sospettare un attacco tedesco, per cui<br />

velocemente ci appostammo per un<br />

agguato. Il tedesco fu sorpreso dalla<br />

nostra preparazione militare e ci fece i<br />

suoi complimenti. Buck fu tenuto<br />

prigioniero e si pensò di scambiarlo con<br />

dei partigiani detenuti a Reggio. Parlava<br />

bene l’italiano e per passare il tempo gli<br />

procurammo alcune riviste, lui ci diceva:<br />

Voi italiani avete troppe chiese e poche<br />

scuole”.<br />

Come avete proceduto per lo scambio?<br />

“La mediazione fu affidata a un prete.<br />

L’accordo prevedeva il rilascio, in zona<br />

partigiana, di ventitré prigionieri italiani,<br />

muniti di lasciapassare tedesco.<br />

Smit, il Partigiano siculo<br />

L’accordo fu accettato, e lo scambio<br />

ebbe luogo, i prigionieri erano tutti in<br />

cattive condizioni di salute e molti<br />

avevano subito torture.<br />

Il capitano medico, fu trattato così bene,<br />

che dopo il rilascio ci avvertiva dei<br />

rastrellamenti, facendoci pervenire delle<br />

lettere con gli itinerari che i<br />

nazifascisti avrebbero percorso. A<br />

novembre<br />

Una di queste lettere, fu consegnata a<br />

un capo distaccamento sassarese, lui<br />

la conservò in una tasca<br />

dimenticandola. Quando la<br />

consegnò al comando, ormai era<br />

troppo tardi, nel rastrellamento<br />

tedesco, dodici nostri compagni<br />

avevano trovato la morte”.<br />

Gli episodi di scambio fra<br />

partigiani e soldati tedeschi in<br />

quel periodo furono moltissimi, a volte<br />

con successo, altre no.<br />

“A volte le cose non andavano come<br />

speravamo. Con grande dolore non<br />

riuscimmo nonostante i nostri tentativi a<br />

liberare i sette fratelli Cervi che furono<br />

fucilati”. Un attimo di commozione poi<br />

riprende.<br />

“In autunno, come<br />

capo squadra, fui<br />

trasferito a<br />

Corniglio, un<br />

tranquillo paese, in<br />

cui era stato<br />

attrezzato un campo<br />

di lancio dove gli<br />

inglesi<br />

paracadutavano<br />

armi, munizioni e<br />

altra merce.<br />

Quando Radio<br />

Londra con<br />

messaggi in codice<br />

ci avvisava dei lanci<br />

di rifornimento,<br />

preparavamo delle<br />

fascine di legna<br />

disposte a forma di<br />

V, in attesa di essere<br />

accese appena si<br />

sentiva il rombo del<br />

motore dell’aereo.<br />

Un giorno ci<br />

lanciarono mille<br />

paia di scarpe di<br />

pura pelle e mille<br />

paia di suole di<br />

ricambio.<br />

Tra il novembre ‘44<br />

e gennaio ‘45 i<br />

tedeschi che<br />

avevano sentore<br />

della sconfitta,<br />

Casablanca pagina 14<br />

scatenarono due grossi rastrellamenti nel<br />

parmense, impiegando notevoli forze,<br />

nel primo ci furono più di cento morti tra<br />

i partigiani, il secondo fu meno<br />

drammatico perché i partigiani<br />

riuscirono a sganciarsi<br />

dall’accerchiamento. Finita questa fase,<br />

si fece<br />

molto<br />

forte la<br />

nostra pressione<br />

militare, andavamo a sottrarre i beni<br />

nascosti dalle famiglie che si erano<br />

arricchite con favori politici. Il 26 aprile<br />

del ‘45 ero al comando di un gruppo di<br />

venticinque partigiani e ci preparavamo<br />

alla conquista di Parma. Giunti alla<br />

periferia fummo bersaglio di franchi<br />

tiratori. Era una donna che facendo finta<br />

di stendere la biancheria, sul balcone di<br />

casa tra un capo e l’altro con un fucile ci<br />

sparava. La catturammo e la portammo<br />

al campo sportivo. Dopo alcuni giorni,<br />

liberata la città, in segno di<br />

riconoscimento a Parma che ci aveva<br />

ospitato ci fu una grande parata cui<br />

parteciparono tutti gruppi partigiani”.<br />

La guerra era finita, l’Italia era stata<br />

liberata “ mi fermai a lavorare nella<br />

cascina del mio comandante Lupo<br />

(Cesare Cepelli) fino al settembre del<br />

‘46, poi, pressato dalle continue lettere<br />

di mia madre, mi lasciai convincere a<br />

tornare in Sicilia.Arrivato a Lentini, feci<br />

domanda per rientrare in ferrovia, dopo<br />

il corso di aiuto macchinista fui<br />

assegnato alla guida di una locomotiva.<br />

Ho conosciuto Anna Giovanna e il<br />

dodici ottobre del ‘49 la sposai”.<br />

Grazie capitano Smit<br />

*Presidente Provinciale <strong>ANPI</strong> <strong>Catania</strong>


Maria Di Carlo: “non accettavo il divieto, la proibizione”<br />

Il maggio fu francese<br />

Rivoluzione culturale<br />

a Corleone<br />

Graziella Proto<br />

Maria aveva appena quindici anni e non accettava divieti e<br />

proibizioni: il padre la picchia e la chiude in casa, i frati<br />

francescani dicono che è indemoniata. Ama il “frocio “ del paese,<br />

Nino Gennaro, un appestato da evitare che metteva strane idee in<br />

testa ai ragazzi: la libertà, l’uguaglianza, la differenza, la mafia. Uno<br />

strano intellettuale. Maria Di Carlo ha capito che è affine a lui. Si<br />

batterà per essere se stessa, senza ipocrisie. L’amore per Nino sarà solo uno<br />

strumento, uno stimolo in più per realizzare la sua libertà. Una vita costellata da lotte, teatro,<br />

impegno sociale e tanto amore.<br />

Una vecchia stradina quasi angusta,<br />

caratteristica. A un estremo un archetto<br />

che unisce i due lati della strada,<br />

alla’altro delle vecchie e antiche mura.<br />

Fra le case che sembra debbano cadere<br />

da un momento all’altro, un palazzotto<br />

tardo ottocento apparentemente<br />

insignificante, fatiscente appoggiato alle<br />

vecchie mura. In questo palazzotto,<br />

trenta anni fa circa, è nata una specie<br />

di comune formata da dieci giovani che<br />

facevano i conti con la precarietà e la<br />

sopravvivenza quotidiana. Erano<br />

marziani? Erano libertini? Intellettuali<br />

strani? Erano persone provenienti da<br />

realtà, culture, mestieri differenti. I<br />

protagonisti del Teatro Madre, ideato e<br />

pensato da Nino Gennaro, un<br />

intellettuale siciliano eclettico. Un poeta<br />

non allineato, dalla coscienza civile<br />

scomoda. Un politico di strada. Attore,<br />

regista. Un omosessuale o bisessuale.<br />

Qui vive ancora la donna che fu sua<br />

compagna di vita e di lotta. La sua<br />

discepola prediletta. La sua ispiratrice.<br />

Una scala stretta e ripida. Interminabile.<br />

Alla sommità della scala s’intravvede un<br />

aggrovigliamento immenso e scuro. Si<br />

presuppone di capelli. Visto da vicino un<br />

cespuglio nero è fatto di riccioli<br />

dispettosi, disordinati, ribelli. Ognuno<br />

deciso a non seguire l’altro. Ognuno per<br />

la sua strada. Lo strano cespuglio ci<br />

attende gioiosamente in cima,<br />

all’ingresso dell’ultimo piano. Non<br />

ricordo bene l’ingresso, perché subito si<br />

passò in uno spazio che non saprei<br />

definire. Un piccolo salone? Un vasto<br />

corridoio? Poco importa. La luminosità,<br />

una luce che arriva dalle vetrate di un<br />

terrazzo non particolarmente curato, non<br />

pieno di piante esotiche straordinarie o<br />

particolari, subito ti colpisce. Il<br />

pavimento non è ricoperto dalle solite<br />

mattonelle, forse vetro o forse no, ma i<br />

raggi che vi arrivano sopra ne riflettono<br />

il colore, si mischiano. Quella luce<br />

intanto ti avvolge. Ti distrae. Un<br />

ambiente bizzarro e accogliente.<br />

Affascinante. Anche le altre stanze<br />

emanano lo stesso sentire. Spazi<br />

suggestivi senza che ci sia qualcosa di<br />

particolare. Di costoso. Di pregiato. Anzi<br />

la nostra ospite si prodigherà a spiegarci<br />

che in quella casa tutto è riciclato. Ogni<br />

oggetto, trovato o donato ha una sua<br />

storia precisa. Tutto, sembra essersi<br />

fermato agli anni settanta. Quella è<br />

Casablanca pagina 15<br />

l’atmosfera che si respira. Le librerie<br />

metalliche rosse, i poster dei<br />

rivoluzionari, le vecchie poltrone<br />

trafugate nelle case delle nonne. Ci si<br />

trova immersi in un’atmosfera intrigante<br />

e coinvolgente. Ci mettiamo nello studio.<br />

Una specie di santuario. La poltrona di<br />

Nino vicino ai vetri che danno sul<br />

terrazzo, l’unica parete non coperta dalle<br />

librerie è piena di locandine dei suoi<br />

spettacoli, i suoi lavori, sue foto.<br />

Quel cespuglio irto, ribelle e selvaggio<br />

ha una faccia deliziosa e un nome Maria.<br />

Maria Di Carlo è un fiume straripante.<br />

Ascoltarla è bello, perché mentre parla,<br />

si muove, cammina, ride, gesticola, a<br />

volte recita, non per mistificare, ma per<br />

passione, partecipazione al ricordo. A<br />

diciassette anni divenne famosa perché a<br />

Corleone, denunciò il padre che la<br />

privava della libertà di frequentare il<br />

ragazzo che le piaceva e i frati<br />

francescani del rinnovamento per averla<br />

sottoposta all’esorcismo. Mentre<br />

osserviamo per capirne di più inizia a<br />

parlare. “Qui con Nino siamo stati<br />

diciotto anni. Abbiamo vissuto nella<br />

stessa casa fino alla fine. Non in senso<br />

coppia. Negli ultimi anni avevo già


Maria Di Carlo: “non accettavo il divieto, la proibizione”<br />

l’attuale compagno, anche lui Nino. La<br />

vita di coppia era già finita ma, in realtà<br />

non finisce, si trasforma, sfuma in<br />

qualcosa di più, di meglio. Lo reputo il<br />

mio partner per antonomasia. E’ stata la<br />

persona con cui ho condiviso<br />

maggiormente il senso di complicità.<br />

Quando è morto, avevo trentasei anni.<br />

Nel 1980, in questa casa, Nino Gennaro<br />

creò il gruppo “Teatro Madre”, dal nome<br />

di una sua opera: Una compagnia di non<br />

attori, un teatro insolito, povero e senza<br />

mezzi. La scena? Piazze, università,<br />

case. Tutti luoghi in cui si potevano<br />

svolgere dibattiti e momenti di<br />

comunicazione. Maria ne è l’interprete.<br />

Anche lui recita.<br />

COMPAGNA DI VITA<br />

E DI LOTTA<br />

Nino Gennaro è stato un attivista<br />

nella lotta alla mafia per i diritti<br />

sociali, per la libertà, per la<br />

diversità. Poeta e drammaturgo. Era<br />

un bisessuale ed ha vissuto in tempi<br />

di forte arretratezza culturale<br />

soprattutto nell’entroterra<br />

siciliano, a Corleone, feudo di<br />

Luciano Liggio. La sua<br />

personalità dirompente,<br />

poliedrica e pirotecnica<br />

affascinava i giovani di<br />

Corleone, ne faceva un<br />

educatore di strada, ma, agli occhi<br />

dei genitori era un frocio pericoloso<br />

che plagiava i loro figli.<br />

“ L’aspetto eterosessuale era quello<br />

predominante. Più profondo. In lui<br />

c’era anche l’altra dimensione.<br />

Nino non sottaceva, la viveva e basta.<br />

Per me era come un punto a suo favore.<br />

Nino rispetto agli altri aveva una marcia<br />

in più”.<br />

Fra il 1974 e il 1975, a Corleone, per i<br />

ragazzi la vita è dura. Maria, figlia di<br />

medico e studente ginnasiale fa parte<br />

dell’azione cattolica, frequenta corsi di<br />

teologia, fa catechismo ai piccoli,<br />

insomma una signorina di buona<br />

famiglia. Partecipa a una specie di<br />

rinnovamento religioso gestito dai frati<br />

francescani che avevano occupato il<br />

vecchio carcere borbonico e lo avevano<br />

riadattato. Erano diversi dai nostri preti,<br />

vestivano sempre con la stessa tonaca,<br />

camminavano estate e inverno con i<br />

sandali o a piedi nudi, predicavano la<br />

povertà, vivevano della carità della<br />

gente. Per i ragazzi erano molto<br />

affascinanti. I frati, in quel tempo<br />

organizzavano anche il cosiddetto<br />

Cursiglio d’importazione spagnola. Era<br />

una tre giorni di liturgie, preghiere e<br />

giaculatorie per sposi, per fidanzati, per<br />

ragazzi. La ragazza partecipa anche al<br />

Cursiglio, ma alla fine, a differenze di<br />

tutti gli altri, ne esce diffidente. Tuttavia,<br />

ha un bellissimo rapporto con Fra<br />

Cristoforo, molto amato dai giovani<br />

attratti oltre che dalla sua retorica, dalla<br />

sua tonaca piena di pezze. Toppe<br />

coloratissime.<br />

Nella Corleone di allora Maria teorizza<br />

la libertà di costumi, libertà sessuale,<br />

sesso prima del matrimonio. Solo teoria,<br />

la pratica era diversa. Aveva circa<br />

quindici anni, nelle scuole di Corleone le<br />

classi miste erano appena nate, in aula<br />

prima entravano le femmine e poi i<br />

maschi. Rispetto alle altre era un poco<br />

più libera. La domenica andava alle<br />

baracche, teneva i bimbi dei<br />

baraccati per farli<br />

partecipare<br />

alla messa.<br />

“Non avevo alternative. Pensavo che a<br />

Corleone non esistesse altro. Ero<br />

ignorante perché non passava nulla”.<br />

Una situazione intellettuale e culturale<br />

soffocante.<br />

Anche a scuola una serie di episodi<br />

rende il clima pesante. I ragazzi<br />

protestano e trasgrediscono?. I genitori si<br />

mettono d’accordo per tenerli più<br />

repressi. I ragazzi si ribellano Una specie<br />

di corpo a corpo per i ragazzi, da un lato<br />

con genitori e dall’altro con professori.<br />

Succede che a un cineforum proiettano<br />

“Romanzo popolare”, alla fine una<br />

professoressa attacca il film come<br />

scandaloso e pornografico. ” Per la<br />

prima volta in vita mia prendo la parola<br />

in pubblico. Con la gola strozzata e la<br />

voce tremolante faccio un intervento<br />

nevrotico in cui sostengo che per me non<br />

lo era per niente anzi lo trovavo<br />

Casablanca pagina 16<br />

interessante. Aggiungo, che a Corleone i<br />

ragazzi eravamo sotto una cappa<br />

mortifera insopportabile e che noi<br />

volevamo contaminarci. Alla fine, in un<br />

crescendo isterico ci infilai il mio<br />

discorso tipico dell’epoca, cioè i rapporti<br />

prematrimoniali sono una cosa sacro<br />

santa e se questo significava essere<br />

puttane ebbene sì, io ero felice di essere<br />

una puttana. Un putiferio. Questa cosa in<br />

pochi minuti fa il giro del paese e<br />

all’uscita del cinema mi viene incontro<br />

Nino Gennaro cui hanno già raccontato e<br />

mi dice che mi vuole conoscere e che mi<br />

manderà un suo libro di poesie. Me lo<br />

porterà Giovanna una sua amica che<br />

diventerà anche mia e che sarà la prima<br />

abitante di questa casa. Il titolo del libro<br />

è strano e lunghissimo. Folle. “Il Maggio<br />

fu francese, rivoluzione culturale<br />

meridionale, A ognuno il suo Vietnam,<br />

super show per persone intelligentissime,<br />

a Luciano Liggio che ha ammazzato<br />

Michele Navarra … “ Lo lessi<br />

immediatamente. Capivo, non capivo,<br />

non so cosa capivo, ma, era una sferzata.<br />

Scopro che a Corleone esisteva<br />

dell’altro, che c’erano persone molto<br />

interessanti che potevo conoscere”.<br />

Un’onda oceanica.<br />

Non tutti la pensano come Nino.<br />

Il padre di Maria va su tutte le<br />

furie. Ha una figlia perversa? E poi<br />

che figura ci fa con gli altri? Iniziano<br />

le repressioni e le punizioni.<br />

L’ESORCISMO<br />

La ragazza è una cattolica praticante,<br />

eccentrica, come l’idea che ha della<br />

confessione, non pentimento ma<br />

confronto. Succede così che durante un<br />

confronto-confessione con fra Cristoforo<br />

suo padre spirituale, gli dice<br />

dell’assemblea e delle sue idee di<br />

libertà. “Tu sei fuori strada, mi dice Fra<br />

Cristoro, tu non lo puoi fare, è<br />

assolutamente sbagliato – per poi<br />

aggiungere - Io questa notte ho avuto un<br />

incontro col demonio che mi ha buttato<br />

giù dal letto tanto che ho dovuto dormire<br />

ai piedi del tabernacolo. Adesso in te<br />

vedo la personificazione del maligno …<br />

ti vuoi sottoporre all’esorcismo. Sei<br />

troppo sbagliata figliola”<br />

Maria ha visto il film, l’esorcista, cosa le<br />

potrebbe accadere? Pensa, al massimo<br />

vomito, quindi la curiosità, i quindici<br />

anni, il dubbio che forse è sbagliata<br />

veramente, anzi indemoniata, la<br />

consegna di non parlarne con nessuno,<br />

accetta.<br />

***<br />

“Cristoforo raduna tutti gli altri ragazzi


Maria Di Carlo: “non accettavo il divieto, la proibizione”<br />

in una stanza a pregare, loro non sanno<br />

cosa sta succedendo, sanno che c’è<br />

bisogno delle loro preghiere. Nell’altra<br />

stanza inizia il rito. Il frate mi dice di<br />

inginocchiarmi, io mi rifiuto. Comincia a<br />

leggere preghiere di San Lorenzo,<br />

mostra le ginocchia callose per tutto il<br />

tempo in cui sta inginocchiato in<br />

preghiere, mi chiede di baciargli forse il<br />

cordone o la mano non ricordo perché<br />

ridacchiavo, insomma manifestavo tanti<br />

segni di non pentimento e disturbanti.<br />

Non mi dà l’assoluzione. Alla fine mi<br />

vieta categoricamente di parlarne con gli<br />

altri. Non ne parlerò. Per circa un anno e<br />

mezzo, continuerò a frequentare il<br />

gruppo, mi confesserò con altri frati.<br />

Non mi daranno l’assoluzione. Mancava<br />

il pentimento”. Pentirsi di che?<br />

L’INCONTRO CON<br />

NINO GENNARO<br />

Non c’è dubbio, Nino Gennaro è stato un<br />

portatore di innovazione a Corleone.<br />

Con un finanziamento dell’allora Psi,<br />

aveva creato la sede della Federazione<br />

Giovanile Socialista, un posto, dove i<br />

ragazzi trovavano di tutto, Bibbia, Reich,<br />

Famiglia Cristiana, Manifesto, L’Ora,<br />

fumetti, contro l’aborto di classe e tanto<br />

altro. A Corleone esisteva una sola<br />

libreria, lui metteva a disposizione di chi<br />

volesse leggere, tutto quel materiale, per<br />

far vedere che non esiste un modo solo<br />

di pensare e di vedere le cose. Il suo<br />

obiettivo era quello di combattere l’idea<br />

di un pensiero unico, di far aprire il<br />

paese che era chiuso in se stesso.<br />

Un’oasi incontaminabile come sosteneva<br />

il preside.<br />

La sede della FSG, era un posto in cui si<br />

ritrovavano persone che mai si sarebbero<br />

potute incontrare; muratori, elettricisti,<br />

studenti. Tutti convogliati da Nino, dal<br />

suo modo di fare pirotecnico. Era<br />

brillante, buffo, divertente. Uno che<br />

passava notti intere con giovani operai a<br />

parlare di sindacato e diritti. Vivace e<br />

affascinante. Non era un grigio e serioso<br />

funzionario di partito. Quasi tutti i<br />

ragazzi frequentavano la sede FGS di<br />

nascosto alle loro famiglie, entravano e<br />

uscivano dalla sede come fosse una<br />

catacomba. Un periodo di grandi<br />

apprendimenti per loro. Riunioni,<br />

dibattiti, riflessioni. Non esiste il<br />

monopolio del pensiero, tu fatti il tuo.<br />

Ed ancora, A Corleone non siamo tutti<br />

gregari di Liggio. Maria ne era molto<br />

affascinata.<br />

Quando il psi gli tolse il finanziamento<br />

perché non gli interessava quel tipo di<br />

lavoro che non gli portava voti, crearono<br />

il centro di aggregazione popolare<br />

Placido Rizzotto. Dove Maria non andò<br />

mai perché nel frattempo a casa sua, con<br />

suo padre succedeva il cataclisma.<br />

“Su suggerimento di Nino nel 1975<br />

abbiamo festeggiato l’8 marzo.<br />

Partecipammo in quattro. Io e una mia<br />

compagna avevamo scritto un libriccino<br />

ciclostilato – Alternativa -in cui<br />

raccontavamo della nostra situazione a<br />

Corleone, fatta di repressioni e<br />

restrizioni. Naturalmente non abbiamo<br />

firmato gli articoli con nostri nomi, ma<br />

con pseudonimi. I miei mi scoprirono e a<br />

casa mi fecero un cazziatone.<br />

Cominciarono le botte. Mio fratello che<br />

assieme a me frequentava il gruppo,<br />

batté subito in ritirata. Mia madre non<br />

condivideva mio padre ma, non aveva il<br />

coraggio di opporvisi”. Lei non si<br />

arrende.<br />

“Nino per il paese era il frocio. Era un<br />

pervertito, una persona da non<br />

frequentare. Da isolare. Una persona<br />

proibita. A distanza di tanti anni quando<br />

parliamo di quest’argomento con gli<br />

amici di allora, concordiamo sul fatto<br />

che l’omosessualità di Nino, fra noi non<br />

veniva fuori perché non era smaccata,<br />

non era esibita. Lo sapevamo perché lo<br />

dicevano gli altri. In paese sicuramente<br />

non era una sua pratica, in ogni modo era<br />

una persona molto proibita. Ci si<br />

frequentava di nascosto. In un crescendo<br />

di repressione i vari padri si coalizzano<br />

per non farci vedere più .Insomma ci<br />

separano. Non solo. Mio padre per<br />

piegarmi mi ritira dalla scuola. Subito i<br />

professori intervengono perché ero<br />

brava. Ritorno a scuola ma, a ogni<br />

piccola cosa mi ritira nuovamente. Ogni<br />

occasione era un pretesto per ribadire chi<br />

comandava e chi doveva ubbidire. Una<br />

Casablanca pagina 17<br />

volta partecipai assieme a due mie<br />

compagne allo sciopero dei braccianti.<br />

Non so il perché o le ragioni, percepivo<br />

solo che volevo stare dalla parte dei più<br />

deboli e per me in quel momento loro lo<br />

erano. Tranne noi tre ragazzine, era una<br />

folla di soli uomini. Cosa ricordo? Tante<br />

cacche di vacca. Conseguenze? Legnate.<br />

Ritiro dalla scuola. Chiuse, isolate a<br />

casa. Niente telefono. Per mesi con<br />

Nino non ci si vede. Io in pratica sono<br />

segregata. Inoltre, mio padre aveva<br />

chiesto al preside di non farmi uscire<br />

durante l’intervallo. Pianti e disperazione<br />

da parte mia che accusai anche il preside<br />

di rendersi complice di questa mia<br />

situazione famigliare. Ero disperata, ma<br />

non mollavo. Buscavo legnate e<br />

meditavo vendetta”<br />

Per tentare di ammorbidire il padre, la<br />

ragazza tenta di parlare con padre Umile,<br />

uno dei francescani, ma con il monaco,<br />

non si capiscono proprio. La pensa come<br />

il genitore, le dice che è sbagliata, che la<br />

deve smettere. A questo punto la giovane<br />

arrabbiata gli racconta dell’esorcismo<br />

minacciando di svergognarli con tutto il<br />

mondo. Maria è esasperata. Ha già<br />

compiuto diciassette anni.<br />

IL VOLANTINO<br />

“Un giorno mentre stavo per andare a<br />

scuola, arriva mio padre con un<br />

volantino in mano in cui c’era una<br />

vignetta che raffigurava lui a braccetto<br />

col preside ed io racchiusa in una gabbia.<br />

“Lo sa i che a scuola fanno queste<br />

cose?” “ Sì e me ne compiaccio”.<br />

Reazione immaginabile. Mi dà una<br />

scarica di legnatone e dopo esce da casa.<br />

Io eludo la sorveglianza di mia madre.<br />

Ed esco a ruota. Vado da una mia vicina<br />

e le chiedo di accompagnarmi al<br />

commissariato perché voglio denunciare<br />

mio padre. La signora si limita a fare giri<br />

a vuoto in macchina pensando che io mi<br />

distraessi e ci ripensassi. Mi accorgo di<br />

ciò e ancora più arrabbiata scendo dalla<br />

macchina.<br />

Per strada incontro due miei amici, con<br />

loro vado al centro Placido Rizzotto e lì,<br />

incontro Nino che non vedevo da mesi.<br />

Cerca di farmi ragionare, riflettere sulle<br />

conseguenze e nel frattempo scrive e<br />

disegna qualcosa. Ma io sono su tutte le<br />

furie, non voglio sentire ragioni, con i<br />

due amici vado al commissariato. Loro<br />

sono figli di due marescialli, mi<br />

accompagnano e se ne vanno. I loro<br />

padri sono sulla stessa lunghezza d’onda<br />

del mio e quindi non fanno altro che<br />

telefonare a casa mia per rassicurare lui e<br />

mia madre, - dottore, non è successo


Maria Di Carlo: “non accettavo il divieto, la proibizione”<br />

niente … fra poco la condurranno a casa<br />

…<br />

- ma dovete verbalizzare - urlo<br />

indispettita! Loro non mi davano conto.<br />

Arriva la telefonata di un giornalista de<br />

L’ORA, Giuseppe Cerasa che dice<br />

maresciallo, so che da voi c’è Maria Di<br />

Carlo che sta denunciando suo padre<br />

cosa sta succedendo? E a questo punto<br />

hanno dovuto verbalizzare. Nel<br />

frattempo Nino arriva alla scuola, i<br />

ragazzi non sono ancora entrati e li<br />

avvisa che io ero al commissariato. La<br />

lasciamo sola? Volete fare scuola?<br />

Bisogna fare un’assemblea. Una<br />

professoressa con la sua scolaresca<br />

arriva al commissariato per testimoniare<br />

a mio favore”.<br />

Esce sul giornale. Notizia per<br />

telegiornali. L’insegnante avrà problemi<br />

penali perché aveva portato i ragazzi in<br />

commissariato senza autorizzazione.<br />

Maria e Nino diventano protagonisti di<br />

trasmissioni radiofoniche e televisive.<br />

Roba da prima pagina. Esperti che si<br />

confrontavano sul tema. Il paese pieno di<br />

giornalisti.<br />

“Quando pensai di denunciare mio padre<br />

non pensavo ad una vera e propria<br />

denuncia, con le conseguenze che ci<br />

sono state, pensavo ad una tiratina di<br />

orecchie. Invece la situazione mi sfuggì<br />

di mano”. Per mesi vive in isolamento<br />

fuori paese. Era la plagiata della<br />

situazione. “Mi trattavano bene, ma,<br />

m’impedivano di campare”.<br />

IL PROCESSO<br />

Tuttavia l’atmosfera era pesante, la<br />

situazione grave, specialmente per il<br />

dott. Di Carlo. Durante l’istruttoria erano<br />

venuti fuori i lividi dell’ultima legnata.<br />

Alle perizie seguono le controperizie.<br />

Un balletto di perizie. La situazione è<br />

incontrollabile.<br />

Era ancora una ragazzina minorenne. Al<br />

processo la parte civile dovrebbero<br />

Il dott. Di Carlo invece aveva due avvocati.<br />

Due principi del foro. L’avvocato Triolo che<br />

morirà ammazzato a Corleone, l’avv. Campo<br />

che difendeva i mafiosi.<br />

essere i genitori, ma il padre era<br />

l’accusato e la mamma non lo volle fare.<br />

Quindi non c’era avvocato accusatore. Il<br />

dott. Di Carlo invece aveva due<br />

avvocati. Due principi del foro.<br />

L’avvocato Triolo che morirà ammazzato<br />

a Corleone, l’avv. Campo che difendeva<br />

i mafiosi. Il processo è fissato per la<br />

settimana successiva alla chiusura della<br />

scuola. Al processo uno dei due legali<br />

impronta la difesa sul fatto che Nino<br />

Gennaro è omosessuale, quindi un<br />

malato, come tale da curare. Anzi,<br />

aggiunge l’altro, è bisessuale, quindi un<br />

vizioso. Usava droghe. Organizzava orge<br />

e festini, ha plagiato una ragazzina<br />

diciassettenne, deve essere punito. Il<br />

procuratore del Tribunale dei Minori è<br />

Giacomo Conte socio fondatore di quello<br />

che poi diventerà il Centro Impastato,<br />

deciderà che c’è stato abuso di metodi<br />

educativi e lesioni. Pertanto sarà il<br />

genitore a essere condannato: un mese di<br />

reclusione con la conseguente perdita<br />

della patria potestà. Un fatto solo<br />

simbolico perché dopo una settimana<br />

Maria avrebbe compiuto diciotto anni e<br />

sarebbe diventata maggiorenne.<br />

A casa c’era il lutto. Centinaia di visite<br />

in omaggio al capo famiglia. Una specie<br />

di cordoglio al padre. Alla<br />

ragazza sarà proibito pranzare a<br />

tavola con il resto della famiglia.<br />

Comunque la giovane Maria si<br />

incontra il suo Nino, senza che il<br />

padre le dicesse nulla. Non<br />

poteva. Tuttavia alla presenza di<br />

ospiti, tenterà di lanciarle una<br />

bottiglia.<br />

Un giorno in pieno centro di<br />

Corleone Nino è circondato da<br />

un gruppo di giovinastri che<br />

tentano di caricarlo in macchina.<br />

Comincia ad avere telefonate<br />

minatorie. Si trasferisce<br />

definitivamente a Palermo, dove<br />

stava durante i mesi del processo.<br />

Dopo una settimana che ha compiuto<br />

diciotto anni anche Maria, si trasferisce a<br />

Palermo.<br />

“Non c’è nessuna certezza. Cosa farò,<br />

dove vivrò, con chi vivrò. Con Nino non<br />

avevamo deciso nulla. Insomma una<br />

cosa molto anomala”. Erano diventati<br />

un caso famoso, tutti li cercavano. “Non<br />

abbiamo avuto<br />

difficoltà che ci<br />

ospitassero. Per molto<br />

tempo abitammo alla<br />

Vucceria. All’inizio,<br />

anche in questa casa<br />

fummo ospitati, poi, si<br />

liberò una stanza e la<br />

prendemmo noi. Ci<br />

abitava già Giusi<br />

Gennaro, Giovanna ed altri amici ,<br />

finimmo col restare. Ed è diventata la<br />

nostra casa. Scherzosamente chiamavo<br />

Nino fufo, dal 79 questa fu la casa dei<br />

fufi”.<br />

Abbandonò gli studi e lavorò da subito.<br />

Casablanca pagina 18<br />

La giornata tipo di Maria ragazza bene di<br />

Corleone, figlia di medico, che era<br />

cresciuta con la cameriera prevedeva<br />

tanto lavoro. Cameriera, bambinaia,<br />

insomma quello che capitava. “I miei mi<br />

avrebbero mantenuto anche all’estero, se<br />

avessi rinunciato a quel rovina famiglie<br />

di Nino. Cosa improponibile e<br />

inaccettabile. La rottura con mio padre<br />

comunque era iniziata prima che nella<br />

mia vita arrivasse Nino. Non sopportavo<br />

divieti e proibizioni”<br />

Hanno rapporti e contatti con gruppi,<br />

centri sociali, associazioni, ovunque<br />

c’era materiale umano con cui innestarsi.<br />

Erano sempre in giro, ma c’erano anche i<br />

momenti di casa scuola, teatro, letture,<br />

riflessioni. Senza tv. Si cucinava e si<br />

stava assieme.<br />

Rimpianti? No. Sono state cose molto<br />

sofferte. C’è stato tanto dolore Mia<br />

madre per vedermi veniva nel posto,<br />

dove io lavoravo di nascosto a mio<br />

padre. Cinque minuti e via. Morirà per<br />

questo, e con questo dolore. Per la<br />

situazione dell’epoca, non potevo fare<br />

che le cose che ho fatto. O ti adagiavi o<br />

ti ribellavi. Ne è valsa la pena, ho avuto<br />

la possibilità di vivere con Nino, una vita<br />

intensa, particolare. Non è stata solo una<br />

storia di amore, ho vissuto con Nino a<br />

360 gradi”.<br />

LA MALATTIA DI NINO<br />

“L’ AIDS è una malattia infamante. Una<br />

malattia il cui immaginario è legato a<br />

sesso diffuso e uso di droga. Nino non ha<br />

mai fatto uso di droghe. All’inizio,<br />

quando seppe della sua malattia, andò<br />

via da questa casa, non voleva vedere<br />

nessuno, non voleva parlare con<br />

nessuno. Erano anni in cui di ADS si<br />

moriva. Non ci si curava bene o male<br />

come ci si cura oggi. Anche noi, tutti<br />

quelli che gli stavamo vicino al principio<br />

ci lasciammo sopraffare dalla notizia.<br />

Poi ci fu un periodo di organizzazione.


Maria Di Carlo: “non accettavo il divieto, la proibizione”<br />

Nino avrà un recupero meraviglioso e<br />

vivrà questa sua malattia preparandosi<br />

tante cose come sempre”. Ha vissuto la<br />

malattia e l’attesa della morte in modo<br />

collettivo.<br />

Nella casa aperta quindi, l’attività e il<br />

fermento continua. Attorno a Nino<br />

arrivano amici da ogni parte. Chi lavava,<br />

chi cucinava, chi gli faceva la rassegna<br />

stampa.<br />

Nella loro storia d’amore e di<br />

politica era prevista una<br />

alla morte, vivendo in modo più intenso<br />

possibile. Non chiudendosi. Facendo<br />

trasformazione, una evoluzione, ma, non<br />

ci poteva essere alcuna rottura. Infatti,<br />

continueranno a vivere nella stessa casa,<br />

faranno le cose di sempre da soli o<br />

assieme agli altri dieci. Teatro, politica,<br />

volontariato. Avevano creato<br />

associazioni, gruppi culturali, il centro<br />

sociale San Saverio, Comitato Cittadino<br />

di Informazione e<br />

Partecipazione, per<br />

dirne solo alcuni. Il<br />

Quando ci siamo conosciuti già eravamo<br />

due persone affini. In lui ho riconosciuto<br />

l’anima gemella. Non sono una sua<br />

creazione<br />

Casablanca pagina 19<br />

loro rapporto complesso e complicato<br />

ora, era una grande, intensa sintonia e<br />

complicità. Fino all’ultimo momento.<br />

Era il settembre del 1995.<br />

Se la giovane Maria non avesse<br />

incontrato Nino?<br />

“Quando ci siamo conosciuti già<br />

eravamo due persone affini. In lui ho<br />

riconosciuto l’anima gemella. Non sono<br />

una sua creazione”. Brava Maria.


Pio La Torre: un popolo in marcia<br />

Pio La Torre<br />

Un popolo in marcia<br />

Adriana Laudani<br />

Era un uomo forte e ostinato, mosso da passioni e convinzioni profonde. Un miscuglio di<br />

dinamismo, entusiasmo ed energia inesauribile. Infaticabile. Aveva chiesto al partito<br />

nazionale di ritornare in Sicilia con un ruolo di massima responsabilità. Creò un movimento<br />

di massa capace di fare “marciare” insieme cattolici e comunisti, giovani e vecchi. Un popolo<br />

in marcia e finalmente protagonista del suo destino. Un milione di firme contro la base<br />

missilistica e la militarizzazione della Sicilia. La campagna contro l’agio e i privilegi degli<br />

esattori Salvo e Cambria, i cavalieri del lavoro Costanzo, Rendo e Graci e dei capi mafia<br />

Greco. Il sistema di potere politico-affaristico-mafioso. L’impegno per una legge che<br />

configurasse il reato di associazione mafiosa e nello stesso tempo colpisse gli immensi<br />

patrimoni illegalmente accumulati: La Legge La Torre che sarà convalidata dopo la sua<br />

morte.<br />

In questi giorni si sono moltiplicate le<br />

iniziative di “commemorazione” di Pio<br />

La Torre, segretario del P.C.I. siciliano,<br />

ucciso il 30 aprile del 1982, solo ventisei<br />

giorni dopo la straordinaria<br />

manifestazione di Comiso<br />

contro l’installazione dei missili<br />

Cruise, per la cui riuscita aveva<br />

lavorato giorno e notte, senza<br />

tregua. Una manifestazione di<br />

popolo, pacifica e al tempo<br />

stesso combattiva, animata da<br />

migliaia di donne e giovani,<br />

operai e intellettuali, venuti da<br />

ogni parte della Sicilia e<br />

dell’Italia per contrastare una<br />

scelta che avrebbe trasformato<br />

l’Isola, come Lui ripeteva<br />

“ossessivamente”, in un’aria<br />

militarizzata, sottratta allo<br />

sviluppo, aperta ai traffici di<br />

armi e droga, porto franco per la<br />

mafia e i suoi affari.<br />

Aveva chiesto al partito<br />

nazionale di ritornare in Sicilia con un<br />

ruolo di massima responsabilità. Urgeva<br />

dentro di lui il senso di una personale<br />

“missione” da compiere: mettere a<br />

servizio della sua terra l’esperienza e le<br />

conoscenze accumulate in tanti anni di<br />

lavoro nel sindacato, nel partito e nel<br />

Parlamento; promuovere e dirigere un<br />

processo politico e un movimento di<br />

massa in grado di liberare la Sicilia dalle<br />

ipoteche mortali rappresentate dalla<br />

mafia e dalla presenza della base<br />

missilistica di Comiso. Enrico<br />

Berlinguer, stravolto davanti al corpo<br />

Casablanca pagina 20<br />

inerme e martoriato di Pio, volle<br />

ricordarlo così, non tacendo le<br />

incomprensioni e i “sospetti” che pure<br />

qualcuno aveva avanzato di fronte alla<br />

sua ostinata richiesta di dirigere il partito<br />

siciliano in una fase che egli<br />

riteneva decisiva per il<br />

futuro dei siciliani.<br />

Sì, perché era un uomo forte<br />

e ostinato, mosso da<br />

passioni e convinzioni<br />

profonde, dalle quali traeva<br />

una energia inesauribile e<br />

davvero non comune; che<br />

gli consentivano di porre a<br />

sé e a tutto il movimento<br />

obiettivi politici che altri<br />

avrebbero considerato<br />

impossibili o addirittura<br />

improponibili. Così l’ho<br />

conosciuto, appena<br />

designato Segretario del<br />

Partito siciliano, quando mi<br />

chiese di fare parte della sua<br />

segreteria, nell’autunno del 1981, ancor<br />

prima del Congresso regionale che lo<br />

avrebbe formalmente eletto nel gennaio<br />

dell’ottantadue.


UN POPOLO IN MARCIA<br />

Bisognava partire subito, diceva, non si<br />

poteva perdere un giorno. Le scelte<br />

adottate (“cinicamente”) dal Governo<br />

nazionale e dal Ministro alla Difesa ai<br />

danni della Sicilia erano già operative.<br />

La posta in gioco era tale da non<br />

consentire a nessuno di ritenere che<br />

bastasse una forte opposizione<br />

parlamentare per mutare gli orientamenti<br />

definiti e gli equilibri politici raggiunti a<br />

livello nazionale ed internazionale. Era<br />

necessario organizzare un movimento di<br />

massa capace di fare “marciare” insieme<br />

cattolici e comunisti, giovani e vecchi e<br />

di dare voce a un popolo finalmente<br />

protagonista del suo destino. La raccolta<br />

di un milione di firme sulla petizione<br />

contro la base missilistica e la<br />

militarizzazione della Sicilia, la<br />

formazione dei comitati unitari che in<br />

ogni Comune e in ogni Provincia<br />

mettessero in piedi iniziative tese a<br />

coinvolgere tutte le componenti sane<br />

della società civile avevano questo<br />

significato. Ogni mattina di buon’ora,<br />

dalla sua stanza in Corso Calatafimi,<br />

suonava la sveglia telefonica ai segretari<br />

di federazione, delle camere del lavoro,<br />

delle organizzazioni di massa vicine al<br />

partito, chiedendo del numero delle<br />

firme raccolte sulla petizione, delle<br />

assemblee di quartiere organizzate, dei<br />

consigli comunali chiamati a<br />

pronunziarsi, delle iniziative avviate.<br />

Lotta per la pace e contro la mafia<br />

divennero un binomio inscindibile,<br />

destinato a segnare quel passaggio della<br />

vita regionale che vide Pio La Torre<br />

protagonista.<br />

Così, mentre si raccoglievano le firme in<br />

calce alla petizione contro i missili,<br />

attraverso centinaia di assemblee e<br />

riunioni, si preparava la manifestazione<br />

di Comiso. S’interveniva in modo assai<br />

deciso sulla politica regionale, bloccando<br />

la legge che avrebbe aumentato a<br />

dismisura l’agio degli esattori (i Salvo, i<br />

Cambria), contrastando i metodi di<br />

assegnazione dei contributi regionali in<br />

agricoltura a favore di alcuni Cavalieri<br />

del Lavoro (Costanzo, Rendo e Graci) e<br />

di alcuni capi mafia (i Greco),<br />

denunziando il sistema di aggiudicazione<br />

degli appalti (l’affare delle dighe, ecc.).<br />

Ma neanche questo era sufficiente per<br />

fronteggiare gli attacchi che la mafia e il<br />

suo sistema di potere portavano ogni<br />

giorno al cuore della convivenza civile.<br />

Da qui l’impegno spasmodico del<br />

parlamentare Pio La Torre per giungere<br />

in tempi brevi all’approvazione di una<br />

legge che configurasse il reato di<br />

Pio La Torre: un popolo in marcia<br />

associazione mafiosa e nello stesso<br />

tempo colpisse gli immensi patrimoni<br />

illegalmente accumulati e li restituisse<br />

alla comunità; dotasse lo Stato di<br />

strutture investigative e giudiziarie in<br />

grado di contrastare un fenomeno<br />

criminale per troppo tempo tacitamente<br />

accettato e/o tollerato. Una legge a lungo<br />

osteggiata e ritardata, che il Parlamento<br />

avrebbe approvato solo dopo l’assassinio<br />

del Generale Dalla Chiesa nel settembre<br />

di quel terribile 1982 e che tutti noi<br />

ricordiamo come “la legge La Torre”.<br />

Ebbe in mente ed attuò una strategia<br />

complessa, in grado di unire inediti<br />

protagonismi individuali e collettivi, di<br />

mobilitare forze sociali e politiche di<br />

appartenenze diverse, di investire<br />

contemporaneamente le principali sedi<br />

istituzionali e il corpo della società<br />

civile. Anche gli obiettivi che una simile<br />

strategia poneva al centro erano<br />

molteplici e tali da coinvolgere, allo<br />

stesso tempo, ragioni ideali e<br />

concreti interessi: la pace, la<br />

liberazione dall’oppressione<br />

e dalla violenza mafiosa,<br />

quali condizioni essenziali<br />

per aprire alla Sicilia nuove<br />

prospettive di sviluppo e di<br />

lavoro, in una terra già<br />

allora afflitta da un tasso di<br />

disoccupazione assai<br />

preoccupante. Un<br />

orizzonte di progresso e di<br />

benessere attorno al quale<br />

motivare e mobilitare<br />

tanto le forze del mondo<br />

del lavoro che gli<br />

imprenditori sani.<br />

POLITICA-AFFARI-MAFIA:<br />

il suo pallino<br />

Alla base della sua visone della lotta<br />

sociale e politica, che quel tempo storico<br />

richiedeva, vi era una idea molto precisa<br />

delle forze e degli interessi da<br />

contrastare e da battere. Basti ricordare<br />

che Pio La Torre non parlò mai di lotta<br />

alla mafia, ma di lotta al sistema di<br />

potere politico-affaristico-mafioso;<br />

definendo i “delitti eccellenti”, che in<br />

quegli anni segnavano di sangue la<br />

Sicilia, quali delitti di terrorismo<br />

politico-mafioso. E’ utile, per meglio<br />

comprendere questo decisivo aspetto<br />

della sua personalità politica, rileggere<br />

l’intervento che svolse alla Camera dei<br />

Deputati subito dopo l’omicidio del<br />

Presidente della Regione siciliana<br />

Piersanti Mattarella: “Noi non dobbiamo<br />

dimenticare la storia della Sicilia e dei<br />

legami internazionali della mafia<br />

Casablanca pagina 21<br />

siciliana che la vicenda Sindona ha<br />

riproposto in maniera drammatica.<br />

Siamo di fronte ad imperi finanziari,<br />

anche fuori della Sicilia, controllati da<br />

gruppi mafiosi che operano in Sicilia o<br />

da famiglie siculo-americane, non solo<br />

nel traffico di stupefacenti o in altri<br />

traffici illeciti. E’ noto che il gruppo che<br />

fa capo all’ex sindaco di Palermo, Vito<br />

Ciancimino …. Siamo in presenza di<br />

nessi che bisogna saper cogliere.” Ma<br />

ancora prima, in occasione dell’omicidio<br />

del giudice Cesare Terranova, aveva<br />

introdotto una precisa distinzione tra<br />

“mafia e sistema di potere mafioso” che<br />

è quello composto da “uomini politici e<br />

uomini che sono in posizione chiave nel<br />

potere in Sicilia”.<br />

Era dotato di uno sguardo profondo e<br />

impegnato che gli consentiva di cogliere<br />

le ragioni non solo dei singoli delitti<br />

eccellenti, ma delle comuni ragioni e dei<br />

terribili interessi che li avevano<br />

provocati. Una<br />

visione che ieri come oggi sembra<br />

sfuggire ai più, dedicati a coltivare<br />

analisi del fenomeno mafioso assai più<br />

comode e riduttive, ma fallimentari nella<br />

prospettiva di una seria azione di<br />

contrasto.<br />

In questa direzione è inevitabile<br />

ricordare la propaganda che anche gli<br />

ultimi Ministri dell’Interno ci hanno<br />

propinato, definendo gli arresti di noti<br />

latitanti quali azioni decisive per la<br />

vittoria dello Stato sull’organizzazione<br />

mafiosa, nel mentre si consentiva che la<br />

mafia si aggiudicasse le concessioni<br />

nazionali dei giochi e delle scommesse,<br />

ovvero che partecipasse attraverso<br />

proprie imprese a numerosi lavori per la<br />

realizzazione di opere e servizi pubblici.<br />

Pio La Torre la pensava diversamente e<br />

coerentemente agiva: connettere in modo<br />

indissolubile la lotta contro la mafia e<br />

ogni forma di illegalità a quella contro<br />

l’installazione dei missili a Comiso era


indispensabile per aggredire il cuore di<br />

quel grumo di interessi politici,<br />

affaristici e mafiosi che ieri come oggi<br />

condizionano la vita economica, sociale<br />

e democratica della Sicilia e del Paese.<br />

Un sistema illegale e criminale, diceva,<br />

può essere contrastato solo da un sistema<br />

legale che sa mettere insieme e<br />

coordinare le azioni di contrasto mosse<br />

dalle istituzioni e dalla società.<br />

A noi resta il doveroso riconoscimento<br />

della sua straordinaria intelligenza<br />

politica che gli consentì, sin dal tempo<br />

della prima Commissione parlamentare<br />

antimafia, - della quale fu insieme al<br />

giudice Terranova protagonista e relatore<br />

di minoranza - di analizzare e<br />

comprendere il sistema politico-mafioso<br />

e le sue azioni terroristiche e criminali; e<br />

naturalmente, il riconoscimento di una<br />

coerenza e di un coraggio davvero rari in<br />

una terra da sempre dedita al<br />

trasformismo.<br />

Ma anche questo non può e non deve<br />

bastarci. Rileggere le parole e le azioni<br />

di Pio serve, infatti, non solo ad<br />

illuminare e a rendere comprensibile il<br />

Pio La Torre: un popolo in marcia<br />

decennio delle stragi di mafia che sta alle<br />

nostre spalle, ma a meglio leggere il<br />

presente e ad orientare le scelte che ci<br />

attendono. Forse anche questa nuova<br />

consapevolezza ha motivato le<br />

straordinarie attenzioni che si sono<br />

concentrate in occasione del recente<br />

trentesimo anniversario della sua morte<br />

violenta. I numerosi libri pubblicati, le<br />

interessanti trasmissioni televisive<br />

realizzate, i dibattiti e le iniziative da più<br />

parti promosse, la presenza a Portella<br />

delle Ginestre del Segretario Bersani,<br />

sembrano avere questo segno positivo. A<br />

ciò hanno forse contribuito le recenti<br />

“rivelazioni” riguardanti le trattative tra<br />

Stato e mafia intervenute attorno agli<br />

anni ’90, prima e dopo le stragi che<br />

hanno visto l’uccisione dei giudici<br />

Falcone e Borsellino, che tanto scalpore<br />

hanno suscitato nell’opinione pubblica<br />

nazionale.<br />

PATTI E TRATTATIVE? NO<br />

GRAZIE<br />

Chi nel corso di questi trenta anni ha<br />

preso parte alla battaglia contro la mafia<br />

sa da sempre, come Pio ci ricordava a<br />

volte gridandolo, che la mafia vive di tali<br />

accordi, patti e trattative, attraverso cui<br />

costruisce e alimenta quel sistema di<br />

potere che gli consente di associare a sé<br />

e ai suoi interessi pezzi di Stato, di<br />

imprenditoria, di politica, di<br />

amministrazione e di informazione.<br />

Chi come me ha vissuto e vive a <strong>Catania</strong><br />

non può non ricordare che in quegli<br />

stessi anni di tutto questo e non di altro<br />

scriveva Pippo Fava su “I Siciliani”,<br />

operando una azione di autentico<br />

Casablanca pagina 22<br />

disvelamento e di coraggiosa rottura di<br />

quel “silenzio stampa” da sempre<br />

imposto e praticato in Sicilia. Oggi<br />

sappiamo con certezza, anche<br />

giudiziaria, che il 5 gennaio del 1984<br />

Pippo Fava fu ucciso dal medesimo<br />

sistema di potere politico-mafioso, e che<br />

il movente di quel delitto è iscritto nelle<br />

stesse ragioni che hanno condotto alla<br />

morte Mattarella, Chinnici, Dalla Chiesa<br />

e La Torre.<br />

Vale, infine, porsi e porre alcune<br />

domande: può l’Italia tollerare che i veri<br />

mandanti delle stragi e dei delitti<br />

eccellenti restino per sempre innominati<br />

e impuniti? E il sistema economico<br />

accettare, oltre l’imposizione del pizzo,<br />

la compenetrazione delle imprese e dei<br />

capitali mafiosi nel sistema<br />

imprenditoriale del Nord, del Centro e<br />

del Sud? Può la Sicilia sperare in un<br />

futuro diverso e intraprendere il<br />

cammino del cambiamento senza fare i<br />

conti con l’attuale sistema di potere<br />

politico-mafioso e con i suoi<br />

protagonisti? L’alternativa politica e<br />

amministrativa a tale sistema quali<br />

azioni di rottura e di discontinuità<br />

richiede?<br />

Per dirla con Pio, dalla capacità di<br />

risposta a queste domande dipende la<br />

qualità della stessa democrazia per il<br />

presente e per il futuro. Del passato<br />

conosciamo i prezzi pagati, in termini di<br />

arretratezza civile ed economica delle<br />

nostre comunità, di opportunità bruciate<br />

per le giovani generazioni.<br />

Per queste ragioni il suo ricordo alimenta<br />

in noi, insieme al rimpianto per averlo<br />

perduto, la ferma volontà di non<br />

rassegnarci e tantomeno di arrenderci.


Umberto Santino: Peppino Impastato anatomia di un depistaggio<br />

Casablanca pagina 23


Tutti sapevano che “la mafia a Trapani non c’era”<br />

Profumo di Zagara<br />

e tanfo di morte<br />

Rino Giacalone<br />

Tutti sapevano che “la mafia a Trapani non c’era” e Rostagno invece ne parlava, sempre,<br />

sempre, sempre. Una grande camurria. Don Francesco Messina Denaro, allora a capo della<br />

cupola, non lo sopportava proprio. Lo disse pure a Provenzano, da cui riceveva visite nella<br />

propria casa. Anche Siino – come Brusca e Milazzo, racconta ai giudici che a volere la morte<br />

di Rostagno è stato don Ciccio Messina Denaro. I poliziotti volevano mettere sotto indagine<br />

la mafia, ma, presto si trovarono fuori. Le testimonianze in Corte di Assise del generale<br />

Montanti e il luogotenente Cannas, alquanto sconcertanti, inverosimili … surreali …<br />

disonorevoli. Bisognava dimostrare che a Trapani la mafia non c’era?<br />

L’odore degli aranci e un ordine di<br />

morte. La terra di Sicilia sporcata dalla<br />

violenza mafiosa. Era il 1988 e<br />

quell’odore che solo i nostri agrumi<br />

sanno dare era quello che inondava il<br />

terreno di un mafioso, fratello di<br />

mafioso, genero di un patriarca della<br />

mafia, cognato di un sanguinario<br />

assassino.<br />

Il terreno in questione era quello di<br />

Castelvetrano di proprietà di Filippo<br />

Guttadauro, fratello del medico<br />

Giuseppe, il colletto bianco che era a<br />

capo del mandamento mafioso di<br />

Brancaccio a Palermo, il medico<br />

intercettato a fare da ponte tra Cosa<br />

nostra e la politica. Filippo Guttadauro è<br />

anche qualcosa di più, ha sposato<br />

Rosalia una delle figlie del patriarca<br />

della mafia belicina, Rosalia è figlia di<br />

Francesco Messina Denaro, il “campiere<br />

con il bisturi”, si occupava di terreni e<br />

latifondi don Ciccio Messina Denaro e lo<br />

faceva così con tanta precisione e<br />

scrupolo da meritare il riconoscimento di<br />

sapere bene usare il “bisturi”, perché lui<br />

sapeva come “incidere” il territorio,<br />

marcandolo con l’impronta mafiosa.<br />

Filippo Guttadauro perciò è il cognato di<br />

Matteo Messina Denaro il boss che è<br />

oggi certamente il capo della mafia<br />

trapanese, il mafioso che poco più che<br />

ventenne si vantava già che da solo con i<br />

suoi delitti poteva riempire un cimitero,<br />

oggi con le stesse mani, rimaste sporche<br />

di tanto sangue, gestisce dalla latitanza<br />

che dura da diciannove anni vere e<br />

proprie holding, imprese e casseforti.<br />

ROSTAGNO? UNA CAMURRIA<br />

In quel terreno di Castelvetrano in<br />

mezzo al profumo degli aranci nel 1988<br />

ad Angelo Siino - che non era solo il<br />

titolare di una concessionaria d’auto a<br />

Palermo o il pilota di rally amico dei<br />

migliori rampolli della borghesia di<br />

mezza Sicilia, ma era, soprattutto, il<br />

ministro dei lavori pubblici di Totò Riina<br />

- don Ciccio Messina Denaro comunicò<br />

che Mauro Rostagno era arrivato al<br />

capolinea, doveva cioè morire.<br />

Siino ha raccontato di quell’odore degli<br />

aranci e del tanfo della morte nell’aula<br />

bunker del carcere di San Giuliano a<br />

Trapani dove per alcune udienze si è<br />

trasferita la Corte di Assise che sta<br />

processando i presunti mandante ed<br />

esecutore del delitto di Mauro Rostagno,<br />

Vincenzo Virga e Vito Mazzara. Se<br />

Francesco Messina Denaro fosse ancora<br />

vivo, è morto nel 1998, ci sarebbe stato<br />

anche lui imputato in questo<br />

dibattimento, perché, le dichiarazioni di<br />

Casablanca pagina 24<br />

Siino, come altri collaboratori di<br />

giustizia, come Giovanni Brusca e<br />

Francesco Milazzo, riconducono la<br />

morte di Rostagno al volere di don<br />

Ciccio Messina Denaro: era una<br />

“camurria” Rostagno, così dicevano di<br />

lui i boss.<br />

Ogni giorno dalla tv, Rtc, dove si è<br />

ritrovato a lavorare dopo che da qualche<br />

anno era arrivato a Trapani, parlava<br />

sempre di una cosa, mafia, mafia e<br />

mafia, e questa cosa i boss non potevano<br />

permetterla, loro che dai politici, da altri<br />

giornalisti, dai professionisti avevano<br />

ottenuto ben altra attenzione. In quel<br />

1988 “la mafia a Trapani non c’era” e<br />

Rostagno invece ne parlava, sempre. E<br />

don Ciccio Messina Denaro non ne<br />

poteva più, lui era il capo della cupola<br />

provinciale, ed era il mafioso che<br />

periodicamente riceveva visite<br />

importanti nella sua casa di<br />

Castelvetrano. Chi era davvero don<br />

Ciccio lo svela un racconto, quello fatto<br />

da alcuni pentiti che hanno dimostrato di<br />

conoscere diversi segreti, come quello<br />

che riguarda la frequentazione tra Binnu<br />

Provenzano e don Ciccio Messina<br />

Denaro. Non era circostanza rara che i<br />

due si incontravano, ma non era don<br />

Ciccio Messina Denaro ad andare da<br />

Binnu a Corleone, ma era semmai questi


a raggiungere Castelvetrano, era già un<br />

latitante Provenzano, ma non aveva<br />

timore di mettersi alla guida di una Fiat<br />

500 per arrivare nel cuore del Belice e<br />

bussare alla porta di casa di don Ciccio<br />

Messina Denaro che lo attendeva.<br />

Qualche volta seduto sulle ginocchia del<br />

padre c’era Matteo, anni dopo oramai<br />

cresciuto e diventato anche lui boss,<br />

Matteo Messina Denaro nei pizzini<br />

inviati a Binnu, e firmati come Alessio,<br />

scriveva del suo enorme rispetto, del<br />

fatto di avere imparato a comportarsi da<br />

Tutti sapevano che “la mafia a Trapani non c’era”<br />

Oggi la mafia siciliana non ha più una cupola ma si è quasi<br />

“ndraghetizzata”, ci sono le diverse famiglie che distinte<br />

“governano” i territori.<br />

capo mafia grazie proprio a lui, di<br />

immedesimarsi in lui in modo totale,<br />

Binnu Provenzano per Matteo Messina<br />

Denaro aveva preso il posto del padre<br />

morto di crepacuore, da latitante, nel<br />

novembre del 1998, a poche ore da un<br />

blitz di Polizia che per la prima volta<br />

portava in carcere l’altro maschio di casa<br />

Messina Denaro, Salvatore, preposto di<br />

una agenzia della Banca Sicula, la Banca<br />

della famiglia D’Alì. Anni dopo quel<br />

rispetto finirà calpestato: quando<br />

nell’aprile del 2006 Provenzano venne<br />

scovato dalla Polizia nel covo di<br />

Corleone, saltò fuori l’archivio di<br />

“pizzini” che custodiva, documenti che<br />

“tradotti” disvelarono uomini e affari, e a<br />

quel punto Matteo non esitò a bollare<br />

come uno scimunito Provenzano in un<br />

altro “pizzino”, uno di quelli che<br />

“Alessio” scriveva a “Svetonio”, ex<br />

sindaco del suo paese, Tonino Vaccarino,<br />

non sapendo che questi faceva<br />

l’informatore dei servizi segreti.<br />

“Quel vecchio ci ha rovinati tutti”<br />

scriveva Alessio sfogandosi con<br />

Svetonio, non sapendo che anche lui<br />

stava facendo altrettanto e se il<br />

comportamento del Sisde del generale<br />

Mori, che aveva assolto Vaccarino-<br />

Svetonio fosse stato più accorto,<br />

informando la Procura di Palermo invece<br />

di tenere i pm all’oscuro del loro<br />

contatto per quasi cinque anni, poteva<br />

anche accadere che quella<br />

corrispondenza tanto spavalda poteva<br />

portare alla sua completa rovina e<br />

all’arresto, ma questo non è purtroppo<br />

accaduto. E il boss resta latitante.<br />

CUPOLA E PARTITI<br />

Il capo della Procura Nazionale<br />

Antimafia, procuratore Pietro Grasso,<br />

giorni addietro ha spiegato che Matteo<br />

Messina Denaro non è il capo della<br />

mafia siciliana. Ma non è un capo perché<br />

non ne ha stoffa e capacità, non è il capo<br />

“perché non esiste più la cupola<br />

mafiosa”, quella che quando esisteva<br />

veniva governata da Michele Greco, o<br />

Totò Riina e poi Bernardo Provenzano.<br />

Oggi la mafia siciliana non ha più una<br />

cupola ma si è quasi “ndraghetizzata”, ci<br />

sono le diverse famiglie che distinte<br />

“governano” i territori. E Matteo<br />

Messina Denaro “governa” la mafia<br />

trapanese, che non è cosa di poco<br />

conto o meno importante rispetto<br />

alla stessa cupola regionale.<br />

Perché a Trapani, riconosce lo<br />

stesso Grasso, resiste lo<br />

zoccolo duro della mafia,<br />

quella che senza coppole e<br />

lupare, ha saputo infiltrarsi,<br />

per decenni, senza nemmeno<br />

la necessità di tanti<br />

camuffamenti, nelle istituzioni,<br />

nella economia, nelle imprese,<br />

la mafia qui a Trapani aveva una<br />

garanzia precisa come ha<br />

raccontato il pentito Nino Giuffrè, “a<br />

Trapani c’erano i cani attaccati”, non si<br />

facevano le indagini, e chi pensava di<br />

poterle fare si trovava messo fuori gioco,<br />

trasferito o sparato, oppure trasferito e<br />

sparato come accadde a Ninni Cassarà,<br />

capo della Mobile a Trapani prima e a<br />

Palermo dopo. A Trapani la mafia ha<br />

pensato di creare un partito per mandare<br />

suoi politici in Parlamento, e qui da<br />

Trapani è partito l’ordine di non fare più<br />

quando si cominciò a riscrivere<br />

quel “patto” con lo Stato che pochi<br />

anni dopo avrebbe portato al<br />

famoso “papello”. Su questa<br />

strada uno come Rostagno non<br />

poteva proprio starci<br />

nulla e semmai di votare Forza Italia<br />

come ha raccontato il pentito di Mazara<br />

Vincenzo Sinacori che udì dare<br />

quell’ordine proprio a Matteo Messina<br />

Denaro.<br />

Il processo per l’omicidio di Mauro<br />

Rostagno prova proprio come le parole<br />

Casablanca pagina 25<br />

di Nino Giuffrè siano fondate. I poliziotti<br />

che volevano mettere sotto indagine la<br />

mafia presto si trovarono fuori da quelle<br />

indagini, ad occuparsene restarono solo i<br />

carabinieri. Le testimonianze in Corte di<br />

Assise di due tra quelli ritenuti gli<br />

investigatori più capaci del tempo, il<br />

generale Montanti e il luogotenente<br />

Cannas, sono state incredibili. Montanti<br />

ha raccontato che abitudine a<br />

sovracaricare le cartucce, come quelle<br />

trovate sul luogo del delitto, era tipica<br />

dei cacciatori, Cannas ha ammesso senza<br />

tante vergogne che il verbale di<br />

sopralluogo sul luogo dell’omicidio<br />

venne trascritto “in bella copia” quando<br />

oramai erano trascorsi diversi mesi dal<br />

delitto e che per quei mesi aveva<br />

lavorato “solo con gli appunti”. Queste<br />

per dire delle<br />

cose che<br />

sono<br />

apparse<br />

le più<br />

inverosimili.<br />

In un contesto<br />

dove doveva apparire inverosimile che<br />

fosse stata la mafia ad uccidere. Era il<br />

1988 quando la mafia si cominciava a<br />

trasformare, quando si cominciò a<br />

riscrivere quel “patto” con lo Stato che<br />

pochi anni dopo avrebbe portato al<br />

famoso “papello”. Su questa strada uno<br />

come Rostagno non poteva proprio<br />

starci.


Segregazione e respingimenti collettivi verso l’Egitto<br />

Respingimenti<br />

Una rassicurante Normalità<br />

Fulvio Vassallo<br />

La Corte Europea dei diritti dell’Uomo il 23 febbraio del 2012 ha condannato l’Italia per i<br />

respingimenti collettivi in Libia. Non sarebbe l’unico caso e l’unica volta. I respingimenti<br />

singoli o collettivi continuano ad oltranza. I migranti arrivati alle frontiere italiane dall’Egitto<br />

in particolare, sembra non sono quasi mai esistiti. Forse non sono considerate nemmeno<br />

persone. Solo numeri per fare statistiche. Tra i migranti egiziani in fuga dal loro paese,<br />

esponenti della minoranza cristiana copta, sempre più esposti al rischio di attentati e di<br />

persecuzione religiosa. Già l’ACNUR, l’ASGI e la Caritas di <strong>Catania</strong>, avevano denunciato<br />

per esempio che dopo lo sbarco sulle coste della Sicilia orientale del 26 ottobre 2010, sono<br />

stati rimpatriati 68 migranti (con un volo diretto a Il Cairo). All’aeroporto di <strong>Catania</strong>, mentre<br />

un agente consolare egiziano effettuava i riconoscimenti, alcuni avvocati attendevano invano<br />

che qualcuno presentasse richiesta di protezione internazionale. Nessuno. Una richiesta<br />

troppo pericolosa per chi, era stato già identificato dal proprio ufficio consolare?<br />

Sì, si può parlare proprio di<br />

segregazione, perché agli ultimi egiziani<br />

bloccati il due maggio scorso a bordo di<br />

un peschereccio, o intercettati mentre su<br />

un gommone, condotto da uno scafista,<br />

stavano sbarcando nei pressi di Mazara<br />

del Vallo, è toccata la reclusione in un<br />

campo di calcio, dove era stata allestita<br />

una tendopoli-carcere. Quindi<br />

dopo ventiquattro ore<br />

dall’ingresso nel territorio<br />

nazionale, salvo un gruppo di<br />

minori condotti in centri di<br />

accoglienza, sono stati<br />

deportati in Egitto con un volo<br />

partito da Palermo alle 5 del<br />

mattino del 3 maggio, dopo un<br />

riconoscimento sommario da<br />

parte di qualche esponente del<br />

consolato egiziano, senza<br />

alcuna possibilità di essere<br />

messi in contatto dalle<br />

organizzazioni (OIM,<br />

ACNUR) che fanno parte del progetto<br />

Praesidum finanziato dal ministero<br />

dell’interno proprio per intervenire in<br />

questi casi.<br />

Si è appreso dalla radio, dal TG Regione<br />

Sicilia delle 7,20 di giovedì 3 maggio,<br />

che diverse decine di egiziani, sorpresi il<br />

giorno precedente, a bordo di un<br />

peschereccio e di un gommone, nelle<br />

acque antistanti Mazara del Vallo, erano<br />

stati riportati in Egitto.Una operazione di<br />

polizia così rapida, tanto da precludere<br />

persino l’intervento dell’OIM e<br />

dell’ACNUR, oltre che degli avvocati e<br />

dei giudici necessari per la convalida dei<br />

provvedimenti, perché, secondo quanto<br />

Casablanca pagina 26<br />

riferito dai giornalisti, sulla base di<br />

comunicati provenienti evidentemente<br />

dal ministero dell’interno, si sarebbe<br />

trattato, per tutti, di persone già entrate<br />

irregolarmente in Italia, e dunque che<br />

avevano subito il riscontro delle<br />

impronte digitali ed una identificazione<br />

prima di essere espulse. Una<br />

giustificazione che sa di menzogna,<br />

perché appare ben strano che<br />

TUTTI coloro che sono stati ritenuti<br />

di maggiore età ( in base ad<br />

accertamenti fortemente opinabili),<br />

fermati sul peschereccio egiziano<br />

che li aveva condotti davanti alla<br />

costa di Mazara del Vallo, oppure<br />

sul gommone che li stava<br />

trasbordando a terra, oltre a non<br />

chiedere, neppure uno asilo o<br />

protezione umanitaria, fossero<br />

persone già identificate ed espulse<br />

dall’Italia. Come se in Egitto si<br />

fossero dati tutti appuntamento per<br />

ritentare il viaggio verso l’Italia, e come<br />

se su quel peschereccio si fosse saliti<br />

soltanto mostrando il precedente<br />

provvedimento di espulsione dall’Italia.


Una versione dei fatti che può<br />

abbindolare soltanto gli assonnati<br />

ascoltatori di un giornale radio del primo<br />

mattino, ma che non regge alla prova di<br />

fatti, come una serie di episodi<br />

precedenti dimostra ampiamente.<br />

L’ultimo, un respingimento, verificatosi<br />

dopo un altro sbarco di egiziani pochi<br />

giorni fa, nei pressi di Licata, poco<br />

distante da Agrigento. Anche in quella<br />

occasione i migranti erano stati respinti<br />

senza rispettare le formalità e le<br />

garanzie di difesa previste dalle<br />

Convenzioni internazionali e dalla<br />

normativa interna, ribadite in<br />

diverse occasioni dalle sentenze<br />

della Corte di Giustizia<br />

dell’Unione Europea e della Corte<br />

Europea dei diritti dell’Uomo che<br />

il 23 febbraio del 2012 ha<br />

condannato l’Italia per i<br />

respingimenti collettivi in Libia,<br />

per la violazione dell’art. 3<br />

(divieto di trattamenti inumani o<br />

degradati) dell’art.13 ( diritto di<br />

difesa) e dell’art. 4 del Protocollo<br />

IV allegato alla CEDU ( divieto di<br />

respingimenti ed espulsioni collettivi).<br />

MENZOGNE SISTEMATICHE E<br />

PRATICHE ARBITRARIE<br />

Adesso, dopo queste condanne, le<br />

pratiche di respingimento collettivo<br />

verso l’Egitto proseguono, ammantate<br />

dall’esaltazione delle operazioni di<br />

contrasto dell’immigrazione clandestina,<br />

e si registra già, a margine di<br />

quest’ultimo episodio, l’arresto di ben<br />

quattordici “scafisti egiziani”. Vedremo<br />

quanti saranno veramente ritenuti tali<br />

alla prova del giudizio in tribunale, e<br />

quanti altri invece saranno espulsi perché<br />

ritenuti estranei al reato di agevolazione<br />

dell’ingresso di clandestini, rigidamente<br />

fissato dall’art. 12 del testo Unico<br />

sull’immigrazione. C’è dell’altro, il<br />

ricorso da parte degli estensori dei<br />

comunicati di polizia, a menzogne<br />

sistematiche come l’affermazione in base<br />

alla quale nessuna delle persone fermate<br />

avrebbe richiesto asilo, o addirittura che<br />

tutti, si dice tutti, sarebbero stati espulsi<br />

con procedure lampo perché già schedati<br />

in precedenza dalle autorità di polizia<br />

italiane. Tralasciando il piccolo dettaglio<br />

che per eseguire un rimpatrio forzato<br />

non basta l’identificazione da parte delle<br />

autorità italiane, ma occorre una<br />

identificazione individuale, e non solo<br />

l’assegnazione della nazionalità, da parte<br />

delle autorità del paese di provenienza. E<br />

queste pratiche arbitrarie di polizia ormai<br />

si ripetono sistematicamente, al punto da<br />

Segregazione e respingimenti collettivi verso l’Egitto<br />

ingenerare nell’opinione pubblica il<br />

senso comune di una rassicurante<br />

normalità, anche se di mezzo ci va il<br />

destino di tante persone private di diritti<br />

fondamentali, come il diritto di accedere<br />

in un territorio per chiedere asilo, o il<br />

diritto ad una difesa effettiva ed alla<br />

convalida giurisdizionale dei<br />

provvedimenti di allontanamento forzato<br />

adottati dalla polizia.<br />

Dal 2007, proprio mentre il regime di<br />

Moubarak assestava colpi micidiali<br />

all’opposizione democratica, centinaia<br />

di cittadini egiziani irregolarmente giunti<br />

a Lampedusa, o sulle coste della Sicilia<br />

sud-orientale, o salvati da mezzi della<br />

nostra marina militare e poi condotti a<br />

terra, sono stati rimpatriati in Egitto,<br />

dopo essere stati trasferiti all’aeroporto<br />

di <strong>Catania</strong>, definito come “scalo<br />

tecnico”. Altri rimpatri sommari, che<br />

hanno assunto il carattere di veri e propri<br />

respingimenti collettivi ai danni di<br />

migranti egiziani appena sbarcati, sono<br />

stati compiuti dalla Puglia e dalla<br />

Calabria. Per anni si è lodato, anche da<br />

parte di esponenti del centrosinistra, il<br />

“salto di qualità” nella collaborazione tra<br />

Italia ed Egitto dopo la chiusura nel 2004<br />

della “rotta di Suez”. Grazie<br />

all’intervento diretto in quel paese di<br />

unità della guardia di finanza, in<br />

operazioni congiunte con le forze<br />

militari egiziane che fino al 2009 hanno<br />

prodotto come risultato l’arresto e la<br />

riconsegna (rendition) alle peggiori<br />

polizie di tutto il mondo di migliaia di<br />

migranti in fuga dalle guerre e dalle<br />

persecuzioni etniche o religiose.<br />

RICONSEGNATI AI LORO<br />

CARNEFICI<br />

Le operazioni di rimpatrio tra Italia ed<br />

Egitto, con voli diretti da <strong>Catania</strong> e<br />

adesso anche da Roma e da Palermo<br />

verso il Cairo sono state rese possibili,<br />

dopo l’intesa sottoscritta nel 2001,una<br />

intesa basata sullo scambio tra<br />

Casablanca pagina 27<br />

repressione dell’immigrazione irregolare<br />

e quote di ingressi legali nei decreti<br />

flussi annuali, un accordo che in quel<br />

periodo ha funzionato solo sul versante<br />

dei rimpatri forzati. Anche in questo caso<br />

la politica estera italiana non ha avuto<br />

soluzione di continuità con<br />

l’avvicendarsi dei diversi governi e<br />

ancora oggi i rimpatri sommari verso<br />

l’Egitto sono resi praticabili grazie<br />

all’Accordo di collaborazione firmato<br />

nel gennaio del 2007 dal governo<br />

italiano guidato da Prodi, in persona<br />

del sottosegretario agli esteri protempore<br />

Ugo Intini. Un accordo che,<br />

in cambio di qualche migliaio di<br />

posti riservati ai lavoratori egiziani<br />

nelle quote annuali previste dai<br />

decreti flussi, consentiva alle<br />

autorità consolari egiziane forme di<br />

attribuzione della nazionalità, se non<br />

dell’identità personale e dell’età,<br />

assai celeri, grazie anche alla<br />

collaborazione di funzionari e<br />

interpreti egiziani presenti in Italia.<br />

Dal 2005, peraltro, tra il governo italiano<br />

e quello egiziano esisteva un "Accordo<br />

di cooperazione in materia di flussi<br />

migratori bilaterali per motivi di lavoro",<br />

siglato al Cairo il 28 novembre 2005<br />

dall’allora ministro del lavoro Roberto<br />

Maroni. Nel testo dell’accordo si<br />

prevedeva che i due governi, al fine di<br />

"gestire in modo efficiente i flussi<br />

migratori e prevenire la migrazione<br />

illegale", s’impegnano a facilitare<br />

l’incontro tra la domanda e l’offerta di<br />

lavoratori migranti da e per l’Egitto. Il<br />

governo italiano, dal canto suo,<br />

s’impegnava a valutare l’attribuzione di<br />

una speciale quota annuale per lavoratori<br />

migranti egiziani. Nel protocollo<br />

esecutivo allegato all’accordo si leggeva<br />

anche che il ministero del Lavoro e<br />

delle politiche sociali italiano avrebbero<br />

dovuto comunicare all’omologo


ministero egiziano i criteri, ai sensi della<br />

normativa italiana, per redigere una lista<br />

(da pubblicare) di lavoratori egiziani<br />

disponibili a svolgere un’attività<br />

lavorativa subordinata anche stagionale<br />

in Italia.<br />

Basta verificare l’andamento dei decreti<br />

flussi adottati in questi ultimi anni e i<br />

ritardi accumulati, e poi controllare il<br />

numero di lavoratori egiziani<br />

effettivamente entrati in Italia con un<br />

visto di ingresso per ragioni di lavoro,<br />

per scoprire quanto questo accordo possa<br />

avere “giovato” ai giovani lavoratori<br />

egiziani, ancora costretti in gran parte a<br />

tentare la via dell’ingresso irregolare,<br />

magari evitando la traversata del<br />

Mediterraneo, ma spostandosi verso le<br />

frontiere orientali dell’Unione Europea.<br />

Oggi poi, l’Italia ha bloccato del tutto i<br />

decreti flussi annuali e, sia ai migranti<br />

economici che ai potenziali richiedenti<br />

Segregazione e respingimenti collettivi verso l’Egitto<br />

asilo, non è rimasta altra possibilità che<br />

tentare l’ingresso clandestino. Il<br />

proibizionismo dilagante nei confronti<br />

delle migrazioni, facile arma ad uso<br />

elettorale, ha arricchito quelle<br />

organizzazioni di trafficanti che gli stati<br />

a parole sostengono di contrastare,<br />

mentre è aumentato a dismisura il<br />

numero delle vittime dell’immigrazione<br />

clandestina. E nessuno ricorda che tra i<br />

migranti egiziani in fuga dal loro paese<br />

si sono già trovati parecchi esponenti<br />

nonostante i numerosi esposti presentati<br />

lo scorso anno a seguito degli abusi<br />

commessi ai danni dei migranti, ( tra<br />

questi di molti minori non<br />

accompagnati), a Lampedusa ed in altri<br />

luoghi di detenzione informale. Luoghi<br />

dai quali le persone, se non sono fuggite,<br />

sono state respinte o espulse senza<br />

rispettare le garanzie procedurali e<br />

sostanziali accordate dalla Costituzione<br />

Casablanca pagina 28<br />

italiana, dalle normative comunitarie,<br />

direttamente vincolanti nel nostro paese.<br />

Uno Stato che nasconde persino i<br />

migranti negli stadi, come è successo a<br />

Mazara del Vallo, pur di procedere a<br />

respingimenti lampo a carattere<br />

collettivo. Cadono i dittatori, cambiano i<br />

governi, continuano gli abusi ai danni<br />

dei migranti irregolari, ormai privati<br />

della dignità e dei diritti che andrebbero<br />

riconosciuti, comunque e ovunque, a<br />

qualsiasi essere umano, come recita<br />

l’art.2 del Testo Unico<br />

sull’immigrazione n.286 del 1998. Una<br />

norma ormai svuotata dalla<br />

discrezionalità delle autorità di polizia.


Mafia<br />

uno scavo giornalistico di chi non si arrende mai…<br />

Aveva scoperto<br />

un giro di truffe<br />

Gianni Lannes<br />

Francesco Marcone, direttore dell’Ufficio del Registro di Foggia, aveva scoperto un giro di<br />

truffe. E’ stato assassinato diciassette anni fa con due proiettili sparati alla nuca e alle spalle<br />

da un killer ignoto ( Casablanca maggio 2007). Per la giustizia italiana è solo un caso<br />

archiviato il 10 febbraio 2005. Per la Repubblica Italiana è una medaglia d’oro<br />

insignita dal Capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi, il 31maggio 2005, al Merito Civile e<br />

alla memoria: «Funzionario dello Stato, sempre distintosi per la salda preparazione<br />

professionale e l’alto rigore morale, costantemente impegnato a garantire il rispetto delle<br />

leggi e a contrastare ogni possibile tentativo d’illegalità, veniva barbaramente assassinato<br />

nell’androne della propria abitazione in un vile agguato». Nulla più: niente giustizia.<br />

Insomma, un caso dimenticato in tutta fretta, anzi volutamente accantonato.<br />

Insieme all’avvocato Giorgio<br />

Ambrosoli - ammazzato l’11 luglio 1979<br />

con quattro colpi di 357<br />

magnum, ha condiviso la<br />

difesa della legalità in<br />

cambio della vita.<br />

Francesco<br />

Marcone, un<br />

funzionario dello<br />

Stato assassinato<br />

diciassette anni fa<br />

con due proiettili<br />

sparati alla nuca e<br />

alle spalle da un<br />

killer ignoto che<br />

impugnava un<br />

revolver, per la<br />

giustizia italiana è solo un<br />

caso archiviato il 10 febbraio<br />

2005. Per la Repubblica Italiana è una<br />

medaglia d’oro insignita dal Capo dello<br />

Stato, Carlo Azeglio Ciampi, il<br />

31maggio 2005, al Merito Civile e alla<br />

memoria: «Funzionario dello Stato,<br />

sempre distintosi per la salda<br />

preparazione professionale e<br />

l’alto rigore morale,<br />

costantemente<br />

impegnato a<br />

garantire il rispetto<br />

delle leggi e a<br />

contrastare ogni<br />

possibile<br />

tentativo<br />

d’illegalità,<br />

veniva<br />

barbaramente<br />

assassinato<br />

nell’androne della<br />

propria abitazione in<br />

un vile agguato». Nulla<br />

più: niente giustizia. Insomma,<br />

un caso dimenticato in tutta fretta, anzi<br />

volutamente accantonato. Ora, grazie<br />

alla tenacia di uno scavo giornalistico<br />

di chi non si arrende mai, si apre uno<br />

Casablanca pagina 29<br />

spiraglio di verità inspiegabilmente<br />

elusa dagli inquirenti.<br />

Marcone aveva denunciato alla<br />

magistratura speculazioni finanziarie ed<br />

edilizie, nonché evasioni fiscali<br />

miliardarie, impattando in pratiche<br />

maledette: Foar e Sicilsud (su<br />

quest’ultima aveva indagato Giovanni<br />

Falcone prima di essere massacrato con<br />

sua moglie e la sua scorta dall’esplosivo<br />

fornito a Cosa Nostra dalla Sacra<br />

Corona Unita come hanno stabilito<br />

recentissime indagini scientifiche della<br />

Polizia di Stato). I responsabili<br />

(mandanti ed esecutori materiali) del<br />

delitto Marcone, anche a causa di<br />

ritardate e anomale indagine giudiziarie -<br />

insabbiate in un porto delle nebbie - non<br />

sono ancora stati individuati.<br />

ESECUZIONE MAFIOSA<br />

Foggia: 31 marzo 1995. Due spari netti


con proiettili calibro 38: il primo alla<br />

nuca a due metri di distanza. Il colpo di<br />

grazia alla schiena, con la vittima già<br />

stramazzata. Così, in una traversa di<br />

Corso Roma, di una città perennemente<br />

distratta e sorda. «Alle ore 19.15 circa, ci<br />

siamo portati in questa Via F. Figliolia al<br />

civico diciassette, ove erano stati<br />

segnalati esplosioni di colpi d’arma da<br />

fuoco. In loco, una volta all’interno dello<br />

stabile, si rinveniva nell’androne<br />

d’ingresso, un uomo accasciato ed in<br />

posizione bocconi, privo di vita» si legge<br />

nell’annotazione di servizio dei<br />

sovrintendenti della Polizia di Stato,<br />

Angelo Martino e Claudio Rinaldi.<br />

«Infatti, il cadavere si presentava disteso<br />

posizione bocconi sulle scale, con la<br />

parte dx del volto adagiata su di uno<br />

scalino e con un evidente foro di entrata<br />

di un proiettile alla nuca». E non un<br />

colpo qualsiasi: quello di un revolver<br />

calibro 38, inciso a croce sulla punta, ed<br />

una volta andato a bersaglio, si scamicia<br />

e si frantuma, con effetti devastanti. Il<br />

Rapporto della polizia scientifica,<br />

firmato dal vice ispettore Antonio De<br />

Flumeri su incarico del capo della<br />

Squadra Mobile Agostino De Paolis,<br />

rivela «che il cadavere era stato attinto<br />

da due colpi di arma da fuoco: uno,<br />

penetrato nella regione occipitale sinistra<br />

e fuoriuscito nella regione parietale<br />

destra; l’altro penetrato nella regione<br />

toracica sinistra (fianco) e fuoriuscito<br />

dalla regione destra del collo». La<br />

relazione del medico legale, Michele<br />

Castriota conferma «Causa di morte:<br />

emorragia endocranica per lacerazioni<br />

encefaliche ed emopericardio per<br />

lacerazioni miocardiche (…) Un<br />

proiettile è stato sparato a livello cranico<br />

a sinistra in sede occipitale con<br />

traiettoria, rispetto al soma della vittima,<br />

da dietro in avanti (…) Un proiettile è<br />

stato sparato a livello del torace, a<br />

sinistra (…)».<br />

COSA NOSTRA<br />

Adesso un solido indizio,<br />

incredibilmente trascurato, a carico del<br />

maggior sospettato, ossia Stefano<br />

Caruso, potrebbe far riaprire l’inchiesta<br />

giudiziaria mai decollata nonostante le<br />

schiaccianti evidenze (tra l’altro il<br />

sequestro di un<br />

revolver<br />

calibro 38),<br />

magari su<br />

diretto<br />

interessamento<br />

della Procura<br />

Nazionale<br />

uno scavo giornalistico di chi non si arrende mai…<br />

Antimafia. Constatazione critica: gli<br />

inquirenti non avrebbero verificato gli<br />

spostamenti, i contatti e la consistenza<br />

patrimoniale del maggior indiziato. Non<br />

ci avrebbe pensato neanche il magistrato<br />

Antonio Buccaro e neppure il collega<br />

Alfredo Viola. Il nuovo tassello è fornito<br />

dall’inspiegabile presenza allo Zabara<br />

Hotel di Bagheria (Palermo) dal 13 al 21<br />

aprile ‘95 - certificata da una scheda di<br />

soggiorno alla questura palermitana -<br />

appunto del Caruso, all’epoca direttore<br />

regionale pugliese delle Entrate,<br />

indagato e frettolosamente prosciolto.<br />

L’albergo, sede di alcuni summit<br />

mafiosi, come documentato dai<br />

carabinieri del Ros, era di proprietà della<br />

Cogeas srl, ovvero di Michele Aiello,<br />

noto imprenditore edile diventato<br />

manager della sanità, e prestanome del<br />

boss Bernardo Provenzano. Aiello, l’ex<br />

re Mida siculo, è stato condannato in via<br />

definitiva a 15 anni e sei mesi di<br />

reclusione per associazione mafiosa. Il<br />

manager della mafia, tuttavia, è stato<br />

recentemente scarcerato dalla prigione di<br />

Sulmona perché intollerante al menù<br />

carcerario, con un provvedimento del<br />

tribunale dell’Aquila. ‘Binnu u’ tratturi’,<br />

a quel tempo, fu curato nella limitrofa<br />

clinica Santa Teresa. Stefano Caruso -<br />

promosso dallo Stato dopo l’omicidio di<br />

Marcone a consigliere ministeriale - era<br />

già stato arrestato il tredici luglio 1996<br />

con l’accusa di abusi in atti d’ufficio,<br />

rivelazioni di segreti d’ufficio e concorso<br />

in evasione fiscale per circa un miliardo<br />

di lire, nonché per concorso<br />

nell’omicidio Marcone. Ma, se la cavò<br />

liscia.<br />

Chi aveva incontrato diciassette anni fa<br />

il Caruso nell’albergo di Cosa Nostra a<br />

Bagheria? Ma soprattutto che ci faceva<br />

in loco? Abbiamo provato a chiederlo<br />

direttamente all’interessato, senza<br />

ottenere risposta.<br />

PRATICA MALEDETTA<br />

Francesco Marcone, direttore<br />

dell’ufficio del Registro di Foggia, il<br />

ventinove marzo ’95, due giorni prima di<br />

essere assassinato, elaborò le deduzioni<br />

per la causa tributaria - con elusione<br />

fiscale di oneri miliardari - che opponeva<br />

l’ufficio del Registro a Foar (azienda con<br />

sede legale a Salerno e<br />

stabilimento a Foggia per<br />

la produzione di ghisa<br />

sferoidale). In<br />

un’intercettazione<br />

ambientale della Polizia,<br />

Caruso dice che “Foar<br />

vuol dire il notaio<br />

Casablanca pagina 30<br />

Francesco Paolo Pepe e Casillo”. In<br />

questo atto appare l’atto di cessione di<br />

immobile strumentale tra la FOAR Srl e<br />

la SICILSUD LEASING SPA, con il<br />

quale è stata realizzata la cessione di un<br />

compendio immobiliare. Questo tipo di<br />

operazione è assoggettato all’IVA, alle<br />

tasse fisse di Registro, trascrizione e<br />

catasto. Da un’attenta analisi sul reale<br />

contenuto dell’atto, il direttore Marcone<br />

era giunto alla conclusione che l’oggetto<br />

del trasferimento era costituito da uno<br />

stabilimento per la lavorazione della<br />

ghisa. La lavorazione e produzione<br />

necessita di una struttura, ovvero<br />

l’immobile, ma anche dei relativi<br />

macchinari, opportunamente diretti<br />

all’attività specifica. Inoltre, dall’atto in<br />

questione risulta che il trasferimento<br />

comprendeva tutte le accessioni,<br />

dipendenze e pertinenze inerenti. A<br />

seguito di questa lettura il Marcone<br />

chiedeva un supplemento d’imposta,<br />

considerando così la cessione non riferita<br />

ad una semplice pluralità di beni, ma ad<br />

un’azienda tecnicamente organizzata,<br />

perciò assoggettabile ad imposta di<br />

registro poiché fuori dal campo di<br />

approvazione iva. In tale senso andrebbe<br />

letto il relativo avviso di liquidazione<br />

notificato dall’Ufficio alla FOAR e alla<br />

SICILSUD. Oltre a ciò, tenuto conto che<br />

andava assoggettato ad imposta di<br />

registro il prezzo complessivo<br />

dell’operazione, riguardante oltre alla<br />

cessione dei beni immobili anche quella<br />

dei macchinari ed attrezzature, l’Ufficio<br />

estendeva la pretesa d’imposta al<br />

corrispettivo derivante dalla fattura di<br />

vendita dei macchinari e attrezzature<br />

emessa dalla FOAR nei confronti della<br />

SICILSUD, notificando ulteriore avviso<br />

di liquidazione alla FOAR. Il direttore<br />

Marcone aveva prospettato ai suoi diretti<br />

superiori una sorta di strategia illegale<br />

adottata dalle parti, costituita da alcune<br />

operazioni intermedie attraverso le quali<br />

si era reso concreto il trasferimento<br />

dell’intera azienda di proprietà FOAR<br />

alla NUOVA FOAR. Quest’ultima<br />

società era stata costituita come un altro<br />

contenitore nel quale riversare gli stessi<br />

soggetti della FOAR. In altri termini,<br />

tale escamotage aveva consentito agli<br />

stessi soggetti di realizzare un’azienda<br />

avente la medesima consistenza della<br />

precedente con un esborso fiscale<br />

minimo. Inoltre, la venditrice FOAR<br />

aveva reso una dichiarazione Invim nella<br />

quale prezzo e valore coincidevano. A<br />

tale scopo era stata utilizzata una<br />

certificazione del Comune di Foggia,<br />

dalla quale risultava che l’intero<br />

stabilimento era stato ultimato a ridosso


della vendita: ciò consentiva di indicare<br />

come valore iniziale al 2 novembre<br />

1990, data di presunta ultimazione dei<br />

lavori, la stessa cifra indicata come<br />

prezzo. In tal modo, coincidendo epoca e<br />

valori, non risultava alcun incremento e,<br />

quindi, nessuna imposta. In realtà, lo<br />

stabilimento - unico nel suo genere in<br />

Italia - “una sorta di gallina dalle uova<br />

d’oro” commenta un noto avvocato - era<br />

perfettamente visibile ed operativo da<br />

decenni e Marcone aveva accertato<br />

presso Ute e Conservatoria dei Registri<br />

Immobiliari, che la data di ultimazione<br />

dei lavori risaliva al 15 novembre 1973,<br />

perciò la data indicata come 2 novembre<br />

’90 si riferiva ad aspetti marginali del<br />

complesso industriale e non all’intero<br />

corpus. Da ciò scaturì l’accertamento in<br />

rettifica del valore iniziale. In più: la<br />

pratica edilizia risale al 1972. Un anno<br />

cruciale: infatti, un biglietto anonimo<br />

recapitato alla famiglia Marcone il<br />

ventinove novembre 1998 c’è scritto:<br />

“1972 è un foglio di carta da bollo da<br />

2000 quello con la bilancia è una<br />

collezionista (rivolgetevi a qualche<br />

collezionista)”.<br />

L’ultimo atto compiuto da Francesco<br />

Marcone in riferimento alla pratica<br />

FOAR è la redazione delle corpose<br />

controdeduzioni dell’Ufficio ai ricorsi<br />

proposti dalle parti, datate 29 marzo<br />

1995, vale a dire due giorni prima della<br />

sua morte.<br />

Nel primo decreto di archiviazione<br />

firmato dal giudice per le indagini<br />

preliminari Simonetta D’Alessandro la<br />

questione Foar è definita di «eccezionale<br />

delicatezza». Come ha sottolineato il<br />

provvedimento reso dal gip il sette aprile<br />

’96. L’ultimo atto di Marcone sulla Foar<br />

è inequivocabile: «La strategia posta in<br />

essere, frutto di menti raffinate ed<br />

esperte in giochi di alta finanza ha<br />

consentito agli stessi soggetti di trovarsi<br />

alla fine con un’azienda che ha la stessa<br />

consistenza patrimoniale della<br />

precedente, e tutto ciò con un sacrificio<br />

fiscale assai contenuto, usufruendo del<br />

regime IVA». Il dieci marzo 2001, il Gip<br />

Lucia Navazio aveva disposto «che il<br />

PM proceda ad ulteriori indagini sui temi<br />

innanzi indicati: - tra l’altro -<br />

«Identificare tutti i componenti degli<br />

organi collegiali della FOAR Srl, della<br />

NUOVA FOAR srl e della SICIL SUD<br />

spa (…) Individuare con precisione la<br />

natura dell’atto intercorso tra FOAR e<br />

SICILSUD, nonché ruolo svolto in<br />

concreto dal notaio. Acquisire notizie<br />

della vita societaria della Sicil Sud, come<br />

nasce (se proviene da trasformazione di<br />

altre società) e dati su tutti i soggetti<br />

uno scavo giornalistico di chi non si arrende mai…<br />

coinvolti nella vita di questa. Acquisire<br />

esito indagini del procedimento n.<br />

612798 RG mod. 21 per il reato di cui<br />

all’art. 479 c.p., nella compravendita<br />

della FOAR».<br />

LA PIOVRA<br />

Il meccanismo truffaldino era ingegnoso:<br />

i dirigenti dell’azienda con sede a<br />

Palermo, stipulavano contratti con clienti<br />

che utilizzavano il denaro erogato per<br />

scopi diversi, in altre parole senza<br />

acquistare i beni per i quali erano stati<br />

richiesti i finanziamenti. E intascavano<br />

le tangenti sui prestiti corrisposti. Il<br />

raggiro è stato scoperto nel giugno del<br />

1988. E ha portato in galera i dirigenti<br />

della finanziaria, con l’accusa di<br />

associazione a delinquere, truffa, falso in<br />

bilancio e frode fiscale. Il giro di<br />

fatturazioni false di aggirava sui<br />

cinquanta miliardi di lire. Presidente<br />

della società, controllata per il 60 per<br />

cento dalla banca San Paolo di Torino e<br />

per il 40 per cento dal Banco di Sicilia, è<br />

stato dal 1985 sino al trentuno dicembre<br />

1988, Pietro Verzeletti, componente in<br />

quel periodo del consiglio<br />

d’amministrazione dell’Itituto di credito<br />

torinese e soggetto cruciale della finanza<br />

rossa. Vicepresidente era Alfredo<br />

Spatafora, consigliere di<br />

amministrazione del banco di Sicilia. La<br />

Sicilsud venne fondata nel 1980. Dietro<br />

la Sicilsud Leasing, scoprirono gli<br />

inquirenti, si allungava l’ombra di Cosa<br />

Nostra. In un rapporto presentato dalla<br />

Guardia di Finanza il nove marzo del<br />

1989, emerge, infatti, come a gestire la<br />

truffa vi fossero personaggi legati alla<br />

mafia. A capo della banda di truffatori<br />

c’era il boss Tommaso Marsala,<br />

individuo di fiducia della cosca Spatola-<br />

Inzerillo, ucciso davanti al portone di<br />

casa in viale Strasburgo a Palermo, il 4<br />

agosto 1987. Un omicidio sul quale<br />

indagò Giovanni Falcone, allora giudice<br />

istruttore. Tommaso Marsala era<br />

coinvolto nell’inchiesta sulla strage di<br />

via Croce Rossa, avvenuta il sei agosto<br />

1985, dove vennero uccisi il<br />

vicequestore di Palermo, Ninni Cassarà<br />

e l’agente di scorta Roberto Antiochia.<br />

La Sicilsud Leasing - proprietaria<br />

Casablanca pagina 31<br />

l’Equiter Spa (Fin. Opi Spa), in altre<br />

parole il San Paolo Imi, risulta cancellata<br />

dal registro delle imprese a far data dal<br />

26 gennaio 2006. Il capitale sociale<br />

ammonta a 2.935.008,00 euro.<br />

ECOMAFIE<br />

Se digitate sul motore di ricerca Google,<br />

il termine “km 682,700”, internet vi<br />

mostra una pagina, dove appaiono due<br />

società: Fonderie di Foggia Srl e Blue<br />

service Srl (specializzata in “rifiuti<br />

industriali e speciali, nonché<br />

smaltimento e trattamento”, così recita la<br />

pubblicità). Strano caso: le due ditte a<br />

responsabilità limitata, ma con ragioni<br />

sociali diverse almeno sulla carta, hanno<br />

sede operativa nello stesso sito della<br />

FOAR Srl. La seconda ditta menzionata<br />

(Blue Service Srl) non è iscritta ad<br />

alcuna camera di Commercio. Da una<br />

ricerca nel ramo rifiuti emerge soltanto<br />

la Blu Service Srl con sede a Brendola<br />

in provincia di Vicenza, di cui è<br />

amministratore unico, tale Gobbo Rigo.<br />

Inoltre, dal terminale presso la Camera<br />

di Commercio non è autorizzato<br />

l’accesso all’assetto societario della<br />

Fonderie di Foggia con sede legale a<br />

Salerno. Infine, la F.O.A.R. (Fonderie<br />

Officine Antonio Romeo) S.R.L., risulta<br />

iscritta nella sezione ordinaria il 19<br />

febbraio 1996, ma la data di costituzione<br />

risale all’undici gennaio 1971.<br />

Presidente del consiglio<br />

d’amministrazione è Busachi Tomaso<br />

Antonio (nato a Cremona il 30 agosto<br />

1942), nominato il 2 luglio 1992, mentre<br />

i consiglieri sono Castagnazzo Matteo<br />

Ferruccio (nato a Bovino l’11 febbraio<br />

1945) ed Antonio Viotto (nato a Varazze<br />

il 2 agosto 1943). Oggetto sociale:<br />

“fusione di ghisa”. In ogni caso nel sito<br />

(località Santa Chiara) sono stati sepolti,<br />

o meglio maldestramente occultati<br />

ingenti quantitativi di rifiuti industriali<br />

che affiorano dal suolo. Il caso è stato<br />

sottoposto ai carabinieri della compagnia<br />

di Foggia, ma a tutt’oggi senza alcun<br />

esito.<br />

MANI SULLA CITTA’<br />

Non è tutto: ecco altri probabili moventi<br />

assassini in cui è invischiato Stefano<br />

Caruso. In un rapporto della Digos<br />

datato sette marzo 1997 è specificato:<br />

«Punto di snodo di entrambe le<br />

vicende sembra, allo stato dei fatti, il<br />

Caruso. Questi oltre ad essere<br />

interessato alla formazione dell’atto<br />

costitutivo dell’Immobiliare<br />

Mediterranea, cioè, la cessione a fini


edificatori di un’area di proprietà dei<br />

germani Marinari al costruttore<br />

Spezzati per sua stessa ammissione, è<br />

altresì intervenuto anche nella vicenda<br />

della piccola proprietà contadina<br />

incontrando i Sarni, che intendevano<br />

scavalcare Francesco Marcone.<br />

Annotano i pm Buccaro e Viola: «Il<br />

Caruso, nella qualità di Direttore<br />

regionale delle Entrate per la Regione<br />

Puglia, in palese violazione dei principi<br />

della legalità, imparzialità e buon<br />

andamento della Pubblica<br />

Amministrazione, ha assunto il ruolo di<br />

super consulente dei fratelli Marinari,<br />

dando precise direttive - in palese<br />

violazione di legge - sul tipo di atto da<br />

redigere per evitare una tassazione<br />

rilevante».<br />

A Caruso i poliziotti sequestrarono, il 13<br />

luglio ’96, un arsenale di armi e<br />

munizioni: «i1 revolver calibro 38, 1<br />

fucile automatico Breda, un fucile<br />

automatico calibro 12 Breda, 1 fucile<br />

automatico a canne affiancate calibro<br />

12 Bernarelli, 1 pistola automatica<br />

calibro 7,65, 1 pistola automatica<br />

calibro 6,35 Beretta, 1 fucile<br />

monocanna calibro 12 Merlin». Questa<br />

armi non sono mai state analizzate.<br />

Nel verbale di sommarie informazioni<br />

redatto in Questura il primo aprile ’95<br />

alle ore 00.40 si<br />

apprende dallo stesso<br />

uno scavo giornalistico di chi non si arrende mai…<br />

Caruso<br />

che «L’ultima volta che ho visto il<br />

Marcone è stata la sera del giorno 29<br />

marzo. Lo andai a trovare presso il suo<br />

ufficio senza alcun motivo, solo per<br />

chiacchierare e fare una piccola<br />

passeggiata in centro». L’impiegata Di<br />

Ciommo ha raccontato agli inquirenti:<br />

«un altro episodio che ricordo anche è<br />

quello occorso il giovedì 30 marzo 1995,<br />

verso le 17.20-17,30. Quel giorno mi<br />

recai dal direttore Marcone sempre per<br />

esaminare alcune pratiche. Ad un certo<br />

punto giunse una telefonata. Disse. “Qui<br />

ti fanno tremare, devi aver paura anche<br />

di firmare. Io ho sempre detto che<br />

Caruso era un tipo sanguigno ma non<br />

cattivo, ora le dico che è anche cattivo».<br />

Nell’interpellanza parlamentare<br />

urgente presentata il ventisei febbraio<br />

1998 (numero 2-00917) da Elio Veltri, è<br />

scritto: «Francesco Marcone è l’unico<br />

funzionario dello Stato<br />

dell’amministrazione finanziaria<br />

assassinato dal dopoguerra in poi,<br />

perché era rigoroso». E ancora:<br />

«L’aspetto più inquietante di tutta la<br />

faccenda è il coinvolgimento di<br />

dipendenti dell’amministrazione<br />

finanziaria, in particolar modo quello<br />

dell’ex direttore regionale delle<br />

entrate per la Puglia, Stefano<br />

Caruso». L’allora sottosegretario di<br />

Stato per le Finanze, Fausto Vigevani,<br />

aveva contestualmente risposto: «come<br />

confermato dalle indagini condotte dalla<br />

magistratura che hanno portato<br />

all’individuazione di gravi illeciti<br />

determinanti evasioni fiscali per circa tre<br />

miliardi di lire, in cui sono risultati<br />

coinvolti il direttore regionale delle<br />

entrate per la Puglia, dottor Caruso, ed<br />

imprenditori e professionisti locali».<br />

TRUFFA ALLO STATO<br />

Con atto registrato il nove luglio 1990, i<br />

fratelli Sarni Carmine e<br />

Alessandro acquistano a<br />

Montenero di Bisaccia in<br />

provincia di Campobasso,<br />

un appezzamento di<br />

terreno di circa 188 ettari,<br />

in prossimità<br />

dell’autostrada adriatica.<br />

I germani invocano i<br />

benefici della legge 604<br />

del 1956 per la piccola<br />

proprietà contadina e<br />

presentano un<br />

certificato<br />

manomesso<br />

dell’Ispettorato provinciale<br />

dell’Agricoltura di Foggia, al fine di<br />

eludere il pagamento delle tasse pari a un<br />

Casablanca pagina 32<br />

miliardo e mezzo di vecchie lire. In un<br />

rapporto risalente al diciotto febbraio<br />

1995, siglato dall’allora capitano della<br />

Guardia di Finanza, Giacomo Ricchitelli<br />

si puntualizza che «Dalle indagini svolte<br />

è emerso che sia il certificato<br />

provvisorio che quello definitivo sono<br />

risultati falsi». La legge dispone che<br />

beneficiano delle agevolazioni gli<br />

acquirenti che si dedicano abitualmente<br />

alla coltivazione della terra. I Sarni -<br />

nativi di Ascoli Satriano - partendo dalle<br />

truffe sulla piccola proprietà contadina<br />

hanno costruito in impero economico<br />

che sta fagocitando le autostrade italiane<br />

con punti vendita e autogrill e<br />

supermercati (ad esempio a Sulmona<br />

dov’era recluso Aiello, socio di<br />

Provenzano). Chi ha fornito i capitali di<br />

partenza ai fratelli di Ascoli Satriano?<br />

Da una visura camerale risulta che<br />

Stefano Caruso è consigliere in affari dei<br />

fratelli Sarni. Dove? A Sulmona,<br />

precisamente nella società, o meglio nel<br />

centro commerciale Il Borgo. Il core<br />

business sarniano è legato alle aree di<br />

servizio (il secondo gruppo italiano del<br />

settore, dopo Autogrill). Ma ad esso si<br />

sono affiancate - con la società Finsud<br />

Srl - con prepotenza anche l’attività di<br />

ristorazione dei centri commerciali e la<br />

gestione e lo sviluppo della rete di<br />

vendita del comparto oreficeria e<br />

gioielleria Follie d’Oro. E infine<br />

l’attività immobiliare.


Una svolta? Una evoluzione? Un prodotto del nostro tempo…<br />

Mafia: inchiesta<br />

Margherita Passalacqua…<br />

genere - mafiosa<br />

Graziella Proto<br />

Margherita Passalacqua - indole delinquenziale e spiccato senso dell’appartenenza è la figlia<br />

di Calogero Battista Passalacqua - il reggente mafioso di Carini. In base alle intercettazioni<br />

ambientali e alle investigazioni giudiziarie, pare sia stata, sin dalla giovane età, compartecipe<br />

del percorso delinquenziale familiare, iniziato dal padre decenni addietro e proseguito dal<br />

fratello Giuseppe. Assieme al padre Calogero Battista detto “I santi”è stata arrestata per reati<br />

di mafia a novembre dell’anno scorso per essere rilasciata poco tempo dopo perché mamma<br />

di una neonata di quattro mesi da accudire.<br />

Assieme ai genitori, al marito Salvatore<br />

Sgroi, Failla Vito, Lo Duca Giacomo e<br />

al cugino Frisella Croce, Margherita costituisce<br />

il vertice operativo della famiglia<br />

mafiosa di Carini, all’interno della<br />

quale viene tenuta in grande considerazione<br />

non solo perche figlia del “boss”<br />

ma soprattutto perché dimostra di avere<br />

le qualità per interagire all’interno del<br />

sodalizio criminale. Una protagonista<br />

assoluta.<br />

Un personaggio quindi, che vive di luce<br />

propria, la cui durezza e solidità è manifestata<br />

soprattutto quando esegue gli ordini<br />

impartiti dal padre. Spesso “ordini”<br />

decisi insieme. Una durezza che manife-<br />

sta e che impresta al padre quando le<br />

sembra che egli tenda verso la pietà e la<br />

comprensione.<br />

Spesso però (così come si evince da alcune<br />

intercettazioni), in apparenza, preferisce<br />

fare un passo indietro, ma è solo<br />

un espediente per tutelare l’immagine<br />

del genitore - padrino. ”…ma io infatti<br />

glielo volevo dire subito sì - racconta al<br />

padre e alla madre - però dissi aspetta<br />

un minuto, prima parlo con mio padre<br />

…” . Oppure, “ se io devo decidere sì …<br />

le persone non devono capire …” . Potrebbero<br />

pensare “arriva e comanda lei,<br />

suo padre non passa e non conta più”.<br />

PER CAPIRNE DI PIU’ ( pubblicato su CASABLANCA marzo 2012)<br />

Casablanca pagina 33<br />

MAFIOSA E COCCA DI PAPÀ!<br />

Sfruttando l’esser donna, nella convinzione<br />

che le donne in qualche modo siano<br />

più tutelate legalmente ed al riparo<br />

da coinvolgimenti in fatti delittuosi,<br />

Margherita pare essere responsabile della<br />

raccolta del pizzo, anzi,qualcuno sostiene<br />

che a volte, lei stessa non si esime<br />

dal farlo personalmente. Un esempio<br />

concreto di mafiosa. “ Donna con i pantaloni”,<br />

che siede con merito tra gli uomini<br />

che costituiscono il vertice operativo<br />

della consorteria mafiosa.<br />

Da sempre vicino ai “Corleonesi”, Calogero Passalacqua detto “Battista i Santi” sin dai tempi del Maxiprocesso è<br />

considerato elemento di spicco nell’organizzazione di Cosa Nostra palermitana. I primi rapporti giudiziari redatti sul suo<br />

conto risalgono agli anni 70 e lo fotografano come storico reggente della famiglia mafiosa di Carini.<br />

A novembre scorso, Calogero Battista Passalacqua storico uomo d'onore di “Cosa Nostra” è stato arrestato assieme alla<br />

figlia Margherita, elemento di spicco del clan. Si trovava agli arrest i domiciliari nella sua casa di Carini dal 2007.<br />

Recluso nella sua casa, Battista i Santi è circondato da affetto e rispetto. Conosce tutti e sa tutto di tutti. Mantiene rapporti.<br />

Riceve visite. L’anzianità, la lunga militanza nelle fila di “Cosa nostra”, la sua storia personale, il carisma da padrino,<br />

gli crea fedeltà e stima. Gode della protezione di una cortina quasi impenetrabile. Dalla sua casa situata nel cuore<br />

di Carini ha il totale controllo di quanto avviene all’esterno delle mura domestiche, grazie alla complicità del vicinato,


Una svolta? Una evoluzione? Un prodotto del nostro tempo…<br />

soggetti che pur non potendo definire mafiosi o criminali di sicuro gli permettono di controllare meticolosamente il<br />

quartiere dove vive. Avvicinarsi a quell’abitazione senza essere notati, era quasi impossibile, persino i bambini, sembra<br />

siano stati addestrati a guardarsi dagli “sbirri” mentre giocano in strada. Rendendo così le indagini a suo carico molto<br />

difficoltose. Fra i più fedeli, Grigoli Gianfranco arrestato a Montepulciano perché favoriva la sua latitanza e che è rientrato<br />

in Sicilia per ubbidire al capo. C’è dell’altro, l’abitazione di Grigoli ha un ingresso che comunica con l’abitazione<br />

dei Passalacqua . Una bella situazione per non dare nell’occhio. Il fedele Grigoli, spesse volte è stato notato mentre accoglieva<br />

all’esterno dell’edificio, o a volte addirittura accompagnare con la sua macchina, soggetti che secondo gli inquirenti<br />

sono molto vicini al reggente che da lui si recavano per le” riunioni” nella casa-prigione. Da lì, secondo gli investigatori,<br />

il reggente, decide gli indirizzi che l’organizzazione criminale deve perseguire e risolve personalmente, la<br />

gestione del potere economico, cioè l’economia dell’intero paese. Inoltre, come un vero padrino, interviene per risolvere<br />

controversie, offrire raccomandazioni, ascoltare tutti quelli che lo richiedano. Invia messaggi che scrive e spesso consegna<br />

la figlia Margherita.<br />

In alcuni casi è stato visto che i messaggi sarebbero brevi scambi di battute fra Passalacqua affacciato al balcone della<br />

propria abitazione, e soggetti che si fermavano lungo la strada a breve distanza. Poche parole appena sillabate. Oppure<br />

un bigliettino appallottolato.<br />

Violenta, aggressiva … persuasiva. Non<br />

lo è solo con i nemici, sfrutta queste sue<br />

caratteristiche e il suo ruolo anche con il<br />

suo avvocato, minacciandolo di fargliela<br />

pagare a lui e tutti quelli che ci sono sulla<br />

strada per arrivare ai giudici se non<br />

concedono il permesso a suo padre -<br />

agli arresti domiciliare – per partecipare<br />

al battesimo della nipotina a cui deve fare<br />

da padrino.<br />

( intercettazione ambientale, mentre lo<br />

racconta al padre e alla madre)<br />

“ … Non ci siamo capiti - dice<br />

all’avvocato – allora, tu vai a presentare<br />

il permesso e ci metti per iscritto<br />

che te ne assumi la responsabilità, tu,<br />

con la scorta di altri quarantacinquemila<br />

sbirri … cornuti e sbirri …<br />

mio padre deve battezzare a mia figlia<br />

gli ho detto, mi è bastato che non è<br />

venuto al matrimonio mio …” e giù<br />

minacce per tutti, giudici compresi.<br />

Il battesimo della bimba di Margherita,<br />

per la “famiglia”, Passalacqua rappresentava<br />

l’occasione di mostrare a tutti<br />

che, il clan, capeggiato dal vecchio patriarca<br />

era ritornato più forte e compatto<br />

di prima. Erano nuovamente in ascesa.<br />

Un modo per lanciare messaggi e segnali<br />

che facilitassero la gestione del potere.<br />

Dunque, l’avvocato con le buone o con<br />

le cattive doveva intervenire con i giudici.<br />

UNA SVOLTA?<br />

UNA EVOLUZIONE?<br />

Il boss di Carini è contento di questa fi-<br />

glia, anche perché il figlio Giuseppe è in<br />

carcere. E poi diciamolo, Margherita dà<br />

più soddisfazioni. E’ più attenta. Non<br />

combina cazzate. E’ irruenta quanto basta<br />

per intimidire. E’decisa. E’ Presente,<br />

adora il padre. Lui, la tiene molto in<br />

considerazione e nei casi importanti o<br />

urgenti utilizzi la figlia per scrivere e<br />

consegnare i “pizzini”. Da donna dà<br />

meno nell’occhio ed è considerata più<br />

libera nei movimenti. Inoltre, il marito,<br />

altro soggetto inserito nella consorteria<br />

criminale, all’epoca era sottoposto alla<br />

sorveglianza speciale di P.S. Sembrerebbe<br />

che il marito di Margherita, Salvatore<br />

Sgroi, con precedenti per associazione<br />

mafiosa, spaccio e traffico di droga,<br />

sia stato ufficialmente affiliato anche<br />

per volere della consorte. Dalle risultanze<br />

investigative, infatti, emerge che Salvatore<br />

Sgroia è una figura che vive<br />

all’ombra della moglie, donna dalla forte<br />

personalità autoritaria.<br />

Passalacqua gestiva i rapporti con<br />

l’esterno tramite “suoi ambasciatori”.<br />

La figlia e il genero, ovviamente i più<br />

fedeli ed affidabili, non si sottraggono ai<br />

doveri implicanti la partecipazione attiva<br />

alla vita della “famiglia”. E così anche<br />

il genero, dalla “sua seconda posizione”<br />

convoca incontri, riferisce gli<br />

esiti.<br />

Margherita invece porta fuori le direttive<br />

e i “pizzini” ricevuti dal padre. Parla<br />

con i destinatari. Consegna al padre i<br />

messaggi ricevuti. Negli ultimi tempi,<br />

diffidente e sospettosa di essere spiata<br />

all’interno del suo esercizio commercia-<br />

Casablanca pagina 34<br />

le, suggerisce di non svolgere incontri<br />

nel negozio in quanto dice “pieno pieno”,<br />

facendo riferimento ad eventuali<br />

microspie. Si affaccia fuori dal negozio<br />

per parlare con certe persone. Donna<br />

furbissima.<br />

Nella famiglia di Carini, le donne. Anche<br />

se non affiliate con il rito, partecipano<br />

alle attività dei loro uomini come<br />

se fosse una cosa normale. E’ una normalità<br />

spacciare, contattare, sostituire,<br />

intestarsi attività commerciali quando il<br />

capo famiglia è in galera. Nascondere e<br />

custodire la droga. Scambiarsi gentilezze<br />

e cortesie quando vanno a trovare i<br />

loro detenuti. Una volta, la moglie del<br />

mafioso, detenuto o no, si cercava di occultarsi,<br />

per vergogna o riservatezza.<br />

Non sbandierava ai quattro venti la situazione.<br />

A Carini, le mogli, madri, figlie,<br />

affrontano le galere e i reati dei loro<br />

congiunti alla luce del sole. Come se<br />

fossero stellette da appendere al petto.<br />

Come se il carcere fosse un albergo a<br />

cinque stelle e il reato, un normale mestiere.<br />

Giuseppe Passalacqua, figlio del<br />

boss e fratello di Margherita è in galera,<br />

un fatto che ha sempre irritato la sorella,<br />

secondo la quale non ha saputo gestire<br />

la situazione.<br />

Se fosse stata informata dice al padre “..<br />

Gli avrei detto, guarda, lasciamo i telefoni<br />

qua dentro l’ufficio, andiamocene,<br />

chi vuole … (incomprensibile)<br />

… Anzi passiamoci, gli diciamo noi,<br />

mettimi i vestiti in un sacchetto due<br />

tre cambi in un sacchetto”….mettici<br />

una coperta”


Una svolta? Una evoluzione? Un prodotto del nostro tempo…<br />

Da questa intercettazione, è evidente,<br />

che la figlia del capo sa di luoghi ove<br />

trovare riparo ed assistenza in caso di latitanza.<br />

Conosce i covi utilizzati dalla<br />

famiglia. Conosce le persone delegate a<br />

Intercettazione telefonica<br />

supportare. Mantenere. Nascondere. Vigilare.<br />

Una conoscenza che di per se<br />

conferma ancora una volta il ruolo attivo<br />

di Margherita Passalacqua all’interno<br />

della famiglia mafiosa di Carini.<br />

Margherita racconta al padre le modalità con cui ha richiesto i soldi a tale Angelo.<br />

(Decr. nr. 1924/09 NRG NC DDA -877/09 NRI datato 20/04/2009 prog. nr.934)<br />

P: Passalacqua Calogero<br />

M: Passalacqua Margerita<br />

M:….(omissis)….Angeluzzo, avanti ieri sera è passato davanti al negozio, siccome lui mi aveva detto avanti ieri a fine mese,<br />

passò con la macchina, gli ho detto Angelù, il mese è finito ed è iniziato l’altro, dice, ora vediamo, la<br />

settimana prossima eh…, mentre camminava, gli ho detto Angelù, questa settimana, nel mentre<br />

c’erano persone e se ne andato, macchine e se ne andato, siamo andati a prendere il pane da..da Enzo,<br />

e lo trovo fermo là che parlava con quello,Angelù, vieni qua…(incomprensibile)…se tu pensi di<br />

prendere per il culo gli ho detto, un cristiano che ha due anni che agli arresti domiciliari, gli ho<br />

detto, tu hai sbagliato numero di casa,mi devi portare i soldi di mio padre, ah ma lo sai, i 150 te<br />

li posso dare questo mese, 150 il prossimo mese, gli ho detto Angelù, per me te ne puoi andare<br />

ad impiccarti, ti fai campare da quel cornuto di tuo suocero, tu questa settimana mi devi portare<br />

300 euro, ti è finita gli ho detto, tu vai a prendere in giro a mio padre…<br />

P:…(Incomprensibile)…<br />

M:…Gli ho detto, gli dici ad un mese, gli ho detto…<br />

P:..No una settimana mi ha detto…<br />

M:..Ed io gli ho detto, gli hai detto…(incomprensibile)…ma io ho avuto problemi…, se io ho mio padre abbiamo problemi a te<br />

non te lo veniamo a dire, tu non sei figlio di mio padre e se nessuno immischiato con niente, non ti permettere più a prendere in<br />

giro a mio padre e mi devi portare i soldi subito, ah…ma sai, 150 questa settimana, ti vai ad impiccare gli ho detto, voglio tutti<br />

i soldi questa settimana, perché ti finisco, da femmina e buona ti alzo uno schiaffo ti sconzo …(testuale)…qua…<br />

M:…No, gli ho detto, ti finisco,completamente ti smonto,gli ho detto, vai da tuo suocero visto che è tanto persona per bene<br />

e te li fai dare da lui e glielo dici che sei un farabutto, a tuo suocero…<br />

P:..(incomprensibile)…<br />

M:..Diglielo che sei un farabutto…voglio i soldi questa settimana ed appena tu sgarri, gli ho detto ti infilo…(incomprensibile)…da<br />

femmina e buona c’è la so a smontarti, gli ho detto, vedi quello che devi fare e me ne sono venuta<br />

da te, gli ho dato l’invito a …(incomprensibile)…lui ha preso e se ne andato da Salvo( marito di Margherita) che stava<br />

uscendo dal panificio, gli dice c’è ne posso dare 150 la settimana, 150 la prossima…gli dice Angelù,se mia moglie ti ha<br />

detto che li vuole questa settimana, perche dice, glieli lascio io a tuo padre, no me li devi venire a lasciare a me, da mio<br />

padre tu non ci devi mettere più piede, ci fa…(incomprensibile)…con mio padre non hai più niente da parlarci…<br />

P:…(incomprensibile)….<br />

M:…Ti sembra che ti và a finire meglio di qua gli ho detto, non ti va a finire meglio di me…<br />

P:…(incomprensibile)…questi per una settimana…<br />

M:…E ieri ha portato 200 euro…<br />

P:…gli dici questi per una settimana…<br />

“ti vai ad impiccare gli ho detto,<br />

voglio tutti i soldi questa settimana,<br />

perché ti finisco, da femmina e buona<br />

ti alzo uno schiaffo ti sconzo”<br />

Casablanca pagina 35


Mafioso? No, un Pirla incandidabile<br />

Mafioso?<br />

No, un pirla incandidabile<br />

Franco Lo Re<br />

Un fondo di settanta ettari confiscati al narcotrafficante mafioso Totò Miceli, uomo fidato del<br />

latitante Matteo Messina Denaro, stava per essere assegnato ad un amico dell’onorevole<br />

Gianmmarinaro. Ritardi ed altalene. Condizionamenti? Una altra goccia che ha fatto<br />

traboccare il vaso. Vittorio Sgarbi è uscito proprio malamente dalla vicenda di<br />

Salemi.Secondo il tribunale di Marsala, non è candidabile, ma lui si candida lo stesso a<br />

Cafalù. Con l’arroganza e la tracotanza che lo contraddistingue. “Partito della Rivoluzione”.<br />

Rivoluzione di che? L’altra lista “Concorso esterno” pare non sia andata in porto per vizi di<br />

forma. tutto ciò non è ironico. Non è un gioco. Nessun problema linguistico. Per di più, la<br />

mafia è mafia e non si fanno accordi o inciuci con i mafiosi. In sicilia non abbiamo bisogno<br />

di personaggi spregiudicati, sempre pronti a fare provocazioni. Vogliamo essere razzisti,<br />

perciò, pretendiamo politici seri, competenti, presenti, interessati ai problemi territoriali.<br />

“Sgarbi? Non è un mafioso. Come si<br />

dice a Milano è un pirla”. Ad esprimersi<br />

così, all'indomani delle dimissioni di<br />

Vittorio Sgarbi da sindaco di Salemi, fu<br />

il fotografo Oliviero Toscani in una<br />

intervista ad un quotidiano nazionale. Per<br />

circa un anno era stato assessore alla<br />

Creatività della giunta del critico ferrarese.<br />

Aveva convissuto politicamente, e non<br />

solo, senza battere ciglio con l’intero<br />

entourage della potente macchina di potere<br />

dell’ex deputato democristiano Pino<br />

Giammarinaro. Collaborando in giunta<br />

con i suoi fedelissimi: a cominciare dal<br />

vicesindaco Nino Scalisi, da sempre e<br />

notoriamente l’alter ego di Giammarinaro<br />

e per finire col di lui cognato Angelo<br />

Calistro. Tutto alla luce del sole,<br />

intendiamoci. Con atti, documenti e<br />

filmati. Sarebbe stato questo, infatti, il<br />

leitmotive ripetuto da Sgarbi in ogni<br />

occasione per replicare alle accuse<br />

mossegli. Argomentazioni, per certi<br />

versi, condivisibili. Ove si pensi che i<br />

personaggi indicati sempre stati presenti<br />

sulla scena politica cittadina da un<br />

trentennio e sempre rimasti indisturbati.<br />

A cominciare appunto dallo stesso Pino<br />

Giammarinaro. Dominus incontrastato<br />

per oltre un trentennio nella sanità<br />

pubblica trapanese . Di riflesso in quella<br />

politica perché detentore di un cospicuo<br />

pacchetto di voti in grado di fare<br />

eleggere deputati regionali e nazionali e<br />

consiglieri comunali e provinciali. E<br />

quindi, ha buon gioco lo showman<br />

Sgarbi quando sostiene, certamente<br />

strumentalmente, che non di mafia si<br />

tratta, ma di politica. Altro che<br />

infiltrazioni mafiose, aveva subito<br />

rinfacciato al suo ex amico tacciandolo<br />

addirittura anche di razzismo!<br />

Casablanca pagina 36<br />

Insinuando “non avendo ottenuto<br />

quello che voleva a Salemi, con le sue<br />

richieste di finanziamento, ha chiamato<br />

mafia quello che a Lucca avrebbe<br />

chiamato patto di stabilità. Il suo è un<br />

problema linguistico, che rivela un<br />

sostanziale razzismo”. Ma per il<br />

fotografo milanese le infiltrazioni<br />

c'erano e “non si poteva fare nulla<br />

senza parlare con questo e con quello,<br />

senza chiedere permesso, senza<br />

passare da un'infernale macchina<br />

burocratica che è mafia”.<br />

SARO’ IL SINDACO<br />

DI CEFALU’<br />

Come sono andate le cose, ormai è noto a<br />

tutti. Dopo le dimissioni di Sgarbi, c’è<br />

stato lo scioglimento del Comune di<br />

Salemi per infiltrazioni mafiose. Fino<br />

alla sentenza di alcuni giorni emessa dal<br />

Tribunale di Marsala che ha dichiarato


Vittorio Sgarbi "incandidabile" in vista delle<br />

prossime elezioni amministrative.<br />

Suscitando l’immediata e indispettita<br />

reazione da parte del critico d'arte. Lui non<br />

ci sta. E si è candidato ugualmente<br />

affermando che “questa è solo la sentenza di<br />

primo grado e ce ne sono altre tre, l'appello,<br />

la cassazione e la Corte di Strasburgo". E<br />

così dopo l’avventura consumata sulle<br />

amene colline salemitane, il ferrarese,<br />

invece di risalire lo stivale per ritornare<br />

nelle brumose pianure natie, ha scelto di<br />

restare nell’ospitale terra siciliana in una<br />

altrettanto ospitale e ridente cittadina.<br />

Stavolta marina. Approdando sul litorale<br />

della cittadina della Mandralisca, ha scelto<br />

di candidarsi a sindaco di Cefalù.<br />

Affascinato forse dal “Sorriso di un ignoto<br />

marinaio”, si è presentato capeggiando una<br />

formazione politica di sua invenzione,<br />

goliardicamente battezzata “Partito della<br />

Rivoluzione”, promettendo di innalzare ai<br />

vertici del turismo isolano la cittadina<br />

normanna. Avrebbe dovuto essere<br />

fiancheggiata da una terza lista<br />

allusivamente denominata ''Concorso<br />

esterno'”. Ma non se n’è fatto più nulla.<br />

Sembra per vizi di forma. E la sentenza di<br />

Marsala? "Intanto mi candido e se sarò<br />

eletto, farò il sindaco, poi quando verrà<br />

emessa la sentenza definitiva, ne<br />

riparleremo". Ha chiosato. E poco importa<br />

se nei giorni precedenti ci siano state<br />

polemiche sulla presenza inquietante di tale<br />

Giuseppe Farinella, cugino di un<br />

pregiudicato per mafia, detto “Oro colato”,<br />

famoso imprenditore della zona madonita,<br />

originario di San Mauro Castelverde. E<br />

poco conta se sulla vicenda sia intervenuta<br />

anche Sonia Alfano, eletta recentemente<br />

Mafioso? No, un Pirla incandidabile<br />

Presidente della Commissione CRIM (sul<br />

crimine organizzato, la corruzione e il<br />

riciclaggio di denaro) del Parlamento<br />

Europeo. Fra i due, fin dai tempi della<br />

campagna elettorale del 2008, ogni<br />

occasione è stata buona per innescare una<br />

polemica al calor bianco. “Era ovvio”- ha<br />

sottolineato l’Alfano- “ che Vittorio<br />

Sgarbi non potesse candidarsi a sindaco<br />

di Cefalù dopo quanto accaduto a Salemi,<br />

cittadina abbandonata nelle mani della<br />

mafia da un sindaco assente e con<br />

frequentazioni a dir poco ambigue.<br />

Ricordo anche che Sgarbi ha spesso<br />

lanciato assurde invettive sull’inesistenza<br />

della mafia, affermando che i familiari<br />

delle vittime innocenti la stessero<br />

utilizzando come pretesto per i propri<br />

interessi”. A cui l’ex sindaco di Salemi ha<br />

subito controbattuto dicendo che “la<br />

Alfano dimentica che l’unico elemento su<br />

cui poggia lo scioglimento di Salemi non è<br />

in fatti criminosi ma nelle dichiarazioni di<br />

un pubblicitario come Oliviero Toscani<br />

che ha mentito nella sua ignoranza<br />

confondendo la giunta con la sala<br />

d’aspetto.”<br />

RITARDI,INERZIE, ILLEGALITA’,<br />

CONDIZIONAMENTI<br />

Ritornando alle vecchie accuse nei<br />

confronti del fotografo milanese.<br />

Ignoranti tutti, per Sgarbi. Anche il<br />

Tribunale di Marsala. Perché “la<br />

sentenza è un insieme di menzogne<br />

fondate sull’ignoranza, a partire della<br />

richiesta inesistente del ministro<br />

Cancellieri a cui è stato arbitrariamente<br />

attribuito di aver chiesto la mia<br />

incandidabilità con una sentenza ad<br />

personam, mentre la richiesta del<br />

ministro riguardava, per sua stessa<br />

ammissione, il solo consiglio comunale,<br />

senza nessun riferimento personale.” Si<br />

tratta di una sentenza emessa ai sensi<br />

Casablanca pagina 37<br />

dell’art. 143 della legge 267 del 2000,<br />

testo unico sugli enti locali siciliani.<br />

Quisquiglie e pinzillacchere, direbbe, il<br />

principe De Curtis. Così come poco<br />

conta se il ministero dell’Interno abbia<br />

scritto che “il sindaco ha precise<br />

responsabilità per ritardi e inerzie<br />

nell’assegnazione e gestione dei beni<br />

confiscati, formazione degli atti fuori<br />

dalle sedi istituzionali, libera<br />

determinazione fortemente ostacolata,<br />

applicazione di facciata dei protocolli<br />

di legalità”. Si tratta di un duro atto<br />

d’accusa in cui si descrive<br />

un’amministrazione controllata da un<br />

ex sorvegliato speciale. Dall’ex<br />

deputato regionale della Dc, lo<br />

andreottiano Pino Giammarinaro, come<br />

dicevamo prima. E che il famoso<br />

rapporto investigativo del mese di<br />

maggio dello scorso anno definiva<br />

“puparo e regista nemmeno tanto<br />

occulto” tanto da far chiedere al<br />

questore Carmine Esposito, al<br />

Tribunale di Trapani l’applicazione di 5<br />

anni di sorveglianza speciale, e il<br />

sequestro di beni per un ammontare di<br />

ben 30 milioni di euro. Stiamo<br />

parlando della ormai citatissima<br />

indagine “Salus Iniqua”. Seguì<br />

l’ispezione al Comune di Salemi,<br />

durata molti mesi: nel corso della quale<br />

tutta l’attività amministrativa degli<br />

ultimi tre anni fu passata al setaccio. Al<br />

termine della quale fu prodotta una<br />

relazione presentata al Ministro<br />

Cancellieri e da questa infine fatta<br />

propria. Un corposo documento in cui<br />

si sostiene che “l’amministrazione, col<br />

sindaco e vicesindaco, non ha posto<br />

alcun argine al condizionamento<br />

esercitato dall’on. Giammarinaro”. E<br />

paradossalmente il Ministro sottolinea<br />

che “è il sindaco ad affermare la<br />

centralità della figura di<br />

Giammarinaro, anche a proposito della


attribuzione di incarichi e nomine”.<br />

Citando un incontro pubblico, presenti il<br />

presidente del Consiglio di Salemi Giusy<br />

Asaro e diversi consiglieri comunali. Nel<br />

corso del quale Vittorio Sgarbi precisò che<br />

qualsiasi rivendicazione politica, anche<br />

relativa a nuove nomine o concernente la<br />

gestione del quotidiano e delle dinamiche<br />

comunali, doveva essere discussa con Pino<br />

Giammarinaro. Una fonte oltre che<br />

attendibile, anche autorevole circa il<br />

“condizionamento” su l’attività<br />

amministrativa della giunta. Le ripetute<br />

assenze di Sgarbi dal territorio del comune<br />

di Salemi del resto resero possibile, se non<br />

addirittura agevolato, lo sviamento<br />

dell’attività amministrativa. Nel periodo<br />

preso in esame che va dal 2008 al maggio<br />

del 2011, è emerso inoltre che “molti<br />

elementi della compagine elettiva e dei<br />

dipendenti comunali abbiano precedenti<br />

penali e di polizia, tra l’altro per reati<br />

concernenti la truffa per il conseguimento<br />

di erogazioni pubbliche, la turbativa<br />

d’asta in appalti nonché per reati<br />

associativi di tipo mafioso” .<br />

Sarebbero emersi elementi sintomatici che<br />

evidenziano una serie di cointeressenze,<br />

anche contrapposte (!), tra amministratori<br />

locali, apparato burocratico ed esponenti<br />

della criminalità organizzata. In modo<br />

particolare per quanto attiene al vicesindaco<br />

Antonella Favuzza “legata da stretti vincoli<br />

con noti e storici esponenti delle locali<br />

famiglie criminali..” che, come si legge in<br />

una nota dell’Arma dei Carabinieri,<br />

nell’esercizio del proprio mandato, “non ha<br />

posto in essere alcun serio effettivo<br />

contrasto ai condizionamenti di<br />

Giammarinaro, ma ha invece perseguito,<br />

nel corso del proprio mandato, finalità volte<br />

ad incrementare i propri interessi<br />

economici, in ciò coadiuvata da soggetti<br />

con precedenti reati associativi e contigui<br />

alle cosche malavitose”. Ma anche il<br />

sindaco Sgarbi avrebbe permesso a Pino<br />

Mafioso? No, un Pirla incandidabile<br />

Giammarinaro di partecipare a riunioni di<br />

giunta (quelle che lui invece definisce<br />

“sala d’attesa”), senza che la di lui<br />

presenza venisse registrata. Ma registrata<br />

forse da qualche telecamera, diciamo noi.<br />

Risulterebbe inoltre che a casa dell’ex<br />

deputato qualche bilancio di previsione del<br />

Comune fosse stato portato da un<br />

consigliere comunale fidato.<br />

QUI COMANDA<br />

GIAMMARINARO<br />

Ma, a conferma di quanto noi<br />

facilmente avevamo previsto in nostro<br />

precedente articolo, una delle cause<br />

scatenanti che ha prodotto il crollo del<br />

circo mediatico-amministrativo<br />

sgarbiano sarebbe stata la mancata<br />

assegnazione di quel famigerato fondo di<br />

70 ettari confiscato al narcotrafficante<br />

mafioso Totò Miceli, uomo fidato del<br />

latitante Matteo Messina Denaro. “Una<br />

anomala gestione”, viene bollata nella<br />

relazione. Caratterizzata, si dice, da una<br />

protratta inerzia dell’amministrazione,<br />

oltre che dalle pressioni esercitate<br />

dall’onnipresente Giammarinaro. Il<br />

rapporto mette in risalto come quel<br />

fondo stesse per essere assegnato<br />

all’associazione di assistenza sanitaria<br />

Aias, dopo che Sgarbi aveva chiesto a un<br />

assessore: “Pino che ne pensa?”. L’ex<br />

onorevole non poteva che essere<br />

d’accordo per questa assegnazione. Il<br />

presidente dell’Aias, infatti,<br />

l’ingegnere Francesco Lo Trovato,<br />

Casablanca pagina 38<br />

risulta “ anche lui con interessi nella<br />

sanità e intrattenere rapporti di lavoro<br />

con Giammarinaro”. Ma gli aspetti di<br />

condizionamento e di illegalità<br />

dell’attività amministrativa sono molto<br />

più ampi e “risultano evidenti in una<br />

serie di condotte o procedimenti che<br />

hanno caratterizzato l’attività dell’ente<br />

locale quali la mancanza di controlli in<br />

materia di contributi statali, il mancato<br />

rispetto del protocollo di legalità nelle<br />

procedure d’appalto, dalla diffusa<br />

illegittimità delle procedure<br />

amministrative”. Non solo. Dall’atto<br />

ispettivo si evince che anche penetranti<br />

condizionamenti ci sono stati nella<br />

complessiva vicenda concernente<br />

l’erogazione di contributi economici in<br />

favore di persone giuridiche e<br />

associazioni. Le elargizioni sarebbero<br />

state concesse con procedure arbitrarie<br />

in assenza di una qualsiasi<br />

regolamentazione e di conseguenza<br />

non in linea di trasparenza e<br />

equanimità. Addirittura viene scritto<br />

che di “tali contributi e per un<br />

rilevante importo hanno anche<br />

beneficiato associazioni o persone<br />

riconducibili a soggetti<br />

contigui ad organizzazioni<br />

criminali”(sic). Mentre per<br />

quanto riguarda il sistema di<br />

aggiudicazioni degli appalti<br />

di lavori e di servizi,<br />

sebbene il Comune di<br />

Salemi avesse aderito al<br />

protocollo di legalità<br />

denominato “Carlo Alberto<br />

Dalla Chiesa”, i contenuti dello stesso<br />

non sono stati rispettati dalla giunta<br />

comunale. Per gli appalti, ad esempio,<br />

d’importo superiore a 250.000 euro<br />

non sono state richieste le informazioni<br />

antimafia alla competente prefettura.<br />

Stessa lacuna per i lavori di restauro<br />

del palazzo municipale.


LE DELEGHE SINDACALI<br />

Diffusa illegalità anche nelle procedure<br />

dell’erogazione dei contributi da parte<br />

dell’apposita commissione del terremoto.<br />

Questo organismo che nel periodo di<br />

Sgarbi ha concesso, un ammontare di<br />

3.700.000 euro,deve essere presieduto per<br />

legge dal sindaco pro-tempore o da un suo<br />

delegato. E’ su questa figura che gli<br />

ispettori hanno rivolto la loro attenzione.<br />

In questi tre anni la delega sindacale è<br />

stata conferita a diversi soggetti, spesso<br />

estranei all’amministrazione. Il giudizio<br />

dei commissari è impietoso. Essi sono<br />

stati scelti “senza una verifica di un<br />

seppur minimo possesso di requisiti di<br />

professionalità, nei confronti dei quali<br />

sono state riscontrate frequentazioni con<br />

soggetti contigui ad ambienti mafiosi” Ma<br />

il giudizio negativo investe anche alcuni<br />

componenti della Commissione rispetto ai<br />

quali sarebbero emerse “ripetute situazioni<br />

di conflitto d’interesse e cointeressenza”.<br />

Sui debiti fuori bilancio infine, dal mese di<br />

luglio 2008, i commissari hanno accertato<br />

“una ripetuta serie d’impegni di spesa per<br />

forniture di beni e servizi in violazione<br />

delle norme contabili”. Intanto la lunga<br />

marcia siciliana di Vittorio Sgarbi<br />

(avrebbe dovuto essere anche Assessore ad<br />

Agrigento) è continuata per attraccare a<br />

Cefalù. Per oltre due settimane, nella città<br />

tirrenica si è parlato di una campagna<br />

elettorale inquinata e si temuta una<br />

consultazione che alla fine sarebbe potuta<br />

risultare inficiata. Il riferimento era alla<br />

sua incandidabilità. E a chi gli rinfacciava<br />

tale pericolo non ha esitato ad annunciare<br />

un ricorso, all’indomani delle elezioni, nel<br />

caso non fosse eletto, proprio “per<br />

inquinamento del voto”. Chiudendo un<br />

suo comizio ha gridato in Piazza Duomo,<br />

ai piedi del Santuario di Gibilmanna, di<br />

essere “assolutamente immacolato”. Ma,<br />

Mafioso? No, un Pirla incandidabile<br />

come facilmente prevedibile Vittorio<br />

Sgarbi resta “incandidabile”. Lo hanno<br />

deciso, alla vigilia della chiusura della<br />

campagna elettorale i giudici della prima<br />

sezione civile della Corte d'Appello,<br />

presieduti da Rocco Camerata Scovazzo,<br />

al termine della Camera di consiglio”.<br />

L'avvocato Girolamo Rubino, legale di<br />

Sgarbi, prontamente ha annunciato:<br />

"Ricorreremo in Cassazione!" . La<br />

polemica è subito divampata. Si dà il<br />

caso, infatti, che, a dispetto di tutti, il<br />

nome di Sgarbi comparirà nella scheda<br />

con le due liste collegate: “Partito della<br />

rivoluzione” e “Cefalù cambia” per le<br />

elezioni di Cefalù. Cosa che ha fatto<br />

andare su tutte le furie persino il<br />

segretario del Pdl, Angelino Alfano: “Il<br />

grave paradosso che rischia di colpire i<br />

cittadini di Cefalù è che essi vedranno<br />

sulla scheda elettorale il nome di un<br />

soggetto dichiarato “incandidabile”<br />

dall’autorità giudiziaria e che, per<br />

effetto di questa presenza, avranno<br />

vanificato del tutto il loro voto.”<br />

Scatenando la replica dell’assessore<br />

regionale Caterina Chinnici secondo<br />

cui,“La normativa in materia elettorale<br />

prevede il rinvio delle elezioni solamente<br />

per cause di forza maggiore, ossia per<br />

impedimenti oggettivi che non<br />

consentono il regolare svolgimento delle<br />

operazioni di voto, quali, per esempio, le<br />

calamità naturali. Nulla, invece, è<br />

previsto nell'ipotesi di incandidabilità<br />

dei singoli soggetti''. Una situazione<br />

paradossale e tutta siciliana, che tanto<br />

piacerebbe allo scrittore Camilleri.<br />

Consentendo a Sgarbi di candidarsi, la<br />

conseguenza più probabile sarà, infatti,<br />

la nullità dell’intera consultazione<br />

elettorale. Lo aveva chiesto il rinvio<br />

anche il prefetto di Palermo per evitare<br />

lo sperpero di pubblico denaro che<br />

deriverà dall’inevitabile ripetersi delle<br />

elezioni. Tutto inutile.<br />

Casablanca pagina 39<br />

QUI FINISCE L’AVVENTURA!!!<br />

Per il governo regionale “qualsiasi<br />

intervento della Regione<br />

rappresenterebbe l'esercizio di un potere<br />

non attribuito dalla legge e quindi in<br />

contrasto con i principi<br />

costituzionalmente garantiti connessi<br />

all'esercizio del diritto di voto . Non è<br />

consentito il rinvio per l’incandidabilità<br />

di un candidato a sindaco, ne è<br />

consentita l’esclusione di questo<br />

candidato rispetto alla competizione<br />

elettorale”. Per Giampaolo Cicconi,<br />

l’avvocato che difende Sgarbi, non ci<br />

sono dubbi. «Il “mostro giuridico” è<br />

stato creato dal legislatore con l’ingresso<br />

della legge, palesemente incostituzionale,<br />

che, allo stato, consente a Sgarbi di<br />

essere ritenuto candidabile in pendenza<br />

del termine per proporre ricorso in<br />

Cassazione alle decisioni dei giudici di<br />

Marsala e di Palermo.” Una cosa a<br />

questo punto ci sembra certa.<br />

L’avventura politica siciliana di Vittorio<br />

Sgarbi sembra ormai destinata a<br />

concludersi qui. A pensarci bene il<br />

patetico epilogo gli era stato vaticinato<br />

già fin dal giorno in cui mise per la prima<br />

volta piedi a Salemi. Quando si aggirava,<br />

chiome al vento, in una domenica<br />

sciroccosa dell’aprile del 2008, per le<br />

viuzze tortuose della cittadina medievale,<br />

in compagnia di una signora che, rapita<br />

gli declamava i profetici versi<br />

popolareschi: "Unni viditi muntagni di<br />

issu/ chissa è Salemi, passatici arrassu/<br />

sunnu nimici di lu crucifissu / e amici<br />

di lu Satanassu". (Dove vedete<br />

montagne di gesso stateci lontano, non<br />

sono amici del Crocifisso ma amici di<br />

Satanasso).


Palermo: teatro Garibaldi occupato…<br />

Teatro Garibaldi<br />

Aperto<br />

Antonio Tozzi<br />

Roma, <strong>Catania</strong>, Palermo, teatri occupati. Spettacoli e concerti<br />

per strada per protesta. La cultura è in ginocchio. Tolgono<br />

soldi al settore. Operatori, musicisti, attori, registi, incazzati. A Palermo hanno occupato il<br />

teatro Garibaldi, "ristrutturato" ma chiuso. Uno spazio culturale sprecato, privo della funzione<br />

e dignità che gli spettano.<br />

"Camminiamo nello spazio!" a parlare, o<br />

meglio a urlare è Italia, una donna sulla<br />

quarantina d'anni. Siamo al Teatro Garibaldi<br />

Aperto e questo è il settimo giorno<br />

di apertura/occupazione. Sono le tre e<br />

mezzo del pomeriggio e con lei c’è una<br />

variegata moltitudine di bambini, i bambini<br />

della Magione, una delle piazze più<br />

belle di Palermo. Tutto intorno c'è chi sta<br />

pulendo la platea, chi sistema il tavolo<br />

all'ingresso, chi è davanti al computer su<br />

internet per scrivere quanto sta accadendo,<br />

chi è alle prese con la programmazione<br />

delle serate e chi sta cercando con<br />

i pochi mezzi a disposizione di mettere<br />

in sicurezza una porta dalla serratura malandata.<br />

Il teatro è vivo, pulsa, si agita.<br />

Dario è emozionato, mi dice che i primi<br />

giorni sapeva esattamente chi stava<br />

facendo cosa, adesso invece<br />

non lo sa ed è felice perché le<br />

persone cominciano ad attrezzarsi<br />

ed ingegnarsi in proprio per migliorare<br />

l'habitat comune, un habitat<br />

che si estende oltre le mura<br />

del teatro ma che nel teatro trova<br />

il suo fulcro, il suo apice, il suo<br />

simbolo. La mattina ci si confronta<br />

in assemblea, il pomeriggio<br />

passa tra laboratori teatrali,<br />

attività per bambini e tavoli di<br />

approfondimento. La sera centinaia<br />

di persone si riversano davanti<br />

ai cancelli di questo teatro,<br />

come dire ci siamo pure noi.<br />

Sebbene nessuno sappia quale e<br />

quanto lungo sarà il percorso di<br />

questa iniziativa la regola è chiara<br />

e condivisa da tutti: occupare un<br />

teatro, "ristrutturato" e chiuso significa<br />

riaprirlo alla cittadinanza<br />

ridandogli la funzione e la dignità<br />

che gli spettano.<br />

Così dentro il teatro non si fuma,<br />

non si mangia ed è vietato introdurre alcolici,<br />

il palco per esibirsi non lo si guadagna<br />

perché si è occupanti o amici degli<br />

occupanti ma perché ci si è dedicati ad<br />

un'arte e la si può mettere in scena consapevoli<br />

di cosa questo significhi. La<br />

somma dei singoli non basta a spiegare<br />

l'energia che si respira in questo posto,<br />

un'energia che nasce da un gruppo varie-<br />

Casablanca pagina 40<br />

gato composto da artisti ed attivisti, operatori<br />

del sociale e semplici cittadini,<br />

studenti e professionisti, gente autoctona<br />

e fuorisede, un gruppo che sta prendendo<br />

una forma ancora difficile da definire ma<br />

chiara in alcuni suoi punti cardine: condivisione<br />

e trasparenza. Non a caso il<br />

manifesto scritto dal gruppo di ragazzi<br />

che ha dato il via all'occupazione, e sottoscritto<br />

ad oggi da centinaia e centinaia<br />

di persone, chiede ed esige che gli spazi<br />

e i soldi pubblici della città siano gestiti<br />

in maniera trasparente secondo regole<br />

chiare, condivise e condivisibili. Per<br />

qualcuno si tratta di un'utopia ma qui al<br />

Teatro Garibaldi, nonostante la pressione<br />

della gente che vuole di più e delle istituzioni<br />

che minacciano denunce e sgombero,<br />

si sta cercando di metterla in atto, e<br />

non solo in scena.<br />

● ● ●<br />

Nel frattempo a Palermo è<br />

stato eletto il sindaco<br />

Orlando …<br />

Il Teatro Garibaldi<br />

può sperare<br />

● ● ●


Ex Carcerato in attesa di giudizio<br />

In attesa di<br />

Giudizio<br />

Antonella Serafini<br />

Come vive un detenuto? Per capirlo bisogna vivere quella condizione, non la si può<br />

immaginare. Solo parlarne non rende l’idea. Francesco è finito in carcere perché un<br />

camorrista ha fatto il suo nome, “detenuto in attesa di giudizio”, scarcerato per essere<br />

risultato estraneo ai fatti. Non è più la stessa persona, ha voluto raccontarci la sua esperienza<br />

infelice attraverso la quotidianità carceraria. Non massimi sistemi, ma il fare le cose più<br />

semplici per continuare a vivere. Il lento scorrere delle ore di una interminabile giornata. Il<br />

rischio concreto di essere catturati dal vortice dall’inutilità definitivamente.<br />

“L’ambiente è di circa 10/12 mq<br />

compreso l’angolo bagno senza sfiato<br />

verso l'esterno. E’posto di fronte alla<br />

finestra – racconta Francesco – un<br />

piccolo tavolo, due mini comodini, due<br />

mini armadietti, un televisore.”<br />

Francesco fa una pausa. Poi toccandosi<br />

la fronte con un dito aggiunge”- anche<br />

questo mini, due brande a mo di letto a<br />

castello” . Ma ci vivono i puffi?<br />

“No, due persone di corporatura media -<br />

quando si è fortunati – ci spiega ed<br />

aggiunge - “Il bagno è dotato di un<br />

lavandino al di sopra del quale,<br />

cementato nel muro, c'è il tubo dal quale<br />

fuoriesce solo acqua fredda pigiando un<br />

bottone temporizzato per dieci secondi.<br />

C'è il water ma non c'è la doccia e il<br />

bidet, anzi, è disattivato”.<br />

Questa pressappoco la pianta strutturale<br />

di una cella. Una stanza-tipo dei tanti<br />

super condomini in Italia. Ci possono<br />

essere delle differenze e attengono, in<br />

genere, alle dimensioni delle stanze, al<br />

conseguente numero di occupanti, allo<br />

stato di conservazione.<br />

Case Circondariali o Case di Reclusione.<br />

Come fossero grandi condomini, e il<br />

parlarne quasi un argomento ameno.<br />

Carcere, ti porta già in una altra<br />

dimensione “Quando si entra in uno di<br />

questi luoghi, avviene uno<br />

stravolgimento della propria esistenza.<br />

Bisogna imparare ad “imparare” un altro<br />

stile di vita. In carcere s’impara la<br />

sobrietà: il vivere delle poche cose di cui<br />

si può disporre. Si scopre il valore delle<br />

poche cose di cui si può disporre e delle<br />

piccole cose alle quali, fuori, tante volte<br />

non si da il loro giusto peso”. Una banale<br />

tazzina di caffè dentro le anguste celle di<br />

un carcere diventa un sogno ripetuto,<br />

infinito. “In carcere si possono usare<br />

solo bicchieri di plastica.. Si può<br />

disporre solo di pochi abiti, quelli che<br />

servono. Non si può accumulare troppo<br />

cibo; è possibile indossare orologi di<br />

plastica trasparente; le penne devono<br />

essere trasparenti, tipo “Bic”; non è<br />

possibile affiggere poster sul muro; si<br />

può fare la spesa ma solo attraverso un<br />

catalogo di<br />

prodotti<br />

fissi a<br />

prezzo<br />

imposto”.<br />

Ma non<br />

solo questo,<br />

ci sono ben<br />

altre cose importanti a cui bisogna<br />

abituarsi.<br />

“Si, certo. La prima è il dover rinunciare<br />

Casablanca pagina 41<br />

anche alla propria libertà di potersi<br />

autogestire all'interno di questo super<br />

condominio. La propria vita è<br />

completamente affidata a chi ti<br />

amministra, a chi ti gestisce, ai<br />

regolamenti, che non sono sempre uguali<br />

tra un carcere e l'altro. Devi abituarti al<br />

fatto che esistono orari prestabiliti per<br />

andare in doccia, per lavare gli abiti, per<br />

telefonare ai propri cari e per qualunque<br />

altra attività esterna alla propria<br />

cella/stanza. E per fare una qualunque di<br />

queste operazioni occorre chiedere il<br />

permesso all'agente penitenziario di<br />

turno”<br />

Se poi nasce una necessità che può<br />

essere soddisfatta solo esternamente alla<br />

struttura come farsi riparare gli occhiali,<br />

Ho trentasette anni, da sette mesi sono recluso, in attesa di<br />

giudizio. Fuori, la mia vita era frenetica, molto impegnata.<br />

Iniziava alle sette del mattino, e terminava alle 21.00, o<br />

anche dopo. Laureato, libero professionista. Ora, qui,<br />

frequento la scuola di Agraria, l'unico corso che c'è, e meno<br />

male che c'è.<br />

bisogna sperare che ci siano dei<br />

volontari. In molte carceri non ci sono, o<br />

sono insufficienti. I più fortunati,<br />

possono contare sull'aiuto dei familiari.<br />

Ogni operazione di vita quotidiana


all'interno di questi luoghi si muove<br />

entro questi ferrei e rigidi paletti. E' la<br />

restrizione della restrizione. All’interno<br />

del carcere, nulla è certo, neanche il<br />

compagno di cella, inoltre, bisogna<br />

convivere con il risucchio dell’inutilità.<br />

Questo perché in quasi tutte le carceri si<br />

trascorrono, normalmente, venti ore<br />

giornaliere in cella. Le eccezioni sono<br />

limitate. Purtroppo le possibilità di<br />

lavoro sono risicate ma, soprattutto, in<br />

quasi tutti questi luoghi non esistono<br />

corsi pratico-professionali o corsi di<br />

studio completi che, non solo aiutino a<br />

non sentirsi inutili “dentro”, ma,<br />

soprattutto, diano la possibilità a tutti di<br />

essere utili alla società una volta “fuori.<br />

Occorre, quindi, trovare dentro se stessi<br />

la forza mentale per non farsi ingoiare<br />

dal magma dell’insensibilità, l’ apatia, la<br />

pigrizia e l’ indolenza.” Il non vivere.<br />

DIARIO DI UN CARCERATO<br />

Francesco in carcere scriveva un diario,<br />

Grazie alla scuola Francesco trascorre<br />

diciassette ore in cella (anziché venti).<br />

ricco di annotazioni. Di notizie, di<br />

riflessioni.<br />

“ Ho trentasette anni, da sette mesi sono<br />

recluso, in attesa di giudizio. Fuori, la<br />

mia vita era frenetica, molto impegnata.<br />

Iniziava alle sette del mattino, e<br />

terminava alle 21.00, o anche dopo.<br />

Laureato, libero professionista. Ora, qui,<br />

frequento la scuola di Agraria, l'unico<br />

corso che c'è, e meno male che c'è. Ogni<br />

giorno, per tre ore,<br />

ritorno indietro nel<br />

tempo a quando avevo<br />

tredici anni, e mi<br />

ritrovo a studiare<br />

(nuovamente) i<br />

polinomi, la<br />

grammatica, le foglie e i<br />

fiori. Sorrido a me stesso:<br />

scopro in questo luogo, a<br />

questa età, quanto sia bello<br />

studiare per il piacere di<br />

farlo, il desiderio di<br />

apprendere e conoscere. Non<br />

abbandonate mai gli studi;<br />

abbandonatevi alla cascata<br />

del sapere, vi sentirete molto<br />

ricchi”.<br />

Grazie alla scuola Francesco<br />

trascorre diciassette ore in cella<br />

(anziché venti). Ha capito che se<br />

vuole sopravvivere deve darsi<br />

delle regole. Perciò, ha deciso di<br />

Ex Carcerato in attesa di giudizio<br />

aggrapparsi per tutto il tempo che gli<br />

rimane da passare dentro, a tanti microobiettivi:<br />

la scuola, sistemare la branda,<br />

lasciata appositamente disfatta prima di<br />

andare a scuola, ordinare e pulire la<br />

cella, e poi, intorno alle 12,30, mangiare<br />

la frutta. “Preparare la frutta, è<br />

un'operazione che va fatta lentamente,<br />

con pazienza, con calma, utilizzando il<br />

coltello di plastica (non è ammesso l'uso<br />

di coltelli con lama) sbucciarla e<br />

sezionando, delicatamente, il frutto in<br />

tante parti”.<br />

RUBARE IL TEMPO<br />

Anche il semplice recarsi dalla cella alla<br />

sala doccia avviene adagio. I due metri<br />

di distanza si trasformano in duecento<br />

metri. Perché occorre rubare quanti più<br />

minuti possibili al lento scorrere della<br />

clessidra. “Fuori, il tempo non basta mai,<br />

dentro un carcere ce n'è troppo. Ed è<br />

come se il tempo di “dentro” si<br />

appropriasse del tempo di “fuori”.<br />

Occorre, ogni giorno,<br />

sconfiggere il senso d’inutilità<br />

scandito dall'immobilismo del<br />

tempo di “dentro”. Allora tutto<br />

viene spalmato, distribuito<br />

sull’intera giornata, anzi<br />

sull'intera settimana. Quindi spiega<br />

Francesco,se hai la fortuna di aver<br />

ricevuto due lettere, rispondi solo ad<br />

una. L'altra la conservi per l'indomani.<br />

Un libro, anche se vorresti leggerlo tutto<br />

d'un fiato, impari a leggerlo a tappe.<br />

T’inventi un disegno,<br />

assisti il tuo compagno<br />

di<br />

cella nella<br />

preparazione di un cibo, purché si abbia<br />

Casablanca pagina 42<br />

la fortuna di andarci d'accordo. Il tutto<br />

sempre all'interno di quei pochi, ristretti,<br />

metri quadrati.<br />

“Il carcere è il luogo in cui devi imparare<br />

la pazienza, la calma, la sopportazione, il<br />

saper aspettare (ma cosa?). E' anche il<br />

luogo della riflessione, dell'analisi<br />

introspettiva, dell'interrogarsi, forse<br />

anche dell'iniziare a conoscersi. Però<br />

attenzione, in prigione tutto è<br />

amplificato. E allora sarebbe opportuno<br />

potersi confrontare, costantemente, con<br />

persone competenti per parlare di se<br />

stessi, per scoprirsi, o semplicemente per<br />

avere un conforto. Tutti ne abbiamo<br />

bisogno, anche fuori, figuriamoci in un<br />

posto in cui ci sei tu e la tua mente.<br />

Personalmente le mie riflessioni mi<br />

hanno portato a pensare questo: non c'è<br />

nulla di più triste e pesante del rischiare<br />

di non poter recuperare, riavere la<br />

possibilità di abbattere inutili barriere<br />

che hai creato, anche inconsciamente,<br />

pure con persone alle quali sei legato.<br />

Barriere apparentemente invisibili che ti<br />

hanno inaridito, che non ti hanno fanno<br />

manifestare i sentimenti”.<br />

Francesco per non impigrirsi in prigione<br />

scriveva anche un diario, si abbandonava<br />

alle sue malinconie e ai suoi rimpianti<br />

“… è triste anche accorgersi di non<br />

essere stato veramente vicino a chi ti<br />

voleva bene quando ne aveva bisogno, o<br />

il non aver avuto il coraggio di chiedere<br />

scusa a chi hai fatto del male. Non<br />

sprecate anche voi il tempo che vi viene<br />

regalato. Non fate come me, non<br />

aspettate il<br />

tempo che verrà. Potrebbe<br />

non essere più come prima”.


Il movimento femminista faceva paura<br />

Il delitto di Giorgiana<br />

Coincidenza o Strategia?<br />

Norma Ferrara<br />

Roma: Il 12 maggio del 1977 un proiettile uccide Giorgiana Masi una giovane studentessa<br />

durante una manifestazione “non violenta” per gli organizzatori, non per lo Stato che mette in<br />

piazza 5000 agenti e tanti infiltrati. In assetto antisommossa. Insomma, tutti ben armati.<br />

Dopo 35 anni per quel delitto nessun colpevole. Mentì tutto il parlamento per voce dell'allora<br />

ministro dell'Interno, Francesco Cossiga, costretto poi ad ammettere la presenza di agenti in<br />

borghese armati, grazie alle foto dei reporter che quel giorno documentarono una battaglia<br />

preparata dallo Stato per riaffermare le sue regole. A pagare fu una giovane donna.<br />

Coincidenza? Strategia?<br />

Giorgiana Masi, studentessa diciottenne<br />

del liceo Pasteur quel pomeriggio del 12<br />

maggio 1977 saluta i genitori dicendo<br />

loro “state tranquilli se le cose si<br />

mettono male, vado via" e dal quartiere<br />

monte Mario dove abita si dirige al sit -<br />

in indetto a piazza Navona dai radicali,<br />

nonostante il divieto avvallato dal<br />

ministro dell'Interno, Francesco Cossiga,<br />

abile uomo politico della Democrazia<br />

cristiana. Il “no” a manifestazioni in<br />

piazza era arrivato dopo la sparatoria del<br />

21 aprile 1977 tra agenti di polizia e<br />

manifestanti dell'area di Autonomia<br />

Operaia che finì<br />

con l'uccisione<br />

dell'agente<br />

Settimio<br />

Passamonti e il<br />

ferimento di<br />

quattro suoi<br />

commilitoni. Dopo<br />

questo tragico<br />

epilogo Cossiga<br />

aveva deciso di<br />

usare “il pugno di<br />

ferro” contro il<br />

movimento. I<br />

radicali però<br />

ritenevano, a<br />

ragione,<br />

incostituzionale<br />

quel decreto che vietava il diritto di<br />

manifestare e per dimostrarlo lo<br />

violarono, convocando un sit- in<br />

motivato dalla raccolta di firme alla<br />

proposta dei referendum abrogativi. In<br />

realtà, per ricordare la vittoria del<br />

Casablanca pagina 43<br />

referendum sul divorzio, avvenuta tre<br />

anni prima. Le donne «… erano la parte<br />

più temuta del movimento, avevano<br />

raccolto il grido di dolore dei figli, dei<br />

mariti, delle madri, dei fratelli.<br />

L’avevano fatto loro ed erano pericolose<br />

perché erano contro tutti i ruoli, contro il<br />

potere, che non era solo quello che era al<br />

governo» racconta l’inviato fra “gli<br />

ultimi” Tano D’Amico. Lui quel<br />

pomeriggio c’era. Ha visto. Fotografato.<br />

Registrato. Ricorda. Racconta E’ un<br />

pomeriggio primaverile a Roma, lontano<br />

dagli spari e dal dolore di quel giorno, il<br />

fotoreporter è come un fiume in piena.<br />

Inarrestabile e minaccioso perché a<br />

differenza di altre frange del movimento<br />

non chiede il potere e non rivendica<br />

diritti. Uomo libero.<br />

LA BATTAGLIA DI PONTE<br />

GARIBALDI<br />

Giorgiana è una ragazza esile di<br />

corporatura e con un bel viso. Di lei i<br />

giornali racconteranno che simpatizzava<br />

per Lotta Continua, distribuiva il<br />

quotidiano a scuola e aveva idee di


sinistra. Quel giorno scese in piazza con<br />

alcune amiche e con il fidanzato,<br />

Gianfranco Papino. Ricorda Emma<br />

Bonino, leader radicale, due anni dopo<br />

durante la presentazione del libro bianco<br />

sulla morte di Giorgiana: «Ero chiusa in<br />

piazza Navona dalle 13 e non arrivava<br />

nessuno. Noi eravamo lì da soli quando<br />

ad un certo punto sento sparare da<br />

piazza della Cancelleria, faccio per<br />

muovermi in quella direzione ma non<br />

riesco a passare. Vado allora da piazza<br />

Pasquino ed è lì che vedo per la prima<br />

volta quel pomeriggio un ragazzo che<br />

esce da un bar, con un look che<br />

sembrava uno dei movimenti, ho<br />

pensato che fosse un autonomo<br />

infiltrato, vado per dirgli di<br />

abbandonare il bastone che aveva in<br />

mano, ma lo vedo fermarsi a parlare<br />

con un poliziotto. Così mi guardo<br />

intorno e trovo una serie di persone,<br />

con pistole, spranghe che non venivano<br />

fermati da nessuno; solo allora ho<br />

realizzato che erano poliziotti<br />

“travestiti” /”infiltrati”».<br />

Nonostante gli annunci di un sit-in<br />

pacifico, lo Stato schierò forze<br />

dell'ordine come stesse andando in<br />

guerra. E guerra fu: cinquemila<br />

agenti presenti nelle strade del<br />

centro storico in assetto<br />

antisommossa, in seguito si saprà<br />

“rafforzati” da molti altri<br />

“infiltrati”. Parlamentari come<br />

Mimmo Pinto furono<br />

malmenati dalle forze di<br />

polizia davanti al Senato.<br />

Mentre tutto questo accadeva, più<br />

di trecento persone erano “bloccate” a<br />

Campo dei Fiori da ore. Rimasero lì sino<br />

alle 19.00 circa di sera. In quelle ore<br />

Tano D'Amico, fotoreporter “freelance”,<br />

segue i ragazzi, scatta ritratti che<br />

rimarranno nella storia del movimento.<br />

Prova a farsi largo per capire cosa<br />

accade, vede la strada verso villa Giulia<br />

bloccata. Poi il lungo Tevere. A Largo<br />

Argentina è in corso una guerriglia, da<br />

ore il lancio di candelotti ha reso<br />

irrespirabile l'aria ed è complicato vedere<br />

chi hai accanto, in che direzione stai<br />

correndo. A Piazza Navona verso le<br />

18.00 del pomeriggio le prime Molotov.<br />

Ma, è davanti ponte Garibaldi, nei pressi<br />

di Piazza Belli, che due ore dopo si<br />

consuma la tragedia, mentre già in<br />

Parlamento Pannella (PR), Corvisieri<br />

(DP), Ligheri (DC) Pinto (DP), Costa,<br />

Giovanardi, Magnani Noya Maria,<br />

intervengono a denunciare gli scontri del<br />

pomeriggio e l'inadeguatezza del<br />

governo.<br />

Il movimento femminista faceva paura<br />

Mentre parlano i politici, Giorgiana Masi<br />

corre da una parte all'altra del ponte. Si<br />

trova nei pressi di piazza Belli, quando<br />

improvvisa parte una carica di polizia e<br />

carabinieri, preceduta da un lancio di<br />

lacrimogeni, da via Arenula. Pochi<br />

minuti prima tre grosse moto, secondo le<br />

testimonianze dell'epoca, arrivarono sul<br />

lungotevere degli Anguillara, all'angolo<br />

con la piazza verso la quale si sta<br />

dirigendo Giorgiana. Sopra ci sono tre<br />

vigili in divisa e uno in borghese,<br />

quest'ultimo – secondo le testimonianze<br />

– scende dalla motocicletta, impugna la<br />

pistola e spara ad altezza d'uomo. Poco<br />

dopo, vicino a Piazza Sonnino, quasi<br />

simultaneamente, cadono a terra:<br />

Giorgiana Masi, colpita da un proiettile<br />

calibro 22 all'addome e una sua<br />

compagna, Elena Ascione, ferita a una<br />

gamba. Poco prima era stato ferito alla<br />

mano anche un carabiniere, Francesco<br />

Ruggero. In un primo<br />

tempo gli amici di<br />

Giorgiana che la vedono accasciarsi a<br />

terra, pensano che sia caduta correndo,<br />

nella folla. Poi si accorgono del sangue,<br />

arriva l'ambulanza, ma per la giovane<br />

studentessa non c'è più nulla da fare. Al<br />

Tg della Rai il ministro dell'Interno,<br />

Cossiga, giurerà che in piazza non vi<br />

fossero agenti in borghese armati.<br />

Passano solo poche ore e sarà smentito<br />

dalle foto, caparbiamente scattate, da<br />

fotocronisti presenti quel giorno.<br />

Quella è una giornata particolare per<br />

molti di loro, riuscirono a documentare<br />

che lo Stato stava mentendo, sotto gli<br />

occhi di tutti, mentre una ragazza moriva<br />

a soli diciannove anni per un proiettile<br />

sparato, non si sa ancora da chi, dopo<br />

trentacinque anni. Cossiga dovette poi<br />

Casablanca pagina 44<br />

rettificare e ammettere che c'erano<br />

poliziotti in borghese in tutto il centro<br />

storico e che erano armati. Tuttavia,<br />

l'indagine che scaturì grazie anche a<br />

quelle foto culminò in una richiesta di<br />

archiviazione, un non luogo a procedere,<br />

“perché ignoti i responsabili”. Il delitto<br />

di Giorgiana Masi è ancora senza verità<br />

e giustizia.<br />

UNA RAGIONE DI STATO<br />

«Il punto non è come andarono le cose<br />

quel pomeriggio – commenta oggi Tano<br />

D'Amico – ma cosa accadde dopo. Quel<br />

delitto non fu ben visto nemmeno da una<br />

parte delle forze dell'ordine. Ebbi modo<br />

di capirlo quando alcuni appartenenti a<br />

corpi armati, con i quali spesso avevo<br />

avuto modo di trovarmi in piazza in altre<br />

manifestazioni, mi fermarono per dirmi<br />

frasi che alludevano alla scelta di colpire<br />

una donna (noi siamo uuuomini –<br />

dicevano – è stata uccisa una dddoona).<br />

Volevano dirmi, senza farlo<br />

esplicitamente qualcosa». Per giorni<br />

D'Amico si chiede perché? Cosa<br />

significavano quelle parole<br />

trascinate, suggerite e ripetute con<br />

effetto martellante? Poi una notte<br />

capisce. «Chi sparò quel giorno –<br />

continua D'Amico – uccise una donna<br />

per colpire il movimento femminista,<br />

molto pericoloso all'epoca. Mirò con<br />

precisione sulle giovani<br />

studentesse perché era l'unico<br />

modo per essere certi di non<br />

colpire un “potenziale”<br />

collega». Gli scatti di D'Amico ma<br />

anche di altri fotoreporter, uno dei quali<br />

lavorava per il Messaggero, avevano<br />

documentato in maniera<br />

incontrovertibile la presenza di uomini<br />

dello Stato “travestiti” da autonomi.<br />

Colpire una donna dunque, era l'unico<br />

modo per essere certi di non fare una<br />

vittima fra i corpi speciali schierati in<br />

piazza. Le indagini però stabilirono che<br />

il calibro di proiettile che uccise la<br />

ragazza non fosse fra quelli in dotazione<br />

alle forze dell'ordine. Questo spinse a<br />

cercare nel cosiddetto “fuoco amico” i<br />

responsabili di quell'assassinio. Ma<br />

anche su questo aspetto, D'Amico,<br />

racconta un aneddoto significativo e che<br />

le successive inchieste non riuscirono ad<br />

approfondire. « Tempo dopo la morte di<br />

Giogiana un appartenente alle forze<br />

dell'ordine, uno molto alto in gradi, mi<br />

chiese di incontrarlo. Gli diedi<br />

appuntamento nel posto più centrale di<br />

Roma, in piazza Santa Maria in<br />

Trastevere. Mentre lo attendevo, pensai:


arriverà in borghese! E invece si<br />

presentò nella migliore delle sue<br />

uniformi, quasi ad ostentare proprio la<br />

sua presenza in quel luogo con me. Non<br />

passò inosservato, chiaramente». Il<br />

colonnello chiese al fotoreporter se<br />

avesse avuto altre notizie sul caso “che<br />

tanto gli stava a cuore” (si riferiva al<br />

delitto Masi, ndr). «Quando io dissi –<br />

riprende D'Amico – che tutto si era<br />

fermato sull'origine del proiettile, lui mi<br />

rispose: non è compatibile con quelli in<br />

dotazione ai reparti ma lo è con quelli<br />

utilizzati nei poligoni in cui vengono<br />

formati i tiratori scelti». Tano D'Amico,<br />

dopo molti anni, sembra rassegnato<br />

all'impossibilità di sapere come<br />

andarono le cose quel giorno. O meglio<br />

ancora, una risposta lui se l'è data. Anche<br />

se non è quella della giustizia. «Tutti in<br />

questi anni hanno puntato il dito contro<br />

Francesco Cossiga, all'epoca ministro<br />

dell'Interno. Certo. Ma quel delitto a mio<br />

avviso fu un “sacrificio umano” chiesto<br />

da qualcuno o da tutti per ribadire la<br />

centralità dello Stato e delle sue leggi. Se<br />

violando il divieto di manifestare ne<br />

Così mi guardo intorno e<br />

trovo una serie di persone,<br />

con pistole, spranghe che non<br />

venivano fermati da nessuno;<br />

solo allora ho realizzato che<br />

erano poliziotti “travestiti”<br />

/”infiltrati”.<br />

Il movimento femminista faceva paura<br />

fossero usciti indenni, quelli del<br />

movimento, sarebbe stata la prova che<br />

era possibile “disobbedire” alle regole<br />

dello Stato e questo non faceva comodo<br />

a nessuno, dal Pci alla Dc». D'Amico ci<br />

racconta un ultimo capitolo di questa<br />

storia che riguarda l'ultimo confronto<br />

con l'allora ex presidente Cossiga<br />

proprio sul caso Masi. Tutto si svolge in<br />

Rai, durante la trasmissione “Chi l'ha<br />

visto” di Raitre a cura di Federica<br />

Sciarelli (compagna di classe di<br />

Giorgiana Masi) il 23 maggio del 2005.<br />

Quel giorno il fotoreporter venne<br />

invitato, insieme ad altri, a parlare di<br />

questo delitto. «Fu una puntata<br />

complicata, anche perché all'improvviso<br />

mi fecero sapere di non aver ritrovato<br />

nelle Teche della Rai l'edizione di quel<br />

Tg in cui Cossiga mentiva circa la<br />

presenza di poliziotti in borghese armati.<br />

Io ricordai comunque l'episodio e<br />

Cossiga, impossibilitato a partecipare per<br />

problemi di salute, telefonò in<br />

trasmissione. Lo fece ammettendo di<br />

aver mentito – continua D'Amico - ma di<br />

averlo fatto con l'appoggio di tutto l'arco<br />

Casablanca pagina 45<br />

parlamentare, da sinistra a destra. Fece<br />

anche nomi molti importanti. Io chiosai,<br />

nell'imbarazzo generale: ecco chi sono i<br />

responsabili dell'omicidio di Giorgiana<br />

Masi». Il movimento femminista, la<br />

strategia della tensione, il metodo degli<br />

infiltrati nei cortei, un'indagine che<br />

nessuno è riuscito a portare avanti. Un<br />

misterioso colonnello o comandante, non<br />

sappiamo con certezza, che suggerisce<br />

elementi a favore della pista interna al<br />

corpo armato. Ci sono tutti gli elementi<br />

in questa storia per farla rimanere<br />

sospesa, senza verità. Lo stesso Cossiga<br />

nel 2007 dal Corsera dichiarò di essere<br />

una delle cinque persone a conoscenza<br />

dei responsabili del delitto della Masi ma<br />

di non avere intenzione di rivelarli.<br />

Raccontata così, con queste ultime<br />

parole, la verità su questo delitto sembra<br />

destinato a morire con le persone che la<br />

custodiscono. Ma poi prima di<br />

congedarsi Tano D'Amico commenta:<br />

«Negli anni mi sono convinto che<br />

quando una verità rimane a lungo negata<br />

non è perché la sanno in pochi ma<br />

perché la conoscono in molti».<br />

Lo stesso Cossiga nel 2007 dal Corsera<br />

dichiarò di essere una delle cinque persone<br />

a conoscenza dei responsabili del delitto<br />

della Masi ma di non avere intenzione di<br />

rivelarli. Raccontata così, con queste ultime<br />

parole, la verità su questo delitto sembra<br />

destinato a morire con le persone che la<br />

custodiscono.


Un affresco epico, un linguaggio innovativo, una bella avventura intellettuale<br />

Alberto Rotondo<br />

Casablanca pagina 46<br />

Il mondo<br />

degli ultimi<br />

Il primo ciak grazie alla generosità dei contadini della bassa bresciana e cremonese che<br />

hanno voluto recuperare la memoria collettiva che rischiava di perdersi.<br />

Un esempio di come fare cultura e politica in una sezione di Rifondazione Comunista senza<br />

risorse. Il 1° maggio solo una occasione politica. La proiezione del mondo degli<br />

ultimi? Una possibilità per riflettere su un periodo storico abbastanza recente. Un film che<br />

ha subito una serie di denunce assurde e pertanto non ha potuto circolare.<br />

Festeggiare il Primo maggio<br />

proponendo, in collaborazione con il<br />

Cinestudio, la proiezione di una rara<br />

pellicola, il Mondo degli ultimi di Gian<br />

Butturini, non è, per il Circolo Città<br />

Futura, soltanto un doveroso tributo alla<br />

storia delle lotte contadine in Italia,<br />

attraverso la visione di un documento<br />

significativo della produzione<br />

cinematografica “impegnata” del nostro<br />

Paese.<br />

Non si tratta di fornire un’oleografica<br />

rappresentazione di un mondo<br />

scomparso, quella civiltà contadina<br />

uccisa nei suoi valori e nelle sue<br />

aspirazioni di liberazione, dall’avvento<br />

della civiltà industriale prima e dal<br />

trionfo del consumismo disumanizzante<br />

poi, ma di testimoniare cosa può e deve<br />

significare fare cultura e ricostruire una<br />

memoria storica collettiva nel mondo<br />

atomizzato e diviso di oggi.<br />

Il film narra dell’occupazione, nel<br />

secondo dopoguerra, della Cascina di<br />

Gussola, un grande latifondo del<br />

cremonese, e dell’asprezza della lotta<br />

che ne scaturì, con la conseguente<br />

repressione delle forze dell’ordine al<br />

servizio degli agrari e dei loro interessi.<br />

Si tratta di una vera opera collettiva "in<br />

quanto ha dietro ogni scena non solo<br />

l'occhio allevato e la cultura<br />

cinematografica e figurativa dell'autore,<br />

ma anche un corredo di annotazioni,<br />

puntualizzazioni, focalizzazioni<br />

provenienti da decine e decine di<br />

collaboratori inclini a suggerire<br />

particolari, correggere battute di dialogo,<br />

mettere a fuoco gli accadimenti. E’ un<br />

procedimento che deriva dai postulati del<br />

neorealismo, ma che anche nei ranghi<br />

del cinema neorealista è stato adottato<br />

con molta, troppa, circospezione e<br />

prudenza”, come nota il critico Mino<br />

Argentieri in un saggio dedicato, pochi<br />

anni dopo la sua realizzazione, alla<br />

straordinaria opera di Butturini.<br />

Ciò che rende il film particolarmente<br />

interessante, a parte l’esemplarità della<br />

storia narrata, non dissimile dalle tante<br />

storie di occupazione dei latifondi incolti<br />

che hanno avuto come teatro anche la<br />

nostra terra di Sicilia nell’immediato<br />

dopoguerra, è la straordinarietà delle<br />

vicende che ne accompagnarono la<br />

produzione e che ne segnarono la<br />

ristrettezza della diffusione nei circuiti<br />

ufficiali e nelle sale cinematografiche;<br />

fu necessario abbattere numerosi ostacoli<br />

perché essa finalmente venisse alla luce,<br />

le difficoltà iniziarono già al momento<br />

della pre-produzione, per l’impossibilità<br />

di reperire finanziamenti adeguati, e fu<br />

solo grazie allo straordinario slancio di<br />

generosità dei contadini della Bassa<br />

bresciana e cremonese, orgogliosi di<br />

partecipare al recupero di una memoria<br />

collettiva che rischiava di perdersi<br />

nell’oblio, che si riuscì a realizzare il<br />

primo ciak.<br />

Le difficoltà continuarono durante le<br />

riprese, il regista le definì un’esperienza<br />

talmente totalizzante da fargli diventare i<br />

capelli bianchi; il progetto, in totale


Un affresco epico, un linguaggio innovativo, una bella avventura intellettuale<br />

coerenza con l’intento dichiarato di dar<br />

vita a un processo di creazione collettiva<br />

e di riassunzione di identità da parte di<br />

un “universo sociale” che fu protagonista<br />

e soggetto di trasformazione nella<br />

società italiana degli anni Cinquanta,<br />

non poteva essere realizzato<br />

semplicemente facendo ricorso alla<br />

maestria tecnica degli operatori o alla<br />

parzialità ideologica del regista:<br />

bisognava infatti che risuonasse nella<br />

narrazione l’eco della pluralità dei<br />

soggetti che ne prendevano parte.<br />

Nota ancora Mino Argentieri:<br />

"diversamente da parecchi registi, tenuti<br />

nel giusto conto come figli e pardi del<br />

neorealismo, Butturini tenta l'inesplorata<br />

strada della storiografia capillare e di<br />

"base", non contrapponendola<br />

polemicamente né a quella accademica,<br />

né a quella giornalistica, né a quella<br />

connessa in modo organico con le<br />

organizzazioni sindacali e politiche della<br />

sinistra, ma, traducendola dalla<br />

originaria forma orale in<br />

linguaggio cinematografico, ne<br />

conserva i tratti, la tonalità<br />

inconfondibile". Il risultato è<br />

unico nel suo genere,<br />

distinguendosi non soltanto dai<br />

prodotti destinati al più basso<br />

consumo commerciale ma<br />

anche dai grandi capolavori<br />

della cinematografia<br />

neorealista italiana, in cui,<br />

paradossalmente, l’intento<br />

ideologico degli autori di<br />

rappresentare la realtà nella<br />

sua cruda intensità e contro gli<br />

stilemi accademici, finisce<br />

spesso per diventare nuovo<br />

paradigma per porsi a fondamento<br />

ideologico di una nuova cinematografia<br />

e di una nuova accademia.<br />

L’asprezza del dialetto padano, così<br />

inaspettatamente vicino ai suoni gutturali<br />

dei contadini delle nostre terre di Sicilia,<br />

ci restituisce in forma non mediata il<br />

senso di una comunità in cui la<br />

solidarietà nella lotta e la speranza di<br />

contribuire, dopo la Liberazione dal<br />

nazifascismo, all’edificazione di una<br />

nuova e diversa società, appare in<br />

stridente contrasto con l’incertezza<br />

paralizzante che sembra<br />

contraddistinguere la contemporaneità.<br />

Colpisce il racconto dell’inizio della<br />

mobilitazione, dopo che i contadini<br />

avevano chiesto al padrone di abbattere i<br />

pioppi maturi per ampliare le superfici<br />

da destinare alle colture produttive. C’è<br />

un senso dell’utilità sociale del proprio<br />

lavoro, in grado di essere messo a frutto,<br />

a comune beneficio di tutti e in maniera<br />

più efficiente, con una diversa e<br />

collettiva organizzazione che<br />

evidenziasse il carattere parassitario<br />

della rendita e desse corpo a un’autentica<br />

innovazione nelle strutture sociali e di<br />

governo della produzione.<br />

Tornano in mente la mobilitazione dei<br />

contadini di Partinico che, sotto la guida<br />

saggia e illuminata di Danilo Dolci,<br />

all’inerzia delle pubbliche<br />

amministrazioni che non stanziavano i<br />

fondi per la sistemazione della viabilità<br />

rurale, rispondevano imbracciando<br />

vanghe e picconi e realizzando da sé<br />

quanto veniva negato da un potere cieco<br />

e asservito agli interessi delle classi<br />

dominanti.<br />

Un altro esempio che torna alla memoria<br />

è quello dell’orgoglio operaio dei<br />

lavoratori comunisti della Fiat, i quali<br />

alla fine dell’occupazione della fabbrica<br />

nel cosiddetto “biennio rosso“, a<br />

testimonianza del fatto che i lavoratori<br />

della Fiat erano quelli che producevano<br />

anche senza il padrone, avevano fatto<br />

firmare dalla direzione un documento da<br />

cui risultava come non un pezzo, non un<br />

utensile, non un chilo di materiale fosse<br />

venuto a mancare durante l’occupazione.<br />

Certo, più di un secolo è passato dal<br />

biennio rosso e dalle speranze<br />

rivoluzionarie dell’inizio del Novecento,<br />

la grande crisi del capitalismo in crisi sta<br />

determinando ovunque nel mondo una<br />

forte ripresa della conflittualità sociale,<br />

tuttavia a volte sembrano prevalere negli<br />

Casablanca pagina 47<br />

atteggiamenti e nelle pratiche di chi si<br />

vuole attore dell’antagonismo politico e<br />

sociale un ribellismo distruttivo e neoluddista<br />

che stride enormemente con le<br />

vicende esemplari delle lotte contadine e<br />

operaie del novecento.<br />

Viviamo tempi messianici, per utilizzare<br />

la notissima espressione di Walter<br />

Benjamin: un’autentica catastrofe sociale<br />

si sta abbattendo sulle nostre ex società<br />

dell’opulenza, in una misura tale da<br />

sfuggire alle capacità di comprensione di<br />

chi è vissuto in un mondo che sta<br />

mutando velocemente, segnando un<br />

peggioramento complessivo delle<br />

condizioni materiali di esistenza di<br />

milioni di donne e uomini del cosiddetto<br />

occidente industrializzato.<br />

Sbaglieremmo, tuttavia, se<br />

interpretassimo questa fase assumendo<br />

una prospettiva rozzamente<br />

economicistica, negandoci la possibilità<br />

di costruire una risposta collettiva<br />

adeguata alla gravità dei processi in<br />

corso : una catastrofe sociale è un<br />

fatto culturale prima che<br />

economico, influenzata<br />

naturalmente dalla profondità dei<br />

processi di sfruttamento economico,<br />

ma determinata nella sua<br />

complessità da una miriade di altri<br />

fattori che ne costituiscono i<br />

caratteri. Allo stesso modo<br />

sbaglieremmo se pensassimo che<br />

sulla base della sola presenza di<br />

interessi economici comuni, come<br />

la condivisione del disagio sociale<br />

che la crisi è destinata ad<br />

aumentare, si possano innescare<br />

deterministicamente i detonatori<br />

della trasformazione sociale e della<br />

rivoluzione.<br />

Quello che costituisce una classe, una<br />

comunità o un popolo sono i vincoli di<br />

solidarietà collettiva che disegnano<br />

appartenenze, fondano orgogliose<br />

sicurezze e fanno sì che in un dato<br />

momento storico ci si ponga come<br />

soggetti della trasformazione e del<br />

progresso.<br />

Ce lo insegna la storia del movimento<br />

operaio e i contadini in lotta che Gian<br />

Butturini ci presenta, nel Mondo degli<br />

ultimi, con i toni di un affresco epico e il<br />

linguaggio innovativo di una bella<br />

avventura intellettuale.


Le vignette di Gianni Allegra ©<br />

Casablanca pagina 48


Le vignette di Gianni Allegra ©<br />

Casablanca pagina 49


Le vignette di Gianni Allegra ©<br />

Casablanca pagina 50


Nadia Furnari<br />

Telejato… abbiamo trasmesso<br />

Casablanca pagina 51<br />

Telejato<br />

Chiuso per legge<br />

Chiediamo…<br />

Il riconoscimento del ruolo sociale delle TV comunitarie (che adesso vengono escluse dalla possibilità di<br />

diventare “operatore di rete”), riservando loro una quota nei piani di assegnazione delle frequenze<br />

Revisioni dei criteri per l’assegnazione dell’LCN (Logical Number Channel), che relega le televisioni locali<br />

ad un posizionamento fortemente penalizzante.<br />

… abbiamo chiesto<br />

Pino, quale è la situazione ad oggi?<br />

Aspettiamo che il ministero, entro il 20<br />

maggio, ci dia una risposta sulla domanda<br />

presentata come operatore di rete e<br />

come parte di un consorzio di cinque<br />

TV. La presenza di Telejato dentro al<br />

consorzio però è una cosa anomala perché<br />

non siamo una televisione comunitaria.<br />

Al forum di Cinisi hai comunicato che<br />

sei diventato fornitore di contenuti…<br />

che significa?<br />

E’ una cosa tutta per ridere perché Telejato<br />

potrebbe fornire contenuti ad altre<br />

emittenti. In sostanza potremmo realizzare<br />

dei servizi e poi chiedere alle altre<br />

emittenti di metterli in onda…<br />

E secondo te un’altra emittente metterebbe<br />

mai in onda i tuoi servizi?<br />

Sicuramente no. Telejato ha 310 querele<br />

e sicuramente nessuna emittente rischierebbe<br />

cause penali o civili…<br />

Si può dire che il riconoscimento di<br />

fornitore di contenuti è una grande<br />

presa in giro?<br />

Certo che si può dire. Tutta le legge, così<br />

come concepita, è incostituzionale e iniqua<br />

pensata per bloccare le voci scomo-<br />

de delle TV comunitarie. Non ci sono<br />

riusciti con la legge bavaglio… ci riusciranno<br />

con il passaggio al digitale terrestre.<br />

Se entro il 20 maggio non arriva nessuna<br />

risposta?<br />

Telejato chiude.<br />

Così come tutte le televisioni comunitarie<br />

(sono circa 250 in tutta Italia).<br />

Ma il 20 maggio cosa dovrebbe accadere?<br />

Telejato, anche se non ha i requisiti per<br />

diventare operatore di rete, ha presentato<br />

ugualmente la domanda. Siccome la legge<br />

parla anche di eventuali “recuperi” in<br />

caso di eventuali frequenze libere… allora<br />

diciamo che ci siamo messi in lista di<br />

attesa.<br />

Ma la lista di attesa vale solo per Telejato<br />

o per tutti?<br />

No. Vale per tutti.<br />

Ricordiamo quale era la proposta del<br />

30% ?<br />

Su 10 autorizzazioni che venivano date<br />

alle televisioni commerciali il 30% delle<br />

televisioni locali commerciali dovrebbe<br />

andare alle comunitarie.<br />

Questa proposta non è passata. Perché?<br />

Questa cosa non è neanche approdata alla<br />

discussione in parlamento. E’ stata<br />

l’ennesima presa per i fondelli da parte<br />

della politica (in questo caso del centro<br />

sinistra) per cercare di tenere a freno le<br />

fibrillazioni delle televisioni comunitarie.<br />

Ufficialmente quando si spegnerà Telejato?<br />

Lo Switch Off inizierà il 1 giugno. Dal<br />

1 luglio Telejato potrebbe non esserci<br />

più.<br />

Hai detto più volte che andrai in onda<br />

lo stesso. Cosa significa?<br />

Significa che il primo numero libero nel<br />

telecomando noi accendiamo e poi dovranno<br />

essere le forze dell’ordine a spegnerci.<br />

Il 20 maggio è passato. Tutto tace. Ad<br />

oggi Telejato… HA TRASMESSO.


Coppola editore<br />

pag. 128 - 12,00 €<br />

collana Linea emozioni.<br />

www.coppolaeditore.com<br />

<br />

E’ uscito il 18 maggio per l’editore Coppola,<br />

VENT’ANNI<br />

a cura di Daniela Gambino ed Ettore Zanca.<br />

In memoria delle stragi del ’92.<br />

Casablanca pagina 52<br />

Racconti, interviste, testimonianze, impressioni,<br />

monologhi teatrali e testi di canzone, per non<br />

dimenticare le stragi del ’92 in cui persero la vita<br />

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e i<br />

componenti – uomini e donne – delle scorte.<br />

Il diario di una partecipazione emotiva, un ritratto di<br />

Palermo e del Paese. Emozioni intime che diventano<br />

condivise.<br />

“(…) Abbiamo provato a riportare e riportarci alla<br />

memoria due stragi del 1992 nel modo più dolce<br />

possibile. Come riaprire una ferita per curarla meglio,<br />

con più amore. (…) Sono venuti fuori ricordi con la<br />

sete di giustizia, la voglia di consegnare un mondo<br />

più onesto, l’eredità morale (…) la consapevolezza<br />

che non c’è ancora un colpevole certo e non ha<br />

pagato del tutto chi dovrebbe pagare…”<br />

Dalla quarta di copertina firmata da Ettore Zanca<br />

Hanno partecipato alla stesura del libro: Salvatore<br />

Coppola, Maria Falcone, Rita Borsellino, Ignazio<br />

Arcoleo e Roberto Gueli, Letizia Battaglia, Rachid<br />

Berradi, Augusto Cavadi, Luigi Ciotti e Raffaele<br />

Sardo, Amelia Crisantino, Gaetano Curreri,<br />

Giuseppe Di Piazza, Daniela Gambino, Alfonso<br />

Giordano, Maurilio Grasso, Stefano Grasso e<br />

Corrado Fortuna, Enzo Guidotto, Sebastiano<br />

Gulisano, Ferdinando Imposimato, Pina Maisano<br />

Grassi e Chiara Caprì, Antonio Mazzeo, Natya<br />

Migliori, Marilena Monti, Carlo Palermo e Denise<br />

Fasanelli, Aldo Penna, Pippo Pollina, Enrico<br />

Ruggeri, Luca Tescaroli, Ettore Zanca.<br />

VENT’ANNI a cura di Daniela Gambino ed Ettore<br />

Zanca, immagine di copertina di Gaetano Porcasi,


Le “Cronachette” di Amalia Bruno ©<br />

Casablanca pagina 53


Le “Cronachette” di Amalia Bruno ©<br />

Casablanca pagina 54


In Nome del<br />

In nome del pareggio di bilancio…<br />

pareggio di bilancio<br />

Associazione Antimafie “Rita Atria”<br />

L'Italia è oggi colpita da una gravissima<br />

crisi sociale e politica. Dalle macerie di<br />

(quasi) vent'anni di berlusconismo e di<br />

una classe politica in larga parte asservita<br />

fin dalla fine della seconda Guerra Mondiale<br />

ai poteri forti, dalla NATO a Confindustria,<br />

è emerso un governo antisociale,<br />

antioperaio e padronale come il<br />

governo del "tecnico" Monti. Un governo<br />

che sta realizzando la totale cancellazione<br />

dei diritti sociali e civili, a partire dai diritti<br />

dei lavoratori con lo smantellamento<br />

dello Statuto dei Lavoratori.<br />

Non dovrebbe sorprenderci una simile deriva<br />

dopo che per la diffusa complicità di<br />

tutti noi, persi a goderci i frutti dello "sviluppo<br />

economico occidentale", abbiamo<br />

lasciato che il nostro arricchimento si allietasse<br />

dell'impoverimento sociale ed<br />

economico della maggior parte della popolazione<br />

umana. Abbiamo lasciato che<br />

la logica della globalizzazione del liberismo<br />

selvaggio e senza regole sottraesse<br />

diritti e dignità ad altri popoli, abbiamo<br />

consentito che la depredazione delle risorse<br />

naturali di altri Paesi venisse consentita<br />

dal nostro silenzioso consenso a<br />

regimi di feroce tirannia e di violenze antipopolari.<br />

Avremmo forse inconsciamente pensato e<br />

sperato che tutto ciò non avrebbe influito<br />

sulle nostre condizioni sociali ed economiche,<br />

ma era un triste inganno. Il liberismo<br />

selvaggio con la detenzione del potere<br />

e delle risorse in mano di pochi centri<br />

elitari ha infatti necessità assoluta di fondarsi<br />

sulla corruzione, sulla clientela e<br />

sulla negazione e repressione della sovranità<br />

popolare.<br />

Ecco perché oggi vengono al pettine i nodi<br />

della corruzione e del controllo della<br />

nostra sovranità, anzi, una grave limitazione<br />

della nostra sovranità in favore degli<br />

“amici” americani che non hanno mai<br />

rinunciato ad avvalersi anche della mafia<br />

e di ambienti contigui e conniventi ad essa:<br />

nel 1943 per “liberarci”; negli anni<br />

della “guerra fredda” per installare i missili;<br />

negli “anni di piombo” per far arre-<br />

trare le conquiste sociali e oggi<br />

per costruire strumenti di<br />

guerra e, quindi, di morte nella<br />

nostra Sicilia, con<br />

l’installazione, ad esempio, del MUOS<br />

nel bel mezzo della riserva naturale di<br />

Niscemi (CL). E inoltre, con l'incalzare di<br />

una crisi finanziaria che è frutto esclusivo<br />

dell'ideologia capitalista, non potevamo<br />

non aspettarci la depredazione dei diritti<br />

invocati dalla nostra Costituzione come<br />

base della convivenza sociale. Il Governo<br />

Monti sta dunque svolgendo egregiamente<br />

il proprio compito di servire fedelmente<br />

l'ideologia liberista.<br />

Possiamo solo chiederci se esistano forme<br />

di antagonismo concreto ed efficace, se<br />

saremo in grado di riappropriarci di quanto<br />

oggi si cerca di rinnegare della nostra<br />

Costituzione e di scipparci. Perché di<br />

fronte ai tanti usurpatori della sovranità<br />

non esistono poi molte scelte possibili. O<br />

si ha volontà e si è in grado di contrastarlo<br />

o dovremo arrenderci all'impudenza<br />

della sua politica antipopolare ed anticostituzionale.<br />

Il culmine di questo processo è stato realizzato<br />

in queste settimane con l'introduzione<br />

nella Costituzione del principio del<br />

"pareggio di bilancio" (riforma art. 81).<br />

Il pareggio di bilancio è un vulnus e un<br />

corpo estraneo nella Costituzione. I suoi<br />

principi fondamentali sono enunciati nei<br />

primi 12 articoli e poi sviluppati nei successivi.<br />

Tali principi sono gli stessi che<br />

ispirarono la Dichiarazione Universale<br />

dei Diritti Umani e la Carta di San Francisco<br />

(dalla quale nacque l'ONU). Sono i<br />

diritti umani inviolabili, i diritti civili e<br />

personali, il rispetto umano, l'uguaglianza,<br />

la cancellazione delle discriminazioni<br />

di ogni tipo. Sono diritti e principi<br />

che tra loro si armonizzano e, insieme,<br />

disegnano un'unica costruzione giuridica.<br />

Il pareggio di bilancio è tutt'altro, è un<br />

principio contabile, economico, ragionieristico.<br />

Ha tutt'altra natura. E, soprattutto,<br />

può confliggere e contrastare con gli altri.<br />

La ricerca dell'uguaglianza sociale non<br />

Casablanca pagina 55<br />

potrà mai confliggere con il rispetto del<br />

territorio (anzi, addirittura, già nel 1947, i<br />

padri costituenti scrissero paesaggio...).<br />

Ma le politiche di uguaglianza possono,<br />

eccome, confliggere con politiche di perseguimento<br />

del pareggio di bilancio.<br />

Davanti alla necessità di scegliere tra le<br />

due, in caso di bilancio già in pareggio e<br />

la necessità di ulteriori politiche sociali,<br />

cosa verrà sacrificato? Già il solo porsi<br />

la domanda è un vulnus, è lacerare il<br />

tessuto costituzionale.<br />

Va sottolineato che è un pareggio truccato:<br />

per poter redigere in pareggio il bilancio<br />

non vengono conteggiate alcune spese,<br />

come i contributi al fondo salva-stati.<br />

Secondo vulnus, la partecipazione ad un<br />

fondo finanziario viene considerata immensamente<br />

più importante dell'uguaglianza<br />

sociale e delle politiche di lotta<br />

alla discriminazione (tanto per fare due<br />

esempi)...<br />

Il pareggio di bilancio realizza compiutamente<br />

il disegno dei poteri forti che, già<br />

prima della promulgazione della Carta<br />

Costituzionale il 1° gennaio 1948, tentarono<br />

di distruggere l'anelito all'uguaglianza<br />

sociale, alla libertà e al rispetto di tutti<br />

i cittadini del popolo italiano liberato dal<br />

NaziFascismo. Un disegno che, prima di<br />

ogni altro, colpisce i lavoratori, gli operai<br />

e i più deboli. Non è certamente un caso<br />

che tutto sia iniziato a Portella della Ginestra,<br />

lì dove il 1° maggio 1947 furono<br />

massacrati uomini, donne e bambini che<br />

stavano celebrando la Festa dei Lavoratori.<br />

A Portella della Ginestra oltre che le<br />

vittime umane della strage fu tra le vittime<br />

il comma primo dell'articolo 3 della<br />

Costituzione: "Tutti i cittadini hanno pari<br />

dignità sociale e sono eguali davanti<br />

alla legge, senza distinzione di sesso, di<br />

razza, di lingua, di religione, di opinioni<br />

politiche, di condizioni personali e sociali".<br />

L'anticomunismo fu il paravento die-


tro il quale i poteri forti giustificarono la<br />

ragione e il segreto di Stato. E in nome<br />

dell'anticomunismo hanno commesso i<br />

peggiori crimini, che vanno dalla non tutela<br />

dei diritti fondamentali della Persona<br />

Umana alla corruzione, ai rapporti tra potere<br />

e mafie fino allo stragismo contro il<br />

popolo italiano e i migranti. Chi detiene il<br />

potere si è messo al di sopra della legge e<br />

si è garantito ogni impunità, svendendo la<br />

sovranità popolare al governo americano,<br />

superpotenza che poteva garantire ai fedeli<br />

servitori carriere fulminee, potere e<br />

denaro.<br />

Da Portella nacque però anche il fiore di<br />

una nuova Resistenza per raggiungere<br />

l'obiettivo di vivere in un'Italia dove dare<br />

completa attuazione alla Costituzione del<br />

1948, affinché vi siano governi che ispirino<br />

la politica interna ed estera alla fedeltà<br />

costituzionale.<br />

Chi si è messo sopra la legge, chi fa affari<br />

con le mafie, chi pensa prima di tutto a<br />

carriere fulminee e denaro ha sempre<br />

avuto come obiettivo di spazzare via la<br />

nuova Resistenza nata a Portella.<br />

Hanno ammazzato giornalisti, politici,<br />

operai, contadini, studenti, sindacalisti,<br />

magistrati, avvocati e tutte le vittime cancellate<br />

dall'oblio imposto dal potere, protagonisti<br />

della nuova Resistenza nata a<br />

Portella. Peppino Impastato è uno di<br />

questi nuovi partigiani.<br />

La crisi dell'impero americano e del<br />

capitalismo ha dato l'avvio all'intensificazione<br />

della repressione della nuova<br />

Resistenza nata a Portella da parte di chi<br />

non vuole rinunciare a potere, poltrona e<br />

denaro, al proprio tornaconto personale,<br />

che comprende anche - se ha eventualmente<br />

commesso crimini - di non avere<br />

un qualche fastidioso controllo o indagine,<br />

perché si sente sopra la legge e pretende<br />

l'impunità. Il Governo Monti è oggi<br />

l'esecutore di questa repressione, voluta<br />

In nome del pareggio di bilancio…<br />

dai poteri forti ed economici italiani ed<br />

internazionali.<br />

In nome delle vittime delle mafie, della<br />

corruzione, delle stragi a noi spetta di<br />

prendere il testimone e proseguire quotidianamente<br />

la Resistenza nata a Portella<br />

della Ginestra. In memoria dei nuovi partigiani<br />

che ci hanno preceduto e sono stati<br />

barbaramente uccisi, lasciandoci il testimone<br />

di un impegno che oggi deve camminare<br />

sulle nostre gambe. Si resiste e si<br />

lotta con determinazione quotidiana anche<br />

con proposte di leggi che impegnino<br />

la Repubblica ad assolvere il compito assegnato<br />

dai Padri costituenti, tra cui rimuovere<br />

gli ostacoli di ordine economico<br />

e sociale, che, limitando di fatto la libertà<br />

e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono<br />

il pieno sviluppo della persona umana e<br />

l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori<br />

all'organizzazione politica, economica<br />

e sociale del Paese così come sancito<br />

dall'articolo 3 della Costituzione del<br />

1948.<br />

C'è un'ultima non meno triste questione<br />

che non possiamo esimerci dal sottolineare:<br />

i suicidi dei tanti e troppi piccoli imprenditori<br />

che si sono trovati nell'angoscia<br />

insostenibile di una vita senza prospettive<br />

e senza futuro.<br />

Essi sono purtroppo<br />

le specchio dell'infame<br />

destino che il<br />

capitalismo selvaggio<br />

riserva ai Cittadini,<br />

anche a coloro<br />

che ha reso più simili<br />

a sé per poter ottenere<br />

una egemonia<br />

assoluta e senza<br />

contrasto: la perdita<br />

di senso e di futuro.<br />

Casablanca pagina 56<br />

Ma non è un caso che la maggior parte di<br />

questi suicidi si registrino tra piccoli imprenditori<br />

piuttosto che tra gli operai e gli<br />

ultimi, i poveri, delle nostre società. Perché<br />

sono i poveri coloro che hanno sempre<br />

portato il peso della storia ed hanno<br />

saputo convivere con l'impoverimento fino<br />

alla miseria e sopravvivere, nonostante<br />

tutto, alla espropriazione della loro dignità<br />

e del loro futuro. Ed è da loro, dalla loro<br />

coscienza di essere portatori di una<br />

prole a cui è necessario consegnare un futuro<br />

più carico di possibilità e di speranze<br />

che si sono viste nascere rivoluzioni di<br />

dignità e identità, di Cittadinanza e di Diritti<br />

Fondamentali. Se i poveri dell'Africa<br />

o dell'Asia avessero tutti scelto di suicidarsi<br />

oggi forse il capitalismo avrebbe<br />

trionfato senza dover temere rivalse della<br />

storia. Ma i poveri che riescono a sopravvivere,<br />

nonostante tutto, sono la più feroce<br />

testimonianza del vero volto del capitalismo<br />

e sono la denuncia vivente delle<br />

sue false ed idolatriche ideologie. A tutti<br />

diciamo dunque: Resistete, non sopprimete<br />

la vostra vita ma fatene strumento di<br />

denuncia e luogo di cambiamento.<br />

Bisogna assumere dunque la dignità dei<br />

poveri perché i potenti non possano cullarsi<br />

nella presunzione di poter prevaricare<br />

impunemente la dignità delle Persone<br />

Umane. Non dobbiamo permettere a noi<br />

stessi di essere ancora complici della<br />

schiavitù con cui si vorrebbe dominarci e<br />

mentre siamo umanamente accanto alle<br />

famiglie dei tanti suicidi dobbiamo urlare<br />

a tutti ed a noi per primi che resistere è un<br />

dovere, per dare un senso alle nostre esistenze.<br />

E dobbiamo farlo elaborando<br />

strumenti e disegnando percorsi alternativi<br />

che non si fermino alla sola denuncia<br />

del capitalismo ma facciano intravedere<br />

anche le possibilità di sfuggire alla sua<br />

violenta protervia ed alla sua fiaba affabulatoria<br />

di un benessere diffuso ed alla<br />

portata di tutti che, se svanisce, ci lascia<br />

sperduti e ci induce ad autoeliminarci.<br />

Chi ha idee e competenze è ora che le<br />

metta in gioco, perché la Resistenza dal<br />

NaziFascismo non è nata con la fine di<br />

quei regimi ma quando essi erano in auge,<br />

ed ha contribuito enormemente alla<br />

loro sconfitta fin dal tempo del loro apparente<br />

trionfo.<br />

Documento Condiviso da<br />

Le Siciliane - Casablanca


www.lesiciliane.org

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