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Flavio Soriga, Diavoli di Nuraiò - Sardegna Cultura

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Non ero preoccupato, in effetti. Lo salutai e tornai<br />

alla macchina.<br />

Mentre tornavo a <strong>Nuraiò</strong> piano piano fece luce.<br />

Guidavo ascoltando Glenn Miller e Lou Reed, pensavo<br />

che dovevo comprarmi qualche nuovo CD e che<br />

la domenica è un gran giorno per dormire.<br />

A volte mi arrivano delle lettere degli amici del liceo,<br />

<strong>di</strong> qualche ragazza <strong>di</strong> allora, <strong>di</strong> mia zia e <strong>di</strong> mia<br />

nonna, <strong>di</strong> mia madre.<br />

Mia madre non viene molto a trovarmi, la capisco:<br />

ogni volta mi trova tranquillo pulito e sorridente, e<br />

non le scoppio a piangere davanti come lei si aspetta<br />

e non le grido che ho bisogno <strong>di</strong> aiuto e che sto impazzendo,<br />

e solo le chiedo come stanno i parenti e mi<br />

faccio raccontare le ultime novità delle mie cugine o<br />

<strong>di</strong> qualche zio, e non succede mai quello che lei sogna,<br />

qualcosa che non sa bene cos’è ma che saprebbe<br />

riconoscere, un gesto uno sguardo una frase che le<br />

faccia capire che come uscirò <strong>di</strong> qui tornerò quel<br />

bambino con le camicette in or<strong>di</strong>ne che scriveva rime<br />

strampalate su un quaderno che teneva nascosto a<br />

tutti tranne che a lei. Lo aspetta ancora, lei, il ritorno<br />

<strong>di</strong> quel bambino che non c’è più.<br />

D’inverno, quando non arriva quasi luce dal finestrone<br />

qua in alto e chissà perché mi viene meno vo-<br />

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glia del solito <strong>di</strong> cercare <strong>di</strong> scoprire cosa succede fuori<br />

<strong>di</strong> qui, d’inverno, quando sin dal pomeriggio faccio<br />

bruciare le mie candele colorate, a volte d’inverno<br />

sento il bisogno <strong>di</strong> parlare con una ragazza, <strong>di</strong> avere<br />

vicino una persona profumata e con degli occhi che<br />

guardandoti in silenzio ti facciano sentire qualcosa<br />

dentro. A volte, d’inverno soprattutto, mi sento male<br />

perché so che la sera non porterà nessuna eccitazione,<br />

nessun mistero, nessuna scoperta. Certi pomeriggi<br />

fred<strong>di</strong> resto sdraiato per una due tre ore e fisso il muro<br />

e immagino <strong>di</strong> essere sul mio letto a <strong>Nuraiò</strong> e che tra<br />

poco dovrò alzarmi entrare in bagno e farmi una doccia<br />

calda lunghissima, che sentirò il getto bollente<br />

sul collo mentre il mio sguardo sarà fisso sui pie<strong>di</strong><br />

sulle gambe sugli schizzi d’acqua e <strong>di</strong> luce delle piastrelle,<br />

sogno che tra poco dovrò alzarmi fare la doccia<br />

scegliere una camicia comoda e uscire a cena con<br />

la ragazza dagli occhi ver<strong>di</strong>, una qualunque ragazza<br />

dagli occhi ver<strong>di</strong> che fissandomi e parlando piano e<br />

sorridendo mi faccia star male dalla voglia <strong>di</strong> baciarla,<br />

dal bisogno <strong>di</strong> sentire il profumo del suo collo,<br />

delle sue braccia, delle sue gambe, che mi faccia guardare<br />

in alto e gridare che se c’è giustizia quella notte<br />

dovrò passarla accarezzando quel corpo caldo e liscio<br />

e sentendo quella vocina che mi <strong>di</strong>ce le più belle dolci<br />

scontate parole che riesce a immaginare.<br />

Certe volte, a pensare che nella branda sotto la mia<br />

c’è la stessa desolazione che mi sta uccidendo, la stessa<br />

noia la stessa rabbia la stessa aci<strong>di</strong>tà nella pancia la<br />

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