Flavio Soriga, Diavoli di Nuraiò - Sardegna Cultura
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Uno dei due doveva circa mezzo milione al mio socio,<br />
da sei mesi almeno, Tonio aveva giurato che appena<br />
possibile gli avrebbe spaccato la faccia.<br />
Lo guardai, nella luce al neon del locale: sorrideva<br />
come uno scemo a una tipa sulla quarantina con l’aria<br />
da tisica o da eroinomane, fuseau neri e camicetta<br />
cremisi sbottonata su un petto che non aveva molto<br />
da offrire.<br />
Tonio, lo chiamai, si voltò verso <strong>di</strong> me mi sorrise<br />
con uno sguardo complice, mi fece l’occhiolino, con<br />
la mano destra mimò uno stantuffo che andava e veniva,<br />
doveva essere ancora su <strong>di</strong> giri per la sniffata,<br />
infoiato e forse un po’ ubriaco.<br />
Come vide i Cao avvicinarsi al bancone, però, <strong>di</strong>menticò<br />
la tossica le paste la vodka e anche me, si piazzò davanti<br />
al suo debitore gli mollò un destro sul fegato che<br />
quello rotolò a terra senza neanche aprir bocca. Io bloccai<br />
il fratello da <strong>di</strong>etro tenendogli le braccia incrociate<br />
sulle spalle, lo spinsi fuori dal locale gli urlai <strong>di</strong> non essere<br />
stupido, <strong>di</strong> tornare in macchina e aspettare lì, che<br />
altrimenti quel pazzo li avrebbe ammazzati tutti e due.<br />
Tornato dentro trovai Tonio pancia in terra sul pavimento,<br />
un paio <strong>di</strong> manette ai polsi: sopra <strong>di</strong> lui un romano<br />
dalle spalle quadrate gli stava urlando <strong>di</strong> stare<br />
fermo, che si trovava in arresto e che gli era andata male,<br />
malissimo, non faceva che ripetere questo concetto,<br />
che gli era andata male e che lui era un pubblico ufficiale<br />
e frasi così. Aveva gli occhi luci<strong>di</strong> e le pupille larghe<br />
come le nostre, il pubblico ufficiale, doveva venire<br />
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anche lui da qualche <strong>di</strong>scoteca, chissà perché si era portato<br />
<strong>di</strong>etro le manette. Mi guardò mi <strong>di</strong>sse <strong>di</strong> non muovermi,<br />
che doveva <strong>di</strong>re due paroline anche a me. Uscii<br />
dal locale, mi sedetti su una fioriera vuota <strong>di</strong> fronte alla<br />
porta d’ingresso mi accesi una sigaretta.<br />
Faceva freddo.<br />
Il tipo arrivò con uno sguardo sod<strong>di</strong>sfatto, affianco<br />
a lui un piccoletto con il suo stesso accento mi <strong>di</strong>sse<br />
che erano carabinieri e che dovevo seguire in caserma<br />
la volante che stava per arrivare, per la deposizione<br />
del caso. Gli risposi sorridendo che non c’era problema,<br />
ma che forse potevo aiutarli a fare qualcosa <strong>di</strong><br />
più utile che arrestare un cretino per aggressione. Il<br />
piccoletto socchiuse gli occhi, fece cenno all’altro <strong>di</strong><br />
stare zitto e mi chiese una sigaretta. Cioè? Domandò.<br />
Lasciate andare quel coglione del mio amico, gli <strong>di</strong>ssi,<br />
e date una controllata alla macchina <strong>di</strong> Cao, che<br />
qualcosa lì c’è <strong>di</strong> sicuro.<br />
Non mi risposero neanche, si precipitarono sui due<br />
fratelli che avevano appena chiuso le portiere e già<br />
mettevano in moto.<br />
Dopo la perquisizione il piccoletto mi si avvicinò,<br />
mi <strong>di</strong>sse che Tonio dovevano comunque portarlo in<br />
caserma, ché la volante stava per arrivare e i colleghi<br />
sapevano già della rissa. Non importa, gli risposi,<br />
trattatelo bene.<br />
Mi <strong>di</strong>sse <strong>di</strong> non preoccuparmi, che in poche ore sarebbe<br />
tornato a casa.<br />
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