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Note del corso di Fisica Matematica A

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148 6 Cenni <strong>di</strong> meccanica dei continui deformabili<br />

Data poi la linearità <strong>del</strong>le relazioni (6.30, 6.31, 6.32), si può concludere che la deformazione più<br />

generale è ottenuta sovrapponendo sei deformazioni particolari corrispondenti alle singole<br />

γi,k e determinate quin<strong>di</strong> dalla sovrapposizione <strong>di</strong> tre <strong>di</strong>latazioni parallele agli assi e da<br />

tre scorrimenti paralleli ai piani coor<strong>di</strong>nati.<br />

Infine, poiché la matrice (γi,k) è simmetrica, ad essa corrisponde una quadrica <strong>di</strong> centro P per cui<br />

esistonosempretreassiprincipaliche,sepresicomeassicartesiani,permettono<strong>di</strong>scriverel’equazione<br />

<strong>del</strong>la quadrica stessa in forma canonica, cioè tale che γ1,2 = γ1,3 = γ2,3 = 0. Quin<strong>di</strong> si può concludere,<br />

in generale, che:<br />

Teorema 6.3 (Teorema <strong>di</strong> Helmotz). Ogni deformazione è data dalla sovrapposizione <strong>di</strong> tre<br />

<strong>di</strong>latazioni (o compressioni) principali secondo tre <strong>di</strong>rezioni opportune.<br />

6.2.6 Dilatazione cubica<br />

La quantità<br />

γ = γ1,1 +γ2,2 +γ3,3 = ∂s1<br />

∂x1<br />

+ ∂s2<br />

+<br />

∂x2<br />

∂s3<br />

∂x3<br />

= <strong>di</strong>v s(P) (6.36)<br />

è detta invariante lineare <strong>di</strong> deformazione poiché si può <strong>di</strong>mostrare che esso non cambia per<br />

trasformazione <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nate (infatti γ =tr(γi,j) coincide con la traccia <strong>del</strong> tensore <strong>di</strong> strain che è<br />

invariante per trasformazioni <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nate). Per vederne il suo significato fisico consideriamo la<br />

terna costituita dagli assi principali passanti per P ed un parallelepipedo con gli spigoli ∆ξ1, ∆ξ2,<br />

∆ξ3 paralleli agli assi principali; il suo volume vale<br />

∆V = ∆ξ1 ·∆ξ2 ·∆ξ3.<br />

A seguito <strong>del</strong>la deformazione che, per quanto si è detto, consiste solo <strong>di</strong> tre <strong>di</strong>latazioni principali, si<br />

otterrà ancora un parallelepipedo <strong>di</strong> lati (1+γ1,1)∆ξ1, (1+γ2,2)∆ξ2, (1+γ3,3)∆ξ3, cioè <strong>di</strong> volume<br />

∆V ⋆ = (1+γ1,1)·(1+γ2,2)·(1+γ3,3)·∆V.<br />

Ora, nel limite <strong>di</strong> piccole deformazioni possiamo trascurare i prodotti <strong>del</strong>la γi,k rispetto all’unità<br />

ottenendo:<br />

∆V ⋆ ≈ (1+γ1,1 +γ2,2 +γ3,3)∆V = (1+γ)∆V (6.37)<br />

e quin<strong>di</strong> γ ha il significato fisico <strong>di</strong> <strong>di</strong>latazione cubica nel punto P.<br />

6.3 Statica dei continui deformabili<br />

6.3.1 Forze applicate e sforzi<br />

Passiamo ora in rassegna i vari tipi <strong>di</strong> forze che possono agire sui continui deformabili. Anzitutto<br />

possiamo <strong>di</strong>stinguere le forze esterne, che nei casi concreti sono note in genere, in due tipi:<br />

i. forze <strong>di</strong> massa, agenti su ogni elemento <strong>di</strong> massa <strong>del</strong> corpo (ad esempio il peso);<br />

ii. forze superficiali, agenti su ogni elemento <strong>del</strong>la superficie <strong>di</strong> contorno <strong>del</strong> corpo.

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