Flavio Soriga, Diavoli di Nuraiò - Sardegna Cultura

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08.06.2013 Views

cale in castello, vista sulla città e sul porto, sull’insipienza della mia vita fino a quel punto. Io, non avevo mai toccato una sigaretta, mai letto una poesia, ascoltavo Claudio Villa e Mina. Ero ricco e avevo un enorme appartamento in via della Pineta, gestivo due negozi e potevo permettermi l’aragosta ogni settimana, ma in fondo continuavo a portarmi Nuraiò dentro la testa, nei maglioni che sceglievo, nella mancanza di curiosità, nel perbenismo che avevo sempre coltivato, nella mia assoluta ineleganza. Lei, Kate, stava vivendo un suo sessantotto silenzioso e solitario in anticipo di qualche anno rispetto a quello collettivo e fracassone del resto del mondo: aveva letto Kerouac, ne era rimasta fulminata, era partita per gli USA lasciando gli studi, aveva conosciuto Ferlinghetti e qualche altro poeta Beat, odiava il padre che pure la manteneva, sognava di fare la fotografa, parlava tranquilla dei tramonti di Parigi e della dolcezza dei balli andalusi. Io non mi innamoro, mi disse la prima notte in cui facemmo l’amore, perché era abbastanza infantile, dopotutto, e si sopravvalutava. Non ti illudere, aggiunse, ma io non le risposi, non avevo niente di intelligente da dire, la feci girare e la presi di nuovo, perché era davvero bella e quando scopava muoveva i fianchi seguendo un ritmo a cui non potevo resistere. 106 La memoria si affaccia dove vuole, e riemerge all’improvviso con immagini sbiadite che fanno male, o sorrisi dimenticati di qualcuno che era così importante, un secolo fa, e oggi chissà dove brucia le sue ore, chissà con chi. La memoria si fa guidare da un odore, un sapore, un vestito grigio di buona lana dimenticato in soffitta. Da delle foto ingiallite. ingrandita carta gialla anticata, velleità artistiche: viso inquieto in primissimo piano; dietro, lo sfondo azzurro fuorifuoco è colore di mare …viso inquieto, bocca aperta a dire qualcosa, foto non in posa, ragazza scura di strana razza, occhi brucianti color caffè, labbra tumide rossetto forte, capelli lunghi chiusi in una crocchia, sguardo che buca. Io non avevo mai avuto diciassettanni, furono quelli i miei giorni da liceale, da ragazzino innamorato e divertito, leggerissimo e dagli occhi trasparenti, senza ombre. Kate, che dal primo giorno mi aveva letto dentro, mi assecondava senza fare pose, naturale e saporita sempre, senza sforzo. Assecondava la mia finzione, mi aiutava a renderla vera. Cambiavo pelle, mi sembrava, e quella nuova la trovavo più vera, sinuosa, luccicante e dubbiosa, sicuramente migliore. Erano giorni da diciassettenni in giri infiniti da 107

cale in castello, vista sulla città e sul porto, sull’insipienza<br />

della mia vita fino a quel punto.<br />

Io, non avevo mai toccato una sigaretta, mai letto<br />

una poesia, ascoltavo Clau<strong>di</strong>o Villa e Mina. Ero ricco<br />

e avevo un enorme appartamento in via della Pineta,<br />

gestivo due negozi e potevo permettermi l’aragosta<br />

ogni settimana, ma in fondo continuavo a portarmi<br />

<strong>Nuraiò</strong> dentro la testa, nei maglioni che sceglievo,<br />

nella mancanza <strong>di</strong> curiosità, nel perbenismo che avevo<br />

sempre coltivato, nella mia assoluta ineleganza.<br />

Lei, Kate, stava vivendo un suo sessantotto silenzioso<br />

e solitario in anticipo <strong>di</strong> qualche anno rispetto<br />

a quello collettivo e fracassone del resto del mondo:<br />

aveva letto Kerouac, ne era rimasta fulminata, era partita<br />

per gli USA lasciando gli stu<strong>di</strong>, aveva conosciuto<br />

Ferlinghetti e qualche altro poeta Beat, o<strong>di</strong>ava il padre<br />

che pure la manteneva, sognava <strong>di</strong> fare la fotografa,<br />

parlava tranquilla dei tramonti <strong>di</strong> Parigi e della<br />

dolcezza dei balli andalusi. Io non mi innamoro, mi<br />

<strong>di</strong>sse la prima notte in cui facemmo l’amore, perché<br />

era abbastanza infantile, dopotutto, e si sopravvalutava.<br />

Non ti illudere, aggiunse, ma io non le risposi,<br />

non avevo niente <strong>di</strong> intelligente da <strong>di</strong>re, la feci girare<br />

e la presi <strong>di</strong> nuovo, perché era davvero bella e quando<br />

scopava muoveva i fianchi seguendo un ritmo a cui<br />

non potevo resistere.<br />

106<br />

La memoria si affaccia dove vuole, e riemerge all’improvviso<br />

con immagini sbia<strong>di</strong>te che fanno male,<br />

o sorrisi <strong>di</strong>menticati <strong>di</strong> qualcuno che era così importante,<br />

un secolo fa, e oggi chissà dove brucia le sue<br />

ore, chissà con chi.<br />

La memoria si fa guidare da un odore, un sapore,<br />

un vestito grigio <strong>di</strong> buona lana <strong>di</strong>menticato in soffitta.<br />

Da delle foto ingiallite.<br />

ingran<strong>di</strong>ta<br />

carta gialla anticata, velleità artistiche: viso inquieto<br />

in primissimo piano; <strong>di</strong>etro, lo sfondo azzurro fuorifuoco<br />

è colore <strong>di</strong> mare …viso inquieto, bocca aperta a<br />

<strong>di</strong>re qualcosa, foto non in posa, ragazza scura <strong>di</strong> strana<br />

razza, occhi brucianti color caffè, labbra tumide rossetto<br />

forte, capelli lunghi chiusi in una crocchia, sguardo<br />

che buca.<br />

Io non avevo mai avuto <strong>di</strong>ciassettanni, furono quelli<br />

i miei giorni da liceale, da ragazzino innamorato e <strong>di</strong>vertito,<br />

leggerissimo e dagli occhi trasparenti, senza<br />

ombre. Kate, che dal primo giorno mi aveva letto dentro,<br />

mi assecondava senza fare pose, naturale e saporita<br />

sempre, senza sforzo. Assecondava la mia finzione, mi<br />

aiutava a renderla vera.<br />

Cambiavo pelle, mi sembrava, e quella nuova la<br />

trovavo più vera, sinuosa, luccicante e dubbiosa, sicuramente<br />

migliore.<br />

Erano giorni da <strong>di</strong>ciassettenni in giri infiniti da<br />

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