Flavio Soriga, Diavoli di Nuraiò - Sardegna Cultura
Flavio Soriga, Diavoli di Nuraiò - Sardegna Cultura
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è <strong>di</strong>fficile capirlo in quel viso che è un tappeto <strong>di</strong> rughe.<br />
Ho lavorato tanto, sospira, e non aggiunge altro<br />
un tale Antoneddu Prunas <strong>di</strong> Cossoine, che adesso<br />
vive a <strong>Nuraiò</strong> con la moglie, <strong>di</strong>ce <strong>di</strong> averlo frequentato,<br />
in quegli anni: <strong>di</strong>ce che lo vedeva sempre elegante e<br />
sorridente, non solo nella Piazza, ma anche in giro per<br />
caffè e ristoranti, persino davanti alle librerie. Dice che<br />
davvero aveva sempre delle donne affianco, belle donne<br />
eleganti, con cui parlava in un italiano aggraziato,<br />
se non proprio corretto. Dice <strong>di</strong> aver passato dei lunghi<br />
pomeriggi con zio Giovanni, che si faceva chiamare<br />
Giovannino e portava dei bei baffetti all’insù, che<br />
non si capisce come non gli si rovinassero in fabbrica,<br />
dei lunghi baffetti alla moda del secolo scorso, un’aria<br />
sicura e belle spalle forti, pelle abbronzata tutto l’anno,<br />
un’aria da uomo che non ha complessi, forse perché ha<br />
fortuna, forse perché ne ha passate tante<br />
non è facile crederci, a questo zio Giovanni mondano<br />
in terra non sua, non è facile immaginarlo come<br />
Emilio Lussu, che quando passeggiava per Parigi coi<br />
suoi amici intellettuali sembrava citta<strong>di</strong>no nato e cresciuto,<br />
ma tornato nella sua Armungia ri<strong>di</strong>ventava il<br />
pastore umile <strong>di</strong> sempre, colla giacca in velluto a coste<br />
e tutto. Non è facile perché zio Giovanni oggi è<br />
un tronco <strong>di</strong> ossa e poca pelle rinsecchita e bruciacchiata,<br />
parla poco, persino con i parenti, non ride mai.<br />
Sorride però, questo sì, sorride se gli si chiede se ha<br />
rimpianti, se ha ricor<strong>di</strong> del passato che lo tormentano,<br />
lui che ha vissuto tanto<br />
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ha sorriso, al ragazzo alto che lo ha intervistato per<br />
la sua tesi sull’immigrazione sarda, ha sorriso quando<br />
gli ha chiesto se aveva dei rimpianti, ha sorriso e ha<br />
risposto, masticando piano le parole come fa la mattina<br />
col pane bagnato nel caffellatte: certo che ne ho,<br />
tutti ne hanno<br />
quali? ha insistito subito quello, perché i ragazzi <strong>di</strong><br />
oggi non si accontentano mai, vorrebbero capire tutto<br />
con le parole, tutto e in fretta<br />
non ho figli, <strong>di</strong>sse il vecchio, e smise <strong>di</strong> sorridere, e<br />
anzi si alzò dalla sua seggiola e si <strong>di</strong>resse verso la stra<strong>di</strong>na<br />
che scendeva fino al mare, e voleva <strong>di</strong>re che l’intervista<br />
era finita<br />
anche in questo pomeriggio in cui settembre sembra<br />
voler finire male, con lampi che spaccano il cielo<br />
e l’aria umida che si aggruma sopra la sua testa, anche<br />
in questo pomeriggio in cui zio Giovanni si dondola<br />
sulla sua seggiola sorseggiando lentamente un<br />
bicchiere <strong>di</strong> vino leggero, la bottiglia sottile poggiata<br />
lì accanto, col mare che già sembra invernale, con<br />
neanche l’ombra <strong>di</strong> un turista, coi melograni che si<br />
aprono e mostrano i chicchi colorati, neanche adesso<br />
il vecchio vuole parlare con precisione del suo passato,<br />
meno che mai dei giorni torinesi<br />
sorride da solo, muove la testa avanti e in<strong>di</strong>etro come<br />
a far segno <strong>di</strong> sì, che è proprio vero, ma chissà<br />
quali ricor<strong>di</strong> sta inseguendo, quali personaggi vanno<br />
a far visita ai suoi pensieri, personaggi buoni o cattivi,<br />
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