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come un albero piantato presso rivi d'acqua - Casa Editrice HILKIA

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EDOARDO LABANCHI<br />

COME UN ALBERO PIANTATO<br />

_________________________________________________________<br />

PRESSO RIVI D’ACQUA<br />

Un’autobiografia spirituale<br />

<br />

Aprile 2005<br />

1


Titolo originale:<br />

Come <strong>un</strong> <strong>albero</strong> <strong>piantato</strong> <strong>presso</strong> i <strong>rivi</strong> <strong>d'acqua</strong><br />

© Copyright 2005<br />

Impaginazione Labanchi Carmen<br />

Copertina ??????????<br />

Collaborazione editoriale Hilkia Inc. A. Consorte<br />

Stampa Multimedia Scarl Tel. 081.818.49.42<br />

1ª edizione aprile 2005<br />

______________________________<br />

Tutti i diritti riservati. Ness<strong>un</strong>a parte di questo libro può essere riprodotta o<br />

diffusa con alc<strong>un</strong> mezzo informatico o meccanico, compresi microfilm e<br />

copie fotostatiche, registrazione, memorizzazione elettronica senza il<br />

permesso scritto dell'autore.<br />

______________________________<br />

2


__________________________________________________<br />

Autobiografia spirituale<br />

di<br />

Edoardo Labanchi<br />

__________________________________________________<br />

<br />

3


Sommario<br />

PREMESSA DELL'EDITORE<br />

CAPITOLO PRIMO<br />

Pag. 6<br />

➔ Perchè<br />

CAPITOLO SECONDO<br />

Pag. 10<br />

➔ Il noviziato<br />

CAPITOLO TERZO<br />

Pag. 16<br />

➔ In filosofia<br />

CAPITOLO QUARTO<br />

Pag. 40<br />

➔ Il Magistero in Italia<br />

CAPITOLO QUINTO<br />

Pag. 48<br />

➔ Nello Ski Lanka<br />

CAPITOLO SESTO<br />

Pag. 52<br />

➔ In India<br />

CAPITOLO SETTIMO<br />

Pag. 56<br />

➔ Il ritorno in Italia e la svolta definitiva<br />

CAPITOLO OTTAVO<br />

Pag. 62<br />

➔ Testimonianza di Carmen Del Prato Labanchi Pag. 72<br />

4


______________________________________________<br />

L'EDITORE<br />

______________________________________________<br />

Quello che mi ha colpito maggiormente<br />

è il fatto che il fratello Labanchi<br />

lavora ancora con carta e penna,<br />

e la sorella Carmen fa il resto<br />

5


Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

__________________________________________<br />

NOTA DELL’EDITORE<br />

__________________________________________<br />

Ho avuto l’onore di conoscere il caro e stimato fratello Labanchi e<br />

la sua consorte circa 5 anni fa. Molti anni sono passati da quando lessi <strong>un</strong>a<br />

delle sue traduzioni «Il Pellegrinaggio del Cristiano». Fui molto edificato, e<br />

apprezzai moltissimo lo stile della sua traduzione.<br />

Quando iniziammo la traduzione del Commentario biblico Matthew Henry<br />

in italiano cercavo dei collaboratori validi e affidabili, mi ricordai del suo<br />

nome, ma non sapevo <strong>come</strong> rintracciarlo. Sapevo che il fratello Labanchi era<br />

non solo traduttore, ma anche revisore di bozze e autore lui stesso.<br />

Cercai per mesi, finalmente qualc<strong>un</strong>o mi disse che abitava in Toscana. Feci<br />

<strong>un</strong>a ricerca nell’elenco telefonico su Internet e finalmente riuscii a raggi<strong>un</strong>gerlo<br />

telefonicamente.<br />

Fui grandemente sorpreso dalla sua reazione. Mi aspettavo di parlare con<br />

<strong>un</strong>a persona <strong>un</strong> po’ fredda, distante, <strong>un</strong>a persona che si considerasse importante,<br />

e che guardasse gli altri dall’alto. Cominciai a parlargli del progetto.<br />

Lo invitai a far parte dell’équipe e gli dissi che mi sarebbe piaciuto offrirgli<br />

il compito di curatore dell’opera, ma questo ruolo ormai era già stato affidato<br />

a <strong>un</strong> altro fratello, quindi lo invitai a collaborare <strong>come</strong> traduttore.<br />

Fui colpito immediatamente dal suo tono di voce calmo, pacato, cortese, invitante,<br />

entusiasta. Ascoltava con interesse. Dopo qualche minuto mi disse<br />

che questo era <strong>un</strong> dono di Dio per lui. M’incoraggiò molto e non smetteva di<br />

dare gloria al Signore! Questo suo atteggiamento mi diede coraggio. Senza<br />

indugio s’imboccò le maniche e si mise al lavoro. M’informò anche che lui<br />

aveva <strong>un</strong>a collaboratrice preziosa e inseparabile, l’ombra della sua stessa<br />

ombra, e che questa persona era Carmen sua moglie.<br />

Dietro loro invito, fui ospite p<strong>rivi</strong>legiato a casa loro. Ebbi modo di vederli di<br />

persona. Quale accoglienza! Mi hanno messo talmente a mio agio, tanto da<br />

farmi sentire <strong>come</strong> se fossi stato a casa mia, e ci sono ritornato tre volte!<br />

6


Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

Oltre a parlare del lavoro mi raccontarono la loro testimonianza. Fui talmente<br />

accattivato che li invitai a scriverla e promisi loro che con l’aiuto del Signore<br />

l’avremmo pubblicata in appendice all’ultimo volume del commentario<br />

per dare gloria al Signore e usarla per l’edificazione dei lettori.<br />

I nostri rapporti sono stati sempre fraterni nel vero senso del termine. Il fratello<br />

Labanchi ha tradotto almeno l’ottanta per cento del dodicesimo volume<br />

di questo commentario biblico, oltre ad alc<strong>un</strong>i libri dell’Antico Testamento.<br />

Quello che mi ha colpito maggiormente è il fatto che il fratello Labanchi lavora<br />

ancora con carta e penna, e la sorella Carmen fa il resto. Lavorano veramente<br />

in simbiosi, <strong>un</strong> vero esempio di <strong>un</strong>a coppia Cristiana! Sono rimasto<br />

impressionato anche dalla loro cadenza, e dalla loro p<strong>un</strong>tualità nel consegnare<br />

i testi. Guardando il fratello Labanchi dietro la sua scrivania, mi sembrava<br />

di vedere l’autore di questo commentario, lo stesso Matthew Henry.<br />

Nel corso di questo lavoro abbiamo dovuto affrontare molte difficoltà, e ho<br />

apprezzato moltissimo le parole di conforto e d’incoraggiamento dei coniugi<br />

Labanchi. Sono stati sempre pronti ad aiutare e a dare dei consigli pieni di<br />

saggezza, e poi io dicevo a me stesso: ecco, se Matthew Henry ha detto così,<br />

è la migliore soluzione possibile!. Sicuro, il Signore lo aveva chiamato e<br />

preparato per questo lavoro. Leggete con attenzione questa sua autobiografia,<br />

e il Signore non mancherà di benedirvi!<br />

Leggete e meditate, vi renderete conto di <strong>come</strong> il Signore ha operato meravigliosamente<br />

nella sua vita e nella vita della sorella Carmen, sua degna compagna!<br />

Quest’autobiografia vi aiuterà a meditare sulla misericordia di Dio<br />

per <strong>un</strong>’anima sincera che vuole veramente servirlo e che lo cerca. Il fratello<br />

era sincero nella sua ricerca, certo aveva imboccato la strada sbagliata, ma il<br />

Signore ha operato a SUO tempo! Dio si è servito anche di <strong>un</strong>a chiesa «imperfetta»<br />

per inculcargli l’amore per la lettura della Sua Parola, poi si è servito<br />

del suo nemico per dargli <strong>un</strong>a formazione accademica e morale che forse<br />

non avrebbe potuto avere altrimenti… ma alla fine il Signore è prevalso.<br />

Ci sono voluti anni, ma anche per Edoardo è arrivato il tempo in cui il Signore<br />

lo ha messo alle strette onde facesse la sua decisione, ma lui ha saputo<br />

rispondere <strong>come</strong> Giosuè: quanto a me e alla mia casa serviremo all’Eterno<br />

(Giosuè 24:15)! Bando agl’indugi, fuori gl’idoli, gloria al Signore!<br />

7


Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

La lettura di questa autobiografia vi svelerà in prima persona quanti inganni<br />

e quante eresie usano Babilonia la grande e i suoi alleati per fuorviare le anime.<br />

L’autore di questo testo non ha certo bisogno di questa mia presentazione,<br />

ma mi sento veramente onorato di scriverla. Possa Dio inondarci della<br />

sua misericordia e far risplendere il suo volto su ogni lettore! Possa Dio fortificare<br />

sempre più i coniugi Labanchi per il lavoro che hanno svolto traducendo<br />

e trascrivendo questo commentario!<br />

Questa edizione è stata preparata<br />

in collaborazione editoriale con la<br />

<strong>Casa</strong> <strong>Editrice</strong> Hilkia INC.<br />

Sede centrale Canada<br />

4979 Rue Blaignier, Pierrefonds, Qc.<br />

H9J 3T8 Canada<br />

Tel. (011514) 626 9388<br />

ITALIA<br />

Hilkia E. L. - C.P. 67 – 44042 Cento (FE)<br />

Tel. 199 443827 / 339 1012470 - Fax 035 0542505<br />

www.hilkia.com / italy@hilkia.com<br />

8<br />

Antonio Consorte<br />

Presidente della<br />

<strong>Casa</strong> <strong>Editrice</strong> Hilkia Inc.


Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

_____________________________________________<br />

Capitolo Primo<br />

______________________________________________<br />

P e r c h è?<br />

...conoscevo da molto tempo quel prete,<br />

il cui nome qui taccio per discrezione,<br />

<strong>come</strong> farò con altri personaggi che compaiono in questa mia storia...<br />

9


Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

PERCHÈ?<br />

«Non c’è che l’imbarazzo della scelta», mi disse visibilmente compiaciuto<br />

il parroco. Gli avevo appena confidato il mio desiderio di entrare in<br />

<strong>un</strong> Ordine religioso. «Potresti cominciare con i Gesuiti. Il mio padre spirituale<br />

è <strong>un</strong> Gesuita. Se vuoi, posso accompagnarti qui su, a Posillipo, nel loro<br />

Istituto di Teologia. Il rettore è il mio padre spirituale. . . .» Conoscevo da<br />

molto tempo quel prete, il cui nome qui taccio per discrezione, <strong>come</strong> farò<br />

con altri personaggi che compaiono in questa mia storia, siano essi def<strong>un</strong>ti o<br />

ancora viventi. Era <strong>un</strong>a figura, oserei dire, patetica. Sembra che fosse stato<br />

messo in seminario sin da piccolo e quindi non aveva ness<strong>un</strong>a esperienza di<br />

<strong>un</strong>a vita normale in famiglia. Destinato a essere «sacerdote diocesano», non<br />

visse totalmente fuori del mondo e passava le sue vacanze in famiglia, ma il<br />

suo modo di pensare, di agire era ormai indirizzato in <strong>un</strong>’<strong>un</strong>ica direzione.<br />

Bastava parlare <strong>un</strong> po’con lui per rendersene conto. Ma non era <strong>un</strong> «prete<br />

pentito»: era davvero consacrato a quella che considerava la sua missione<br />

nella vita.Ma perché ero andato da quel parroco a confidargli il mio desiderio<br />

di «farmi frate»?<br />

Non ho mai potuto accettare la realtà <strong>come</strong> qualcosa di scontato e i «perché»<br />

si affollavano spesso alla mia mente, soprattutto quelli riguardanti il senso<br />

stesso della nostra vita sulla terra, e dell’<strong>un</strong>iverso stesso.<br />

Educato alla cattolica, ero moderatamente religioso. Fu cosí che <strong>un</strong>’estate,<br />

piú per ammazzare il tempo che per altro, entrai nell’Azione Cattolica, ma<br />

devo ammettere che, paradossalmente, pensando a chi sono oggi, quell’associazione<br />

costituí <strong>come</strong> <strong>un</strong> embrionale cambiamento di rotta nella mia vita,<br />

l’inizio di <strong>un</strong>a fase importante del mio itinerario spirituale, che in seguito<br />

m’avrebbe portato a prendere decisioni ben piú importanti.<br />

Eravamo nel 1948, quando l’Italia poco a poco si stava riprendendo civilmente<br />

ed economicamente dalla tragica guerra che era durata ben cinque anni.<br />

Con notevoli sacrifici, i miei genitori diedero a me, a mio fratello e a mia<br />

sorella, <strong>un</strong>a buona istruzione scolastica. Io frequentavo il Liceo Classico, anche<br />

perché «da grande» volevo essere <strong>un</strong> insegnante. Ero <strong>un</strong> ragazzo «normale»,<br />

facevo vita sociale <strong>come</strong> tanti allora della mia età – 16-17 anni. C’era<br />

però in me <strong>come</strong> <strong>un</strong>a «vena seria» che spesso veniva fuori. Leggevo molto,<br />

specialmente i classici. D’estate, ad Ischia, dove di solito passavamo le va-<br />

10


Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

canze, mi piaceva stare da solo a leggere sul terrazzo della casa presa in affitto.<br />

Una delle mie letture preferite erano – pensate <strong>un</strong> po’- le tragedie greche.<br />

E devo dire che, seppur gradualmente, fu proprio questa «vena seria»<br />

che prevalse. Difatti la problematicità, propria del mio carattere, si acutizzò<br />

specialmente durante l’ultimo anno di Liceo.<br />

Come ho accennato, mi chiedevo piú che mai che senso avesse questa nostra<br />

vita. Certo, <strong>come</strong> cattolico, credevo nell’aldilà, nel Paradiso, Inferno,<br />

Purgatorio, ma «essenzialista» com’ero, oltre che problematico, mi chiedevo<br />

quale fosse il senso di questa vita terrena rispetto all’altra vita nell’aldilà.<br />

Devo però precisare che non è affatto facile razionalizzare ora, a tanti anni<br />

di distanza, e descrivere quel profondo sentimento di insoddisfazione per la<br />

vita che conducevo e che molto probabilmente avrei condotto, <strong>un</strong>a volta laureato<br />

in Lettere. Concorsi, insegnamenti, matrimonio, figli – la solita trafila<br />

per tanti <strong>come</strong> me – in attesa della fine, che si sperava quanto piú lontana<br />

possibile. . . . .<br />

Il problema non era l’aldilà, ma <strong>come</strong> prepararsi adeguatamente nell’al di<br />

qua per «andare in Paradiso», anche se con <strong>un</strong> soggiorno piú o meno l<strong>un</strong>go<br />

in Purgatorio: andare in Paradiso direttamente era molto difficile, anche se<br />

non impossibile, sentivo dire dai preti. . . .<br />

Una volta, nel 1951, credo durante <strong>un</strong>a «novena» in onore di Sant’Antonio<br />

(festa cattolica, 13 giugno), ascoltai <strong>un</strong>a predica di <strong>un</strong> frate francescano, se<br />

ben ricordo, sulla morte. Ne fui molto colpito e mi convinsi che lo scopo<br />

della vita umana è esclusivamente prepararsi per l’aldilà, dato che la morte<br />

poteva sopraggi<strong>un</strong>gere in ogni momento. E qual è – mi chiedevo – la via piú<br />

sicura per «salvarsi l’anima» e andare in Paradiso? Essere <strong>un</strong> cattolico perfetto,<br />

e per esserlo davvero, non vedevo altro modo che divenire <strong>un</strong> «religioso»,<br />

cioè membro di <strong>un</strong> Ordine Religioso. Difatti sin dall’inizio scartai l’idea<br />

di divenire «prete diocesano», cioè non appartenente a <strong>un</strong> Ordine Religioso,<br />

ma dipendente dal vescovo di <strong>un</strong>a diocesi o distretto ecclesiastico. La<br />

mia voleva essere <strong>un</strong>a soluzione radicale della questione «salvezza dell’anima».<br />

Prima, però, di avere questi pensieri, c’era stata quella che in seguito considerai<br />

«<strong>un</strong>’avventura spirituale», ma negativa. Difatti <strong>un</strong> mio compagno di<br />

scuola mi disse che c’erano delle interessanti conferenze tenute in <strong>un</strong>a<br />

11


Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

«chiesa protestante». Vi andai con lui qualche sera dopo e trovai la conferenza<br />

molto interessante: era sulla differenza «teologica» tra Gerusalemme e<br />

Roma-Babilonia, <strong>un</strong> tema decisamente anti-cattolico. Qualche giorno dopo<br />

parlai anche con il Pastore della com<strong>un</strong>ità, facendogli capire che ero «alla ricerca<br />

della verità», anche se non sapevo io stesso che cosa volessi. Cosí cominciai<br />

perfino a frequentare le loro ri<strong>un</strong>ioni, rimanendo favorevolmente<br />

impressionato dalla semplicità del loro culto, dalle preghiere spontanee senza<br />

formule fisse, dal clima di fratellanza che regnava nella com<strong>un</strong>ità.<br />

Tuttavia il mio interesse per quella chiesa cominciò poco a poco a declinare,<br />

perché mi accorsi che i suoi membri facevano di tutto per attrarre la<br />

gente nella loro chiesa, dandomi l’impressione che fossero piú anti-cattolici<br />

che Cristiani che predicavano il puro Evangelo. In particolare, il legalismo<br />

prevaleva su <strong>un</strong>a sincera fede in Cristo – <strong>un</strong> legalismo fatto di norme e precetti<br />

che consideravo assurdi. Per discrezione, non faccio il nome di quella<br />

chiesa e certamente non mi sento di generalizzare, ma purtroppo di tali<br />

«chiese» ve ne sono ancora e certamente non danno <strong>un</strong>a buona testimonianza<br />

cristiana. Come reazione a tale delusione, tutto questo non mi portò ad altro<br />

che a <strong>un</strong> mio completo ritorno in seno alla «Madre Chiesa», da cui, in<br />

fondo, non mi ero mai davvero allontanato.<br />

Il mio problema fondamentale però rimase: <strong>come</strong> assicurarsi il Paradiso? Intanto<br />

pensavo che dopo quella deludente «esperienza protestante», non mi<br />

rimaneva altro che essere <strong>un</strong> buon cattolico «tutto-di-<strong>un</strong>-pezzo». E poi, poco<br />

a poco, <strong>come</strong> ho già detto, si fece strada l’idea di entrare in <strong>un</strong> Ordine Religioso,<br />

e, <strong>come</strong> ho narrato all’inizio, mi rivolsi a <strong>un</strong> parroco per essere da lui<br />

consigliato sul da farsi.<br />

Eppure da quella mia «avventura protestante» rimase in me <strong>un</strong> grande amore<br />

per la Bibbia, la Parola di Dio, la cui lettura quel Pastore protestante mi aveva<br />

caldamente consigliato – davvero Dio può servirsi di tutto e tutti per farci<br />

percorrere le Sue vie, che prima o poi portano a Lui.<br />

Ma nel cercare, con l’aiuto di quel parroco, <strong>un</strong> Ordine Religioso in cui entrare,<br />

le mie intenzioni erano cosí «nobili»? Davvero il mio <strong>un</strong>ico desiderio<br />

era di assicurarmi <strong>un</strong> posto in Paradiso? Insomma, solo motivi religiosi mi<br />

spingevano in quella direzione? Credo di no. In fondo, la mia era <strong>un</strong>a fuga<br />

dalla realtà. Il mondo, cosí com’era, mi spaventava. Non me la sentivo di as-<br />

12


Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

sumermi tutte le responsabilità che la vita su questa terra comporta. Certo,<br />

questo ora è <strong>un</strong>a analisi retrospettiva, la cui validità a quell’epoca non avrei<br />

mai ammessa. Non che i motivi religiosi non avessero il loro peso, ma sono<br />

convinto anche del fatto che fattori psichici ebbero a che fare con la mia decisione<br />

di «lasciare il mondo».<br />

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Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

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Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

______________________________________________<br />

Capitolo Secondo<br />

______________________________________________<br />

Nella<br />

«Compagnia di Gesù»<br />

...mi disse che avrei dovuto,<br />

prima di tutto,<br />

conoscere meglio la «Compagnia di Gesù...<br />

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Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

Il Noviziato (1952-1954)<br />

L’Istituto Teologico gestito dai Gesuiti si trovava – e si trova tuttora<br />

– in <strong>un</strong>a posizione stupenda sul golfo di Napoli, sulla collina di Posillipo -<br />

Posillipo, il luogo dove le pene hanno fine, <strong>come</strong> indica il senso etimologico<br />

del nome. E devo confessare che quando assieme al parroco varcai la soglia<br />

di quell’edificio, ebbi la sensazione di entrare in <strong>un</strong>’oasi di pace. Tutto era<br />

improntato a <strong>un</strong> austero decoro, tutto emanava ordine e pulizia.<br />

Fummo ricevuti dal direttore dell’Istituto. Era anzianotto – credo attorno<br />

alla sessantina, con occhiali spessi che gli ingrandivano stranamente gli occhi.<br />

Un tipo simpatico, affabile, ma sempre equilibratamente riservato e diplomatico,<br />

<strong>come</strong> ogni Gesuita che si rispetti deve essere.<br />

La stanza in cui fummo introdotti era molto sobria, <strong>come</strong> tutto l’Istituto, del<br />

resto. Niente lusso, ma, nello stesso tempo, niente miseria o trascuratezza o<br />

disordine. Tutto sembrava al suo posto e parte di <strong>un</strong>a macchina ben oliata,<br />

dove ogn<strong>un</strong>o sapeva che cosa doveva fare.<br />

Dopo brevi preliminari, il parroco gli espose il mio desiderio. Intervenni anch’io,<br />

ma molto succintamente. La reazione, poi, del Gesuita fu naturalmente<br />

positiva, ma senza alc<strong>un</strong> vistoso entusiasmo. Mi disse che avrei dovuto,<br />

prima di tutto, conoscere meglio la «Compagnia di Gesù» (questo è il nome<br />

ufficiale dell’Ordine dei Gesuiti), per poi prendere la decisione finale.<br />

Prima di congedarci, però, ci fece visitare alc<strong>un</strong>e parti dell’Istituto, tra cui la<br />

biblioteca. Quando vidi tutti quei libri in perfetto ordine sugli scaffali, in<br />

quel contesto che cominciava a sembrarmi quasi <strong>un</strong> paradiso terrestre, pensai<br />

subito che quello doveva essere proprio il mio posto, cioè nell’Ordine<br />

dei Gesuiti.<br />

Il Gesuita, che aveva capito il tipo, concluse il suo «trattamento» prestandomi<br />

<strong>un</strong> libro su Ignazio di Loyola, il fondatore della «Compagnia di Gesù».<br />

Me ne andai entusiasta, promettendomi di tornare ancora in quel luogo per<br />

ricevere anch’io i consigli di quel «santo uomo» e particolarmente per godere<br />

di quella pace che sapeva di distacco dal mondo caotico, pieno di problemi,<br />

complicazioni varie – <strong>un</strong> mondo che non volevo affrontare <strong>come</strong> <strong>un</strong>o<br />

qualsiasi, ma al sicuro, con le spalle ben protette, tutto teso a salvare prima<br />

di tutto l’anima mia e poi quella degli altri.<br />

16


Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

Ma chi erano questi «Gesuiti», tra cui avrei passato ben 15 anni della mia<br />

vita?<br />

La «Compagnia di Gesù»– in latino «Societas Jesu», onde la sigla S. J. che i<br />

Gesuiti aggi<strong>un</strong>gono al loro nome, quando si firmano – è <strong>un</strong> Ordine Religioso<br />

di chierici regolari fondato da Ignazio di Loyola con sei compagni nel 1540,<br />

quando fu ufficialmente approvato dal papa Paolo III.<br />

I Gesuiti, d<strong>un</strong>que, <strong>come</strong> poi furono com<strong>un</strong>emente chiamati i membri dell’Ordine,<br />

erano e sono considerati «chierici regolari», in quanto l’Ordine si<br />

distingue dagli Ordini Religiosi tradizionali, quali, a esempio, Benedettini,<br />

Francescani, Domenicani, Carmelitani, ss.). sia per il loro stile di vita relativamente<br />

meno austero e non legato ad antiche tradizioni monastiche, <strong>come</strong><br />

gli altri Ordini menzionati, sia per l’abito, che è molto simile, se non addirittura<br />

identico a quello dei preti diocesani. In particolare i chierici regolari<br />

non erano tenuti a recitare preghiere in coro a determinate ore, <strong>come</strong> negli<br />

Ordini Religiosi tradizionali. Insomma, pur vivendo di solito in com<strong>un</strong>ità i<br />

Gesuiti conducevano e conducono <strong>un</strong>a vita piú «normale» rispetto a monaci<br />

e frati e, tra l’altro, conservano il loro nome proprio e cognome, mentre in<br />

altri Ordini si danno altri nomi – a esempio, Fra Felice «al secolo Mario<br />

Rossi», che è il vero nome dell’ipotetico Fra Felice. Tuttavia, <strong>come</strong> poi dirò<br />

in seguito scendendo in alc<strong>un</strong>i particolari, anche l’Ordine dei Gesuiti mantiene<br />

tuttora strutture e usanze, che in qualche modo ricordano ancora gli antichi<br />

Ordini tradizionali.<br />

Quanto al fine della «Compagnia», esso «è non solo attendere, con la grazia<br />

di Dio, alla salvezza e perfezione delle anime proprie, ma, con questa<br />

stessa grazia, procurare con tutte le forze di essere d’aiuto alla salvezza<br />

e alla perfezione delle anime del prossimo. Per conseguire meglio questo<br />

fine, si fanno nella Compagnia tre voti: d’obbedienza, di povertà e di<br />

castità. . . . «(Costituzioni della Compagnia di Gesú, cap. 1 dell’Esame generale,<br />

in Ignazio di Loyola, Scritti, ed: UTET, Torino 1977, rist. 1988, p.<br />

391). Naturalmente questo «fine», <strong>come</strong> tutti gli aspetti dell’Ordine, deve essere<br />

inquadrato nel Cattolicesimo Romano, le cui dottrine sono alla sua base<br />

– insomma <strong>un</strong> Gesuita che si rispetti è <strong>un</strong> buon Cattolico a tutti gli effetti.<br />

Tanto è vero che ai tre voti tradizionali degli Ordini religiosi, i Gesuiti hanno<br />

aggi<strong>un</strong>to <strong>un</strong> quarto voto di obbedienza incondizionata al Papa: «Parimenti<br />

la Compagnia professa fa, all’attuale o futuro Sommo Pontefice,<br />

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Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

<strong>come</strong> a Vicario di Cristo nostro Signore, oltre i tre voti sopraddetti, voto<br />

esplicito di andare dov<strong>un</strong>que Sua Santità la invierà tra i fedeli e gli infedeli,<br />

per ciò che riguarda il culto divino e il bene della religione cristiana,<br />

senza addurre scuse e senza alc<strong>un</strong>a provvista per il viaggio» (op. cit.<br />

p. 393).<br />

Questo voto particolare, però, è riservato ai «Professi» dell’Ordine, cioè alla<br />

prima delle tre categorie di membri. Difatti i «Professi» costituiscono l’élite<br />

della «Compagnia», cioè coloro che per capacità intellettuali e morali occupano<br />

particolari posti di responsabilità nell’Ordine. La seconda categoria è<br />

quella dei Coadiutori o assistenti dei Professi; sono Gesuiti di «serie B», ma<br />

anch’essi «sacerdoti» a tutti gli effetti, ma che non possono accedere a determinate<br />

cariche, quali quelle di Provinciale, Direttore di Istituti teologici,<br />

Università, ss.). La terza categoria è costituita dai Coadiutori temporali o<br />

Fratelli laici, che si occupano di tutti i servizi materiali dell’Ordine, ma a<br />

volte anche dell’amministrazione delle case religiose e della sanità, se sono<br />

infermieri. Qui com<strong>un</strong>que ho molto sintetizzato <strong>un</strong> sistema che meriterebbe<br />

<strong>un</strong> esame piú approfondito, che però esula dagli intenti di questa mia testimonianza.<br />

Tuttavia altre informazioni a tal riguardo le darò nel corso della<br />

mia storia, dove parlerò anche della formazione intellettuale, filosofica e<br />

teologica dei Gesuiti.<br />

Questi d<strong>un</strong>que, sostanzialmente erano i Gesuiti: non avevo piú dubbi – sarei<br />

entrato nella «Compagnia di Gesù».<br />

Tutto questo avveniva mentre stavo completando il mio ultimo anno di Liceo<br />

Classico. Si era nel 1951. Decisi per il momento di non dire nulla a casa<br />

di questa mia decisione; solo mio fratello ne era a conoscenza. Ebbi anche la<br />

possibilità di incontrarmi con il capo della Provincia napoletana dell’Ordine.<br />

Saputo con gioia della mia intenzione, prudentemente mi diede sei mesi di<br />

prova: se dopo sei mesi la mia decisione sarebbe stata immutata ed essi m’avrebbero<br />

stimato degno, avrei potuto iniziare i due anni di noviziato nell’Ordine.<br />

Intanto conseguii la maturità classica, che a quell’epoca era <strong>un</strong>’impresa non<br />

facile anche per i bravi studenti, e venne cosí il tempo di uscire allo scoperto<br />

nei confronti dei miei genitori, che avevano diritto di conoscere il nuovo indirizzo<br />

che volevo dare alla mia vita. Saputa la mia decisione, non mi ostacolarono,<br />

anche se avrebbero potuto farlo, essendo io a quell’epoca ancora<br />

18


Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

minorenne, dato che avevo solo 18 anni (difatti, allora, si era «maggiorenni»<br />

a 21 anni). Ma non ne furono entusiasti: tollerarono soltanto e basta – e questo<br />

vale soprattutto nel caso di mia madre, mentre mio padre fu «piú morbido».<br />

In attesa di entrare nell’Ordine, però, i miei vollero che mi iscrivessi all’Università<br />

di Napoli, forse nella speranza che cambiassi idea. Cosí non fu, anche<br />

se diedi tre esami, tutti con esito piú che positivo.<br />

Cosí alla fine dell’ottobre 1952 entrai, <strong>come</strong> novizio, nella «Compagnia di<br />

Gesù».<br />

A quell’epoca il Noviziato della Provincia napoletana dell’Ordine si trovava<br />

a Vico Equense, <strong>un</strong>’amena località sul mare, distante pochi chilometri da<br />

Napoli. Era in <strong>un</strong> «castello», che aveva <strong>un</strong>a parte molto antica, credo medievale,<br />

e <strong>un</strong>a parte molto piú recente, ottocentesca dove abitavano i Novizi con<br />

i loro superiori e i Coadiutori temporali, addetti a servizi vari.<br />

«Da ora in poi quella sarà sua madre», mi disse il Maestro dei Novizi nella<br />

cappella dell’Istituto indicandomi <strong>un</strong>a statua di Maria. Mi dava del «Lei»,<br />

secondo <strong>un</strong>a regola ferrea, a quell’epoca, nel Noviziato. Anche tra Novizi<br />

bisognava darsi il «Lei», ed era vietato perfino darci la mano. Questo per<br />

evitare qualsiasi tipo di familiarità e istituire rapporti sociali «asettici».<br />

Fui subito affidato alle cure di <strong>un</strong> altro novizio, che stava già al secondo<br />

anno, e fu lui a introdurmi nei «misteri»della vita del Noviziato.<br />

Il Noviziato è <strong>un</strong> periodo di due anni in cui chi vuole far parte dell’Ordine,<br />

studia la storia e le regole della «Compagnia di Gesù» e riceve il primo «lavaggio<br />

del cervello». È <strong>un</strong> periodo di prova, durante il quale chi si accorge<br />

di non essere fatto per quel genere di vita, può andar via senza alc<strong>un</strong>a formalità.<br />

Alla fine di questo periodo, il novizio prende i «primi voti», cioè fa voto<br />

di povertà, castità e obbedienza. Quanto al voto di povertà, si fa voto di non<br />

possedere mai piú niente che sia considerato esclusivamente proprio; è possibile<br />

ricevere regali da parenti e amici, ma solo col permesso del superiore<br />

della casa in cui si vive; è possibile ricevere <strong>un</strong>’eredità, ma non la si può<br />

amministrare – l’amministrazione deve essere affidata ad altri, e naturalmente<br />

si consiglia che sia affidata all’Ordine. E questo in vista degli ultimi voti,<br />

alla fine della propria formazione, quando si diventa civilmente «morti», nel<br />

senso che non solo non si può possedere nulla che sia esclusivamente proprio,<br />

ma non è permesso neanche avere <strong>un</strong> proprio patrimonio ereditato, né<br />

19


Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

compiere atti legali, <strong>come</strong> comprare, vendere, ss.). se non <strong>come</strong> rappresentante<br />

dell’Ordine e quindi mai in proprio.<br />

Il secondo voto è quello di castità, cioè di non sposarsi, mentre il terzo è<br />

quello di obbedire ai Superiori in tutto e per tutto. In altre parole, è <strong>un</strong>a completa<br />

dedizione della propria vita all’Ordine. È chiaro che il tutto viene visto<br />

<strong>come</strong> totale consacrazione a Dio, ma in realtà, seppur gradualmente, si diviene<br />

proprietà dell’Ordine, che, nella persona dei Superiori, può disporre di<br />

te <strong>come</strong> e quando vuole. Ignazio di Loyola fu molto chiaro ed esplicito a riguardo<br />

nelle «Costituzioni» dove si legge: «Concentriamo in modo speciale<br />

tutte le nostre forze nella virtú dell’ubbidienza, anzitutto al Sommo<br />

Pontefice, e poi ai superiori della Compagnia. Conseguentemente, in<br />

tutte le cose a cui l’ubbidienza può estendersi insieme con la carità, siamo<br />

solleciti alla sua voce, <strong>come</strong> se uscisse da Cristo nostro Signore –<br />

giacché è in sua vece e per il suo amore e riverenza che la esercitiamo –<br />

lasciando incompiuta qual<strong>un</strong>que lettera o cosa nostra già incominciata.<br />

Indirizziamo nel Signore di tutti tutta l’intenzione e tutte le forze a questo<br />

fine, che la santa ubbidienza quanto all’esecuzione, quanto alla volontà<br />

e quanto all’intelletto sia sempre e in tutto perfetta: facciamo<br />

quanto ci sarà comandato con molta prontezza, gioia spirituale e perseveranza;<br />

persuadiamoci che tutto è giusto e rinneghiamo con <strong>un</strong>’ubbidienza<br />

cieca, ogni nostro parere o giudizio contrario a tutte le cose che il<br />

superiore ordina e nelle quali non si può individuare, <strong>come</strong> si è detto, alc<strong>un</strong>a<br />

sorta di peccato. Facciamo conto che quanti vivono in ubbidienza<br />

si devono lasciare portare e guidare dalla divina provvidenza per mezzo<br />

del superiore, <strong>come</strong> <strong>un</strong> cadavere che si lascia portare dov<strong>un</strong>que e trattare<br />

<strong>come</strong> altri vuole, o <strong>come</strong> <strong>un</strong> bastone da vecchio, che serve dov<strong>un</strong>que e<br />

per qualsiasi cosa per cui voglia avvalersene chi lo tiene in mano. In<br />

questo modo, infatti, l’ubbidiente deve applicarsi allegramente a tutto<br />

ciò in cui il superiore lo vuole impegnare per aiuto al corpo intero dell’Ordine,<br />

persuaso che nel fare ciò, si conforma con la volontà di Dio<br />

piú che in qualsiasi altra cosa la quale egli potrebbe fare seguendo la<br />

propria volontà e il proprio giudizio in diversa direzione» (ed. cit. pp.<br />

560, 561).<br />

Ma torniamo al mio Noviziato. Fui alloggiato in <strong>un</strong>’ala dell’edificio destinato<br />

agli «Esercizi Spirituali», di cui avrò piú avanti occasione di parlare.<br />

20


Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

Prendevo i pasti in <strong>un</strong>a saletta a parte, assieme al mio «angelo custode». Intanto<br />

con colloqui privati con il «Maestro dei Novizi», con il Vice-Maestro<br />

e con lo stesso «angelo custode», cominciai a imparare i rudimenti della<br />

vita nell’Ordine.<br />

Dopo <strong>un</strong>o o due giorni ebbi però <strong>un</strong>a prima sorpresa: fui ammesso al refettorio<br />

com<strong>un</strong>e in occasione della festa di <strong>un</strong> «santo» Gesuita - Sant’Alfonso<br />

(non «dei Liguori»!), <strong>un</strong> «fratello» coadiutore laico. Fu <strong>un</strong> pranzo «luculliano»<br />

di «prima classe», <strong>come</strong> si diceva, ma il mio «angelo custode» ci tenne<br />

ad avvertirmi che non si mangiava sempre cosí. Posso però assicurarvi che i<br />

pasti erano sempre buoni, anche se di solito si mantenevano al livello di<br />

<strong>un</strong>’agiata famiglia italiana.<br />

Facevamo anche qualche passeggiata al di fuori del Noviziato, anche se il<br />

bel parco che circondava l’edificio offriva la possibilità di conversare tranquillamente<br />

in <strong>un</strong>’atmosfera che mi portava al di fuori della realtà, in <strong>un</strong><br />

mondo che a quell’epoca consideravo cristianamente esemplare, dove tutto<br />

sembrava parlarmi di pace e di <strong>un</strong>a vita laboriosamente dedicata a Dio e al<br />

prossimo.<br />

Alc<strong>un</strong>i giorni dopo, «l’angelo custode» mi disse che era venuto il momento<br />

di vestirmi da Gesuita e di cominciare la mia vita da novizio.<br />

Non ci fu ness<strong>un</strong>a cerimonia particolare, <strong>come</strong> invece avviene negli altri Ordini<br />

Religiosi: <strong>un</strong>a mattina mi furono consegnati la veste nera, <strong>un</strong>a fascia<br />

nera e <strong>un</strong> apposito paio di pantaloni piú corti del normale. Indossai il tutto e,<br />

accompagnato dall’»angelo custode», che ormai aveva terminato il suo compito,<br />

andai ad assistere alla Messa mattutina assieme agli altri.<br />

La vita del Noviziato era regolata da <strong>un</strong> rigido programma giornaliero. Dormivamo<br />

in <strong>un</strong> ampio e l<strong>un</strong>go stanzone con partizioni di stoffa, che formavano<br />

<strong>come</strong> delle stanzette, ogn<strong>un</strong>a con <strong>un</strong> lettino, <strong>un</strong>a sedia e <strong>un</strong> attaccapanni,<br />

se ben ricordo. Sveglia alle 6, mezz’ora per le pulizie personali; <strong>un</strong>’ora di<br />

meditazione su <strong>un</strong> libro «pio», già a quell’epoca piú che antiquato; Messa e<br />

colazione. Poi ci si dedicava a <strong>un</strong> esercizio di memoria, che consisteva,<br />

app<strong>un</strong>to, nell’imparare a memoria le regole dell’Ordine. Per facilitarci il<br />

compito, ci era permesso anche di passeggiare in <strong>un</strong>a parte del parco.<br />

Di solito stavamo in <strong>un</strong>’ampia sala, tipo aula scolastica, con dei banchi, non<br />

molto grandi in verità, e delle sedie non molto comode. Anzi, dimenticavo di<br />

21


Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

dirvi che anche i letti non erano con reti a molle, ma con tavole di legno, su<br />

cui c’erano materassi piuttosto duri.<br />

Buona parte della mattinata era occupata da <strong>un</strong>a lezione del Maestro dei Novizi,<br />

che ci spiegava a <strong>un</strong>a a <strong>un</strong>a le regole dell’Ordine. C’era <strong>un</strong>a parte generale<br />

detta «Summarium Costitutionum» o «Sommario delle Costituzioni»,<br />

cioè <strong>un</strong> insieme organico di principi che, <strong>come</strong> dice <strong>un</strong> sottotitolo, «riguardano<br />

la formazione spirituale dei Nostri e devono essere osservati da tutti».<br />

Poi v’erano le «regulae comm<strong>un</strong>es» o «regole com<strong>un</strong>i», che riguardavano la<br />

vita di ogni giorno, in cui si applicavano concretamente i principi fondamentali.<br />

Ma ogni categoria di Gesuiti aveva le sue regole particolari. C’erano<br />

quindi le «regole dei sacerdoti», le «regole degli operai», intendendo per<br />

«operai» coloro che si davano a <strong>un</strong> ministero attivo quale predicare, ascoltare<br />

confessioni, la direzione spirituale dei fedeli, la direzione di pie associazioni<br />

con vari scopi religiosi e sociali, direzione degli «Esercizi Spirituali»,<br />

ss.). C’erano, inoltre, delle regole speciali per i confessori e i predicatori. Infine<br />

troviamo le regole per quelli che sono in viaggio o fanno pellegrinaggi a<br />

qualche luogo considerato sacro, e per coloro che studiano, gli «scolastici»,<br />

cioè coloro che si preparano dottrinalmente all’ordinazione sacerdotale. Ricordo<br />

che c’erano anche le «regole della modestia», che riguardavano il<br />

modo di muoversi, camminare, guardare. Insomma, tutto era regolato, e chi<br />

accettava questo modo di vivere, godeva, <strong>come</strong> nel mio caso, di <strong>un</strong> gran senso<br />

di sicurezza, perché si sapeva sempre che cosa fare e <strong>come</strong>, app<strong>un</strong>to, regolarsi.<br />

In caso di dubbio, c’erano i Superiori che l’indicavano.<br />

Ecco d<strong>un</strong>que delinearsi la figura tradizionale del Gesuita sempre padrone<br />

della situazione, freddo, diplomatico, cortese ma fermo nei rapporti con gli<br />

altri, il Gesuita che non lascia mai trasparire i suoi sentimenti e dice solo ciò<br />

che deve essere detto in quel momento, in quelle determinate circostanze, e<br />

nulla piú. Pur però essendovi qualcosa di vero in questo e pur essendovi Gesuiti<br />

che piú o meno riflettono quest’immagine stereotipata, la realtà è stata<br />

sempre molto complessa, tanto che ho incontrato molti Gesuiti dalla spiccata<br />

personalità, sebbene vi fosse ovviamente <strong>un</strong>’<strong>un</strong>ica impronta particolare, data<br />

dalla stessa formazione religiosa.<br />

È vero, «com<strong>un</strong>que», che i rapporti tra i novizi stessi e con i Superiori (Maestro<br />

dei novizi, vice-ministro ed economo o «Padre Ministro», com’era chiamato<br />

all’epoca) e con altri Gesuiti residenti in quella casa, erano di solito<br />

formali, nel senso che tutto tendeva a evitare quella che si riteneva potesse<br />

22


Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

essere eccessiva familiarità. «Affinché, <strong>come</strong> si conviene a Religiosi, siano<br />

salvaguardate la gravità e la modestia, ness<strong>un</strong>o tocchi qualc<strong>un</strong> altro<br />

nemmeno per gioco, tranne che ci si abbracci <strong>come</strong> quando <strong>un</strong>o va lontano<br />

o viene da lontano». Ciò significa che non ci si dava mai la mano né<br />

in Noviziato né al di fuori – nei miei quindici anni nell’Ordine solo pochissime<br />

volte ho salutato qualche mio collega dandogli la mano o abbracciandolo.<br />

Oltre a ciò, dovevamo darci del «Lei», anche tra Novizi – regola che com<strong>un</strong>que<br />

era osservata solo in pubblico, perché in privato di solito ci si dava il<br />

«tu». Pensate che quando per la prima volta, appena entrato in noviziato,<br />

porsi la mano al vice-Maestro dei Novizi, questi la rifiutò dicendomi: «Ma<br />

<strong>come</strong>, non glielo hanno detto?» «Che cosa?» faccio io sorpreso e quasi spaventato.<br />

E cosí lui stesso mi spiegò <strong>come</strong> stessero le cose.<br />

Un altro aspetto utile per capire lo spirito gesuitico dell’epoca (solo di quell’epoca?)<br />

era che ogn<strong>un</strong>o di noi novizi non usava sempre la stessa biancheria<br />

intima. Sebbene ogn<strong>un</strong>o di noi avesse portato in Noviziato <strong>un</strong> corredo<br />

personale, in realtà quando a fine settimana si riceveva il pacco con la biancheria<br />

pulita, ci si accorgeva che non era la propria, che invece veniva data a<br />

<strong>un</strong> altro. Questo avveniva evidentemente per aiutarci a mettere in pratica <strong>un</strong><br />

particolare principio dell’Ordine: «Devono essere pronti ad andare mendicando<br />

di porta in porta, quando l’ubbidienza o la necessità lo richiedessero.<br />

. . . Come non si può tenere nulla di proprio in casa, cosí pure<br />

fuori casa in mano altrui. Ma ciasc<strong>un</strong>o si contenti di quelle cose com<strong>un</strong>i<br />

che gli saranno date per suo uso necessario o conveniente, senza nulla di<br />

superfluo» (Costituzioni VI, 2, 10-11; ed. cit. p. 567).<br />

Di strettamente personale avevamo solo due vesti nere, due pantaloni e due<br />

paia di scarpe, rispettivamente <strong>un</strong> capo per tutti i giorni e <strong>un</strong> altro per i giorni<br />

di festa.<br />

Quelli del secondo anno mi dicevano che già varie cose erano cambiate rispetto<br />

a qualche anno prima, in meglio, secondo loro, stando alle notizie che<br />

avevano potuto raccogliere anche da quelli con <strong>un</strong>a maggiore «anzianità di<br />

servizio». Certo, non c’era l’atmosfera del tipo di quella immaginate da Umberto<br />

Eco in «Il Nome della Rosa», che credo però descriva bene l’ambiente<br />

di <strong>un</strong> monastero medievale. Tuttavia <strong>un</strong>a certa atmosfera «morbosa» restava,<br />

creata da persone che non conducevano <strong>un</strong>a vita normale.<br />

23


Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

D’altra parte, avendo fatta <strong>un</strong>a scelta ben precisa, senza ness<strong>un</strong> tipo di pressione<br />

morale da parte di ness<strong>un</strong>o, accettavo, con la massima fiducia, tutti gli<br />

aspetti di quel modo di vivere cosí diverso dagli altri. E questo mi esaltava,<br />

mi dava <strong>un</strong> profondo senso di soddisfazione, al solo pensiero che noi eravamo<br />

gli «specialisti della perfezione», <strong>un</strong>’espressione questa che <strong>un</strong>a volta<br />

colsi sulle labbra di <strong>un</strong> Gesuita.<br />

Quanto, poi, alla diversità del nostro modo di vivere, negli «Esercizi Spirituali»<br />

scritti da Ignazio di Loyola, tra le regole «ad sentiend<strong>un</strong> cum Ecclesia»,<br />

cioè per essere in perfetto accordo con la Chiesa Cattolica, ce n’è <strong>un</strong>a<br />

che recita: «Si lodino molto gli Ordini Religiosi, la verginità e la continenza,<br />

e non si lodi tanto il matrimonio quanto qualc<strong>un</strong>o di queste»<br />

(Esercizi Spirituali, regola IV, Per il vero criterio che dobbiamo avere nella<br />

Chiesa, in Scritti, ed. cit. p. 181). Queste «regole» furono naturalmente scritte<br />

nel clima della Controriforma, ma la mentalità che stava dietro a esse, in<br />

fondo, non è molto cambiata.<br />

Tra gli aspetti della vita del Noviziato che accettai non senza qualche perplessità,<br />

del resto presto superata, fu quello che possiamo chiamare «sistema<br />

penitenziale».<br />

Il primo «shock» l’ebbi <strong>un</strong> giorno a pranzo. All’inizio, prima della preghiera<br />

liturgica letta dal «Padre Ministro», vidi al centro del grande refettorio vari<br />

Gesuiti in ginocchio con le mani gi<strong>un</strong>te - c’erano anche alc<strong>un</strong>i miei colleghi<br />

novizi. Appena iniziò la preghiera, costoro stesero le mani <strong>come</strong> se fossero<br />

in croce, e restarono cosí per tutto il tempo della preghiera. Poi, quando ci<br />

sedemmo attorno al l<strong>un</strong>go tavolo a ferro di cavallo, ecco che alc<strong>un</strong>i cominciarono<br />

a inginocchiarsi dinanzi a noi e, infilatisi sotto i tavoli, cominciarono<br />

a baciare i nostri piedi, o meglio, le nostre scarpe.<br />

Ciò che ora può sembrare assolutamente ridicolo, e quindi risibile, in quel<br />

contesto era terribilmente serio e, <strong>come</strong> mi fu poi spiegato dal mio ex «angelo<br />

custode», era l’aspetto pubblico di quello che sopra ho chiamato «sistema<br />

penitenziale».<br />

L’aspetto privato era piú orrido. Difatti ci furono consegnati degli oggetti<br />

che rassomigliavano a strumenti di tortura e, entro certi limiti, lo erano. Si<br />

trattava di <strong>un</strong>a specie di frustino, <strong>un</strong> piccolo «gatto a nove code», fatto di <strong>un</strong><br />

manico a cui erano attaccate alc<strong>un</strong>e f<strong>un</strong>icelle provviste di nodi e rese dure e<br />

rigide da <strong>un</strong>o speciale tipo di colla giallastra – la chiamavano «la<br />

24


Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

disciplina». Gli altri due «strumenti» consistevano di due cinture – <strong>un</strong>a piú<br />

piccola dell’altra – fatte di spessi fili di ferro intrecciati e terminanti all’interno<br />

con delle p<strong>un</strong>te non acuminate (meno male!) – le chiamavano «le catenelle».<br />

Ma quando e <strong>come</strong> e da chi venivano usati questi «strumenti di tortura»? Da<br />

noi novizi, naturalmente. La «disciplina» veniva usata due sere la settimana<br />

– se ben ricordo – quando ce lo diceva il «Prefetto» dei novizi (che poi era<br />

<strong>un</strong>o di noi). Secondo le istruzioni ricevute in privato, noi stessi dovevamo<br />

batterci sul «fondo schiena», finché, nel silenzio notturno, suonava <strong>un</strong> campanello.<br />

Quanto, invece, alle «catenelle», si indossavano la mattina, quando<br />

ci si svegliava alle sei, se ben ricordo; le piú piccole andavano legate a <strong>un</strong><br />

braccio sulla carne, ovviamente, e la piú grande a <strong>un</strong>a coscia; le toglievamo<br />

dopo colazione, a quanto mi ricordo. E questo <strong>un</strong> paio di volte la settimana,<br />

se la memoria non mi inganna.<br />

In entrambi i casi, il «trattamento» non era poi tanto doloroso, anche se tutto<br />

dipendeva dallo zelo del singolo nell’usare i suddetti strumenti – strumenti<br />

che noi stessi novizi fabbricavamo durante alc<strong>un</strong>i pomeriggi, nello spazio di<br />

tempo dedicato al lavoro manuale.<br />

Ma qual era lo scopo di quella «penitenza»? Ci illumina, a tal riguardo, <strong>un</strong><br />

passo degli «Esercizi Spirituali» di Ignazio di Loyola. Difatti nelle «Addizioni»<br />

concernenti la «prima settimana», leggiamo:<br />

La decima addizione è sulla penitenza, la quale si divide in interna ed<br />

esterna. L’interna consiste nel dolersi per i propri peccati con il fermo<br />

proposito di non commettere né quelli, né gli altri. L’esterna, conseguenza<br />

della prima, consiste nel castigo dei peccati commessi e si pratica<br />

soprattutto in tre modi:<br />

I. modo. Il primo riguarda il mangiare. C’è da dire che quando togliamo<br />

il superfluo non è penitenza, ma temperanza; è penitenza quando<br />

togliamo dal necessario, e quando piú facciamo questo, piú e meglio è,<br />

purché il fisico non deperisca né ne segua <strong>un</strong>a malattia notevole.<br />

II. modo. Il secondo riguarda la maniera di dormire. Anche qui non è<br />

penitenza togliere la superfluità di cose raffinate e molli, ma è penitenza<br />

quando, nella maniera di dormire, si toglie dal necessario; e quanto piú,<br />

25


Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

tanto meglio purché il fisico non deperisca e non ne segua <strong>un</strong>a malattia<br />

notevole. Neppure si deve togliere <strong>un</strong>a parte del sonno necessario, a<br />

meno che non si faccia per gi<strong>un</strong>gere all’equilibrio, qualora si avesse la<br />

cattiva abitudine di dormire troppo.<br />

III. modo. Il terzo consiste nel castigare la carne con infliggere dolore<br />

sensibile, il quale si procura portando cilici, corde o catene sulle membra,<br />

flagellandosi o ferendosi e con altri tipi di asprezze.<br />

Nota. La cosa piú conveniente e piú sicura nella penitenza è che il dolore<br />

si senta nella carne senza che penetri nelle ossa; cosí che procuri dolore<br />

e non malattia. Perciò sembra piú utile flagellarsi con cordicelle che facciano<br />

male in superficie anziché in <strong>un</strong>’altra maniera che possa causare<br />

all’interno qualche notevole malattia.<br />

Prima osservazione. La prima osservazione è che le penitenze si fanno<br />

soprattutto per tre scopi: il primo, per riparare i peccati passati; il secondo,<br />

per vincere se stesso, cioè perché la sensualità obbedisca alla ragione<br />

e tutte le parti inferiori siano piú sottomesse alle parti superiori; il<br />

terzo, per cercare e ottenere qualche grazia o dono che si vuole e si desidera,<br />

<strong>come</strong> sarebbe desiderare di avere interna contrizione dei propri<br />

peccati o di piangere molto su di essi o sulle pene e dolori che Cristo nostro<br />

Signore ha sofferto nella sua passione, oppure per risolvere qualche<br />

dubbio in cui ci si trova» (in Scritti, ed. cit. pp. 117, 118).<br />

Ho citato qui questo l<strong>un</strong>go passo degli «Esercizi Spirituali» affinché i lettori<br />

colgano, se è possibile, lo «spirito» che sta dietro queste «penitenze».<br />

Nel caso di noi novizi, ci si era ispirati particolarmente al terzo modo di far<br />

penitenza, indicato dal fondatore dell’Ordine. Devo però ammettere che i<br />

Gesuiti, parlando in generale, non insistono sulle penitenze quanto piuttosto<br />

sulla resa della propria volontà a quella dei Superiori, che rappresenterebbero<br />

Dio stesso. Difatti Ignazio non prescrisse penitenze o afflizioni corporali<br />

ufficiali e obbligatorie per tutto l’Ordine, e quindi cosí leggiamo nelle Costituzioni:<br />

«La mortificazione corporale non deve essere eccessiva, né indiscreta<br />

in digi<strong>un</strong>i, veglie e altre penitenze esteriori e fatiche che recano<br />

danno e impediscono beni maggiori. Pertanto, è bene che ogn<strong>un</strong>o informi<br />

il suo confessore di quanto fa a questo riguardo. E questi, se gli sembra<br />

o dubita che <strong>un</strong>o esageri, lo rinvii al superiore. Tutto questo si fa<br />

26


Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

per procedere con piú luce e per glorificare maggiormente Dio nostro<br />

Signore nelle nostre anime e nei nostri corpi». (III, 2, 5; in Scritti, ed.<br />

cit. p. 486).<br />

Non è quindi la «mortificazione corporale» a costituire la caratteristica dell’Ordine,<br />

ma, lo ripeto, l’obbedienza, che, nelle intenzioni del fondatore, dovrebbe<br />

dare compattezza a tutto il sistema gesuitico. Ed era tale compattezza,<br />

tale solidità, data dalla struttura dell’Ordine, che mi affascinava, oltre a<br />

quell’atmosfera da élite spirituale e intellettuale, a cui ho già accennato. E<br />

quella compattezza e solidità era frutto proprio dell’obbedienza di ogni Gesuita<br />

ai propri Superiori e di questi al Generale dell’Ordine, che costituiva<br />

però solo il potere esecutivo, mentre il potere legislativo competeva alla<br />

Congregazione Generale costituita da tutti i Provinciali o capi delle varie<br />

Province dell’Ordine sparso in tutto il mondo – <strong>un</strong> esercito, almeno al tempo<br />

in cui anch’io ero Gesuita, ben organizzato ed efficiente di cui, umanamente<br />

parlando, si poteva ben essere orgogliosi.<br />

Ma dal momento che ho accennato all’obbedienza, mi pare bene approfondire<br />

l’argomento, soprattutto per comprendere meglio il contesto in cui mi<br />

muovevo in quegli anni.<br />

A tal proposito, d<strong>un</strong>que, cosí scriveva Ignazio agli studenti Gesuiti di Coimbra<br />

in data 26 marzo 1553: «Possiamo tollerare che in altri Istituti religiosi<br />

ci si superi in digi<strong>un</strong>i, veglie e altre austerità che ogn<strong>un</strong>o santamente<br />

osserva secondo la sua Regola; ma nella purezza e perfezione dell’obbedienza<br />

con la vera rin<strong>un</strong>cia della nostra volontà e l’abnegazione<br />

del nostro giudizio, desidero tanto, fratelli carissimi, che si segnalino coloro<br />

che servono Dio nostro Signore in questa Compagnia, e che da questo<br />

si riconoscano i suoi figli genuini; non mirando mai alla persona cui<br />

si obbedisce, ma in essa a Cristo nostro Signore per cui si obbedisce.<br />

Il superiore infatti deve essere obbedito non già perché sia molto prudente,<br />

né perché sia molto buono, né perché sia molto dotato di qualsiasi<br />

altro dono di Dio nostro Signore, ma perché ne fa le veci e ne ha l’autorità.<br />

Dice infatti l’eterna verità: ‘Chi ascolta voi ascolta me; chi disprezza<br />

voi, disprezza me’. Né, al contrario, perché la persona sia meno<br />

prudente, si deve lasciare di obbedirle, in quanto superiore, poiché rappresenta<br />

la stessa infallibile sapienza, che supplirà a quanto manca nel<br />

27


Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

suo ministro; neppure per mancanza di bontà o di altre buone qualità,<br />

poiché Cristo nostro, dopo aver detto: ‘Sopra la cattedra di Mosè si son<br />

seduti gli scribi e i farisei ‘, espressamente aggi<strong>un</strong>ge: ‘ Osservate quindi<br />

e fate quel che vi diranno, ma non fate <strong>come</strong> loro fanno» (in Scritti, ed.<br />

cit. pp. 785, 786).<br />

L’obbedienza ai Superiori, però, non comprendeva solo ciò che si doveva<br />

fare o non fare, ma anche ciò che si doveva pensare o non pensare, cioè i<br />

propri giudizi. A tal riguardo, cosí Ignazio scriveva nella già citata lettera<br />

sull’ubbidienza: «Poiché l’ubbidienza è <strong>un</strong> olocausto, nel quale tutto<br />

l’uomo intero senza sottrarre niente di se stesso, si offre nel fuoco della<br />

carità al suo Creatore e Signore per mano dei suoi ministri; e poiché è<br />

<strong>un</strong>a rin<strong>un</strong>zia totale a se stesso, con la quale si spoglia interamente di sé<br />

per essere posseduto e governato dalla Divina Provvidenza tramite il<br />

Superiore, non si può dire che l’obbedienza comporti solo l’esecuzione<br />

materiale e l’assenso della volontà, ma anche il giudizio per sentire<br />

<strong>come</strong> il Superiore, in quanto – <strong>come</strong> si è detto – il giudizio può piegarsi<br />

mediante la forza della volontà» (in Scritti, ed. cit. pp. 788, 789).<br />

Tutto questo è in perfetta armonia con <strong>un</strong> principio stabilito dallo stesso<br />

Ignazio in <strong>un</strong>a delle regole «Per il vero criterio che dobbiamo avere nella<br />

Chiesa militante»: ‘Per non sbagliare, dobbiamo sempre ritenere che<br />

quello che vediamo bianco sia nero, se lo dice la Chiesa Gerarchica.<br />

Perché crediamo che quello spirito che ci governa e ci sorregge, per la<br />

salvezza delle nostre anime, sia lo stesso in Cristo nostro Signore, che è<br />

lo Sposo, e nella Chiesa, che è la sua sposa. Infatti la nostra Santa Madre<br />

Chiesa è retta a governare dallo stesso Spirito e Signore nostro il<br />

quale dettò i Dieci Comandamenti» (Regola 13; in Scritti, ed. cit. p. 183).<br />

Ancora nel 1965, quando si tenne la XXXI Congregazione Generale, la posizione<br />

della «Compagnia» sull’obbedienza non era sostanzialmente cambiata.<br />

Difatti cosí leggiamo, tra l’altro, nel Decreto sull’obbedienza: «L’obbedienza<br />

deve prestarsi da tutti con prontezza e alacrità, e con spirito soprannaturale,<br />

<strong>come</strong> a Cristo. In questo spirito tutti facciano propri il<br />

comando e la intenzione del Superiore in modo personale e responsabile:<br />

adoprino con ogni diligenza ‘le forze della loro intelligenza e della<br />

loro volontà, e i doni di natura e di grazia nell’esecuzione degli ordini e<br />

28


Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

nell’adempimento degli uffici loro affidati, sapendo che cooperano alla<br />

edificazione del Corpo di Cristo secondo il disegno divino ‘. Da noi<br />

quindi si attende non <strong>un</strong>a obbedienza qualsiasi, bensí <strong>un</strong>a obbedienza<br />

piena, generosa, anche dell’intelletto, in quanto questo è possibile, e in<br />

spirito di fede, di umiltà e di modestia. E a questa virtú dell’obbedienza,<br />

nella quale il N. S. P. Ignazio volle che noi fossimo insigni, in primo luogo<br />

verso il Sommo Pontefice, quindi verso i Superiori della Compagnia,<br />

noi dobbiamo applicare tutte le nostre forze, ‘e non solo nelle cose obbligatorie,<br />

ma anche nelle altre, ancorché non si vedesse altro che <strong>un</strong> segno<br />

della volontà del Superiore, senza alc<strong>un</strong> es<strong>presso</strong> comando ‘. Noi<br />

dobbiamo prestare obbedienza perfetta in tutte le cose, nelle quali non<br />

cfr. manifestamente peccato. Né è lecito allontanarsene perché il suddetto<br />

vede che vi sono migliori cose da fare, o perché crede che la ispirazione<br />

dello Spirito lo guida verso altra direzione». (in «Decreti della Congregazione<br />

Generale XXXI della Compagnia di Gesù», Roma 1967, paragrafi<br />

277, 278).<br />

Qui è citato anche il Decreto «Perfectae Caritatis» del Concilio Vaticano II<br />

sul rinnovamento della vita religiosa nella Chiesa Cattolica (cfr. n. 14, 28 ottobre<br />

1965, in «I documenti del Concilio Vaticano II, ed. Paoline, Milano<br />

1987, pp. 382-384).<br />

Tuttavia devo ammettere che già a quell’epoca cominciava a soffiare <strong>un</strong>a<br />

«brezza», che in seguito, si trasformerà, seppur molto gradualmente, in <strong>un</strong><br />

«vento», che preoccuperà perfino il Vaticano. Difatti ecco quanto si legge,<br />

nel su citato Decreto sull’obbedienza, nel paragrafo 279: «Oggi accade con<br />

<strong>un</strong>a certa frequenza che qualche religioso creda con tutta sincerità che<br />

la sua coscienza gli vieti di obbedire alla volontà del Superiore. Nel caso<br />

presente infatti è convinto di essere legato da <strong>un</strong> obbligo morale contrario.<br />

È senz’altro cosa certa che a ness<strong>un</strong>o è lecito agire contro <strong>un</strong> comando<br />

certo della sua coscienza; tuttavia la stessa coscienza esige che<br />

nel formarla si tenga conto di tutti gli elementi che debbono prendersi<br />

in considerazione nel giudizio sulla moralità di <strong>un</strong>a decisione, <strong>come</strong><br />

sono il bene <strong>un</strong>iversale della Chiesa e della Compagnia, che in tale questione<br />

può essere compromesso, e i diritti di altri, e i doveri speciali della<br />

vita religiosa ass<strong>un</strong>ti liberamente. Solo la considerazione di tutta la<br />

realtà può rendere la coscienza bene formata. Esaminato quindi since-<br />

29


Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

ramente il caso dinanzi al Signore, il religioso della Compagnia esponga<br />

le sue ragioni al Superiore immediato o mediato: è compito del Superiore<br />

valutarle con animo aperto e, dopo di aver ponderato il caso, confermare<br />

o ritirare il comando.<br />

Che se in questo modo il suddito non si può indurre in coscienza ad accettare<br />

il parere del Superiore, chieda che il caso venga sottoposto al<br />

giudizio di alc<strong>un</strong>e persone scelte di com<strong>un</strong>e accordo anche fuori della<br />

Compagnia. Se però, anche dopo tale decisione, non si scorge alc<strong>un</strong>a soluzione,<br />

che il religioso giudichi di poter abbracciare senza peccato, il<br />

Superiore veda che cosa convenga fare avendo riguardo al bene di tutta<br />

la Compagnia e anche della coscienza dello stesso religioso, dopo di aver<br />

consultato, se necessario, i Superiori Maggiori. Ma se alc<strong>un</strong>o ripetutamente<br />

non riuscisse a obbedire in coscienza, pensi ad altra strada in cui<br />

possa piú tranquillamente servire il Signore».<br />

Tutto questo, a mio avviso, sarebbe stato impensabile nel 1952, all’epoca<br />

del mio noviziato.<br />

Io stesso, com<strong>un</strong>que, mi trovai <strong>un</strong> po’nel caso descritto dal su citato «Decreto»,<br />

anche se non mi rifiutai, sebbene il tutto mi ripugnasse. Ma di che si<br />

tratta? Nel 1953 furono indette le elezioni politiche per il 7 giugno. Poco<br />

prima, il Superiore convocò noi novizi, informandoci che era ora che anche<br />

noi contribuissimo alla campagna anti-com<strong>un</strong>ista. Perciò, ci disse il Maestro<br />

dei Novizi, bisognava far di tutto affinché i voti non si disperdessero tra i<br />

«partiti minori» e che confluissero invece verso la Democrazia Cristiana, naturalmente.<br />

Mi sembrò quasi di assistere alla ri<strong>un</strong>ione di <strong>un</strong>a sezione di partito.<br />

. .<br />

Fu cosí che a gruppi di due fummo inviati nei dintorni di Vico Equense per<br />

«convincere» gli elettori a votare per la Democrazia Cristiana. Tuttavia non<br />

dovevamo presentarci <strong>come</strong> propagandisti democristiani, ma <strong>come</strong> religiosi<br />

che si assicuravano che le varie «pecorelle» dei dintorni – specialmente le<br />

donne, che sempre in Italia sono state piú degli uomini – sapessero votare, e<br />

solo alla fine, andandocene, con gesuitica discrezione, dovevamo esortare a<br />

votare «nella maniera giusta».<br />

Avrei potuto rifiutarmi di prestarmi a quel gioco, ma in quelle circostanze<br />

probabilmente avrei dovuto «andarmene». Certo, avrei potuto scrivere al<br />

Provinciale, e la mia lettera, in quanto scritta a <strong>un</strong> Superiore Maggiore, non<br />

sarebbe stata letta da ness<strong>un</strong> altro, ma non me la sentii, anche perché tutto si<br />

30


Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

svolse rapidamente, con <strong>un</strong> improvviso ordine perentorio. Dopo questa strana<br />

parentesi «elettorale», a cui però non avevamo partecipato noi novizi,<br />

dato che eravamo ancora minorenni- a quell’epoca si era maggiorenni a 21<br />

anni – dopo quella parentesi, la vita continuò <strong>come</strong> al solito.<br />

Come ho già accennato, sapevamo poco di quel che accadeva nel «mondo» –<br />

niente radio, giornali. Uscivamo però ogni tanto, di solito il giovedí mattina,<br />

quando, a meno che non diluviasse, potevamo fare l<strong>un</strong>ghe passeggiate, sempre<br />

in coppia, avendo a disposizione almeno tre ore. Certo, in queste occasioni<br />

avrei potuto dare <strong>un</strong>a sbirciatina ai titoli dei giornali, ma non ricordo di<br />

averlo mai fatto. Difatti poco a poco cominciai a ritenere che il Noviziato, e<br />

in generale il nostro Ordine, fosse tutto quello di cui avevo bisogno – lí ci<br />

stavo bene, rin<strong>un</strong>ziando a ogni responsabilità, di qualsiasi genere, sia di ordine<br />

spirituale che di ordine pratico. Lo ripeto: il tutto mi com<strong>un</strong>icava <strong>un</strong><br />

profondo senso di sicurezza, che voleva pure alc<strong>un</strong>i sacrifici, alc<strong>un</strong>e rin<strong>un</strong>ce<br />

che pur dovevo fare e che mi costavano, naturalmente. La bilancia però pendeva<br />

sempre a favore della scelta che avevo fatta.<br />

Il 1953 fu caratterizzato da <strong>un</strong> evento importante nella mia «carriera» di Gesuita,<br />

e cioè il mese dedicato agli Esercizi Spirituali, redatti dal fondatore<br />

dell’Ordine.<br />

Gli Esercizi Spirituali hanno dato <strong>un</strong> posto importante ad Ignazio di Loyola<br />

nella storia della «spiritualità» del Cattolicesimo Romano. Ignazio cominciò<br />

a scriverli nel 1522 e, dopo che li ebbe rimaneggiati e completati, furono ufficialmente<br />

approvati, nella loro forma definitiva, dal papa Paolo III nel<br />

1548. Non esiste piú l’originale spagnolo, ma si conserva <strong>un</strong>a copia, detta<br />

«autografa», che f<strong>un</strong>ge da testo ufficiale in base al quale si sono fatte traduzioni<br />

in molte lingue.<br />

Lo scopo degli «Esercizi» è ben delineato all’inizio dell’opera dall’Autore<br />

stesso: «La prima nota è che con il nome di esercizi spirituali si intende<br />

ogni modo di esaminare la coscienza, di meditare, di contemplare, di<br />

pregare oralmente e mentalmente e di altre attività spirituali <strong>come</strong> piú<br />

avanti si dirà. Infatti, <strong>come</strong> sono esercizi corporali il passeggiare, il<br />

camminare, il correre, cosí si chiamano esercizi spirituali tutti i modi di<br />

preparare e di disporre l’anima a togliere da sé tutti i legami disordinati<br />

e, dopo averli tolti, di cercare e trovare la volontà divina nell’organizzazione<br />

della propria vita per la salvezza dell’anima» (in Gli Scritti, ediz.<br />

31


Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

cit. p. 91).<br />

L’opera consta di «meditazioni» divise in quattro settimane. Lo scopo delle<br />

meditazioni della prima settimana è quello di sottolineare quale sia il fine<br />

della vita umana, a cui tutto ciò che si fa e si ha deve essere diretto, e di eliminare<br />

quindi tutte quelle inclinazioni, peccati, ostacoli, ss.)., che possono<br />

impedire il raggi<strong>un</strong>gimento del fine. Nella seconda settimana, le meditazioni<br />

dovrebbero aiutare chi fa gli Esercizi a scegliere <strong>un</strong>o «stato» nella vita, cioè,<br />

in pratica, se sposarsi o vivere da buon laico cattolico o scegliere la vita religiosa,<br />

nel senso di divenire membri del clero diocesano o di qualche Ordine<br />

Religioso. Le meditazioni hanno <strong>come</strong> oggetto vari aspetti della vita di Gesú<br />

sulla terra, che possono, secondo l’Autore, aiutare a prendere <strong>un</strong>a decisione<br />

in <strong>un</strong> senso o nell’altro.<br />

Le meditazioni della terza settimana sulla passione e morte di Gesú servono<br />

a rafforzare la decisione presa, mentre quelle della quarta settimana, concernenti<br />

gli episodi della risurrezione e ascensione di Gesú al cielo, dovrebbero<br />

servire a far sí che ci si <strong>un</strong>isca sempre piú a Dio.<br />

In appendice agli Esercizi Spirituali si trovano anche alc<strong>un</strong>e regole per il<br />

«discernimento degli spiriti», per la distribuzione delle elemosine, per gli<br />

scrupoli e quelle «ad sentiendum cum Ecclesia», a cui ho già accennato e<br />

che ben si collocano nel clima della Controriforma.<br />

Questi Esercizi sono prescritti per i novizi del primo anno e si protraggono<br />

per <strong>un</strong> mese; quelli che già hanno preso i voti, li devono fare ogni anno per<br />

<strong>un</strong>a settimana; li si fa ancora <strong>un</strong>a volta per <strong>un</strong> mese intero durante il cosiddetto<br />

«Terzo Anno», che conclude il l<strong>un</strong>go curriculum ufficiale di formazione<br />

e studio dei Gesuiti.<br />

Io li cominciai il 7 gennaio 1953 e li terminai il 7 febbraio. Come era prescritto,<br />

tenni anche <strong>un</strong> diario giornaliero, che il Maestro dei Novizi aveva il<br />

diritto di leggere quando lo credeva opport<strong>un</strong>o – del resto, anche tutte le lettere<br />

in partenza dal Noviziato e in entrata, erano lette dal Superiore; durante<br />

quel mese, però, non potevamo ricevere né visite né lettere.<br />

Mentre scrivo, ho quel diario dinanzi a me. È <strong>un</strong> quaderno vecchio stile. In<br />

cima alla copertina scrissi la data di inizio e fine degli esercizi, e in basso, a<br />

mo’di titolo, «Santi Esercizi Spirituali», ed, in latino, «E meditationibus lumina»,<br />

cioè, alla lettera, «Lumi dalle meditazioni». Mi fa tenerezza, perché<br />

32


Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

penso che fossi sincero, nel senso che a quell’epoca e, sostanzialmente, anche<br />

in seguito, facevo tutto «ignorantemente nella mia incredulità», e anch’io<br />

credo che anche perciò Dio è stato misericordioso verso di me (1 Timoteo<br />

1:12-14).<br />

Le prime meditazioni, tenute, <strong>come</strong> tutte le altre, dal Maestro dei Novizi, mi<br />

colpirono particolarmente. Vertevano sulla breve parte introduttiva degli<br />

Esercizi, che l’Autore ha chiamato «Principio e Fondamento» – «principio»,<br />

perché costituisce la base dottrinale che, secondo Ignazio, dovrebbe essere il<br />

p<strong>un</strong>to di riferimento per la vita del Cristiano, qual<strong>un</strong>que sia il suo stato; e<br />

«fondamento», perché su di esso si basa tutto l’edificio degli Esercizi, ed, in<br />

prospettiva, tutta la vita dell’individuo, nei suoi molteplici aspetti. Esso recita<br />

cosí: «L’uomo è creato per lodare, riverire e servire Dio nostro Signore<br />

e per salvare, in questo modo, la propria anima; e le altre cose sulla<br />

faccia della terra sono create per l’uomo affinché lo aiutino al raggi<strong>un</strong>gimento<br />

del fine per cui è stato creato. Da qui segue che l’uomo deve<br />

servirsene tanto, quanto lo aiutino a conseguire il fine per cui è stato<br />

creato e tanto deve liberarsene quanto glielo impediscono. Per questa<br />

ragione è necessario renderci indifferenti verso tutte le cose create (in<br />

tutto quello che è permesso alla libertà del nostro libero arbitrio e non<br />

le è proibito) in modo da non desiderare da parte nostra piú la salute<br />

che la malattia, piú la ricchezza che la povertà, piú l’onore che il disonore,<br />

piú la vita l<strong>un</strong>ga che quella breve, e cosí per tutto il resto, desiderando<br />

e scegliendo solo ciò che piú ci porta al fine per cui siamo stati<br />

creati» (in Gli Scritti, ed. cit. pp. 100, 101).<br />

Questo «Principio e Fondamento» mi piacque subito, soprattutto perché ebbi<br />

l’impressione che facesse ordine nella mia vita e nel mondo in generale, nel<br />

senso che mi sembrava che veramente tutte le cose fuori di me avessero <strong>un</strong>o<br />

scopo. Oltre a ciò, trovavo quel prologo <strong>come</strong> <strong>un</strong> principio morale che<br />

avrebbe potuto guidarmi in tutta la mia vita. Ebbi però l’impressione che<br />

fosse <strong>un</strong> ragionamento di tipo filosofico piuttosto che il testo di <strong>un</strong>a meditazione<br />

religiosa. Lo dissi al Superiore, che mi spiegò che, all’inizio degli<br />

Esercizi, cosí doveva essere.<br />

Visti con gli occhi di oggi, posso dire che quegli «Esercizi» erano <strong>un</strong> misto<br />

di Cristianesimo e paganesimo, condito da chiare prese di posizione, proprie<br />

di chi ha abbracciato la Controriforma. Emblematici, a tal riguardo, sono i<br />

33


Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

«colloqui» proposti nel terzo esercizio della prima settimana, dopo che si è<br />

fatto l’esame di coscienza e si è chiesto a Dio il perdono dei propri peccati –<br />

fatto questo che non è solo <strong>un</strong> affare privato, ma deve necessariamente sfociare<br />

nella confessione generale a <strong>un</strong> prete – al Maestro dei Novizi, nel nostro<br />

caso.<br />

Ecco d<strong>un</strong>que il testo dei «colloqui»: Primo Colloquio. Il primo colloquio<br />

con la Madonna, affinché mi ottenga grazia dal suo Figlio e Signore per<br />

tre cose: La prima, perché io senta profonda cognizione dei miei peccati<br />

e disgusto per gli stessi. La seconda, perché senta il disordine delle mie<br />

attività in modo tale che, detestandolo, mi corregga e mi ordini. La terza,<br />

chiedere la conoscenza del mondo perché, detestandolo, allontani da<br />

me le cose mondane e vane, Dopo di ciò, <strong>un</strong>’Ave Maria.<br />

Secondo Colloquio. Il secondo, fare altrettanto con il Figlio affinché me<br />

lo ottenga dal Padre. Dopo di ciò, l’Anima Christi. Terzo Colloquio. Il<br />

terzo colloquio, altrettanto con il Padre perché lo stesso eterno Signore<br />

me lo conceda. Dopo, <strong>un</strong> Padre Nostro. (op. cit. p. 112).<br />

Troviamo ancora tali «colloqui», secondo lo stesso schema, nelle meditazioni<br />

sulle «Due Bandiere», nel quarto giorno della seconda settimana: Primo<br />

Colloquio. Fare <strong>un</strong> colloquio con la Madonna perché mi ottenga grazia<br />

dal suo Figlio e Signore affinché io sia ricevuto sotto la sua bandiera<br />

prima in somma povertà spirituale e, se piacerà alla sua divina Maestà<br />

e mi vorrà eleggere e accettare, anche nella povertà attuale; secondo,<br />

nel soffrire obbrobri e ingiurie per meglio imitarlo in questi, purché<br />

possa sopportarli senza peccato da parte di ness<strong>un</strong>a persona e senza offesa<br />

della sua divina maestà. Dopo dire <strong>un</strong>’Ave Maria. Secondo Colloquio.<br />

Chiedere la stessa cosa al Figlio affinché me la ottenga dal Padre e<br />

dopo dire l’Anima Christi. Terzo Colloquio. Chiedere lo stesso al Padre<br />

affinché egli mi conceda ciò e dire <strong>un</strong> padre Nostro (op. cit., p. 129).<br />

Sebbene Ignazio di Loyola fosse a conoscenza (almeno credo) dell’importantissimo<br />

passo della Lettera agli Ebrei 4:14-16, qui non ne tiene assolutamente<br />

conto, <strong>come</strong> non ne tengono conto ancora i seguaci del Cattolicesimo<br />

Romano: «Avendo d<strong>un</strong>que <strong>un</strong> gran Sommo Sacerdote che è passato attraverso<br />

i cieli, Gesú, il Figlio di Dio, stiamo fermi nella fede che professiamo.<br />

Infatti non abbiamo <strong>un</strong> sommo sacerdote che non possa simpatizzare con<br />

noi nelle nostre debolezze, poiché egli è stato tentato <strong>come</strong> noi in ogni cosa,<br />

34


Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

senza commettere peccato. Accostiamoci d<strong>un</strong>que con piena fiducia al trono<br />

della grazia, per ottenere misericordia e trovare grazia ed essere soccorsi<br />

al momento opport<strong>un</strong>o».<br />

Lo «schema» biblico è d<strong>un</strong>que ben diverso e non c’è posto per Maria quale<br />

mediatrice della grazia divina. Ma a quell’epoca, naturalmente, anch’io non<br />

mi ponevo di questi problemi e accettavo tutto passivamente, e fu cosí che<br />

questi «Esercizi» fecero di me <strong>un</strong> cattolico ancora piú convinto di prima, e<br />

<strong>un</strong> cattolico per di piú Gesuita e piú che mai orgoglioso di esserlo. Ecco, infatti,<br />

<strong>come</strong> concludevo il mio diario degli «Esercizi»: «Il Signore non può<br />

servirsi dei miei doni agendo direttamente su di essi, ma è necessario la<br />

mia collaborazione. Perché questa ci sia, devo conoscere la volontà del<br />

Signore, cioè quello che devo fare con quello che Gli ho donato. Questa<br />

sua volontà mi è manifesta attraverso le creature, che per me religioso<br />

sono le Regole e le disposizioni dei miei Superiori. Vivendo quindi le Regole<br />

ed eseguendo la volontà dei miei Superiori, io manifesto il mio<br />

amore al Signore, amore non fondato su parole o in estasi varie, ma nei<br />

fatti, che è quello vero, quello piú gradito alla Divina Maestà di Dio».<br />

Qui mi riferivo anche a quello che io avevo «donato»al Signore – è <strong>un</strong>’allusione<br />

alla «consacrazione» che feci di me stesso, secondo quanto è prescritto<br />

negli «Esercizi Spirituali» dopo la prima meditazione della seconda settimana:<br />

«Eterno Signore di tutte le cose, io faccio la mia offerta, col vostro<br />

favore e aiuto, davanti alla vostra infinita bontà, e davanti alla vostra<br />

Madre gloriosa e a tutti i santi e sante della corte celeste: io voglio e desidero<br />

ed è mia ferma decisione, purché sia per vostro maggiore servizio<br />

e lode, imitarvi nel sopportare tutte le ingiurie e ogni disprezzo e ogni<br />

tipo di povertà, tanto attuale quanto spirituale, qualora la vostra santissima<br />

Maestà voglia eleggermi e ricevermi per tale stato di vita. «(op. cit.<br />

p. 120).<br />

È interessante, a tal proposito, che tra i miei «documenti» ho trovato <strong>un</strong> fogliettino<br />

di carta velina, su cui è riportato il testo della suddetta «consacrazione»,<br />

anche se in <strong>un</strong>a versione leggermente diversa – molto probabilmente<br />

era <strong>un</strong> fogliettino che venne distribuito a noi novizi per fare la nostra «oblazione»<br />

privatamente.<br />

Ne feci però ancora <strong>un</strong>’altra, molto piú impegnativa di questa, sette mesi<br />

prima che terminassi il Noviziato. C’era stato <strong>un</strong> cambio nella direzione del<br />

35


Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

Noviziato ed era venuto <strong>un</strong> nuovo «Maestro» che a me sembrò «piú umano»<br />

rispetto al precedente, decisamente piú austero. Fu cosí che <strong>un</strong> giorno il nuovo<br />

Maestro mi chiamò e mi disse che, se avessi voluto, avrei già potuto fare,<br />

privatamente, i voti di povertà, castità e obbedienza – sarebbero stati voti<br />

privati e quindi non facevano di me <strong>un</strong> Gesuita vero e proprio, <strong>come</strong> invece<br />

sarebbe avvenuto quando avrei fatto quegli stessi voti in pubblico. Quello,<br />

com<strong>un</strong>que, fu per me <strong>un</strong>a proposta molto lusinghiera, perché significava che<br />

il mio Maestro mi giudicava già degno di fare quei voti e quindi capace di<br />

osservarli. Del resto, tale possibilità è esplicitamente prevista nelle Costituzioni<br />

(cfr. la parte che riguarda l’ammissione nella Compagnia, detta «Esame<br />

generale», cap. I, 12 E – op. cit. pp. 396-397).<br />

Fu cosí che il 19 marzo 1954 (festa di «S. Giuseppe») feci questi voti privati<br />

usando la stessa formula dei voti pubblici: «Dio onnipotente ed eterno, io,<br />

Edoardo Labanchi, indegno di stare alla tua presenza divina, confidando,<br />

tuttavia, nella tua infinita pietà e misericordia, e mosso dal desiderio<br />

di servirti, alla presenza della santissima Vergine Maria e di tutta la<br />

corte celeste, faccio voto alla tua divina Maestà di perpetua povertà, castità<br />

e obbedienza nella Compagnia di Gesú. Prometto – inoltre – di entrare<br />

in questa medesima Compagnia per vivervi tutta la mia vita, intendendo<br />

ogni cosa in conformità alle Costituzioni della stessa Compagnia.<br />

Supplico, quindi, la tua immensa bontà e clemenza, per il sangue<br />

di Gesú Cristo, di degnarti di accettare questo olocausto, in odore di<br />

soavità; e, <strong>come</strong> mi hai dato la grazia di desiderarlo e di offrirlo, cosí<br />

anche me la conceda, abbondante, per adempierlo. (op. cit. p. 557).<br />

Fu cosí, d<strong>un</strong>que, che iniziai il mio secondo anno di Noviziato. E in questo<br />

periodo <strong>un</strong>’esperienza molto interessante fu quella del «pellegrinaggio».<br />

Il «pellegrinaggio» è il terzo «esperimento» a cui, secondo le Costituzioni<br />

dell’Ordine, deve essere sottoposto il novizio – il primo, del quale ho trattato<br />

abbondantemente, è costituito dagli «Esercizi spirituali»; il secondo dal<br />

far servizio per <strong>un</strong> mese in <strong>un</strong>o o piú ospedali, esperimento che poi è stato<br />

conglobato nel terzo.<br />

Secondo le Costituzioni, d<strong>un</strong>que, «il terzo esperimento consiste nell’intraprendere<br />

<strong>un</strong> pellegrinaggio di <strong>un</strong> mese, senza portare con sé denaro,<br />

anzi chiedendo, a tempo opport<strong>un</strong>o, l’elemosina di porta in porta per<br />

amore di Dio nostro Signore, per potersi abituare a mangiare ma dormire<br />

disagiatamente e anche per lasciare ogni speranza fondata sul da-<br />

36


Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

naro o su altre cose create, per farla interamente, con vera fede e amore<br />

intenso, nel proprio Creatore e Signore» (Costituzione, Esame generale,<br />

IV, 67; ed. cit. p. 411).<br />

Fummo cosí inviati a due a due, prendendo con noi <strong>un</strong>a sacca con dentro <strong>un</strong><br />

po’di biancheria intima, alc<strong>un</strong>i effetti personali, qualche libro, verso méte<br />

che sin dall’inizio ci erano sconosciute. Difatti ci vennero consegnate <strong>un</strong>a<br />

serie di buste, che dovevamo aprire <strong>un</strong>a alla volta, quando e dove ci veniva<br />

indicato sui foglietti contenuti nelle buste. In questi fogliettini ci davano anche<br />

istruzioni sugli ospedali in cui avremmo dovuto prestare servizio. Questo<br />

sistema, che aveva qualcosa della «caccia al tesoro», aveva lo scopo di<br />

esercitare il Gesuita a essere ogni giorno a disposizione dei Superiori, senza<br />

farsi domande intorno al proprio futuro.<br />

Io ebbi <strong>come</strong> compagno «l’angelo custode», che mi aveva fatto da guida nei<br />

primi giorni del Noviziato, non so esattamente perché, né so con quali criteri,<br />

le varie «coppie» fossero costituite dal Maestro dei Novizi.<br />

La prima tappa la facemmo, secondo le istruzioni scritte nel primo foglietto,<br />

a Napoli, nella mia città. Forse quella tappa fu <strong>un</strong>a. . . trappola o <strong>un</strong> esperimento<br />

nell’esperimento per vedere se avessi fatto visita o no alla mia famiglia<br />

– cosa assolutamente proibita senza l’autorizzazione dei Superiori. Ma<br />

io, pieno di zelo gesuitico, non vi andai.<br />

A Napoli arrivammo con la Circumvesuviana, ma dopo avremmo dovuto<br />

procedere sempre a piedi fino alla meta e ritorno a Vico Equense.<br />

Non è mia intenzione descrivere dettagliatamente questo viaggio, avventuroso<br />

sotto certi aspetti – i lettori potrebbero annoiarsi. Devo com<strong>un</strong>que dire<br />

che seguimmo alla lettera le istruzioni che di giorno in giorno ci venivano<br />

date. Di solito eravamo ospiti in convento di frati e in parrocchie. Qualche<br />

volta facemmo i servizi piú umili in ospedali, <strong>come</strong>, a esempio, lavare il pavimento<br />

delle corsie; insegnavamo il Catechismo ai bambini e avevamo occasione<br />

di parlare, con orgoglio naturalmente, della «Compagnia di Gesù».<br />

Tutto sommato, quel «pellegrinaggio» mi fece bene: anche se a quell’epoca<br />

non l’avrei mai ammesso esplicitamente, godetti di <strong>un</strong>a certa relativa libertà<br />

dopo piú di <strong>un</strong> anno di Noviziato.<br />

La nostra meta fu Roccamonfina, in provincia di Caserta, dove si trova il<br />

Santuario di Maria Santissima dei Lattani. Fummo ospitati nell’annesso convento.<br />

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Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

38


Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

______________________________________________<br />

Capitolo Terzo<br />

______________________________________________<br />

LA<br />

FILOSOFIA<br />

...la sua finalità è chiaramente<br />

espressa dalle Costituzioni dell’Ordine...<br />

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Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

In Filosofia (1954-1957)<br />

Tornati a Vico Equense, riprendemmo la solita vita. Nel frattempo<br />

però si era maturata sempre piú in me l’idea di essere missionario. La Provincia<br />

Napoletana della Compagnia di Gesú curava allora <strong>un</strong>a missione nella<br />

zona centro-occidentale nell’isola dello Sri Lanka, che all’epoca era nota<br />

<strong>come</strong> Ceylon.<br />

Intanto il periodo del mio Noviziato, volgeva al termine. Tutto si era svolto<br />

nel miglior modo possibile dal mio p<strong>un</strong>to di vista e anche, a quanto mi sembrava,<br />

dal p<strong>un</strong>to di vista dei miei Superiori. Avendo d<strong>un</strong>que già la Maturità<br />

Classica, dovevo essere inviato a Gallarate, vicino Milano, dove i Gesuiti<br />

gestivano <strong>un</strong> Istituto di Filosofia. Essendo però entrato in Noviziato alla fine<br />

dell’ottobre 1952, avrei dovuto pron<strong>un</strong>ciare i primi voti a fine ottobre 1954,<br />

cioè quando le lezioni erano da tempo cominciate nell’Istituto. Decisero perciò<br />

di inviarmi a Gallarate prima che finissi il Noviziato, a settembre di<br />

quell’anno – avrei pron<strong>un</strong>ciato i voti nell’Istituto stesso, dove sarei diventato<br />

<strong>un</strong> Gesuita a tutti gli effetti.<br />

Feci <strong>un</strong>a tappa a Napoli, dove ebbi il permesso di salutare i miei parenti e<br />

poi di filato a Gallarate, contento di essere ormai vicino alla prima meta,<br />

tanto desiderata, della mia carriera di Gesuita.<br />

Sotto vari spetti, la mia vita subí non pochi cambiamenti. Difatti, se pur ancora<br />

sotto stretta disciplina religiosa, godevo ormai di <strong>un</strong>’ampia libertà per<br />

quanto riguardava l’organizzazione del mio tempo. Avevo ormai anche <strong>un</strong>a<br />

camera tutta per me, in <strong>un</strong> edificio che si presentava abbastanza moderno<br />

dopo tutto, e non aveva nulla di tetro. Al pianterreno c’erano le aule scolastiche<br />

e la biblioteca, mentre nei piani superiori c’erano le camere degli studenti<br />

e dei professori.<br />

Il clima che vi si respirava era decisamente «<strong>un</strong>iversitario», né mancava <strong>un</strong><br />

certo spirito goliardico, che rallegrava <strong>un</strong> po’<strong>un</strong>a vita che era sempre fatta di<br />

notevoli limiti e sacrifici.<br />

L’Istituto si trovava su di <strong>un</strong>a collinetta. Il suo nome ufficiale era «Aloisianum<br />

«, in onore di «San Luigi Gonzaga», <strong>un</strong> «santo» gesuita, protettore degli<br />

studenti o «scolastici», <strong>come</strong> venivano chiamati i Gesuiti che ancora studiavano.<br />

40


Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

Gallarate era, ed è, <strong>un</strong>a cittadina non molto lontana da Milano – niente di<br />

particolare, <strong>un</strong>a classica cittadina lombarda, pulita, ordinata, almeno a quel<br />

tempo.<br />

Lí trovai alc<strong>un</strong>i appartenenti alla Provincia napoletana, ma «legai» specialmente<br />

con Piemontesi e Liguri – anzi con <strong>un</strong> paio di loro strinsi <strong>un</strong>a qualche<br />

amicizia – non so francamente <strong>come</strong> chiamarla, considerando che i sentimenti<br />

umani non erano molto incoraggiati a manifestarsi: ufficialmente dovevamo<br />

darci del «Lei» ed era proibito stringere la mano! Proprio <strong>come</strong> in<br />

Noviziato – alc<strong>un</strong>e cose non erano cambiate. . . .<br />

Fu d<strong>un</strong>que qui che feci i «primi voti» che, <strong>come</strong> ho già accennato, mi resero<br />

<strong>un</strong> Gesuita a tutti gli effetti, anche se la mia posizione nell’Ordine sarebbe<br />

stata definitiva solo alla fine della mia l<strong>un</strong>ga formazione spirituale e intellettuale,<br />

facendo gli «Ultimi Voti», di cui parlerò a suo tempo.<br />

La formula che pron<strong>un</strong>ciai, durante la «Messa» mattutina celebrata dal Superiore<br />

dell’Istituto, fu la stessa dei voti privati che mi era stato concesso di<br />

fare alla fine del primo anno di noviziato.<br />

L’espressione «Prometto di entrare in questa medesima Compagnia<br />

(eandem Societatem me ingressurum), secondo l’interpretazione autentica<br />

che troviamo nelle Costituzioni, significa che si promette di accettare il grado<br />

di «Professo» o di «Coadiutore Spirituale», <strong>come</strong> parrà al Generale dell’Ordine<br />

– di tali «gradi» parlerò poi a suo tempo.<br />

Con questi voti, d<strong>un</strong>que, ero diventato <strong>un</strong> vero e proprio Gesuita, anche se<br />

ancora in formazione. Nell’Istituto fu <strong>un</strong> giorno di festa per tutti. Ricevetti<br />

anche <strong>un</strong> telegramma di congratulazioni dai miei genitori, nonché bigliettini<br />

di augurio e perfino qualche poesia da parte dei miei colleghi. Provai <strong>un</strong><br />

profondo senso di soddisfazione, soprattutto perché veniva cosí ufficializzato<br />

il mio rapporto con la grande famiglia gesuitica, a cui ormai appartenevo.<br />

Il programma degli studi filosofici era molto intenso, tra materie principali e<br />

secondarie. Per tutta la mattinata – di solito quattro ore – c’erano le lezioni,<br />

piú <strong>un</strong>’altra ora nel pomeriggio alle quindici, seguita poi da <strong>un</strong>’ora di ricreazione<br />

da passarsi nell’Istituto, dove era possibile giocare a palla a volo, palla<br />

a canestro, e tennis; oppure si poteva uscire con <strong>un</strong> compagno assegnato da<br />

<strong>un</strong> Superiore – se si aveva qualche preferenza, bisognava farlo presente al<br />

Superiore di volta in volta, che lo poteva concedere o no. Questo era fatto<br />

per scoraggiare le «amicizie particolari». Altri due periodi di ricreazione, di<br />

41


Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

circa <strong>un</strong>’ora ciasc<strong>un</strong>a, si avevano dopo pranzo e dopo cena, quando si poteva<br />

passeggiare con <strong>un</strong>o o piú compagni a scelta, nei corridoi dell’Istituto e nell’ampio<br />

giardino o parco. Anzi, era consentito scendere in giardino anche<br />

durante le ore di studio privato, ma ogn<strong>un</strong>o per conto suo, senza chiacchierare<br />

con ness<strong>un</strong>o. Difatti, al di fuori delle ore di ricreazione, era proibito parlare<br />

con qualc<strong>un</strong>o, tranne in caso di necessità e in latino (!), anche se pochi osservavano<br />

queste regole alla lettera.<br />

Tornando ora al programma di studi, la sua finalità è chiaramente espressa<br />

dalle «Costituzioni dell’Ordine»: «Il fine della scienza che si apprende<br />

in questa Compagnia è di aiutare, col favore di Dio, le anime dei suoi<br />

membri e quelle del prossimo. Questo sarà il criterio in base al quale si<br />

determinerà, in genere e in particolare, quali materie devono apprendere<br />

i nostri e fino a che p<strong>un</strong>to dovranno progredire in esse. E sic<strong>come</strong>, generalmente<br />

parlando, sono di aiuto gli studi umanistici di diverse lingue,<br />

la logica, la filosofia naturale e morale, la metafisica, la teologia<br />

scolastica e positiva e la Sacra Scrittura, quelli che si inviano nei collegi<br />

si applicheranno allo studio di tali materie. E insisteranno con maggiore<br />

diligenza nella parte che piú conviene, o in ordine al suddetto fine, tenute<br />

presenti le circostanze di tempo, di luogo e di persone, <strong>come</strong> sembrerà<br />

conveniente nel Signor nostro a chi ha la responsabilità principale.<br />

«(Costituzioni, Parte IV, cap. V, ed. cit. pp. 503, 504).<br />

In questo contesto ci si riferisce a tutti gli studi gesuitici prima dell’ordinazione<br />

sacerdotale, e cioè ai tre anni di Filosofia e ai quattro anni di Teologia.<br />

Ma il fine e le modalità sono sostanzialmente le stesse. C’è però da notare<br />

che tra gli studi filosofici e quelli teologici c’è <strong>un</strong> periodo piú o meno l<strong>un</strong>go,<br />

a discrezione dei Superiori, in cui il Gesuita è inviato per insegnare in <strong>un</strong><br />

collegio per laici, gestito dall’Ordine, oppure si occupa della disciplina in<br />

tali collegi, oppure studia ancora per conseguire <strong>un</strong>a laurea in <strong>un</strong>’Università<br />

statale. Dopo questo «intervallo» chiamato ufficialmente «Magistero», si accede<br />

agli studi teologici (cfr. Costituzioni, parte IV, cap. IX, ed. cit. pp. 519-<br />

520).<br />

Ma esattamente qual era lo scopo di quegli studi filosofici prima della Teologia?<br />

Era, in fondo, <strong>un</strong>a glorificazione dell’uomo, delle sue possibilità intellettuali,<br />

per conoscere la verità e Dio stesso. Secondo tale concezione, in-<br />

42


Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

fatti, la razionalità umana deve avere il suo ruolo nella ricerca della verità,<br />

onde evitare le trappole del fideismo e del misticismo. Insomma, si deve partire<br />

dalle risorse umane per poi proseguire con quelle divine. È sostanzialmente<br />

lo stesso concetto che troviamo nella Divina Commedia di Dante,<br />

dove Virgilio, la guida del poeta nell’Inferno e nel Purgatorio, rappresenta la<br />

ragione umana, che deve però fermarsi quasi alla soglia del Paradiso, dove<br />

altre guide, soprattutto Beatrice, che rappresenta la Teologia, si prenderanno<br />

cura di Dante: la ragione umana non può andare oltre. È però interessante<br />

che prima di essere guidato da Beatrice, Dante viene considerato da Virgilio<br />

<strong>come</strong> <strong>un</strong> uomo che ha ormai la capacità di autodeterminarsi, di autogestirsi:<br />

«Non aspettar mio dir piú né mio cenno: libero, diritto e sano è tuo arbitrio»,<br />

dice il poeta latino a Dante. Dante è ora umanamente perfetto ed ha solo bisogno<br />

di accedere alle sfere del divino mediante la Teologia (cfr. Purgatorio<br />

XXVII, 127-142).<br />

Ricordo sempre l’affermazione del professore di Filosofia Morale durante la<br />

sua prima lezione: «Qui noi prescindiamo dalla Rivelazione». E ci sarebbe<br />

da chiedere che cosa mai possiamo conoscere, anche in campo morale, se<br />

si prescinde dalla Rivelazione. Lo stesso sostanzialmente vale per la cosiddetta<br />

«Teologia Naturale», <strong>un</strong>a materia assolutamente inutile, perché se si<br />

prescinde dalla Rivelazione, si può conoscere ben poco di Dio e della Sua<br />

opera. In realtà, non si prescindeva del tutto dalla Rivelazione, per cui ci si<br />

trovava dinanzi a materie «ibride», <strong>un</strong> pasticcio tra filosofia e Rivelazione –<br />

pasticcio che si sarebbe accentuato in Teologia dove le «tradizioni degli uomini»<br />

sarebbero state spacciate per rivelazioni divine con la mediazione della<br />

«Magistero Cattolico-Romano». Ma a quell’epoca non ragionavo cosí, ma<br />

mi beavo in <strong>un</strong>’atmosfera che mi era congeniale, avendo a mia disposizione<br />

tutti i mezzi per coltivare la mia mente e per farmi sentire superiore a tanti<br />

miei simili.<br />

Devo però ammettere, a onor del vero, che, dal p<strong>un</strong>to di vista umano, fu allora<br />

che ebbi la mia formazione intellettuale che, in seguito, purificata dall’Evangelo,<br />

mi sarebbe stata molto utile per la mia testimonianza cristiana.<br />

Soprattutto la logica mi fu, e mi è tuttora, molto utile, perché mi diede i<br />

principi fondamentali per esaminare teorie, opinioni, dottrine, e per formularle<br />

io stesso in maniera coerente. Fu lí che imparai a discutere, a cogliere<br />

subito i termini di <strong>un</strong>a questione, i p<strong>un</strong>ti essenziali di <strong>un</strong>’obiezione per poter<br />

poi rispondere in maniera adeguata.<br />

43


Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

Pur dovendo quindi avanzare molte riserve sullo scopo ufficiale di tali studi,<br />

indubbiamente mi sono stati utili <strong>come</strong> formazione intellettuale e informazione,<br />

considerando anche che si studiava molto seriamente la Storia della<br />

Filosofia. Del resto, lo studio stesso della «Filosofia Scolastica», basata sulle<br />

opere di Tommaso d’Aquino, tuttora il teologo che sta alla base del Cattolicesimo<br />

Romano, significò studiare <strong>un</strong>a importante corrente filosofica medioevale,<br />

che, app<strong>un</strong>to, da sempre ha avuto <strong>un</strong>’influenza fondamentale sulla<br />

teologia cattolica romana.<br />

Questo periodo, però, fu molto importante per me, in quanto si rinfocolò il<br />

mio amore per la Bibbia, che ricominciai a leggere, anche se ora ero particolarmente<br />

attratto dai Libri Sapienziali, quali i Salmi e i Proverbi. Fu anche<br />

<strong>come</strong> <strong>un</strong>a reazione a quegli studi a volte cosí aridi – avevo bisogno dell’acqua<br />

fresca e refrigerante della Parola di Dio!<br />

In questi anni, però, si intensificò anche il mio desiderio di andare missionario<br />

in Oriente. Cominciai cosí a parlarne con crescente insistenza al Provinciale<br />

della Provincia napoletana, da cui sempre dipendevo, sia per lettera, sia<br />

a voce, quando venne a visitare i «Filosofi» della sua Provincia, app<strong>un</strong>to. Mi<br />

diede delle speranze e <strong>un</strong> segno positivo in tal senso fu il permesso che mi<br />

diede di farmi crescere la barba. Insomma volevo essere <strong>un</strong> missionario classico.<br />

Tutto, com<strong>un</strong>que, era ancora «ufficioso». Mi feci anche confezionare<br />

<strong>un</strong> bell’abito bianco, che ebbi occasione di indossare durante <strong>un</strong>a cerimonia<br />

pubblica d’addio, quindi anche dinanzi alla popolazione cattolica del posto,<br />

sul sagrato della chiesa annessa all’Istituto. Io stesso fui incaricato di fare il<br />

discorso ufficiale per i tanti intervenuti rad<strong>un</strong>atisi all’aperto dinanzi alla<br />

chiesa. Vi fu perfino <strong>un</strong>a processione per le vie attorno all’Istituto.<br />

Il tutto mi gratificava non poco, ambizioso <strong>come</strong> ero, ma, direi, religiosamente<br />

ambizioso, perché ero sostanzialmente sincero, né avevo intenzione di<br />

«far carriera», nell’Ordine, ma volevo servire il Signore nel miglior modo<br />

possibile, salvando l’anima mia e quella del prossimo, particolarmente le<br />

anime dello Sri Lanka, la terra di missione allora affidata alla Provincia Napoletana.<br />

Il mio desiderio era di essere completamente votato a <strong>un</strong>a causa in cui credevo<br />

fermamente. E devo dire che nel bene e nel male questo era stato sempre<br />

il mio stile di vita. Una vita «normale» non è mai stata per me. Pur sembran-<br />

44


Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

do <strong>un</strong> tipo tutto «casa, chiesa e lavoro», ho sempre sentito in me la spinta<br />

verso nobili ideali da raggi<strong>un</strong>gere a tutti i costi. Anche quando facevo delle<br />

gite durante le nostre vacanze in <strong>un</strong>a casa dei Gesuiti dalle parti di Bormio,<br />

anche allora preferivo andare sui monti piú che nelle valli, che semmai attraversavo<br />

solo perché mi davano poi accesso ai monti innevati, le cui cime<br />

amavo raggi<strong>un</strong>gere in cordata, con sforzi immani a volte, non essendo mai<br />

stato <strong>un</strong>o «sportivo». Ma la soddisfazione di gi<strong>un</strong>gere alla meta prefissata<br />

era immensa!<br />

Devo tuttavia precisare che in me vi sono sempre state <strong>come</strong> due «anime»,<br />

quella «casalinga» borghese, amante del quieto vivere e della comodità, e<br />

quella ambiziosa, tesa verso mete ideali, pronta a sacrificare tutto per raggi<strong>un</strong>gerle.<br />

Ed è stata sempre questa seconda «anima» che ha prevalso, grazie<br />

a Dio – è proprio il caso di dirlo! Ma non senza continue tensioni e anche<br />

crisi di scoraggiamento, <strong>come</strong> avviene nel caso di tutti gli «idealisti».<br />

Il «Provinciale», com<strong>un</strong>que, al momento opport<strong>un</strong>o, cioè qualche mese prima<br />

della fine dell’anno accademico – l’ultimo prima della «Licenza in Filosofia»,<br />

equivalente a <strong>un</strong>a Laurea – mi fece sapere che certamente sarei andato<br />

in missione, ma dopo <strong>un</strong> anno. Sebbene deluso, perché avrei voluto partire<br />

subito, non potetti fare altro che obbedire.<br />

Cosí a giugno del 1957 sostenni il difficile esame finale che durava per tutti<br />

<strong>un</strong>’ora esatta – dopo naturalmente aver sostenuto ogni anno <strong>un</strong> esame di materie<br />

principali e secondarie. Tutto andò bene e fui giudicato degno di accedere<br />

al Corso Superiore di Teologia, quando, naturalmente, i miei «Superiori»<br />

l’avrebbero deciso.<br />

Difatti questo esame di Filosofia era il primo grande ostacolo da superare<br />

per non essere «declassato» e per non accedere al Corso Minore di Teologia,<br />

fatto per coloro che non avrebbero mai fatto parte dall’élite dell’Ordine, ma<br />

sarebbero divenuti solo «Coadiutori spirituali». Tuttavia, chi, <strong>come</strong> me, aveva<br />

superato questo primo ostacolo, non poteva dormire sugli allori, perché<br />

<strong>un</strong> giorno lo aspettava <strong>un</strong>’altra prova ancora piú dura, cioè l’esame finale di<br />

Teologia, che durava due ore esatte – ne parleremo, naturalmente, a suo<br />

tempo.<br />

La distinzione tra queste categorie di Gesuiti ha <strong>un</strong> origine storica, piú che<br />

«razziale», per cosí dire. Difatti quando nel 1540 il papa Paolo III decise di<br />

approvare il nuovo Ordine religioso detto «Compagnia di Gesù», dietro sug-<br />

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Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

gerimento del cardinale Bartolomeo Guidiccioni, contrario alla formazione<br />

di nuovi Ordini, limitò il numero dei membri della Compagnia a 60. Tuttavia<br />

nel 1546 lo stesso Paolo III concesse all’Ordine di avere anche dei «Coadiutori»<br />

sia «spirituali», cioè sacerdoti, sia «temporali», cioè laici. Ora, la distinzione<br />

tra queste tre categorie di Gesuiti sta nel fatto che i «Professi» costituiscono<br />

l’élite della Compagnia di Gesú – persone a cui si affidano posti<br />

di responsabilità e direttivi, mentre ai Coadiutori spirituali si affidano incarichi<br />

di supporto e di assistenza spirituale, e ai Coadiutori temporali si affidano<br />

tutti i servizi concernenti la vita quotidiana e l’amministrazione delle residenze<br />

dei Gesuiti.<br />

Quanto ai «Professi», essi fanno, oltre ai soliti tre voti, anche <strong>un</strong> quarto voto<br />

di obbedienza personale al Papa, nel senso che ogni Gesuita «Professo» è<br />

personalmente obbligato a obbedire al Papa, se questi decide di affidargli<br />

qualche incarico particolare. Naturalmente mi riferisco ai voti definitivi o<br />

ultimi – i primi, <strong>come</strong> ho già scritto, si fanno alla fine dei due anni di Noviziato.<br />

In tal modo i «Professi» costituiscono <strong>un</strong>a speciale «Milizia» ai diretti<br />

ordini del Papa. Difatti <strong>un</strong>a delle caratteristiche della «spiritualità» ignaziana<br />

è questo attaccamento particolare alla cosiddetta «Santa Sede».<br />

Con gli ultimi voti il Gesuita è civilmente «morto», nel senso che, oltre a<br />

non avere nulla che possa definirsi «proprio», sia i Professi che i Coadiutori<br />

non possono piú ereditare nulla. Si legge infatti nelle Costituzioni. «Perché<br />

meglio si conservino la purezza della povertà e la pace che essa trae con<br />

sé, non avranno capacità di ricevere eredità non solo i singoli Professi e<br />

i Coadiutori formati, ma neppure le Case, le Chiese o i Collegi, per conto<br />

dei suddetti. E cosí meglio si taglierà corto a ogni lite e divergenza, e<br />

meglio si manterrà la carità con tutti, a gloria di Cristo nostro Signore»<br />

(Parte VI, cap. II; ed. cit. p. 568).<br />

Con i primi voti, invece, si può ancora ufficialmente ereditare, ma l’amministrazione<br />

dei beni ereditati deve essere affidata ad altri, né se ne possono godere<br />

i frutti. Naturalmente col permesso dei Superiori si può rin<strong>un</strong>ciare a<br />

tale eredità a beneficio di altri.<br />

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Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

______________________________________________<br />

Capitolo Quarto<br />

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IL<br />

MAGISTERO<br />

...In questo periodo continuai a<br />

leggere privatamente la Bibbia...<br />

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Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

IL MAGISTERO IN ITALIA<br />

Dopo l’esame finale in Filosofia, che faceva di me <strong>un</strong> «Maestro», fui<br />

inviato a Lecce, nella cosiddetta «Scuola Apostolica» annessa a <strong>un</strong> Istituto<br />

scolastico retto dai Gesuiti. All’epoca, per «Scuola Apostolica» si intendeva<br />

<strong>un</strong> collegio dove entravano ragazzi che avrebbero voluto entrare <strong>un</strong> giorno<br />

nell’Ordine. In realtà era <strong>un</strong> «internato» <strong>come</strong> qualsiasi altro, in quanto solo<br />

qualc<strong>un</strong>o entrava di fatto poi nell’Ordine.<br />

In quel contesto, pensando sempre a quando sarei partito finalmente per lo<br />

Sri Lanka, feci del mio meglio per assolvere i compiti che mi erano stati affidati,<br />

cioè di tutore di ragazzi della «Scuola Media inferiore» e insegnante<br />

di religione.<br />

In questo periodo continuai a leggere privatamente la Bibbia, ma, cattolico<br />

convinto <strong>come</strong> ero ancora, tutto interpretavo alla luce della Teologia del<br />

Cattolicesimo Romano. Tuttavia quando insegnavo religione, piú del solito<br />

cominciai a porre l’accento sulla Parola di Dio.<br />

Alla fine dell’anno scolastico, il Provinciale mi com<strong>un</strong>icò ufficialmente che<br />

sarei partito in missione per lo Sri Lanka nel prossimo ottobre – si era nel<br />

1958, l’anno in cui morí il Papa Pio XII. La mia gioia fu immensa, <strong>come</strong> la<br />

gioia di chi vede realizzarsi <strong>un</strong> suo sogno.<br />

Mi diedi immediatamente da fare per procurarmi il passaporto, necessario<br />

per ottenere il visa delle autorità dello Sri Lanka o Ceylon, <strong>come</strong> si diceva<br />

allora.<br />

Prima della partenza, fissata, se ben ricordo, per il 12 ottobre, vi furono varie<br />

«feste» e cerimonie nelle varie chiese dell’Ordine, anche allo scopo di<br />

raccogliere fondi per la missione della Provincia Napoletana.<br />

Ottenuto anche il vista delle competenti autorità dello Sri Lanka, non mi restò<br />

che partecipare all’ultima solenne «festa d’addio», che si tenne a Napoli,<br />

nella Chiesa del Gesú Nuovo, presenti anche molti dei miei parenti. Come in<br />

altre occasioni simili, predicai nel corso di <strong>un</strong>a commovente cerimonia.<br />

Dopo, secondo la consuetudine, mi fu concesso di trascorrere con la mia famiglia<br />

l’ultima settimana prima di partire.<br />

Non ho detto quasi nulla della mia famiglia in questo mio racconto. La mia<br />

discrezione, com<strong>un</strong>que, spero sia apprezzata da chi mi legge, considerando<br />

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Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

che, tranne i miei genitori, sono tutti viventi. Posso com<strong>un</strong>que dire che a<br />

quell’epoca mio padre era <strong>un</strong> impiegato dell’Enel, mio fratello era studente<br />

<strong>un</strong>iversitario e mia sorella frequentava l’Istituto Magistrale. In sei anni ci<br />

eravamo visti sempre di meno, e il «lavaggio del cervello» subìto nell’Ordine<br />

era riuscito a farmi prendere nei loro confronti – perfino nei confronti di<br />

mia madre! – <strong>un</strong> atteggiamento distaccato, teso com’ero verso quelli che<br />

consideravo «altri ideali», in cui non c’era piú posto per affetti personali<br />

veri e propri.<br />

Fu cosí che, <strong>come</strong> ho accennato, il 12 ottobre (se ben ricordo) del 1958, nel<br />

pomeriggio, salutato da parenti e alc<strong>un</strong>i amici della mia «vita passata», nonché<br />

da alc<strong>un</strong>i rappresentanti dell’Ordine, lasciavo il porto di Napoli per «imbarcarmi»<br />

– era il caso di dirlo! – in <strong>un</strong>’avventura, che avrebbe poi cambiato<br />

radicalmente il corso della mia vita.<br />

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Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

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Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

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Capitolo Quinto<br />

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NELLO<br />

SRI LANKA<br />

Quello fu il mio primo impatto con l’estero...<br />

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Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

NELLO SRI LANKA<br />

Viaggiavo assieme al vescovo di Galle, <strong>un</strong>a città dello Sri Lanka,<br />

dove avrei speso buona parte della mia permanenza nell’isola. «Assieme», si<br />

fa per dire, perché il vescovo viaggiava in prima classe e io in classe turistica<br />

– «noblesse oblige» o, meglio, «La hiérarchie oblige». . . . Eppure anche<br />

il vescovo era Gesuita – ma che volete, io ero solo <strong>un</strong>o studente, anche se<br />

«Maestro». . . . L’andavo a visitare ogni tanto, ma niente di piú. Né allora né<br />

in seguito potei avere con lui rapporti cordiali.<br />

Dopo piú di dieci giorni di navigazione, durante la quale attraversammo il<br />

Mar Rosso e l’Oceano Indiano, gi<strong>un</strong>gemmo finalmente nello Sri Lanka; la<br />

nave però proseguiva per l’Australia, portando <strong>un</strong> carico di emigranti italiani.<br />

Fui ricevuto dal capo della missione italiana e, se ben ricordo, passai la notte<br />

a Colombo, la capitale dell’isola, dove i Gesuiti avevano <strong>un</strong>a residenza e<br />

<strong>un</strong>a chiesa. Il giorno dopo partimmo per Galle, dove i Gesuiti gestivano <strong>un</strong><br />

collegio e <strong>un</strong>a chiesa.<br />

Quello fu il mio primo impatto con l’estero, poiché non ero mai stato fuori<br />

dell’Italia. In ogni caso, nonostante la preparazione psicologica e culturale –<br />

tra l’altro, potevo già parlare inglese discretamente e avevo acquisito le prime<br />

nozioni di lingua singalese – lo shock fu notevole. Ma devo dire che lo<br />

superai abbastanza bene, con l’aiuto dei miei colleghi piú anziani, sia italiani<br />

che nativi. Il mio incarico sarebbe stato di sorvegliare <strong>un</strong>a classe di ragazzi<br />

piú piccoli dell’istituto. In pratica, era <strong>come</strong> <strong>un</strong> nostro istituto scolastico<br />

dalle Elementari al Liceo, frequentato da ragazzi esterni di ogni razza e religione,<br />

e quindi non solo da Cattolici, e in piú c’era <strong>un</strong> internato costituito da<br />

ragazzi cattolici, ma v’erano anche alc<strong>un</strong>i buddisti. Inoltre, avrei dovuto insegnare<br />

religione cattolica in <strong>un</strong>a classe delle elementari.<br />

Non ci volle molto tempo per rendermi conto che l’attività principale dei<br />

Gesuiti nell’isola – <strong>come</strong>, del resto, di tutti gli altri preti e frati, (suore comprese)<br />

– consisteva nel mandare avanti le varie parrocchie cattoliche, che<br />

erano numericamente alimentate dalle prolifere famiglie cattoliche, e nel gestire<br />

scuole di vario genere, sia per maschi che per femmine. In altre parole,<br />

non trovai lí la figura classica del missionario che «evangelizza». Anzi,<br />

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Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

quando cercai di «evangelizzare», anche se ovviamente da cattolico, qualche<br />

ragazzo buddista, affidato alle mie cure, fui richiamato dal direttore del collegio,<br />

perché si temeva che le famiglie ritirassero i loro figli dalla scuola e<br />

che si avessero serie noie da parte delle autorità civili.<br />

Ero perplesso e cominciai a chiedermi che cosa mai fossi venuto a fare<br />

nello Sri Lanka. . . .<br />

Nel frattempo, per <strong>un</strong>a specie di «istinto intellettuale» che mi ha sempre accompagnato<br />

in tutte le vicende della mia vita, cominciai a studiare seriamente<br />

il singalese, la lingua della maggioranza buddista dell’isola – la minoranza<br />

tamulica induista ovviamente parlava tamulico- e a perfezionare il mio inglese,<br />

che era la lingua ufficiale delle com<strong>un</strong>ità gesuitiche e compresa e parlata<br />

da moltissimi nell’isola – v’erano anche vari giornali pubblicati in inglese.<br />

Ma piú di ogni altra cosa, ero interessato nel Buddismo. Mi procurai il testo<br />

originale in «Pali», <strong>un</strong>’altra lingua indiana, affine al Sanscrito, dei piú importanti<br />

discorsi del Budda con la relativa versione inglese e cominciai a<br />

studiarli seriamente – ancora oggi conservo gelosamente il frutto scritto di<br />

quei miei studi, che mi sono stati, e mi sono tuttora, molto utili nell’esercizio<br />

del mio ministero, considerando l’attuale diffusione del Buddismo anche<br />

in Italia e la necessità di confutare tale filosofia, nelle sue varie ramificazioni,<br />

alla luce della Parola di Dio.<br />

Intanto continuai, sempre privatamente, a leggere la Bibbia, concentrandomi<br />

sul Nuovo Testamento – anche questo era <strong>come</strong> <strong>un</strong> «istinto», ma son certo<br />

che era lo Spirito Santo che mi spingeva sempre piú in quella direzione, per<br />

poter poi coglierne i frutti al momento opport<strong>un</strong>o, <strong>come</strong> infatti avvenne alc<strong>un</strong>i<br />

anni dopo.<br />

Come avevo fatto in Italia, anche qui, nello Sri Lanka, cercai di assolvere i<br />

compiti che mi erano stati affidati nel miglior modo possibile, anche se lí lo<br />

feci con maggior difficoltà, trovandomi ad agire in <strong>un</strong> contesto culturale, che<br />

mi era estraneo, anche se ancora molto «inglesizzato» – da appena da <strong>un</strong>a<br />

decina d’anni lo Sri Lanka si era reso indipendente dalla Gran Bretagna.<br />

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Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

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Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

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Capitolo Sesto<br />

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IN INDIA<br />

...e il turbamento continuò quando mi<br />

trovai dinanzi all’Induismo e all’Islam...<br />

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Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

TEOLOGIA IN INDIA<br />

Verso la fine del 1959 fui inviato in India, e precisamente a Poona,<br />

per studiare Teologia <strong>presso</strong> <strong>un</strong> Istituto filosofico e teologico dell’Ordine, e<br />

cosí prepararmi all’ordinazione sacerdotale.<br />

Già nello Sri Lanka l’impatto con il Buddismo mi aveva non poco turbato, e<br />

il turbamento continuò quando mi trovai dinanzi all’Induismo e all’Islam,<br />

due religioni con <strong>un</strong> bagaglio culturale e religioso secolare, che sfidavano la<br />

mia «fede cattolica». D’altra parte notavo non poche somiglianze tra il Cattolicesimo<br />

Romano e l’Induismo, soprattutto a livello di devozione popolare,<br />

fatta di immagini varie, statue, statuette, cerimonie, processioni. Per non<br />

parlare di certe tendenze «ecumeniche», anche da parte di alc<strong>un</strong>i colleghi<br />

Gesuiti, che cercavano di vedere quello che c’era di «buono» nell’Induismo<br />

e in altre religioni, fino ad ammettere che ci si poteva salvare per la propria<br />

«buona fede», e quindi senza <strong>un</strong>a esplicita fede in Gesú Signore e Salvatore.<br />

Tuttavia, sebbene queste idee circolassero non poco tra i miei colleghi, personalmente<br />

non ne ero convinto. Cominciai allora, quasi inconsciamente,<br />

<strong>un</strong>a mia ricerca personale che aveva <strong>come</strong> scopo quello di appurare quale<br />

fosse l’essenza del Cristianesimo, al di là di quelle che cominciavano già ad<br />

apparirmi <strong>come</strong> sovrastrutture o distorsioni del Cattolicesimo Romano.<br />

Tale ricerca fu da me condotta soprattutto mediante la Bibbia. Difatti devo<br />

ammettere che Dio si era servito perfino di persone poco edificanti incontrate<br />

nel 1951 per istillarmi <strong>un</strong> profondo amore per la Sua Parola. Sebbene<br />

quindi la Bibbia non fosse mai stata parte integrante dei miei studi nell’Ordine,<br />

privatamente non avevo mai cessato di leggerla. In particolare, avendo<br />

fatto il Liceo Classico, avevo facilmente accesso al Nuovo Testamento greco,<br />

e ora ero stato anche introdotto nella lingua ebraica da <strong>un</strong> breve corso tenutosi<br />

nell’Istituto teologico che frequentavo.<br />

Misi quindi da parte tutto ciò che mi era stato insegnato fino a quel momento<br />

sul Cattolicesimo Romano, e mi concentrai sulla Parola di Dio. E indubbiamente<br />

in questo fui assistito dallo Spirito Santo, soprattutto per non essere<br />

condizionato dal contesto cattolico-romano, in cui, com<strong>un</strong>que, continuavo<br />

a vivere. Ma bisogna ammettere che lo Spirito Santo ebbe molto da fare con<br />

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Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

me, che ero sempre stato, soprattutto da quando ero entrato nell’Ordine, <strong>un</strong><br />

Cattolico convinto.<br />

In ogni caso, a poco a poco mi resi conto che l’essenza del Cristianesimo<br />

non era costituita da <strong>un</strong> «corpo di dottrine», ma dalla Persona e dall’Opera<br />

redentrice del Signore Gesú Cristo. Sull’orizzonte della mia vita stava finalmente<br />

sp<strong>un</strong>tando il «Sole», che l’avrebbe illuminata tutta, fugando le tenebre<br />

della «religione», intesa <strong>come</strong> <strong>un</strong> sistema di dogmi antibiblici, superstizioni<br />

e idolatria.<br />

Ma il cambiamento non avvenne in poco tempo, dato che ero ancora legato<br />

culturalmente al Cattolicesimo Romano e all’Ordine Gesuitico. Nel 1963 fui<br />

«ordinato» sacerdote e <strong>un</strong> anno dopo ritornai nello Sri Lanka, dove avrei dovuto<br />

esercitare il mio «ministero».<br />

Tra i vari incarichi che i miei Superiori mi diedero in quell’anno, <strong>un</strong> giorno<br />

fui inviato a Nuwara Elya, <strong>un</strong>a cittadina al centro dell’isola, per dare <strong>un</strong>a serie<br />

di conferenze sulla Bibbia ad alc<strong>un</strong>i catechisti cattolici, dato che i Superiori<br />

sapevano del mio interesse per la Bibbia e che ne avevo fatto particolare<br />

oggetto di studio. Anzi, a onor del vero, devo precisare che nella Chiesa<br />

Cattolica, credo specialmente per interesse del Papa Giovanni XXIII, ufficialmente<br />

era in corso <strong>un</strong>a specie di «revival» degli studi biblici, senza però<br />

che questo incidesse sostanzialmente sulle dottrine caratteristiche del Cattolicesimo<br />

Romano.<br />

Mentre d<strong>un</strong>que tenevo queste conferenze, durante <strong>un</strong> intervallo, passeggiando<br />

per <strong>un</strong>a delle vie della cittadina, notai <strong>un</strong>a chiesa evangelica. La mia attenzione<br />

fu attratta particolarmente da <strong>un</strong>a notevole attività attorno a quella<br />

modesta saletta: <strong>un</strong> altoparlante trasmetteva messaggi evangelistici; varie<br />

persone, compresi alc<strong>un</strong>i bambini, distribuivano opuscoli di evangelizzazione.<br />

Anzi <strong>un</strong>o di loro si avvicinò a me e me ne diede <strong>un</strong>o. A questo p<strong>un</strong>to mi<br />

sentii <strong>come</strong> spinto a entrare in quella «chiesa».<br />

Fui ricevuto molto cordialmente da alc<strong>un</strong>i membri della Com<strong>un</strong>ità, tra cui<br />

quello che sembrava il Pastore. Era evidentemente <strong>un</strong> europeo e mi spiegò<br />

che quella chiesa, <strong>come</strong> altre nell’isola, era gestita da <strong>un</strong>a Missione evangelica<br />

svedese. Mi diedero altri vari opuscoli e anche <strong>un</strong> giornale chiamato<br />

«L’Araldo della Sua Venuta», in inglese ovviamente, dato che a quell’epoca<br />

l’inglese era ancora molto usato nell’isola, sebbene le due lingue locali, il<br />

Singalese e il Tamulico stessero emergendo sempre di piú – specialmente il<br />

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Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

Singalese, che ora è la lingua ufficiale della Repubblica.<br />

Fui anche invitato a partecipare alle loro ri<strong>un</strong>ioni di evangelizzazione che si<br />

sarebbero tenute nei giorni successivi. E difatti vi partecipai, rimanendo colpito<br />

dallo zelo di quelle persone per l’Evangelo e la Parola di Dio, che era al<br />

centro della loro predicazione e testimonianza cristiana. In particolare mi<br />

fece molto meditare <strong>un</strong> sermone che ascoltai sulla conclusione del famoso<br />

discorso di Gesú sul monte – la casa costruita sulla roccia e la casa costruita<br />

sulla sabbia. . . . . Conservo ancora gli app<strong>un</strong>ti in inglese che presi in quell’occasione.<br />

Fu cosí che cominciai piú che mai a chiedermi su che cosa fosse costruita la<br />

casa della mia vita – sulla sabbia della religione e delle tradizioni degli uomini<br />

o su Cristo e la Sua Parola. . . .<br />

Ormai l’azione dello Spirito Santo in me era sempre piú esplicita, e il mio<br />

interesse per la Scrittura cresceva rapidamente, tanto da assorbire tutta la<br />

mia attenzione. Pur essendo culturalmente legato ancora alla Chiesa Cattolica,<br />

e anche affettivamente all’Ordine dei Gesuiti, in realtà me ne stavo già<br />

allontanando, perché, sebbene ancora debole e in lontananza, sentivo già la<br />

voce del Buon Pastore che mi chiamava a far parte del Suo ovile (Giovanni<br />

10:16).<br />

Dopo alc<strong>un</strong>i mesi, nel 1964, fui inviato in <strong>un</strong>a casa dei Gesuiti nel sud dell’India<br />

– dovevo fare «Il Terzo Anno», cioè <strong>un</strong>a specie di «Terzo anno di<br />

Noviziato» prima di diventare <strong>un</strong> Gesuita ben formato, pronto per fare gli<br />

«Ultimi Voti», che m’avrebbero legato indissolubilmente all’Ordine. Furono<br />

mesi di studio delle Costituzioni dell’Ordine e di «ritiro spirituale». Ma per<br />

me furono molto importanti perché ebbi occasione di incontrarmi con alc<strong>un</strong>i<br />

Pastori evangelici nel contesto di vari «contatti ecumenici», e specialmente<br />

con <strong>un</strong> Pastore luterano, mediante il quale potetti leggere alc<strong>un</strong>e opere fondamentali<br />

di Lutero in <strong>un</strong>a buona versione inglese.<br />

Per farla breve, mi accorsi che non ero piú <strong>un</strong> vero e proprio Cattolico – ma<br />

non tanto perché ormai non pregavo privatamente piú a Maria e ai «santi», o<br />

perché cominciavo a non credere piú alla Messa <strong>come</strong> <strong>un</strong> «vero e proprio sacrificio»,<br />

secondo la definizione del «Concilio di Trento» e la dottrina ufficiale<br />

della Chiesa Cattolica. No, ma soprattutto perché Gesú Cristo stava<br />

sempre piú al centro della mia vita e dei miei pensieri. Il resto mi sembra o<br />

erroneo alla luce della Sua Parola, e per lo meno inutile: se c’è il Sole, che<br />

te ne fai di <strong>un</strong>a torcia elettrica?<br />

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Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

Gesú Cristo mi appariva sempre piú <strong>come</strong> il Salvatore e quindi <strong>come</strong> <strong>un</strong>ico<br />

Mediatore tra Dio e gli uomini – e quindi a che serviva il papa, la gerarchia<br />

cattolica – e io stesso perché mai mi dicevo «sacerdote» dal momento che,<br />

secondo la Parola di Dio, ora c’è solo <strong>un</strong> Sommo Sacerdote, il Signore Gesú<br />

Cristo che ha compiuto il sacrificio che ha redento l’umanità peccatrice <strong>un</strong>a<br />

volta per sempre? Difatti «Gesú, dopo aver offerto <strong>un</strong> <strong>un</strong>ico sacrificio per i<br />

peccati, e per sempre, si è seduto alla destra di Dio. . . . . Con <strong>un</strong>’<strong>un</strong>ica offerta<br />

Egli ha reso perfetti per sempre quelli che si sono santificati. Ora,<br />

dove c’è il perdono di queste cose, non c’è piú bisogno di offerte per il peccato»<br />

(Lettera agli Ebrei 10:12, 14, 18).<br />

Non bisogna pensare che questi fossero tutti pensieri coscienti: non osavo<br />

gi<strong>un</strong>gere a certe conclusioni «estreme», ma lo Spirito Santo era certamente<br />

all’opera in me piú che mai.<br />

Intanto la situazione politica nello Sri Lanka era cambiata e il nuovo governo<br />

nazionalista stava espellendo i missionari stranieri gi<strong>un</strong>ti nell’isola negli<br />

ultimi anni. Cosí approfittai di quella situazione e chiesi ai miei Superiori<br />

d’Italia di essere rimpatriato. Difatti sentivo che dovevo tornare in Italia –<br />

del resto, prima o poi anch’io avrei dovuto lasciare l’isola.<br />

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Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

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Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

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Capitolo Settimo<br />

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IL RITORNO IN ITALIA<br />

E LA SVOLTA DEFINITIVA<br />

Preferii Dio a Baal!<br />

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Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

IL RITORNO IN ITALIA E LA SVOLTA DEFINITIVA<br />

Nel maggio del 1965, dopo sette anni, tornai in Italia. Dopo aver trascorso<br />

circa due mesi a Napoli, mia città natale, dove ebbi occasione di rivedere<br />

la mia famiglia (mio padre però era morto nel 1962 senza che potessi<br />

tornare in Patria per aiutare e confortare direttamente mia madre, mia sorella<br />

e mio fratello), i miei Superiori mi inviarono a Roma per specializzarmi in<br />

Sacra Scrittura. Cominciai cosí a frequentare il Pontificio Istituto Biblico<br />

gestito dai Gesuiti.<br />

Occupato <strong>come</strong> ero da studi non facili, in pratica avevo accantonato la mia<br />

ricerca della verità. Il Signore però non aveva accantonato proprio niente e<br />

trovò il modo di mettermi dinanzi alle mie responsabilità.<br />

Devo premettere che prima di lasciare l’India, avevo scritto <strong>un</strong>a lettera al<br />

Direttore italiano dell’Araldo della Sua Venuta, in cui gli dicevo che, nello<br />

spirito ecumenico del momento, <strong>un</strong>a volta in Italia, avrei voluto collaborare<br />

con il giornale, che mi era tanto piaciuto.<br />

Ora, oltre a studiare, pensai bene di darmi anche <strong>un</strong> po’al «ministero» attivo,<br />

e cosí ebbi l’opport<strong>un</strong>ità di prestare i miei servizi in <strong>un</strong>a grande chiesa cattolica<br />

nel quartiere di Tor di Quinto. La domenica celebravo la Messa e predicavo;<br />

qualche volta predicavo anche durante la Messa celebrata da qualche<br />

prete straniero che non parlava bene l’italiano; ascoltavo le confessioni dei<br />

fedeli, e il venerdí sera tenevo <strong>un</strong>o studio biblico per i giovani della parrocchia.<br />

Ben presto mi accorsi dell’ignoranza di tanta gente che veniva a confessarsi<br />

da me per quanto riguardava le dottrine cristiane fondamentali. Pensai<br />

quindi che oltre a dare consigli e istruzioni a voce, sarebbe stato meglio<br />

dar loro qualcosa da portare a casa e leggere. Mi ricordai allora degli opuscoli<br />

che mi erano stati dati nello Sri Lanka da quegli evangelici. Anche qui<br />

in Italia, pensai, vi deve essere qualcosa del genere. . . .<br />

Un giorno, mentre passeggiavo nei pressi della stazione di Roma, vidi che<br />

c’era <strong>un</strong>a «Fiera del Libro» fatta di varie bancarelle di libri a buon prezzo.<br />

C’era anche <strong>un</strong> banco di <strong>un</strong> evangelico che vendeva copie della Bibbia e libri<br />

cristiani. Gli chiesi allora se avesse opuscoli in italiano <strong>come</strong> quello che<br />

avevo io in inglese – difatti avevo conservato <strong>un</strong>o di quegli opuscoli datimi<br />

nello Sri Lanka. Mi disse che ne aveva alc<strong>un</strong>i, ma che se ne volevo <strong>un</strong> buon<br />

numero e di tipi diversi, sarei dovuto andare nella Libreria Evangelica poco<br />

distante da lí.<br />

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Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

Un paio di giorni dopo ero nella Libreria Evangelica. Fui ricevuto molto<br />

gentilmente dal gestore. C’era anche <strong>un</strong>a signora che, <strong>come</strong> scoprii dopo, era<br />

sua moglie. Chiesi gli opuscoli che mi interessavano e mentre me li mostrava,<br />

cominciò a chiedermi chi fossi e da dove venissi. Per sommi capi gli dissi<br />

che venivo dall’India. Allora notai qualcosa di strano: quel signore e sua<br />

moglie mi guardavano <strong>come</strong> se volessero riconoscere qualc<strong>un</strong>o; poi si guardavano<br />

l’<strong>un</strong> l’altro con aria interrogativa. . . . Quindi mi chiesero: «Ma lei<br />

<strong>come</strong> si chiama?» «Edoardo Labanchi», risposi sorpreso da quell’inaspettata<br />

domanda. «Ah, allora è. . . . . lui», o qualcosa del genere – non ricordo bene<br />

– detto da quell’uomo mi sorprese indicibilmente. «Come mi conoscono?»,<br />

mi chiesi sbalordito.<br />

«Lei non ha forse scritto al Direttore dell’Araldo della Sua Venuta, qui a<br />

Roma?», «Sì», risposi, ancora piú sbalordito. «Bene, la sua lettera è stata<br />

mandata qui dal Direttore, perché questa è la sede della redazione del giornale,<br />

e io ne sono, app<strong>un</strong>to, il redattore». «Anzi», aggi<strong>un</strong>se mostrandomi la<br />

lettera, «lei dice qui che le piacerebbe collaborare con noi. . . ».<br />

Io credo che vi sono momenti nella nostra vita in cui particolarmente ci sentiamo<br />

<strong>come</strong> messi da Dio alle strette. Certo, quella sembrava solo <strong>un</strong>a catena<br />

di eventi umani, ma lí, in quel momento, io sentii che qualcosa di insolito<br />

stava accadendo nella mia vita. Sentii che Dio voleva che mi mantenessi in<br />

contatto con quelle persone, e difatti da quel giorno in poi continuai a incontrare<br />

i miei amici nella libreria e anche in case private, dove conobbi altri<br />

evangelici. Mediante loro, ebbi l’opport<strong>un</strong>ità di frequentare alc<strong>un</strong>e Chiese<br />

Evangeliche di Roma e ben presto mi accorsi che preferivo stare piú con i<br />

miei amici evangelici che con i miei colleghi Gesuiti – e questo esclusivamente<br />

per ragioni spirituali. Difatti in realtà io ero già <strong>un</strong> evangelico, nel<br />

mio cuore e nella mia mente, anzi, meglio, Cristo stava divenendo sempre<br />

piú il centro e il fondamento della mia vita.<br />

Cosí cominciai a scartare dal mio bagaglio spirituale tutte quelle dottrine e<br />

pratiche cattoliche che non avevano niente a che fare con l’Evangelo. D’altra<br />

parte, si parlava tanto a quell’epoca delle «novità portate nella Chiesa<br />

Cattolica dal Concilio Vaticano II», che mi lasciai coinvolgere, sperando in<br />

<strong>un</strong>a riforma della Chiesa Cattolica all’interno, anche il Movimento Ecumenico<br />

era in auge e quindi mi chiedevo se valesse davvero la pena lasciare la<br />

Chiesa Cattolica, dal momento che avrei potuto «lavorare» dall’interno, predicando<br />

l’Evangelo e portando tanti Cattolici al Signore.<br />

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Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

Cosí pensavo, ma era <strong>un</strong>’illusione. Ben presto mi accorsi che nonostante il<br />

Concilio nulla di sostanziale era cambiato nel Cattolicesimo Romano e il<br />

Movimento Ecumenico mi sembrava <strong>un</strong>a farsa, ben sapendo che per la Chiesa<br />

Cattolica «riconciliazione» con i «fratelli separati» non poteva significare<br />

altro che accettazione da parte di questi dell’autorità papale, con tutte le sue<br />

logiche conseguenze.<br />

D’altra parte, la mia posizione era molto difficile. Io non ero <strong>un</strong> «laico»<br />

qualsiasi, ma <strong>un</strong> «sacerdote» appartenente, ora, all’Ordine Religioso piú importante<br />

nella Chiesa Cattolica. Inoltre ero stato inviato a Roma per studi di<br />

specializzazione e naturalmente i miei Superiori si aspettavano che mettessi<br />

a frutto ciò che avevo imparato. Capii però che mi sarebbe stato impossibile<br />

non rivelare i miei pensieri prima o poi senza ricorrere a sotterfugi e a compromessi.<br />

Insomma, per la grazia di Dio, riuscivo ancora a non cedere alle lusinghe<br />

dell’Ecumenismo, che già a quell’epoca, mieteva le sue vittime, trascinando<br />

non pochi nell’errore e nelle trappole di Satana. Il compromesso, infatti, è la<br />

via piú facile per evitare di prendere posizione e di assumersi la responsabilità<br />

di <strong>un</strong>a scelta. È <strong>un</strong> atto di vigliaccheria, indegna di discepoli di Cristo,<br />

che non scese mai a compromessi con niente e ness<strong>un</strong>o. Non si tratta di essere<br />

ottusi, intolleranti, fanatici, ss.)., ma di amare la Verità – a Pilato che lo<br />

interrogava, Gesú rispose: «Tu lo dici: Io sono Re; Io sono nato per questo,<br />

e per questo sono venuto al mondo: per testimoniare della Verità. Chi<strong>un</strong>que<br />

è dalla Verità ascolta la Mia voce» (Giovanni 18:37). E io cominciai sempre<br />

piú a percepire e ad ascoltare quella Voce.<br />

Cominciai quindi a disinteressarmi degli studi ufficiali che avrei dovuto seguire<br />

con la massima diligenza, concentrandomi sul mio problema fondamentale:<br />

lasciare o non lasciare la Chiesa Cattolica e la cosiddetta «Compagnia<br />

di Gesù»?.<br />

Il Signore allora intervenne ancora <strong>un</strong>a volta mettendomi soprattutto dinanzi<br />

all’episodio narrato nel capitolo 18 del primo Libro dei Re, dove il Profeta<br />

Elia si rivolse agli Israeliti idolatri con questo severo monito: «Fino a quando<br />

zoppicherete dai due lati. Se il Signore è Dio, seguitelo; se invece è<br />

Baal, seguite lui» (I Re 18:21). In quel momento, il mio «Baal» era, app<strong>un</strong>to,<br />

la Chiesa Cattolica, e particolarmente il Papa, che ne era il massimo rappresentante.<br />

Preferii Dio a Baal!<br />

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Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

Poco tempo dopo lasciai ufficialmente la Chiesa Cattolica e tutto quello che<br />

c’era da lasciare per seguire Cristo – il vero Cristo della Bibbia, non l’idolo<br />

che s’è fatto il Cattolicesimo Romano.<br />

Prima di andarmene, però, misi, nella cassetta della posta del Superiore dell’Istituto,<br />

<strong>un</strong>a mia lettera di dimissioni con i motivi che stavano alla base di<br />

quella decisione. Scrissi anche l’indirizzo della Libreria Evangelica, perché<br />

non avevo ness<strong>un</strong>a intenzione di nascondermi.<br />

Qualche anno fa ho saputo che purtroppo all’epoca del mio «esodo», alc<strong>un</strong>i<br />

– non meglio identificati – fecero circolare delle voci sui veri pres<strong>un</strong>ti motivi<br />

della mia «apostasia» dalla Chiesa Cattolica e dall’Ordine dei Gesuiti.<br />

Erano e sono solo infami falsità inventate da chi non si è forse mai rassegnato<br />

a vedere sfuggire <strong>un</strong>a preda dalle grinfie della superstizione e dell’idolatria,<br />

proprie della Chiesa Cattolica. In ogni caso, pubblico qui, per la prima<br />

volta, la lettera ufficiale che l’Ordine mi inviò a suo tempo e che fu firmata<br />

dal Segretario del Generale dell’Ordine. La pubblico sia nell’inglese del testo<br />

originale (lo scrivente credo fosse <strong>un</strong> americano), sia in <strong>un</strong>a mia versione<br />

italiana. Ed ecco, app<strong>un</strong>to, la versione italiana per chi non conosce l’inglese:<br />

«Caro Edoardo, desidero informarti che, dietro tua richiesta, <strong>un</strong>a copia<br />

della tua lettera al Padre Furlong è stata inviata al Reverendissimo Padre<br />

Generale e al Padre Provinciale di Napoli. Essi quindi saranno a conoscenza<br />

delle tue decisioni, con le relative ragioni che per te sono importanti.<br />

Naturalmente sono stato sorpreso dinanzi alla tua decisione, sic<strong>come</strong> non<br />

mi ero accorto delle tue difficoltà in questioni dottrinali. In ogni caso abbiamo<br />

capito ancor piú chiaramente, in tempi recenti, che la coscienza dell’uomo<br />

è qualcosa che riguarda lui solo. Perciò, mentre, naturalmente, non<br />

posso essere d’accordo con la tua attuale decisione, desidero che tu sappia<br />

che prego Dio, affinché possa guidarti in tutto ciò che farai e che possa guidarti<br />

alla meta alla quale Egli desidera condurti.<br />

Devotamente in nostro Signore. Francis J. Mc Cool, S. J.<br />

Ed ecco il testo originale in inglese alla pagina seguente:<br />

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Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

Questa sembra quasi <strong>un</strong>a «lettera evangelica», ma non bisogna lasciarsi ingannare<br />

dalle apparenze: il sostrato è sempre quello cattolico, e quindi improntato<br />

a superstizione e idolatria.<br />

Dal 6 giugno 1967, data del mio «esodo», sebbene, all’inizio, io sia stato<br />

non poco aiutato dai miei amici evangelici di Roma, la mia vita non è stata<br />

affatto facile, ma Dio mi ha costantemente guidato, rimediando anche ad alc<strong>un</strong>i<br />

errori commessi a causa della mia inesperienza nei confronti delle inevitabili<br />

scelte e difficoltà che la vita comporta.<br />

Certo, il 6 giugno 1967, da <strong>un</strong> p<strong>un</strong>to di vista umano, passai, <strong>come</strong> si suol<br />

dire «dalle stelle alle stalle». Ero <strong>un</strong> «poveraccio», possedendo ben poco: <strong>un</strong><br />

vestito, <strong>un</strong> giubotto, <strong>un</strong> po’di biancheria intima, qualche libro, dispense <strong>un</strong>iversitarie.<br />

. .<br />

Questo è tutto! Fui quindi ospitato nell’Istituto Biblico Evangelico Italiano<br />

di Roma – dove poi in seguito avrei insegnato per alc<strong>un</strong>i anni – e facevo servizio<br />

nella Libreria Evangelica. Qui, già il 7 giugno mattina, fui visitato dal<br />

Superiore della <strong>Casa</strong> dove avevo alloggiato fino al giorno precedente, il quale<br />

cercò di convincermi a ritornare sui miei passi: mi propose di stare in <strong>un</strong>a<br />

<strong>Casa</strong> di Gesuiti per meditare sul da farsi, in modo che la mia decisione fosse<br />

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Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

piú ponderata. Naturalmente il suo fu <strong>un</strong> tentativo fallito, <strong>come</strong> quello di altri<br />

miei ex-colleghi che vennero a visitarmi.<br />

Dopo qualche tempo, andai anche a Napoli, dove incontrai i miei parenti che<br />

ovviamente non accettarono la mia decisione, ma senza prendere <strong>un</strong>a posizione<br />

apertamente ostile nei miei confronti. In quell’occasione, diedi la mia<br />

testimonianza in <strong>un</strong>a chiesa evangelica, gremita di credenti, che avevano<br />

pregato per la mia conversione. Sí, perché la lettera che, <strong>come</strong> ricorderete,<br />

avevo inviato al Direttore dell’Araldo della Sua Venuta, era stata fatta circolare<br />

tra tanti credenti a Napoli e altrove, accompagnata da <strong>un</strong>’accorata richiesta<br />

di preghiere per la conversione di quel Gesuita, cosí aperto e interessato<br />

all’Evangelo. E proprio la mia attuale moglie, Carmen, fu tra le piú attive<br />

nel promuovere <strong>un</strong>a tale iniziativa, senza avermi mai conosciuto e quindi<br />

mossa soltanto da <strong>un</strong> motivo di carattere spirituale. Grazie a Dio, tutte quelle<br />

preghiere rivolte a Dio per me produssero davvero <strong>un</strong> buon frutto! Gli<br />

straordinari e sorprendenti piani di Dio che si realizzano in circostanze davvero<br />

incredibili!<br />

In quell’anno trascorsi anche due mesi in Inghilterra, ospite, per <strong>un</strong> mese, di<br />

<strong>un</strong>’Associazione Missionaria Evangelica, mentre trascorsi l’altro mese a<br />

predicare e dare la mia testimonianza ogni giorno in tante località, in chiese<br />

evangeliche sempre gremite di credenti. Ma, <strong>come</strong> avevo fatto in Italia, ci<br />

tenni sempre a precisare che non ero affatto <strong>un</strong> «fenomeno» – <strong>un</strong> Gesuita<br />

che si converte! – ma che avevo fatto ciò che dovevo fare, con la grazia di<br />

Dio. Non ero e non sono <strong>un</strong> eroe, ma <strong>un</strong> salvato dal peccato e dalle sue terribili<br />

conseguenze esclusivamente per la misericordia di Dio.<br />

Devo com<strong>un</strong>que confessare che non sempre trovai la comprensione, di cui<br />

avevo bisogno, da parte degli Evangelici, alc<strong>un</strong>i dei quali cominciarono a<br />

dirmi spesso che ora dovevo sposarmi – questo non era stato affatto lo scopo<br />

della mia conversione, né era per me <strong>un</strong>a questione di primaria importanza.<br />

In ogni caso, <strong>come</strong> accennavo prima, il Signore supplí a tutte le mie esigenze,<br />

lasciandomi anche sbagliare, perché impariamo perfino dai nostri errori.<br />

Ma mi fermo qui, per quanto riguarda le mie esperienze personali dopo la<br />

conversione, perché è <strong>un</strong> tema che esula dall’argomento di questo mio scritto.<br />

Ora sono felicemente sposato da 35 anni con Carmen, che è anche mia stretta<br />

collaboratrice in tutte le mie attività ministeriali. Difatti sono Pastore a<br />

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Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

tempo pieno nella Chiesa Apostolica in Italia e mi occupo prevalentemente<br />

di Studi Biblici. Risiedo a Grosseto, in Toscana, e dirigo il Centro Studi<br />

Teologici, che fornisce Corsi Biblici per Corrispondenza e pubblica il Trimestrale<br />

di Teologia Biblica «Riflessioni». Ho sempre collaborato con altre<br />

chiese e organizzazioni evangeliche, specialmente Case Editrici, e difatti ancora<br />

circolano in Italia alc<strong>un</strong>i libri da me redatti o tradotti, per lo piú dall’inglese<br />

in italiano. Un mio libro sul culto di Maria dal titolo «Marianesimo o<br />

Cristianesimo?» è stato tradotto anche in Croato. Attualmente collaboro<br />

<strong>come</strong> traduttore per la <strong>Casa</strong> <strong>Editrice</strong> che pubblica il Commentario Biblico di<br />

Matthew Henry, <strong>come</strong> si legge anche nella testimonianza che è stata pubblicata<br />

all’inizio del II volume di quest’opera. E la mia adesione all’invito, rivoltomi<br />

dal fratello Antonio Consorte, a scrivere questa autobiografia, è scaturita<br />

soprattutto da <strong>un</strong>a motivazione di fondo: tutta la storia della mia vita<br />

spirituale sfociata nella mia conversione a Cristo nel 1967, con tutti i suoi<br />

conseguenti risvolti, e nel mio ministero a tempo pieno nella Chiesa, soprattutto<br />

per l’edificazione spirituale dei credenti, è stata sempre scandita dalla<br />

lettura e dallo studio della Parola di Dio, che deve essere al centro della vita<br />

di ogni Cristiano, degno di questo nome. In pratica ho vissuto ciò che il Signore<br />

ha detto, mediante il profeta Isaia, della Sua Parola pron<strong>un</strong>ziata da<br />

Lui, e che certamente vale anche per la Sua Parola scritta: «Come la pioggia<br />

e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver annaffiata la terra,<br />

senza averla fecondata e fatta germogliare, affinché dia seme al seminatore<br />

e pane da mangiare, cosí è della mia Parola, uscita dalla mia bocca:<br />

Essa non torna a me a vuoto, senza aver compiuto ciò che Io voglio e condotto<br />

a buon fine ciò per cui l’ho mandata» (Isaia 55:10, 11).<br />

Sí, il Signore mi ha veramente benedetto e mi benedice anche quanto alla<br />

mia vita privata, dandomi, oltre a <strong>un</strong>a moglie, anche <strong>un</strong>a figlia, sposata a <strong>un</strong><br />

avvocato, e due nipotini, <strong>un</strong> maschietto e <strong>un</strong>a femminuccia – mio genero<br />

scrive anche sul nostro Trimestrale di Teologia Biblica, mentre mia figlia mi<br />

aiuta <strong>come</strong> traduttrice. Le gioie familiari non sono affatto incompatibili con<br />

<strong>un</strong>a consacrazione totale della propria vita al servizio del Signore.<br />

Sí, soprattutto mediante la lettura e lo studio della Sua Parola, sotto l’indispensabile<br />

guida dello Spirito Santo, il Signore mi ha sradicato dalla terra<br />

arida delle tradizioni degli uomini, della superstizione e della idolatria e mi<br />

ha <strong>piantato</strong> <strong>come</strong> <strong>un</strong> <strong>albero</strong> <strong>presso</strong> <strong>rivi</strong> d’acqua, affinché, per la Sua grazia,<br />

io potessi produrre frutti nelle varie stagioni della mia vita, e ancora oggi a<br />

71 anni (Salmo 1:3), poiché «i giovani si affaticano e si stancano; i giovani<br />

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Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

scelti vacillano e cadono, ma quelli che sperano nell’Eterno acquistano<br />

nuove forze, s’alzano a volo <strong>come</strong> aquile; corrono e non si stancano, camminano<br />

e non si affaticano» (Isaia 40:30). E cosí sarà, ne sono certo, finché<br />

Dio vorrà. A Lui, «al Re Eterno, immutabile, invisibile, a l’<strong>un</strong>ico Dio, siano<br />

onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen!». (I Timoteo 1:17).<br />

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Autobiografia spirituale Edoardo Labanchi<br />

70


Testimonianza Carmen Del Prato Labanchi<br />

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Capitolo Ottavo<br />

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TESTIMONIANZA<br />

DI CARMEN DEL PRATO<br />

LABANCHI<br />

71


Testimonianza Carmen Del Prato Labanchi<br />

Se volessi quantificare il lavoro che sulle varie macchine da scrivere<br />

ho fatto nella mia vita, potrei dire, senza la preoccupazione di essere smentita,<br />

di aver trascorso tre quarti dei miei anni a lavorare. Libri, <strong>rivi</strong>ste, lettere,<br />

corsi biblici, opuscoli, dispense teologiche, dispense <strong>un</strong>iversitarie, testimonianze<br />

cristiane, traduzioni di libri e commentari dall’inglese, francese, tedesco,<br />

ecc., sono stati i «tasti» che le mie dita hanno «battuto» per anni ed anni<br />

senza alc<strong>un</strong>a interruzione e sotto diverse «effigi denominazionali», ma pur<br />

sempre cristiane!<br />

La mia ricerca del vero Dio cominciò quando ero molto piccola. Non ero<br />

contenta della religiosità imperante in Italia e in casa mia, perché essa non<br />

rispondeva alle mie necessità. Le paure e le atrocità della guerra (l’ultima<br />

Guerra Mondiale), mi com<strong>un</strong>icavano <strong>un</strong>a instabilità psichica terribile. Qualsiasi<br />

rumore o «allarme», (a quel tempo per mezzo delle «sirene»), mi com<strong>un</strong>icava<br />

<strong>un</strong> terrore incontrollabile che mi portava a fuggire o a nascondermi.<br />

Nemmeno l’abbraccio amoroso di mia madre e di mia nonna, potevano placare<br />

in me quel terrore immenso e incondizionato... La paura della morte, di<br />

questa «nera signora» che mi avrebbe portata via.... MA DOVE ?<br />

Fu in questo stato d’animo mio, inconfessato e inconfessabile, che a otto<br />

anni, <strong>un</strong>a notte, mentre uscivamo da <strong>un</strong> ricovero, guardando il cielo – (e<br />

questa volta non per scrutarlo se c’erano bombardieri), feci la mia prima<br />

preghiera: «Signore, qui mi dicono tutti che Tu sei <strong>un</strong> Dio d’amore... Ma si<br />

uccidono fra di loro e vogliono uccidere anche me, che non ho fatto niente!<br />

Ma se Tu veramente esisti, IO VOGLIO CONOSCERTI !».<br />

Non ripetei più quella preghiera, perché l’educazione che avevo ricevuto dai<br />

miei genitori mi vietava di insistere, specialmente davanti alle «autorità»....<br />

Rimasi però in attesa della risposta. E la risposta mi venne dopo 4 anni. Era<br />

finita la guerra e incontrai, per circostanze che solo Dio può tessere per noi<br />

mortali, <strong>un</strong>a giovane missionaria americana che, <strong>un</strong>a sera, in <strong>un</strong> angolo di<br />

<strong>un</strong>a sala della «Youth for Christ» (Gioventù per Cristo), con il suo limitatissimo<br />

italiano, mi disse: Iddio ha tanto amato Carmen, che ha dato il Suo<br />

Unigenito Figliuolo affinché Carmen non perisca, ma abbia vita eterna.<br />

Quella missionaria non sapeva della mia preghiera, non sapeva che lei rispondeva<br />

ad <strong>un</strong>a preghiera che avevo rivolta all’Onnipotente in tutta segretezza.<br />

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Testimonianza Carmen Del Prato Labanchi<br />

Lo Spirito di Dio mi investì in quel momento ed io accettai Gesù <strong>come</strong> mio<br />

personale Salvatore. La missionaria, Eleonora Fairchild, mi regalò <strong>un</strong> Nuovo<br />

Testamento dicendomi, «Quando vuoi che Iddio ti parla, leggi questo Libro,<br />

e quando vuoi tu parlare con Lui, fai <strong>come</strong> hai già fatto 4 anni fa!». Poi mi<br />

dette (scritti a macchina da lei), tre versetti da imparare a memoria: Giovanni<br />

3:16 ; Giovanni 5:24 ; 1 Giovanni 1:9 e mi disse. «Carmen, impara a memoria<br />

questi versetti perché dalla mente il Signore li farà passare nel tuo<br />

cuore e, dal tuo cuore – <strong>come</strong> <strong>un</strong>a spada – li farà uscire dalla tua bocca».<br />

E così avvenne! Ma questa è <strong>un</strong>’altra pagina della mia storia.<br />

Rividi quella giovane, bella e forte, solo per altre due volte perché, morì di lì<br />

a poco di leucemia fulminante. Nel frattempo era cominciata la lotta con i<br />

miei familiari con la proibizione assoluta di frequentare le ri<strong>un</strong>ioni della<br />

Youth for Christ che d’altronde lì a poco «chiuse i battenti». Non sapevo<br />

dell’esistenza di altre confessioni evangeliche perché la cara missionaria<br />

Eleonora non ebbe il tempo di parlarmene. Mi trovai, quindi, sola con <strong>un</strong>a<br />

ricchezza straordinaria nelle mani che si chiamava BIBBIA e <strong>un</strong>a ricchezza<br />

straordinaria in me, che si chiamava Gesù Cristo, Spirito Santo, Dio!<br />

Cominciai perciò a cibarmi intensamente di questa ricchezza. Leggevo la<br />

Bibbia più che potevo e il pensiero che si fece sempre più spazio in me (e<br />

che ora impera in me), fu questo: non tutti i personaggi biblici hanno avuto<br />

dei posti prestigiosi, preminenti nell’opera del Signore ed io mi sentivo sempre<br />

più attratta dai «senza nome» della Bibbia... Cominciai ad ammirare e a<br />

ringraziare Iddio della meravigliosa testimonianza del «ragazzo dei cinque<br />

pani e due pesci» (Gv. 6:1-15), del profeta senza nome che Dio mandò al re<br />

Geroboamo (1 Re 13:1-10), dei duecento uomini che «per la grande stanchezza»<br />

non avevano potuto seguire Davide, erano rimasti al torrente Besor.<br />

Davide ebbe a dire a chi li disprezzava: «Non fate così, fratelli miei, riguardo<br />

alle cose che l’Eterno ci ha date: Egli che ci ha protetti, e ha dato<br />

nelle nostre mani la banda ch’era venuta contro di noi. E chi vi darebbe<br />

retta in quest’affare? Qual è la parte di chi scende alla battaglia, tale deve<br />

essere la parte di colui che rimane <strong>presso</strong> il bagaglio; faranno tra loro le<br />

parti uguali» (1 Samuele 30: 21-31). Di quelli che, nel giorno in cui si comparirà<br />

davanti al Signore saranno posti alla sua destra per ricevere il suo regno<br />

e i giusti diranno: «Signore, quanto mai ti abbiamo veduto.....aver fame...<br />

aver sete.... veduto forestiero...ignudo...infermo....in prigione....E il Si-<br />

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Testimonianza Carmen Del Prato Labanchi<br />

gnore dirà loro: In verità vi dico che in quanto l’avete fatto ad <strong>un</strong>o di questi<br />

miei minimi fratelli, l’avete fatto a me». (Matteo 25:31-46).<br />

E poi il Signore mi fece riflettere su l’importanza straordinaria di tutti coloro<br />

che - rimanendo nell’anonimato più assoluto – hanno trascritto accuratamente,<br />

copiato tipograficamente, divulgato (a costo della propria vita), l’<strong>un</strong>ica<br />

vera Rivelazione dell’Onnipotente agli uomini – la Bibbia! Questo<br />

scritto meraviglioso che - attraverso millenni - è gi<strong>un</strong>to fino a noi anche per<br />

l’opera di prevenzione e fedeltà di migliaia di individui sconosciuti. Essi<br />

però non sono da meno degli uomini e donne di Dio che ricordiamo coi loro<br />

nomi e per gli alti compiti ricevuti nel meraviglioso piano di Dio per la salvezza<br />

del mondo!<br />

Io quindi, fui attratta da questo numero di «sconosciuti» e ho voluto prendervi<br />

parte, svolgendo – silenziosamente e nell’anonimato – il piccolo compito<br />

che il Signore mi ha dato grazia di svolgere. E questo si dica anche per<br />

quanto riguarda il bellissimo commentario di M. Henry, elaborando al computer<br />

le parti tradotte da mio marito Edoardo Labanchi.<br />

«Così anche voi,<br />

quando avrete fatto tutto ciò che vi è comandato, dite:<br />

“ Noi siamo servi inutili;<br />

abbiamo fatto quello che eravamo in obbligo di fare”»<br />

(Luca 17:10).<br />

FINE<br />

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