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San Donato: wi-fi e lavori Il parco prende forma - Il Reporter

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16 Gennaio 2010<br />

PALLONE/1. Una nuova tendenza sui campetti di casa nostra: sempre più “<strong>fi</strong>schetti” da tutto il mondo<br />

Se l’arbitro viene da (molto) lontano<br />

Arrivano da Paesi<br />

africani come Camerun<br />

e Senegal, ma non solo.<br />

Molti sono studenti,<br />

che una volta qui si<br />

avvicinano a questo<br />

mondo per passione e<br />

rimborsi. “Razzismo nei<br />

loro confronti? No,<br />

c’è più maturità<br />

a livello dilettantistico<br />

che professionistico”<br />

Matteo Francini<br />

Se è cosa risaputa che tanti giovani<br />

stranieri, a partire dagli africani,<br />

vengano in Italia con il sogno di<br />

diventare famosi calciatori emulando<br />

le gesta dei vari Weah ed Eto’o, meno<br />

noto è invece il fatto che molti di loro, una<br />

volta arrivati qui, decidano di “armarsi” di<br />

casacca nera e <strong>fi</strong>schietto e calcare i campi<br />

non per segnare o evitare gol, bensì per segnalare<br />

fuorigioco e tirare fuori cartellini.<br />

Questo, almeno, è quanto succede a Firenze,<br />

da sempre fucina di grandi arbitri, da<br />

Gino Menicucci ai più “recenti” Rocchi e<br />

Pierpaoli, passando per Cristina Cini, prima<br />

assistente donna nel calcio professionistico<br />

italiano. Sarà forse per quest’aria da grandi<br />

<strong>fi</strong>schietti che si respira in città (e che ha<br />

portato, ai tempi di Menicucci, al record di<br />

sette <strong>fi</strong>orentini ad arbitrare contemporaneamente,<br />

la stessa domenica, altrettante partite<br />

di serie A), fatto sta che, una volta qui,<br />

anche i giovani venuti da fuori decidono di<br />

tentare la carriera arbitrale. Così, capita che<br />

nei campetti di tutta la provincia e non solo<br />

si vedano camerunensi e senegalesi, alba-<br />

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nesi e rumeni intenti a far rispettare le regole di gioco a<br />

calciatori di ogni età e categoria. “Sì, tra i nostri arbitri ci<br />

sono molti stranieri, provenienti da ogni parte del mondo:<br />

la maggior parte dall’Africa, a partire da Camerun, Senegal<br />

e Burundi, ma anche da Albania e Romania o da Francia e<br />

Spagna”, conferma Paolo Tepsich, presidente della sezione<br />

<strong>fi</strong>orentina dell’Aia, l’associazione italiana arbitri. Sono<br />

circa una ventina, ogni anno, i <strong>fi</strong>schietti stranieri in attività<br />

in città, sui 395 tra arbitri e assistenti af<strong>fi</strong>liati all’Aia di Firenze,<br />

una delle più grandi a livello nazionale (“ma invito<br />

tutti i ragazzi e le ragazze a provare a diventare direttori di<br />

gara, a fare quest’esperienza nuova che li può molto arricchire:<br />

per partecipare al corso servono solo tanta passione<br />

e un’età di almeno 15 anni”, aggiunge Tepsich): un numero<br />

costante da un po’ di tempo a questa parte, dovuto a un’alta<br />

“mobilità” tra chi viene e chi va. “Anche all’ultimo corso, su<br />

37 partecipanti, tre o quattro non erano italiani – racconta il<br />

presidente della sezione <strong>fi</strong>orentina dell’Aia – molti di loro<br />

sono studenti universitari che, durante il periodo di permanenza<br />

da noi, un po’ per la passione per il calcio, un po’ perché<br />

spinti dal rimborso che offriamo, decidono di diventare<br />

arbitri. Ma ci sono anche gli studenti Erasmus e i <strong>fi</strong>ssi”. Se<br />

questi sono dunque i motivi che spingono ad avvicinarsi al<br />

mondo dei <strong>fi</strong>schietti, al resto ci pensa il passaparola: due<br />

chiacchiere con il compagno di studi, magari connazionale,<br />

ed ecco che un altro aspirante arbitro bussa alla porta di<br />

Tepsich. “E poi qui si integrano bene con gli altri, per loro<br />

diventa una sorta di seconda famiglia”, rivela. <strong>Il</strong> segreto,<br />

quindi, è presto svelato. Ma come si comportano una volta<br />

sui campi da gioco? “Possono avere un po’ di dif<strong>fi</strong>coltà con<br />

C’è anche chi continua questa<br />

carriera una volta tornato<br />

nel proprio Paese d’origine<br />

la lingua, ma atleticamente sono davvero forti, soprattutto<br />

gli africani – dice il presidente dell’Aia <strong>fi</strong>orentina – c’è chi<br />

è arrivato a dirigere partire a livello regionale, di Prima categoria<br />

o di C1 di calcio a cinque. E c’è anche chi continua<br />

una volta tornato nel proprio Paese”. E se qualcuno pensa<br />

che il fatto di essere straniero, e magari di pelle nera, possa<br />

sottoporre l’arbitro di turno (<strong>fi</strong>gura spesso già non troppo<br />

amata da calciatori e spettatori) a un rischio eccessivo di<br />

insulti, anche di stampo razzista, questo qualcuno si sbaglia<br />

– fortunatamente – di grosso. “In tanti anni c’è stato solo un<br />

caso clamoroso di offese razziste a un direttore di gara, a<br />

cui sono seguite tutta una serie di scuse anche a livello istituzionale<br />

– conclude Tepsich – per il resto non ci sono mai<br />

stati problemi: per fortuna, si dimostra più maturità a livello<br />

dilettantistico che professionistico”. Forse, negli stadi di serie<br />

A, qualcuno dovrebbe <strong>prende</strong>re esempio.<br />

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