Flavio Soriga, Diavoli di Nuraiò - Sardegna Cultura
Flavio Soriga, Diavoli di Nuraiò - Sardegna Cultura
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mai visto e ha puntato occhi neri e accesi come braci<br />
su Marietta e le ha detto: non <strong>di</strong>re tonterie, non si <strong>di</strong>cono<br />
queste cose neanche per scherzo che a chiamarle<br />
le <strong>di</strong>sgrazie vengono per davvero<br />
eh, oh mamma! ho detto io che mi <strong>di</strong>spiaceva che<br />
rompesse la festa con una frase così, ma la festa era<br />
rotta e anche se abbiamo continuato a ridere e scherzare<br />
l’aria era cambiata<br />
ma bisogna <strong>di</strong>re che ce la siamo goduta in quei giorni,<br />
come non mai, girando per le sfilate e le feste in<br />
piazza <strong>di</strong> tutti i paesi e villaggi vicini, da Aritzo a<br />
Desulo a Ottana a Oliena non c’era posto in cui un<br />
amico non ci invitasse a bere qualcosa nella sua casa<br />
conciata a festa, e ubriachi ridendo cantando e scocciando<br />
ragazze abbiamo passato il carnevale a urlarci<br />
insulti scherzosi e fare buffonate sotto le finestre delle<br />
amiche più carine, e nei bar si pagava un giro a testa<br />
e non c’era mai sete, beveva tutto il paese al nostro<br />
passaggio dovunque ci trovassimo, io e i miei<br />
amici e i miei cugini e i loro amici e altra gente ancora<br />
che si univa a noi lavoratori sfaccendati ladruncoli<br />
accoltellatori bravi mariti torronai importatori<br />
d’aschisch noleggiatori <strong>di</strong> kalashnikov, e insomma,<br />
tutta l’umanità varia dei nostri paesi montanari e<br />
isolatissimi, tutto questo bestiario da sociologi e antropologi<br />
che tutti conoscono e nessuno capisce<br />
ma io non devo spiegare niente e comunque non ne<br />
sarei capace, così arrivo al giovedì grasso che avevamo<br />
deciso <strong>di</strong> passare a Orgosolo l’intero giorno e ave-<br />
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vamo pranzato nella tanca <strong>di</strong> Remigio Crisponi, mio<br />
vecchio commilitone alla base <strong>di</strong> Teulada e adesso allevatore<br />
<strong>di</strong> maialini da latte cresciuti a ghiande e<br />
niente mangime, e una <strong>di</strong> queste bestie ce la siamo<br />
mangiata appunto per pranzo quel giorno nella casetta<br />
che ha in campagna, e il vino lo avevo portato<br />
io, Nepente <strong>di</strong> Oliena forte nero più che rosso, denso<br />
più che pastoso, e anche se i miei amici sono gente<br />
che non beve vino <strong>di</strong> cantina sociale ma solo <strong>di</strong> proprietà<br />
fecero un’eccezione e si ubriacarono anche loro<br />
con le mie bottiglie<br />
il pomeriggio c’era stata la sfilata dei mammutones<br />
in paese e c’erano turisti cagliaritani e persino qualche<br />
tedesco ricco bianco come mozzarella che riempiva<br />
gli zaini <strong>di</strong> cartoline e maschere in legno e corpetti<br />
<strong>di</strong> fustagno e spalancava la bocca davanti ai murales,<br />
a quei <strong>di</strong>pinti e quelle poesie sui muri vecchi,<br />
così fuori posto in un paese <strong>di</strong> bestie<br />
e poi c’erano ragazze carine <strong>di</strong> Belvì e <strong>di</strong> Lanusei e<br />
<strong>di</strong> Bitti e <strong>di</strong> Arzana, e tra queste Cristina, arzanese appunto<br />
eravamo stati nella stessa classe in quarta geometri<br />
a Lanusei, lei nel banco <strong>di</strong> fronte al mio e io l’avevo<br />
guardata per tutto l’anno come un indemoniato, i suoi<br />
seni possenti e gli occhi marroni castagne mature che<br />
mi avevano mangiato il cervello, maledetti occhi sfuggenti<br />
che non si posavano mai su <strong>di</strong> me più <strong>di</strong> un secondo<br />
non voglio <strong>di</strong>re che fosse poesia la mia, mi piaceva<br />
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