Flavio Soriga, Diavoli di Nuraiò - Sardegna Cultura
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E anche campagne, boschi, altipiani, spiagge, fiumi:<br />
il Mato Grosso, il confine, il passaggio della frontiera:<br />
gli Stati Uniti, l’America grassa e bianca, deserto e bistecche,<br />
banjo, trombe jazz e rangers dall’aria <strong>di</strong> bambini<br />
golosi e stupi<strong>di</strong>.<br />
L’America in tutte le foto possibili, l’America, il<br />
Texas.<br />
Ho viaggiato senza sosta per tre mesi, ho seguito<br />
solo i ricor<strong>di</strong> (gli inganni) dei libri <strong>di</strong>vorati sul letto<br />
<strong>di</strong> Kate, ho cercato i villaggi e i boschi e le strade carraie<br />
delle poesie <strong>di</strong> Ginsberg, dei deliri <strong>di</strong> Kerouac,<br />
delle suggestioni brucianti <strong>di</strong> Garcìa Marquez, delle<br />
canzoni degli Intillimani e <strong>di</strong> altri cento poeti incontrati<br />
negli scaffali della mia incantatrice anglofona.<br />
Non cercavo me stesso, non era una stronzata esistenzialista<br />
o cose simili, non avevo neanche smanie<br />
da scopritore <strong>di</strong> mon<strong>di</strong> “<strong>di</strong>versi”, da ritorno all’autenticità<br />
eccetera, no, sono solo stati tre mesi <strong>di</strong> sole<br />
e polvere che stor<strong>di</strong>vano, mesi per soffrire e sperare<br />
<strong>di</strong> guarire, prima o poi.<br />
Un lunedì caldo <strong>di</strong> quasi primavera ho passato il confine:<br />
avevo la pelle bruciata, i capelli lunghi e in <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne,<br />
gli occhi segnati da occhiaie infinite, la mente<br />
piena <strong>di</strong> insulti spagnoli e ritmi imbastar<strong>di</strong>ti <strong>di</strong> molti<br />
paesi; ero stanco, ma non più arrabbiato, avevo amato<br />
una puttana <strong>di</strong> ventidue anni, in qualcuna delle città in<br />
cui ero stato, ma già non ricordavo come si chiamava e<br />
dove viveva, ero stanco e debole e solo, ma non soffrivo.<br />
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Decisi che sarei tornato in <strong>Sardegna</strong> dopo due settimane,<br />
e nel frattempo avrei girato il Texas, per cercare<br />
<strong>di</strong> scoprire se tutti quegli scrittori su<strong>di</strong>sti mi avevano<br />
preso per il culo, con le loro storie irresistibili.<br />
La memoria si affaccia dove vuole, senza logica, e<br />
quel lunedì a San Antonio la mia si affacciò a tra<strong>di</strong>mento<br />
in anni molto lontani, quelli in cui via Roma<br />
aveva un cratere ogni <strong>di</strong>eci metri e il teatro civico<br />
non c’era più, quando mangiare era una scommessa,<br />
io non avevo nulla e viaggiavo ogni giorno su un carretto<br />
trainato da un cavallo denutrito verso una città<br />
che mi sembrava enorme e nemica mortale.<br />
La memoria, quel lunedì americano in cui davanti<br />
agli occhi si alternavano deserto e piccole case <strong>di</strong> immigrati<br />
latini, si volse senza preavviso verso pomeriggi<br />
lontani in cui imparavo un mestiere che mi<br />
avrebbe permesso <strong>di</strong> non patire mai più fame, e <strong>di</strong> <strong>di</strong>menticare<br />
quei giorni neorealisti, <strong>di</strong> <strong>di</strong>menticare da<br />
dove venivo, come ero riuscito a costruire qualcosa.<br />
Quel giorno, seduto al bancone <strong>di</strong> un piccolo cafè<br />
poco meno che squallido, ingoiando una fetta sottile<br />
<strong>di</strong> torta all’arancia, guardando con aria istupi<strong>di</strong>ta il<br />
liquido nero e acquoso che mi si raffreddava davanti,<br />
quel tiepido pomeriggio texano la mia memoria mi<br />
riportò davanti il ricordo, sbia<strong>di</strong>to e chissà perché fasti<strong>di</strong>oso,<br />
<strong>di</strong> Henry.<br />
Presi l’elenco, e cercai il suo cognome tra la moltitu<strong>di</strong>ne<br />
<strong>di</strong> suoni ispanici che affollavano quelle colonne.<br />
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