Rassegna Storica Crevalcorese - Dicembre 2011 - Comune di ...
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Rivista dell’Istituzione<br />
dei Servizi Culturali<br />
Paolo Borsellino<br />
<strong>di</strong> Crevalcore
<strong>Comune</strong> <strong>di</strong> Crevalcore<br />
<strong>Rassegna</strong> storica<br />
crevalcorese<br />
<strong>Dicembre</strong> <strong>2011</strong><br />
❦<br />
Istituto dei Servizi Culturali Paolo Borsellino
4<br />
<strong>Rassegna</strong> storica crevalcorese<br />
Rivista dell'Istituzione dei Servizi Culturali Paolo Borsellino <strong>di</strong> Crevalcore<br />
COMITATO dI REdAZIONE<br />
Paolo Cassoli<br />
Magda Abbati<br />
Roberto Tommasini<br />
Carla Righi<br />
dIRETTORE RESPONSABILE<br />
Magda Abbati<br />
Progetto Grafico<br />
Ufficio comunicazione <strong>Comune</strong> <strong>di</strong> Crevalcore<br />
Stampa<br />
Gruppo Sigem <strong>di</strong> Modena<br />
Informazioni e comunicazioni<br />
Istituzione dei Servizi Culturali Paolo Borsellino<br />
Via Persicetana 226 - 40014 Crevalcore (Bo);<br />
tel. 051.0981594, fax 051.6803580<br />
e mail: istituzione@comune.crevalcore.bo.it<br />
Ottavo numero, <strong>di</strong>stribuzione gratuita
SommaRIo<br />
Abbreviazioni 6<br />
Introduzione 7<br />
STUdI E RICERCHE<br />
Anna Natali 11<br />
Patente, libretto e gallici malori<br />
La prostituzione a Bologna e nel bolognese<br />
nel XIX secolo<br />
Roberto Tommasini 35<br />
I moti del 1831<br />
Galeazzo Gamberini 51<br />
Per una storia del risorgimento nell’alta padusa<br />
Roberto Tommasini 87<br />
I 685 giorni <strong>di</strong> Buoncuore<br />
Magda Abbati 105<br />
Alla vigilia dell’Unità, Ferraresi per caso<br />
5
6<br />
abbreviazioni<br />
Accademia In<strong>di</strong>fferenti Risoluti <strong>di</strong> Crevalcore: AIRC<br />
Anno accademico: a a<br />
Archivio Storico Comunale <strong>di</strong> Crevalcore: ASCC<br />
Biblioteca Comunale <strong>di</strong> Crevalcore: BCC<br />
Busta: b<br />
Carteggio Amministrativo: CA<br />
Opera citata: cit<br />
Fascicolo: fasc<br />
Manoscritto: ms<br />
Museo del I e II Risorgimento <strong>di</strong> Bologna: MRB<br />
Registro: reg<br />
Rubrica: rubr<br />
avvertenze e ringraziamenti<br />
Le immagini proposte in questo numero provengono dall’Archivio Storico<br />
Comunale <strong>di</strong> Crevalcore e dalla Collezione privata <strong>di</strong> Roberto Tommasini che,<br />
come sempre, ci regala tantissima <strong>di</strong>sponibilità e le sue bellissime immagini.<br />
Un altro ringraziamento va a Eugenio Menghini che pazientemente contribuisce<br />
alla raccolta or<strong>di</strong>nata del materiale che vedete qui pubblicato.<br />
Un grazie speciale a Lucio, al suo “tocco” fortunato e alla sua ostinazione.
Introduzione<br />
Raccontare e ricordare la storia dell’Italia attraverso episo<strong>di</strong> locali o eventi in<br />
ogni modo legati al territorio, penso sia un bel modo per rendere omaggio alla<br />
nostra Patria, ai suoi 150 anni e alla sua Unità.<br />
Credo sia anche un modo per attraversarli questi 150 anni e oltre, visto che<br />
alcuni contributi raccontano <strong>di</strong> vicende antecedenti il 1861, un modo per sentirle<br />
ancora nostre e non consegnarle definitivamente alla storia passata.<br />
Si <strong>di</strong>ce molto spesso che l’Italia è il paese dei mille campanili, e questo è sicuramente<br />
uno dei suoi tratti <strong>di</strong>stintivi. La <strong>di</strong>versità, il patrimonio locale, le singole<br />
territorialità, la frammentazione, i tanti <strong>di</strong>aletti, le tra<strong>di</strong>zioni popolari, che si fanno<br />
paese, per costruire l’Italia unita.<br />
Un’Italia che ci ha messo 85 anni per <strong>di</strong>ventare repubblica, e due in più per<br />
avere una carta dei valori, la Costituzione.<br />
Un’Italia che in 150 anni è stata attraversata da eserciti conquistatori e da eserciti<br />
liberatori.<br />
Un’Italia che ha visto la sua gente emigrare in cerca <strong>di</strong> lavoro e fortuna, e che<br />
ha visto le genti <strong>di</strong> altri paesi immigrare in cerca <strong>di</strong> lavoro e fortuna.<br />
Chissà se Mazzini, Mameli, Ugo Bassi, Garibal<strong>di</strong>, Cavour, avevano in mente<br />
quest’Italia quando hanno messo la loro stessa vita a <strong>di</strong>sposizione della patria.<br />
Ma chissà soprattutto se la gente comune, i conta<strong>di</strong>ni, i poveracci, i giovani <strong>di</strong><br />
quell’epoca che combatterono al fianco <strong>di</strong> questi personaggi avevano una vaga<br />
idea del loro eroismo e <strong>di</strong> quale pagina <strong>di</strong> storia stavano scrivendo.<br />
Anche Crevalcore si <strong>di</strong>stinse in quegli anni, per <strong>di</strong>versi citta<strong>di</strong>ni che combatterono<br />
a fianco <strong>di</strong> Garibal<strong>di</strong> nelle guerre risorgimentali. Oggi, grazie soprattutto<br />
alla tenacia <strong>di</strong> Passarini Annibale (Lucio), si è costituito a Crevalcore, un gruppo<br />
<strong>di</strong> rievocazione storica <strong>di</strong> garibal<strong>di</strong>ni, che sta portando in giro per l’Italia la rivisitazione<br />
<strong>di</strong> quei momenti.<br />
E’ per me motivo <strong>di</strong> orgoglio sapere che, attraverso questo gruppo <strong>di</strong> ragazzi<br />
giovani e meno giovani, il nome <strong>di</strong> Crevalcore è portato in tutto il Paese.<br />
Così come è stato motivo <strong>di</strong> orgoglio la visita al sacrario del Gianicolo a Roma,<br />
dove <strong>di</strong>verse lapi<strong>di</strong> <strong>di</strong> garibal<strong>di</strong>ni crevalcoresi sono presenti in mezzo a tanti altri<br />
morti provenienti da ogni parte d’Italia. da ogni parte d’Italia, da ogni campanile.<br />
Sì è così, genti <strong>di</strong> ogni angolo d’Italia che lasciarono il proprio paesino per<br />
combattere e costruire l’Italia. Quell’Italia che a noi oggi sembra così familiare e<br />
che ad<strong>di</strong>rittura c’è chi snobba o ripu<strong>di</strong>a in nome <strong>di</strong> una fantomatica autodeterminazione<br />
dei popoli, offendendo la memoria dei loro stessi antenati, dei loro<br />
padri.<br />
7
8<br />
Per questo il mio ringraziamento è profondo e forte verso tutti coloro che hanno<br />
contribuito alla realizzazione <strong>di</strong> questa rivista e che attraverso la loro tenacia<br />
tengono viva la memoria della nostra storia locale, al servizio dell’Italia Unita.<br />
Clau<strong>di</strong>o Broglia<br />
Sindaco <strong>di</strong> Crevalcore
“Povera patria! Schiacciata dagli abusi del potere<br />
<strong>di</strong> gente infame, che non sa cos’è il pudore<br />
Voglio sperare che il mondo torni a quote più normali<br />
che possa contemplare il cielo e i fiori,<br />
che non si parli più <strong>di</strong> <strong>di</strong>ttature<br />
se avremo ancora un po’ da vivere...<br />
La primavera intanto tarda ad arrivare”<br />
F. Battiato “Povera Patria”<br />
9
ANNA NATALI<br />
Patente, libretto e gallici malori.<br />
La prostituzione a Bologna e nel bolognese<br />
nel XIX secolo<br />
La ricerca che ha dato origine al presente testo (il quale propone una<br />
parte del materiale molto più ampio esposto nel volume Salariate dell’amore.<br />
Storie e faccende <strong>di</strong> meretrici nell’Ottocento bolognese, <strong>di</strong> Sara Accorsi e Anna<br />
Natali, Maglio e<strong>di</strong>tore, 2010) ha avuto origine dalla scoperta da parte<br />
mia, non esperta <strong>di</strong> storia e <strong>di</strong> tutt’altro mestiere, della possibilità che le<br />
carte se<strong>di</strong>mentate nei secoli dalle burocrazie potessero fornirci non solo<br />
fred<strong>di</strong> dati specialistici, ma, se letti nella luce <strong>di</strong> uno sguardo percettivo,<br />
trasmetterci chiaroscuri, prospettive, <strong>di</strong>namismi, sensazioni, linguaggi<br />
della vita vissuta dai soggetti, intrappolando nei documenti amministrativi<br />
un “cast” <strong>di</strong> figure vere che si muovevano nel territorio bolognese attorno<br />
al tema, scabroso e meschino, doloroso e <strong>di</strong>vertente, della prostituzione<br />
locale nella seconda metà dell’Ottocento, subito dopo l’Unità d’Italia.<br />
dalle carte personalmente consultate nell’archivio storico <strong>di</strong> Persiceto<br />
e nell’archivio <strong>di</strong> Stato <strong>di</strong> Bologna e dai testi letti sull’argomento ho<br />
tratto spunto per una descrizione del fenomeno prostituzionale e della<br />
sua regolamentazione, sia spaziando con uno sguardo generale su luoghi<br />
e tempi <strong>di</strong>versi, sia focalizzando più <strong>di</strong>stintamente la realtà locale,<br />
emiliana, bolognese e persicetana, quale aspetto del mio interesse per i<br />
comportamenti sessuali delle persone non sposate.<br />
I materiali archivistici consultati per il presente argomento consistono<br />
prevalentemente in corrispondenze amministrative sotto i titoli <strong>di</strong> “Ufficio<br />
<strong>di</strong> Pubblica Sicurezza <strong>di</strong> San Giovanni in Persiceto -Prostituzione”,<br />
“Polizia - Meretrici”, “Polizia - Parti illegittimi”, “Beneficenza pubblica -<br />
Case per Esposti ed Esposti”: ho ritrovato anche alcuni verbali <strong>di</strong> processi<br />
per stupro del Tribunale <strong>di</strong> Bologna che hanno costituito l’argomento <strong>di</strong><br />
un precedente volume, Amori illeciti, <strong>di</strong> Maurizio Garuti e Anna Natali.,<br />
Pendragon, 2007.<br />
La scelta del periodo <strong>di</strong> riferimento, la seconda metà del XIX secolo,<br />
11
12<br />
viene dal fatto che i documenti iniziano nel 1859, quando al termine<br />
della II guerra <strong>di</strong> In<strong>di</strong>pendenza ha luogo il plebiscito per l’annessione<br />
dell’Emilia al Piemonte e cessano verso la fine del secolo nel momento in<br />
cui, dopo la sostituzione del primo Regolamento del 1860 con un nuovo<br />
Regolamento del 1888, il controllo della prostituzione verrà registrato<br />
sotto intestazioni e capitoli <strong>di</strong>versi, che non ho inteso approfon<strong>di</strong>re per<br />
mantenere il lavoro circoscritto alla realtà locale.<br />
Il materiale raccolto si configura come una copiosa sequenza <strong>di</strong><br />
corrispondenze amministrative, moduli da compilare o compilati, fogli <strong>di</strong><br />
ricevute, trascrizioni <strong>di</strong> verbali <strong>di</strong> delibere, fogli <strong>di</strong> via, lettere <strong>di</strong> reclamo<br />
o <strong>di</strong> petizione, verbali <strong>di</strong> arresto e <strong>di</strong> traduzione in carcere, certificati<br />
me<strong>di</strong>ci e bolle <strong>di</strong> accettazione in ospedale, fogli statistici e comunicazioni<br />
anche personali <strong>di</strong> protesta, <strong>di</strong> <strong>di</strong>ssenso o <strong>di</strong> giustificazione. Nonostante<br />
la forma “burocratica” l’essere umano non può evitare <strong>di</strong> trasmettere,<br />
sia pure involontariamente, alcuni aspetti del suo modo <strong>di</strong> essere e della<br />
sua personalità, <strong>di</strong> modo che dalle carte si profilano dei personaggi che<br />
possono considerarsi figure e attori <strong>di</strong> storie <strong>di</strong> un teatro “ <strong>di</strong> piazza”.<br />
Nello scorrere quelle carte mi hanno guidato sia il desiderio <strong>di</strong> conoscenza<br />
dei vecchi fatti del costume e della realtà storica locale sia la curiosità<br />
per la verifica della reale efficacia delle misure <strong>di</strong> regolamentazione del<br />
comportamento prostituzionale.<br />
Non è estranea all’intento anche l’aspirazione a fornire strumenti e<br />
chiavi <strong>di</strong> lettura per coloro che si interessano, per riflessione personale<br />
e per compiti professionali, al tema della prostituzione, per evitare che<br />
lo si tratti come un banale soggetto <strong>di</strong> sarcastiche o licenziose battute o,<br />
all’opposto, come un semplice, pericoloso fenomeno <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne pubblico<br />
e <strong>di</strong> pubblica moralità.<br />
Morigerate o <strong>di</strong>screte le donne crevalcoresi ?<br />
Patente o libretto: oggi li richiede la Polizia Stradale, ma nell’Italia del<br />
1860 erano documenti ufficiali che identificavano le pubbliche meretrici.<br />
C’era però chi non aveva la patente ed erano le meretrici clandestine.<br />
Per ottenere la patente era sufficiente che la “voce pubblica”, confermata<br />
dalle informazioni del <strong>Comune</strong>, in<strong>di</strong>casse una donna come de<strong>di</strong>ta alla<br />
prostituzione perché la Pubblica Sicurezza la iscrivesse nell’elenco <strong>di</strong><br />
quelle sottoposte alla visita sanitaria obbligatoria. Se dalla visita risultava<br />
infetta da malattia venerea veniva deportata, anche in carcere, per il
trattamento obbligatorio “fino a guarigione”.<br />
Tuttavia, nonostante il controllo, le meretrici, sia pubbliche che<br />
clandestine, creavano <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne, schiamazzi, scandalo e qualcuno<br />
in<strong>di</strong>rizzava dei reclami alle autorità.<br />
In più vi erano le “straniere”, che allora potevano provenire anche<br />
solo da un altro comune della stessa provincia: esse pure costituivano un<br />
problema!<br />
E c’era pure un problema etico: perché il <strong>Comune</strong> doveva pagare le<br />
loro cure con i sol<strong>di</strong> pubblici, destinati alla beneficenza, visto che le loro<br />
malattie se le andavano in qualche modo a cercare con una condotta<br />
riprovevole?<br />
Notizie <strong>di</strong> questo genere sono registrate nei documenti del carteggio<br />
amministrativo degli Archivi Storici <strong>di</strong> San Giovanni in Persiceto e <strong>di</strong><br />
Bologna.<br />
13
14<br />
Purtroppo, nonostante una lunga e minuziosa ricerca nell’Archivio<br />
Storico del <strong>Comune</strong> <strong>di</strong> Crevalcore, non è stato possibile ritrovare alcun<br />
documento sull’argomento.<br />
Ora, la documentazione deriva da una precisa legge, <strong>di</strong> cui <strong>di</strong>rò più<br />
avanti, che obbligava al controllo del meretricio tutte le delegazioni <strong>di</strong><br />
Polizia e a Crevalcore una delegazione è documentata almeno dal 1861<br />
al 1865. Inoltre nell’archivio <strong>di</strong> Crevalcore tutte le attività <strong>di</strong> Pubblica<br />
Sicurezza sono registrate in centinaia <strong>di</strong> carte negli anni successivi. Vi si<br />
trovano tutti i tipi <strong>di</strong> reati che venivano compiuti, denunciati, sottoposti a<br />
condanna; vi si trovano i certificati rilasciati per buona o cattiva condotta;<br />
vi sono registrate le nascite illegittime, gli stupri, le ingiurie e le liti fra<br />
comari.<br />
Ma in nessun documento ho trovato, nel periodo <strong>di</strong> interesse della<br />
ricerca, un accenno, una <strong>di</strong>chiarazione, una accusa, una condanna, un<br />
certificato che facesse riferimento a prostitute e alla loro attività.<br />
Ho chiesto a chi conosce la storia crevalcorese e non ne ho ricavato<br />
nulla. Il solo Roberto Tommasini, che ringrazio, mi ha fatto sapere <strong>di</strong><br />
documenti relativi al Seicento e Settecento e <strong>di</strong> “voci” del periodo fra le<br />
due Guerre, che riferivano della presenza, in quasi ogni vicolo del paese, <strong>di</strong><br />
signore locali o <strong>di</strong> più o meno avvenenti signorine provenienti dalla città,<br />
presso affittacamere o cameriere in alcune osterie, che si prostituivano<br />
per miseria a cifre molto contenute.<br />
Con le responsabili dell’Archivio ci siamo interrogate su questo silenzio.<br />
Qualcuno, puritano, ha fatto sparire le carte “immorali” o qualcuno,<br />
immorale, se le è accaparrate? Non c’erano prostitute a Crevalcore?<br />
Almeno per la presenza <strong>di</strong> truppe impegnate nelle guerre risorgimentali,<br />
che scorazzavano nel bolognese, sembrerebbe poco cre<strong>di</strong>bile. C’erano<br />
prostitute, ma erano tanto <strong>di</strong>screte nel loro esercizio da rimanere oscure<br />
e <strong>di</strong>sperse nei vari quartieri e borghi che costituivano il territorio? Non<br />
lo sappiamo. Resta il fatto che ciò <strong>di</strong> cui narrerò in questo intervento, le<br />
regole e le azioni descritte, si riferiscono a normative dello Stato unitario<br />
italiano valide ovunque: è attestato però solo da documenti <strong>di</strong> Bologna e<br />
<strong>di</strong> Persiceto.
Definizioni e note sulla storia della prostituzione<br />
Prima <strong>di</strong> addentrarmi nell’esame della documentazione ritengo utili<br />
alcune precisazioni terminologiche e una breve premessa storica, per<br />
comprendere il significato del tema e la sua evoluzione nel tempo.<br />
Nella sua opera “I sette peccati capitali” F. Savater riferisce una frase<br />
<strong>di</strong> A. Goldman: “Qual è la <strong>di</strong>fferenza fra l’uomo e l’animale? Non la<br />
facoltà razionale, semmai il fatto <strong>di</strong> prostituirsi. L’animale non ha questa<br />
capacità, che consiste nell’ottenere attraverso il corpo un beneficio che<br />
non è il piacere sessuale, ma qualcosa <strong>di</strong> <strong>di</strong>verso dal sesso”.<br />
Che cos’è allora la prostituzione? Essa consiste nell’ abituale o transitoria<br />
prestazione <strong>di</strong> atti sessuali nei confronti <strong>di</strong> un numero indeterminato <strong>di</strong><br />
persone in cambio <strong>di</strong> denaro. Si tratta <strong>di</strong> una definizione corretta ma<br />
del tutto parziale, poiché in concreto la prostituzione è un fenomeno<br />
sociale complesso, <strong>di</strong>ffuso in ogni tempo e in ogni luogo, che le intricate<br />
<strong>di</strong>namiche della società hanno via via ripu<strong>di</strong>ato con scandalo, tollerato<br />
con ipocrisia, favorito con sotterfugi interessati e loschi.<br />
Per essa intervengono almeno due, ma più spesso tre personaggi: chi<br />
presta il servizio, chi lo richiede e ne usufruisce, chi lo organizza e vi<br />
specula. <strong>di</strong>fatti gli uomini che prendono parte al “commercio” e se ne<br />
avvalgono non sono certamente “innocenti” sul piano civile e sanitario e<br />
non sempre gli utili della prostituzione vanno alla persona che la esercita,<br />
poiché comunemente ad essa si accostano interme<strong>di</strong>ari, protettori e<br />
sfruttatori. Tuttavia nelle storie, nei libri, nei documenti, nei resoconti<br />
giornalistici, nei lavori parlamentari e nel linguaggio comune una sola<br />
è l’interprete, la prostituta, colei che è immagine <strong>di</strong> tutto il male per i<br />
benpensanti e <strong>di</strong> tutto il bene nelle fantasie <strong>di</strong> chi a lei ricorre o sogna <strong>di</strong><br />
ricorrervi. E nei documenti consultati solo loro, le “meretrici”, venivano<br />
schedate, controllate, patentate, vessate, schiavizzate, aiutate, protette,<br />
visitate, curate, recluse, ammonite, redente.<br />
Prostituta è la donna che esercita la prostituzione, ossia il “commercio<br />
<strong>di</strong> prestazioni sessuali”; il termine deriva da prostituire, nel senso <strong>di</strong><br />
statuere, mettere, porre, e pro, davanti, cioè “mettere in ven<strong>di</strong>ta”, come<br />
fa il mercante che pone le sue merci davanti a sé, al suo negozio, al suo<br />
banchetto, per venderle. Un altro termine, più usato in passato, era meretrice,<br />
da merere, guadagnare, colei che si fa pagare. E’ stata detta lupa, insaziabile,<br />
da cui il nome del luogo <strong>di</strong> lavoro, lupanare. Più frequentemente, in modo<br />
spregiativo, è usato il termine puttana, derivato dal francese antico putain, a<br />
sua volta tratto da pute, la putta, la prostituta, femminile dell’aggettivo put,<br />
15
16<br />
che significa puzzolente (<strong>di</strong>verso quin<strong>di</strong> da putta, femminile <strong>di</strong> putto, che nel<br />
nostro passato in<strong>di</strong>cava la fanciulla, la ragazzetta).<br />
Vedremo in seguito quali fatti, quali con<strong>di</strong>zioni, quali contesti hanno<br />
connotato la vita delle “donne pubbliche” del nostro territorio. Se oggi<br />
nuovi fermenti sociali, in presenza <strong>di</strong> un notevole incremento della<br />
prostituzione, associato anche agli estesi fenomeni immigratori dai paesi<br />
più poveri e all’intreccio con la criminalità, la tossico<strong>di</strong>pendenza, il<br />
business turistico, premono sui legislatori perchè si ritorni ad un regime<br />
<strong>di</strong> regolamentazione, chi è attento alla storia, al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> romantiche ed<br />
ipocrite reminiscenze delle allegre atmosfere delle “case chiuse”, non può<br />
<strong>di</strong>menticare la brutalità, la miseria, la prevaricazione, la per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> <strong>di</strong>gnità,<br />
i contagi infettivi che connotavano la prostituzione tollerata.<br />
“La prostituzione è antica come il mondo perché nacque coi primi<br />
uomini che adunaronsi in società e si sentirono sospinti a cercare<br />
l’amplesso carnale, non solo nelle legittime unioni matrimoniali, ma<br />
ovunque sorridevan loro le gioie d’amore, strappate con brutali violenze<br />
nello stato selvaggio, ogni qualvolta non trovavano il libero consenso”.<br />
Questa affermazione si trova in un testo giuri<strong>di</strong>co del 1888 che accompagna<br />
il nuovo regolamento sulla prostituzione e mi pare sia pertinente con<br />
quanto qui descritto. Continua l’anonimo autore: “Ma ben <strong>di</strong>versi furono<br />
i criteri coi quali la prostituzione venne giu<strong>di</strong>cata nelle <strong>di</strong>verse età e dai<br />
<strong>di</strong>versi popoli. Ciò che a noi appare estrema ignominia, fu ritenuta da altri<br />
onor singolare ed ambita gloria”.
Le prime tracce <strong>di</strong> prostituzione riguardano la prostituzione sacra o<br />
templare o rituale, che si riferiva ad una serie <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong>fferenti, in cui<br />
gli atti sessuali erano eseguiti nell’ambito <strong>di</strong> un rito religioso o con persone<br />
considerate sacre o associate ad un luogo sacro. Nel mito i fondatori<br />
stessi <strong>di</strong> Roma, Romolo e Remo, erano stati adottati da una lupa e Acca<br />
Larentia, la moglie del pastore che li aveva trovati ai pie<strong>di</strong> del Palatino, era<br />
una “lupa”, cioè una prostituta.<br />
I Babilonesi poi, secondo Erodoto, avevano una legge che obbligava<br />
tutte le donne del paese a prostituirsi almeno una volta all’anno ad un<br />
forestiero e questo può considerarsi l’inizio della prostituzione ospitale,<br />
che venne in seguito estendendosi fra gli altri popoli fino ad offrire la<br />
moglie, la sorella, la figlia al viandante che chiedeva asilo per una notte.<br />
Ancora Erodoto afferma che nelle colonie fenicie e in Li<strong>di</strong>a la<br />
prostituzione sacra presentava già le pratiche del lucro e del traffico,<br />
mentre in Egitto essa era già legale o politica perché governata da speciali<br />
norme, in genere analoghe a quelle del commercio.<br />
Gli Ebrei non ignoravano la prostituzione ma Mosè la vietò per le ebree,<br />
perché la razza giudaica non avesse ad imbastar<strong>di</strong>rsi e a degenerare.<br />
Nella Grecia antica, il sod<strong>di</strong>sfacimento sessuale a pagamento si svolgeva<br />
con modalità relativamente confrontabili con quelle della società borghese<br />
<strong>di</strong> oggi, e nelle città-stato la prostituzione era una necessità poiché erano<br />
proibiti per le fanciulle i rapporti prima del matrimonio, alle mogli legittime<br />
la legge consentiva <strong>di</strong> prestarsi ai soli “doveri” ed occorreva “<strong>di</strong>strarre” i<br />
giovani dalle pratiche omosessuali. Solone istituì per primo il <strong>di</strong>cterium, la<br />
“casa” da cui ebbe inizio la schiavitù delle donne de<strong>di</strong>te alla prostituzione<br />
venale, che venivano comprate per esservi immesse; le etére, invece, erano<br />
in qualche modo paragonabili alle cortigiane del Rinascimento europeo o<br />
dei salotti parigini, o alle geishe del Giappone feudale: colte, raffinate,<br />
esigenti, esperte nell’arte della seduzione, <strong>di</strong>sputavano con i filosofi,<br />
proteggevano le arti , erano sottoposte ad apposite leggi, ma libere.<br />
A Roma la pòrne greca (denominazione da cui deriva la parola pornografia)<br />
<strong>di</strong>viene meretrix, colei che guadagna col proprio corpo: il realismo e il<br />
materialismo <strong>di</strong> Roma ponevano subito in primo piano il “guadagno”!<br />
Narra Seneca il Retore che una schiava venduta come prostituta “stava<br />
nuda all’approdo a <strong>di</strong>sposizione dei compratori; ogni parte del suo corpo<br />
[veniva] esaminata e palpata”. Un passatempo degli sfaccendati giovani<br />
romani consisteva nell’andare al mercato a palpeggiare le ragazze in<br />
ven<strong>di</strong>ta. Ma esercitavano la prostituzione anche straniere rapite dai pirati<br />
o ragazze più o meno tacitamente cedute dalle famiglie. Giovenale afferma<br />
17
18<br />
che perfino Messalina, moglie dell’imperatore Clau<strong>di</strong>o, uscisse camuffata<br />
durante la notte per recarsi in un ”caldo lupanare” dove si concedeva per<br />
denaro con il falso nome <strong>di</strong> Lisisca. Fu la Legge Giulia la prima che si occupò<br />
del fenomeno, definendo i vari tipi <strong>di</strong> prostituzione, ai quali poi venivano<br />
riferite le <strong>di</strong>verse norme, fra cui l’iscrizione in registri che consentivano<br />
<strong>di</strong> ottenere una lista autentica <strong>di</strong> tutte le femmine che dovevano pagare<br />
la tassa <strong>di</strong> prostituzione. I Romani apprezzavano l’amore mercenario,<br />
che veniva praticato da tutte le classi sociali, patrizi, cavalieri, mercanti,<br />
plebei, soldati e anche schiavi e gli illustri sostenitori del patriarcato<br />
Seneca, Catone, Cicerone non solo tolleravano la prostituzione, ma la<br />
consideravano la più valida <strong>di</strong>fesa del matrimonio, pur non esimendosi<br />
dall’esprimere <strong>di</strong>sprezzo per la meretrice.<br />
L’irruzione dal Nord dei Popoli Barbari, forse meno proclivi per<br />
temperamento ai piaceri del sesso, e l’affermazione del Cristianesimo<br />
operarono una rigenerazione del costume. La prostituzione non<br />
scomparve ma assunse nuove forme e andamenti, invano repressa da<br />
<strong>di</strong>sposizioni tanto rigide quanto irragionevoli e inefficaci, con alternanza<br />
<strong>di</strong> perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> <strong>di</strong>vieto ad altri <strong>di</strong> regolamentazione, allo scopo <strong>di</strong> tenerne<br />
sotto controllo l’incidenza nel tessuto sociale. Fino al tardo Ottocento<br />
ha prevalso il modello <strong>di</strong>sciplinare, ufficiale o <strong>di</strong> fatto, e solo in tempi<br />
relativamente recenti l’opinione pubblica ha chiesto e ottenuto l’abolizione<br />
dei regolamenti, in modo che, <strong>di</strong>mostratasi impossibile l’eliminazione<br />
del fenomeno o una sua incisiva riduzione, venisse a cessare almeno la<br />
connivenza dello Stato nella sua gestione.<br />
dopo i secoli del primo Me<strong>di</strong>oevo, in cui si manifestò una crescente<br />
tolleranza, e dopo gli anni in cui <strong>di</strong>verse città istituirono un proprio<br />
postribolo municipale, non raramente per iniziativa <strong>di</strong> sovrani o <strong>di</strong><br />
ecclesiastici, un decisivo cambiamento si avviò nel corso del Cinquecento,<br />
quando intervennero due evenienze <strong>di</strong> rilevante importanza: la <strong>di</strong>rompente<br />
espansione della sifilide (in relazione tanto con la recente scoperta<br />
dell’America quanto con la campagna <strong>di</strong> Carlo VIII <strong>di</strong> Francia contro il<br />
Regno <strong>di</strong> Napoli) e l’affermazione <strong>di</strong> una morale e <strong>di</strong> una religiosità più<br />
rigide all’interno della Riforma protestante e della Controriforma cattolica.<br />
Perio<strong>di</strong>che <strong>di</strong>sposizioni e or<strong>di</strong>nanze vietarono con pene severissime sia la<br />
prostituzione organizzata che quella libera, senza però che si giungesse,<br />
ancora una volta, ad una reale repressione. E’ solo alla fine del ‘700,<br />
soprattutto in epoca napoleonica, che si fecero strada norme più evolute<br />
ed efficaci. Non si trattava solamente <strong>di</strong> provve<strong>di</strong>menti <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne pubblico<br />
e <strong>di</strong> polizia, ma <strong>di</strong> un vero controllo statale, rivolto più verso la prostituta
che verso la prostituzione. In numerose città e stati d’Europa le donne<br />
pubbliche vennero relegate in case <strong>di</strong> tolleranza, dove erano schedate con<br />
una accuratezza ed una pedanteria sconosciute negli elenchi stilati in<br />
precedenza. Esse venivano inoltre obbligate a visite me<strong>di</strong>che perio<strong>di</strong>che,<br />
anche bisettimanali, e veniva loro imposto, come ulteriore forma <strong>di</strong><br />
controllo, l’obbligo della “patente”, il libretto sanitario che attestava il<br />
loro stato <strong>di</strong> salute e la loro regolare condotta civile. Me<strong>di</strong>ci e poliziotti del<br />
buoncostume vennero così a configurare <strong>di</strong> fatto una regolamentazione <strong>di</strong><br />
stato mai affermata e anzi ufficialmente negata.<br />
Lo scopo esplicito <strong>di</strong> tali umilianti provve<strong>di</strong>menti era il contrasto<br />
alla <strong>di</strong>ffusione delle malattie veneree, sebbene l’opera <strong>di</strong> prevenzione si<br />
concentrasse irragionevolmente sulle sole donne, mentre liberi da ispezioni<br />
e incolpevoli per la legge erano gli altri veicoli del contagio, gli uomini.<br />
Un simile sistema <strong>di</strong> controllo venne a provocare, alla fine<br />
dell’Ottocento, un crescente moto <strong>di</strong> reazione in <strong>di</strong>versi gruppi sociali<br />
e in <strong>di</strong>versi paesi, confluito in gran parte nel 1875 nella “Federazione<br />
internazionale per l’abolizione della regolamentazione statale del vizio”.<br />
Il <strong>di</strong>battito, lo scontro, la lotta fra “abolizionisti” e “regolamentisti” si<br />
configurò a partire da quel momento con “vittorie” alterne, fino a che, tra<br />
fine Ottocento e primi decenni del Novecento il movimento abolizionista<br />
venne consolidato dall’emergere dei movimenti per i <strong>di</strong>ritti delle donne e<br />
dal <strong>di</strong>ffondersi dei partiti socialisti, fermamente contrari alla prostituzione<br />
istituzionalizzata.<br />
L’Italia, che ancora nel 1931 aveva stabilito una sorta <strong>di</strong> cogestione<br />
statale delle case <strong>di</strong> tolleranza, si collocò fra le ultime nazioni occidentali<br />
a “liberalizzare” il fenomeno, poiché solamente nel 1958 si concluse l’iter<br />
decennale della legge conosciuta come Legge Merlin, che aboliva ogni<br />
forma <strong>di</strong> riconoscimento legale del meretricio, chiudeva le cosiddette “case<br />
chiuse”, rafforzava le norme penali contro l’istigazione, la coercizione, lo<br />
19
20<br />
sfruttamento e la “tratta”, senza alcuna penalizzazione per la prostituta, e<br />
demandava ad un apposito regolamento le norme per la prevenzione e la<br />
cura delle malattie veneree.<br />
Cenni sulla prostituzione nel bolognese<br />
Con una certa frequenza nei film, nelle rappresentazioni o nei libri<br />
compare, insieme alla “venesiana”, la prostituta “bolognéeesce”, connotata<br />
da un forte accento regionale. Se per Venezia la presenza <strong>di</strong> un numero<br />
elevato <strong>di</strong> prostitute poteva essere spiegata con il suo ruolo <strong>di</strong> porto<br />
internazionale e interculturale, da che cosa può aver avuto origine un tale<br />
stereotipo per Bologna, che Casanova definisce “città del piacere”?<br />
Solitamente la prostituzione, essendo un commercio, si addensa dove<br />
esiste il mercato. E per tale tipo <strong>di</strong> commercio il mercato è rappresentato<br />
dalla presenza <strong>di</strong> un numero elevato <strong>di</strong> uomini, specialmente giovani,<br />
specialmente celibi.<br />
Bologna aveva ed ha una famosa università e numerose testimonianze<br />
in<strong>di</strong>cano una forte espansione delle presenze studentesche nei decenni<br />
fra il XVI e il XVII secolo, <strong>di</strong> giovani vaganti da un’università all’altra,<br />
spesso provenienti dal Nord-Europa e seguiti da compagni e servi.<br />
Un altro serbatoio <strong>di</strong> giovani uomini esuberanti e soli è quello degli<br />
eserciti e delle caserme. Bologna nella sua storia ha molto spesso<br />
alloggiato truppe occupanti o asse<strong>di</strong>anti o <strong>di</strong> passaggio e dopo l’Unità<br />
d’Italia è rimasta a lungo una città fortificata ed ha ospitato fino a pochi<br />
anni fa numerose caserme. Gli eserciti avevano spesso le proprie meretrici<br />
al seguito, ma pare che sia stato Napoleone ad esigere che nei territori<br />
occupati si istituissero case <strong>di</strong> piacere regolamentate, per poter sbarazzare<br />
le sue forze armate dai seguiti femminili, “necessari” ma scomo<strong>di</strong> da<br />
gestire nei suoi rapi<strong>di</strong> spostamenti e per limitare possibilmente le “per<strong>di</strong>te”<br />
temporanee <strong>di</strong> soldati a causa delle infezioni veneree trasmesse dalle<br />
clandestine. Fu con la leva obbligatoria ed in particolare con la prima<br />
Guerra Mon<strong>di</strong>ale che le numerose caserme <strong>di</strong> Bologna ebbero la necessità<br />
<strong>di</strong> trovare mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> “sfogo” per i tanti giovani che vi stazionavano o che<br />
tornavano dal fronte.<br />
Infine Bologna è ed è sempre stata un importantissimo nodo <strong>di</strong> vie<br />
<strong>di</strong> comunicazione, con strade e ferrovie che collegano Nord e Sud,<br />
tanto dell’Italia che dell’Europa, e quin<strong>di</strong> luogo <strong>di</strong> convergenza <strong>di</strong> affari,<br />
commerci e fiere, e sede <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> opere infrastrutturali, che richiamavano
ed ancora richiamano uomini viaggianti, maestranze e, quin<strong>di</strong>, prostitute.<br />
A Bologna il <strong>di</strong>stretto industriale della seta ha costituito a lungo un<br />
esteso serbatoio sia <strong>di</strong> operai addetti ai setifici, sia <strong>di</strong> donne migranti<br />
stagionali che nel periodo della maturazione dei bozzoli affluivano in<br />
città, provenienti in gran parte dalle poverissime montagne bolognesi<br />
e modenesi; esse potevano lavorare per due-tre mesi, dopo <strong>di</strong> che si<br />
trovavano <strong>di</strong>soccupate e centinaia <strong>di</strong> esse non avevano altra via che<br />
prostituirsi per fame.<br />
dunque una presenza costante e numerosa quella delle prostitute a<br />
Bologna, che hanno costituito una fascia sociale vera e propria, presente<br />
sotto ogni tipo <strong>di</strong> governo ed in ogni tempo, una realtà combattuta e<br />
tollerata al tempo stesso, perché alimentata da interessi concreti ma anche<br />
scomoda e “vergognosa” per il buon decoro della città.<br />
Nel corso dei secoli, pubblici amministratori, clero, magistrati si<br />
applicarono costantemente nella lotta alla prostituzione: ban<strong>di</strong>, e<strong>di</strong>tti,<br />
<strong>di</strong>sposizioni <strong>di</strong>sciplinari, furono numerosissimi e assai frequenti, a prova<br />
dell’entità del fenomeno e del nesso, piuttosto stretto e ricco <strong>di</strong> complicità,<br />
fra economia citta<strong>di</strong>na e prostituzione. E’ in genere da tali ban<strong>di</strong> che si<br />
hanno le notizie più significative.<br />
A Bologna nel 1563 fu fondata l’Opera dei Men<strong>di</strong>canti ed al suo<br />
interno vennero anche costituite case <strong>di</strong> correzione femminile, come la<br />
casa <strong>di</strong> S. Gregorio, nel tentativo <strong>di</strong> allontanare “delle povere femmine<br />
dalle pubbliche strade dove con continuo scandalo pernottavano”.<br />
Un e<strong>di</strong>tto nel ‘700 faceva <strong>di</strong>vieto alle prostitute <strong>di</strong> mettere piede nella<br />
Basilica <strong>di</strong> S. Stefano ed il car<strong>di</strong>nal Lambertini nel 1708 lo estese al <strong>di</strong>vieto<br />
<strong>di</strong> seguire la processione della Madonna <strong>di</strong> S. Luca e <strong>di</strong> uscire <strong>di</strong> casa nella<br />
notte del Giovedì santo, quando aveva luogo la visita al Santo Sepolcro.<br />
In proposito, un tempo nella Chiesa <strong>di</strong> S. Stefano, nel giorno <strong>di</strong> Pasqua,<br />
<strong>di</strong> primissima mattina, donne vestite <strong>di</strong> nero e velate si trascinavano in<br />
ginocchio dall’ingresso della basilica fino al Sepolcro, vi entravano e vi<br />
recitavano una loro preghiera segretissima: erano le “marie maddalene”<br />
<strong>di</strong> Bologna, le prostitute che fino a circa trenta anni fa svolgevano ancora<br />
questo loro particolarissimo rito.<br />
Nel Settecento le prostitute erano ancora centinaia e “davansi con<br />
tutta libertà in braccio ad ogni più sfrenata sensualità”, mentre altre “a<br />
briglie sciolte e senza ritegno correvano al precipizio”.<br />
Il controllo sanitario obbligatorio per le prostitute fu imposto dalle<br />
norme igieniche emesse dopo la Rivoluzione Francese, che aveva liberato<br />
il meretricio dalle imposizioni morali per sottoporlo a regolamentazione<br />
21
22<br />
statale <strong>di</strong> Polizia.<br />
Il papa Pio IX si era sempre mantenuto oppositore <strong>di</strong> qualunque sistema<br />
<strong>di</strong> regolamentazione, che giu<strong>di</strong>cava “non cristiano”: durante i ventuno anni<br />
<strong>di</strong> occupazione francese (dal 1849 al 1870) si era opposto alle pressioni<br />
dei generali francesi per ottenere, nell’interesse delle loro truppe, le case<br />
<strong>di</strong> tolleranza, l’iscrizione delle prostitute, le visite perio<strong>di</strong>che e le cure<br />
coercitive. Quando nel 1860 il Governo italiano promulgò il Regolamento<br />
voluto dal Cavour, il papa inviò una lettera al re Vittorio Emanuele,<br />
scongiurandolo <strong>di</strong> risparmiare una tale vergogna alla città <strong>di</strong> Roma.<br />
La regolamentazione ottocentesca nell’Italia postunitaria<br />
Si è gia accennato che fu nel 1860, al momento dell’Unificazione<br />
d’Italia, che venne promulgata una regolamentazione generale della<br />
prostituzione. Il Regolamento sulla prostituzione del ministro Cavour entrò in<br />
vigore il 1° aprile 1860, così che poté essere applicato sia alle prostitute<br />
del Piemonte, della Liguria e della Lombar<strong>di</strong>a che a quelle dell’Emilia,<br />
annessa col plebiscito <strong>di</strong> marzo. Esso abrogava tutti i precedenti e<br />
<strong>di</strong>chiarava lo scopo primario <strong>di</strong> controllare la propagazione delle malattie<br />
veneree, assai <strong>di</strong>ffuse in particolare fra le truppe che in quei turbinosi<br />
momenti del Risorgimento stazionavano e circolavano costantemente nei<br />
<strong>di</strong>versi territori dell’Italia, e fu il primo <strong>di</strong> una serie che giunse infine a<br />
regolamentare stabilmente la materia.<br />
Rappresentando una sorta <strong>di</strong> “meretricio <strong>di</strong> Stato”, il suddetto<br />
Regolamento si occupò <strong>di</strong> case deputate al servizio nella città, <strong>di</strong> licenze,<br />
<strong>di</strong> “patenti”, <strong>di</strong> orari <strong>di</strong> apertura, <strong>di</strong> tariffe, <strong>di</strong> controlli pubblici e <strong>di</strong><br />
conseguente pagamento <strong>di</strong> tasse all’erario. Esso impose anche relazioni<br />
annuali da parte dell’Ispettore Igienico, che a Bologna fu il dottor Pietro<br />
Gamberini, primario del Sifilocomio del Sant’Orsola, il quale, con<br />
<strong>di</strong>ligente precisione, ha lasciato scritti i Rapporti politico-amministrativi-clinici<br />
per tutti gli anni dal 1863 al 1887. Assieme ai documenti <strong>di</strong> archivio <strong>di</strong><br />
Prefettura e Questura essi rappresentano un’ incomparabile prospettiva<br />
per osservare i rapporti quoti<strong>di</strong>ani tra prostitute, polizia e me<strong>di</strong>ci fiscali,<br />
mentre la “voce” delle prostitute ci giunge quasi solamente dai molti casi<br />
<strong>di</strong> ribellione contro il Regolamento stesso .<br />
Esso era composto da ben 98 articoli, conteneva una trattazione<br />
minuziosa <strong>di</strong> tutte le questioni relative al meretricio ed era caratterizzato<br />
da una grande durezza nei confronti delle prostitute. I promulgatori e i
promotori lo consideravano progressista perché non puniva le donne per<br />
il loro mestiere ma solo quando lo esercitavano fuori dal controllo dello<br />
Stato. Era però assai repressivo e manteneva le prostitute registrate sotto<br />
la stretta sorveglianza della polizia e dei me<strong>di</strong>ci d’ufficio. E non solo,<br />
ma molte donne <strong>di</strong> classe sociale inferiore che non si sottomettevano<br />
al tra<strong>di</strong>zionale ruolo femminile, spesso <strong>di</strong>soccupate, immigrate dalla<br />
campagna, senzatetto, sole, prive del controllo <strong>di</strong> mariti o parenti maschili,<br />
non potevano che essere considerate “puttane” e arrestate come tali anche<br />
senza ragione.<br />
L’analisi del Regolamento Cavour consente <strong>di</strong> rilevare che i suoi punti<br />
cruciali erano l’art. 17: “sono considerate meretrici le donne che esercitano<br />
notoriamente la prostituzione»”; l’art. 20: “le prostitute non iscritte<br />
saranno chiamate all’Ufficio Sanitario o… vi saranno tradotte per essere<br />
registrate”; e l’art. 31: “l’arresto <strong>di</strong> meretrici….sarà notificato all’Ufficio<br />
Sanitario. In tale caso le meretrici arrestate dovranno essere sottoposte<br />
ad una visita straor<strong>di</strong>naria”. Con tali regole alla Polizia venivano assegnati<br />
poteri altamente <strong>di</strong>screzionali nel fermo delle donne colte in flagranza,<br />
vera o presunta, o denunciate come “sospette”, anche a mezzo <strong>di</strong> lettere<br />
anonime. Poiché il Regolamento era tecnicamente un atto <strong>di</strong> natura<br />
amministrativa e non penale, essa non era sottoposta a controlli da parte<br />
del potere giu<strong>di</strong>ziario.<br />
i sigg. CLiENTi<br />
sONO PREGATi Di ORiNARE<br />
ALL'iNTERNO DELLA CAsA<br />
ONDE EViTARE Di LORDARE<br />
LA PUBBLiCA ViA<br />
ANNI 1929 (VII) EF.<br />
Osservando per gran<strong>di</strong> linee le regole prescritte è possibile in<strong>di</strong>viduare<br />
in sei momenti nodali il percorso del rapporto obbligato delle meretrici<br />
con le autorità previste dal Regolamento: l’arresto, l’esame vaginale,<br />
l’iscrizione sui registri della polizia con l’induzione all’ingresso nelle case<br />
23
24<br />
<strong>di</strong> tolleranza, l’ammissione al sifilocomio, il permesso <strong>di</strong> trasferimento<br />
residenziale e la cancellazione dai registri della Polizia.<br />
dopo l’arresto e la visita coattiva alcune donne, sebbene risultate sane,<br />
venivano riconosciute come “notoriamente prostitute” clandestine e<br />
iscritte d’ufficio nel registro. Altre che risultavano affette da mali venerei<br />
venivano tradotte al Sifilocomio destinato alle prostitute anche quando<br />
tali non erano. Altre, infine, che erano sane e prive <strong>di</strong> “notorietà” come<br />
prostitute venivano rimesse in libertà con un ammonimento (“sane ma<br />
redarguite” era la <strong>di</strong>citura nei rapporti statistici) che risultava carico<br />
<strong>di</strong> umiliante prevaricazione. Le donne provenienti da un altro comune<br />
venivano munite <strong>di</strong> foglio <strong>di</strong> via con l’obbligo <strong>di</strong> lasciare al più presto il<br />
territorio.<br />
Le donne locali che erano considerate irrecuperabili e pericolose<br />
venivano iscritte d’ufficio, registrando in qualcuno degli otto tipi <strong>di</strong><br />
schede i loro dati esteriori (altezza, colore della pelle, capelli, naso, bocca,<br />
occhi e così via) e le informazioni personali che avrebbero consentito<br />
<strong>di</strong> riconoscerle sempre anche in futuro. Esse dovevano lasciare i loro<br />
documenti nell’Ufficio che le dotava <strong>di</strong> un apposito libretto, da portare<br />
sempre con sé, contenente i dati utili per la loro identificazione e i risultati<br />
delle visite bisettimanali effettuate o nell’Ufficio o nel postribolo, in<br />
mancanza delle quali erano soggette ad arresto.<br />
Se alla visita venivano trovate infette erano inizialmente tradotte e<br />
curate in un locale collegato alla prigione <strong>di</strong> S. Ludovico in via del<br />
Pratello poi, dal 1861, inviate al Sifilocomio <strong>di</strong> S. Orsola.<br />
Qualunque cambiamento <strong>di</strong> residenza <strong>di</strong> una pubblica meretrice da<br />
una città all’altra era sottoposto al permesso della Polizia, così come<br />
l’assentarsi per più <strong>di</strong> tre giorni dal bordello e anche il ricoverarsi in<br />
ospedale per malattie non veneree.<br />
In ultimo il Regolamento riconosceva alle patentate la facoltà <strong>di</strong><br />
uscire dalla professione e <strong>di</strong> essere cancellate dal registro, circostanza<br />
che avveniva in genere abbastanza presto, poco dopo i 30 anni (vi erano<br />
entrate in genere fra i 16 e i 21 anni). Per cancellarsi dovevano ottenere il<br />
nullaosta statale, ma la polizia era sospettosa (tra il 1863 e il 1886 accettò<br />
solo l’8% delle domande) e dovevano riuscire a <strong>di</strong>mostrare alla Polizia<br />
<strong>di</strong> aver trovato un lavoro, per lo più come domestica, o un protettore, <strong>di</strong><br />
solito un operaio e comunque un uomo <strong>di</strong> semplice con<strong>di</strong>zione, che si<br />
impegnava a mantenerle, a proteggerle e a garantire per loro.<br />
Per completezza si accennerà alle regole riguardanti i postriboli o<br />
bordelli, sebbene non ve ne fosse alcuno né a Persiceto né a Crevalcore,
ma ve ne era uno a Cento. Si poteva aprire un postribolo con una<br />
concessione da parte dell’Autorità <strong>di</strong> Pubblica Sicurezza e poteva essere<br />
o del tipo in cui le meretrici avevano domicilio fisso o <strong>di</strong> quello in cui<br />
le meretrici isolate si recavano per motivo <strong>di</strong> prostituzione. I postriboli<br />
erano sud<strong>di</strong>visi in categorie e classi a seconda dei requisiti e dei prezzi<br />
praticati, non dovevano essere ubicati nelle vie frequentate delle città, né<br />
vicino a scuole, pubblici uffici ed e<strong>di</strong>fici <strong>di</strong> culto.<br />
Il complesso e farraginoso apparato della regolamentazione<br />
prostituzionale era stato costruito, si è detto, per la necessità <strong>di</strong> frenare il<br />
<strong>di</strong>ffondersi delle malattie veneree, in particolare della più grave <strong>di</strong> esse, la<br />
sifilide. I “mali <strong>di</strong> Venere” sono malattie che prendono il nome dal fatto<br />
che, secondo l’esperienza comune fin dai tempi antichi, si contraggono<br />
tramite il “commercio con le donne”, ancelle della dea dell’amore. Oggi, per<br />
correttezza scientifica ed anche per eliminare un’ulteriore attribuzione <strong>di</strong><br />
colpevolezza al genere femminile, vengono dette “malattie a trasmissione<br />
sessuale”, poiché riguardano in ugual misura sia uomini che donne. Poiché<br />
però i risultati sanitari del Regolamento erano molto limitati, ci furono<br />
in <strong>di</strong>verse circostanze degli interventi parlamentari contro <strong>di</strong> esso, finché<br />
nel 1888 il ministro Crispi emanò due nuovi decreti, che applicavano<br />
il principio della separazione dei due aspetti del problema, l’or<strong>di</strong>ne<br />
pubblico e la salute. Le “tolleranze”, in quanto esercizi pubblici, e non le<br />
“tollerate”, erano sottoposte alla sorveglianza igienica e amministrativa,<br />
ancora piuttosto rigida, mentre le visite e le cure me<strong>di</strong>che ed ospedaliere<br />
venivano garantite, su loro spontanea richiesta, sia ad uomini che a donne.<br />
Con la chiusura dei sifilocomi e la soppressione degli Uffici Sanitari<br />
presso le Questure veniva a concludersi quella o<strong>di</strong>osa fase della <strong>di</strong>sciplina<br />
statale sulle condotte prostituzionali, che era stata introdotta dalla prima<br />
regolamentazione. Tuttavia la <strong>di</strong>sciplina, con qualche successiva mo<strong>di</strong>fica,<br />
si protrasse, come si è detto, fino alla legge Merlin del 1958.<br />
La prostituzione nei documenti <strong>di</strong> San Giovanni in Persiceto<br />
I primi documenti rinvenuti e utilizzati per il presente lavoro sono<br />
quelli presenti nell’Archivio Storico <strong>di</strong> Bologna sotto la voce “Ufficio<br />
<strong>di</strong> Pubblica Sicurezza <strong>di</strong> San Giovanni in Persiceto - Prostituzione” e<br />
riportano la data del giugno 1859, quando la città si era appena liberata<br />
dal governo pontificio ed erano in vigore le norme delle Istruzioni<br />
sulla Prostituzione e del successivo Regolamento sulla Prostituzione per la<br />
25
26<br />
città <strong>di</strong> Torino, che attribuivano il potere <strong>di</strong> sorveglianza alla Questura e<br />
introducevano l’istituzione <strong>di</strong> un apposito Ufficio Sanitario operante in<br />
<strong>di</strong>retta relazione con essa. Il carteggio conservato nell’Archivio Storico<br />
<strong>di</strong> Persiceto, alla voce “Polizia - Meretrici”, (quello che non si è trovato,<br />
come detto più sopra, a Crevalcore) inizia invece nel maggio 1863, dopo<br />
che le istituzioni regie si erano già stabilmente installate ed era già attiva<br />
la “Regia delegazione Mandamentale <strong>di</strong> S. Giovanni in Persiceto” della<br />
Polizia, cui spettava, fra gli altri, anche il compito <strong>di</strong> applicare il Regolamento<br />
Cavour. da quel momento i mittenti e i destinatari delle corrispondenze<br />
relative alla prostituzione <strong>di</strong>ventarono stabilmente il delegato <strong>di</strong> Pubblica<br />
Sicurezza, l’Ufficio Sanitario, la Questura e i <strong>di</strong>rettori me<strong>di</strong>ci dell’Ufficio<br />
Sanitario e del Sifilocomio <strong>di</strong> Bologna, il Sindaco, oltre al Comando dei<br />
Regi Carabinieri.<br />
Quali erano i contesti e le persone che determinavano i <strong>di</strong>versi aspetti<br />
del controllo della prostituzione locale?<br />
Nel primo momento <strong>di</strong> applicazione dei regolamenti il compito<br />
principale delle autorità consisteva nell’in<strong>di</strong>viduare le presunte prostitute,<br />
così da poterle assoggettare alla visita sanitaria coatta. Poiché i<br />
regolamenti affermavano che erano da considerarsi meretrici le donne<br />
che esercitavano notoriamente la prostituzione, il criterio <strong>di</strong> accertamento<br />
si fondava sulle voci della “pubblica fama”. Non tutte le voci giungevano<br />
ad essere svelate e registrate nelle pubbliche carte, bensì solo quelle che<br />
riguardavano gli ambienti più poveri, “miserabili”, in quanto era la miseria<br />
che conduceva i casi alle autorità, tenute ad occuparsi <strong>di</strong> chi non aveva<br />
mezzi per sostenersi. Coloro che i mezzi li avevano contavano su riguardo<br />
e riservatezza e gestivano le loro faccende in un modo più <strong>di</strong>screto! In ogni<br />
caso, all’inizio gli sconcertati impiegati del decaduto governo pontificio<br />
si trovarono a dover affrontare un compito imbarazzante e scabroso e si<br />
dovettero improvvisamente occupare <strong>di</strong> malattie vergognose e <strong>di</strong> oscure<br />
parti anatomiche femminili. Nella pratica amministrativa tuttavia, tranne<br />
che nei certificati me<strong>di</strong>ci, praticamente “pornografici” nella crudezza del<br />
loro linguaggio, per nascondere l’imbarazzo, si cercava <strong>di</strong> usare eufemismi<br />
e giri <strong>di</strong> parole, quali “mal francese” o “male attaccaticcio”, “parti<br />
pudende”, “tributi mensili”, “arte meretricia” o “ turpe mestiere”.<br />
Sebbene constatasse con un certo rammarico che era stato “impossibile<br />
in questa città fondare una casa <strong>di</strong> tolleranza”, il delegato segnalava che<br />
esistevano non poche prostitute, in particolare nella zona attorno a Porta<br />
Ferrara e al canale, dove frequenti clamori notturni suscitavano i reclami<br />
dei citta<strong>di</strong>ni e delle autorità. Tuttavia l’esame della documentazione mostra
che un imponente apparato organizzativo, che oltre alle già citate autorità,<br />
comprendeva ambulatori, me<strong>di</strong>ci condotti, comandanti delle truppe,<br />
levatrici, guar<strong>di</strong>e municipali, custo<strong>di</strong> delle carceri, messi, consiglieri<br />
comunali, economi, personale del Ricovero, <strong>di</strong>rettore dell’ospedale<br />
dei Bastar<strong>di</strong>ni, istituti correzionali, birocciai, e così via, riguardava<br />
annualmente una popolazione locale <strong>di</strong> non più <strong>di</strong> una decina <strong>di</strong> donne<br />
de<strong>di</strong>te alla prostituzione. Tale numero si rileva da una lettera del delegato<br />
<strong>di</strong> Pubblica Sicurezza che nel 1866 richiedeva alla Questura <strong>di</strong> Bologna,<br />
oltre a un registro per le iscritte, a uno per le infette e a un bollettario<br />
per le tasse prescritte, una dotazione <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci libretti da rilasciare alle<br />
meretrici! Riflettendo su quanto è stato detto in precedenza sull’efficacia<br />
finale della regolamentazione nei confronti dello scopo istituzionale, ossia<br />
il contrasto alla <strong>di</strong>ffusione della sifilide, <strong>di</strong> nuovo occorre rilevare quanto<br />
spesso gli apparati burocratici eccedano rispetto ai risultati, in particolare<br />
quando i provve<strong>di</strong>menti legislativi vengono elaborati in funzione <strong>di</strong> una<br />
pretesa ragione <strong>di</strong> “emergenza”.<br />
Nei fatti l’origine dell’emergenza era costituita dai “presi<strong>di</strong> <strong>di</strong> truppa”,<br />
ossia battaglioni militari stazionanti nel territorio durante le fasi più decisive<br />
delle guerre risorgimentali. dal Ministero giungeva la sollecitazione a far<br />
praticare visite straor<strong>di</strong>narie alle donne de<strong>di</strong>te alla prostituzione “onde<br />
preservare [le truppe] dal pericolo <strong>di</strong> contrarre infezioni”. Successero<br />
anche dei <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ni ed un Generale segnalò che alcuni militari si<br />
recavano nelle case <strong>di</strong> prostitute e pretendevano con minacce che esse<br />
si prestassero senza mercede o la restituissero dopo la consumazione.<br />
Ad<strong>di</strong>rittura, due prostitute che stavano all’Osteria della Stella erano<br />
state costrette a scappare a Bologna. Il Generale ammoniva però che “la<br />
mancanza o la deficienza <strong>di</strong> meretrici dove <strong>di</strong>mora molta truppa potrebbe<br />
arrecare gran<strong>di</strong> inconvenienti”, per cui occorreva prendere provve<strong>di</strong>menti<br />
per rime<strong>di</strong>are alla carenza!<br />
I primi elenchi <strong>di</strong> “sospette” comprendono i nomi delle coniugate<br />
Rosa Novellini, Maria Cavallini, Giuseppina Vignoli, che aveva appena<br />
partorito, domenica degli Esposti, Teresa Re, Teresa Balugani, Leonilde<br />
Martignoli, Carlotta Cocchi, Carlotta Morisi, Carolina Guizzar<strong>di</strong>, Rosa<br />
Morisi e le nubili Virginia Cotti, giovinetta, Virginia Piccinini, Ottavia<br />
Pe<strong>di</strong>ni. Qualcuna era già stata visitata, altre avrebbero dovuto esserlo<br />
al più presto. Alcune risultarono ammalate, per cui due <strong>di</strong> esse vennero<br />
spe<strong>di</strong>te al carcere correzionale della Ba<strong>di</strong>a a Bologna, altre furono ammesse<br />
al Ricovero <strong>di</strong> Persiceto, una fu affidata al marito con l’intimazione<br />
<strong>di</strong> sorvegliarla e curarla, e per la “infelice traviata” Virginia Piccinini<br />
27
28<br />
“essendo… molto giovane e da marito” si fece un tentativo <strong>di</strong> curarla in<br />
paese per non infamarla inviandola al carcere correzionale.<br />
Quando nel 1869 si avviò la regolare pratica della visita bisettimanale<br />
l’Ospedale civile aveva messo a <strong>di</strong>sposizione un locale al piano terreno del<br />
palazzo SS. Salvatore, sede dell’Ospedale omonimo, con accesso dal lato<br />
Sud, dove fino a non molti anni fa era ubicato l’Ufficio Postale. Poiché il<br />
corridoio su cui affacciava tale camera era <strong>di</strong>rettamente collegato da un<br />
lato all’ingresso principale e alla scala per i reparti <strong>di</strong> infermeria del piano<br />
superiore, dall’altro alla Piazza oggi detta Sassoli, si venivano a ingenerare<br />
incresciosi incontri o scontri fra i malati <strong>di</strong> ogni età e sesso, i <strong>di</strong>pendenti<br />
e le donne pubbliche che trascendevano in scostumate condotte. Esse<br />
davano spesso motivo <strong>di</strong> <strong>di</strong>sturbo con il loro linguaggio, il loro berciare, il<br />
loro sconcio comportamento ed abbigliamento e per <strong>di</strong> più non mancava<br />
l’indecoroso sollazzo dei giovanotti e dei per<strong>di</strong>tempo che nei giorni e<br />
orari <strong>di</strong> visita sfilavano su e giù per la piazza per vedere e irridere le<br />
prostitute che vi convenivano. Con una specie <strong>di</strong> “blitz” la presidenza<br />
dell’Ospedale revocò <strong>di</strong> punto in bianco la concessione della camera, e<br />
ne scaturì una polemica col <strong>Comune</strong> e una denuncia alla Prefettura,<br />
fino a che si giunse ad una ricucitura dello strappo quando l’Ospedale<br />
concesse dapprima un altro locale al piano superiore dello stabilimento,<br />
più appartato e riguardato (forse quello subito a destra dello scalone <strong>di</strong><br />
accesso in fondo agli attuali uffici della Biblioteca Comunale) e in seguito<br />
due locali nella Pia Casa <strong>di</strong> Ricovero, a pianterreno nella via del portico<br />
<strong>di</strong> S. Francesco (quello del vecchio Ospedale), con accesso da una porta<br />
che dava sull’angolo con via Borletto, più defilati e più adatti allo scopo.<br />
Abitualmente venivano obbligate a visita tutte le donne sospette <strong>di</strong><br />
“darsi in braccio al meretricio” anche se non erano iscritte nel registro e<br />
non erano in possesso del libretto. Le donne trovate affette da “celtico<br />
malore” venivano inviate a cura coatta, ma i me<strong>di</strong>ci erano piuttosto<br />
approssimativi nel decidere <strong>di</strong> quale malattia si trattasse e per lo più si<br />
limitavano a descrivere i sintomi e le lesioni, tanto che la Questura<br />
ancora nel 1870 doveva riba<strong>di</strong>re che al Sifilocomio dovevano essere inviate<br />
solo donne affette da “vera lue”.
Per quanto concerne il livello sociale e “professionale” delle prostitute<br />
persicetane si rileva che esse non erano “<strong>di</strong> qualità”: nel foglio statistico<br />
del 1872 sono classificate “tutte <strong>di</strong> terza classe”. In un elenco del 1868<br />
sono in<strong>di</strong>cate ventotto donne fra maritate, vedove e nubili e ciascuna <strong>di</strong><br />
esse viene qualificata dal solerte impiegato come “sospetta”, “puttana” o<br />
“puttanissima”.<br />
Una parte <strong>di</strong> donne è rappresentata dalle coniugate, per legge “soggette<br />
a maritale potestà”, con<strong>di</strong>zione che attribuiva al marito precisi doveri<br />
e poteri nei confronti della moglie, tanto che potevano essere a loro<br />
affidate perché le sorvegliassero: al marito <strong>di</strong> Teresa Re, Alessandro Rossi,<br />
veniva “intimato il precetto” <strong>di</strong> vigilare <strong>di</strong>ligentemente la condotta della<br />
moglie affinché non si desse alla prostituzione e <strong>di</strong> provvedere alla cura<br />
della sua lue venerea; in caso <strong>di</strong> inobbe<strong>di</strong>enza la moglie sarebbe stata<br />
arrestata e tradotta alle carceri dell’Abba<strong>di</strong>a a Bologna, mentre a lui non<br />
era minacciata alcuna sanzione.<br />
Cruciale era poi la con<strong>di</strong>zione delle minorenni, giovinette <strong>di</strong> quin<strong>di</strong>ci<strong>di</strong>ciotto<br />
anni, una ad<strong>di</strong>rittura <strong>di</strong> un<strong>di</strong>ci, che erano affette da malattie<br />
veneree e che dovevano essere curate. Erano da considerarsi prostitute?<br />
E dove inviarle per la cura? Il delegato <strong>di</strong> Polizia si poneva il problema,<br />
sebbene vivessero in ambienti già degradati ed avessero una pessima<br />
fama, <strong>di</strong> non <strong>di</strong>sonorarle col mandarle in posti dove i nomi stessi erano<br />
marchi d’ignominia e dove avrebbero dovuto restare a contatto con le più<br />
svergognate e sor<strong>di</strong>de meretrici, compromettendo la possibilità <strong>di</strong> maritarsi.<br />
<strong>di</strong>versi sono i nomi che compaiono: Virginia Piccinini, Enrica Vignoli,<br />
Giovanna Rossi, Amalia Piccinini, Alfonsina e Amalia Borghi, Marianna<br />
Guizzar<strong>di</strong>, Maria Stefani. Esse erano considerate, più che “naturalmente<br />
<strong>di</strong>sposte”, vittime <strong>di</strong> <strong>di</strong>sperate situazioni familiari, in cui mancavano<br />
uno o entrambi i genitori, ma soprattutto della turpitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> qualche<br />
sorella maggiore o <strong>di</strong> qualche madre che speculava sulla loro giovane età.<br />
Maria Stefani aveva circa <strong>di</strong>ciassette anni quando era fuggita dall’osteria<br />
29
30<br />
<strong>di</strong> Carpi, nella quale era andata a servizio, per seguire la Compagnia <strong>di</strong><br />
Operette de Angelis. I genitori che la cercavano e non la trovavano da<br />
nessuna parte, si rivolsero alla Polizia ma c’era il sospetto che la madre,<br />
donna <strong>di</strong> pessimi costumi, fosse interessata a far “rimpatriare la figlia …<br />
per mercanteggiare sulla sua gioventù”. Poi venne ritrovata, fu più volte<br />
fatta curare perché infetta, venne rimpatriata da Carpi e da Cento con<br />
foglio <strong>di</strong> via, stazionò anche alcuni giorni nel postribolo <strong>di</strong> Cento tenuto<br />
da Enrica Salvi ed alla fine, nel 1893, accettò <strong>di</strong> farsi curare a domicilio.<br />
I luoghi più consueti <strong>di</strong> prostituzione tollerata, ma anche clandestina,<br />
erano alcune abitazioni private e alcune osterie, in cui si riservavano una o<br />
più camere appartate nelle quali le donne ricevevano i “signori” o i soldati<br />
o comunque i frequentatori del mercato e delle fiere. Sono citate più volte<br />
le osterie del Leoncino, del Giubagino, della Stella, <strong>di</strong> Via S. Apollinare.<br />
Nel 1867 si trova un’istanza al Questore <strong>di</strong> Bologna da parte degli osti<br />
<strong>di</strong>onigio Scagliarini e Margherita Michelini che, <strong>di</strong>chiarandosi carichi<br />
<strong>di</strong> numerosa famiglia e <strong>di</strong> vita assai stentata, chiedevano in occasione<br />
della fiera, per una settimana, “la grazia <strong>di</strong> consentire che l’uno e l’altra<br />
[potessero] tenere due prostitute per ciascuno per vedere <strong>di</strong> guadagnare<br />
qualche cosa”. La risposta fu perentoria: la Questura ha l’incarico <strong>di</strong><br />
tutelare la pubblica moralità e non darà mai il suo assenso a che pubblici<br />
esercenti si facciano strumento <strong>di</strong> corruzione e non asseconderà.“la turpe<br />
speculazione che i due osti vorrebbero intraprendere” .<br />
Alcune delle donne compaiono nei documenti in una sola o poche<br />
circostanze, mentre altre saranno presenti per <strong>di</strong>versi anni, protagoniste<br />
<strong>di</strong> visite, malattie, ricoveri, prescrizioni, carcerazioni, espulsioni, ribellioni,<br />
trasferimenti, fughe, gravidanze clandestine, provve<strong>di</strong>menti <strong>di</strong>versi,<br />
mentre nuove figure si faranno presenti <strong>di</strong> anno in anno sulla scena, citate<br />
oltre che con i loro nomi anagrafici anche con i loro soprannomi, a volte<br />
curiosi, a volte storpiati o usati ad<strong>di</strong>rittura come cognomi.<br />
Virginia Piccinini, alias Luzzi o Luzì o Luzy o la Luzzi, nel 1859<br />
venne trovata affetta da mal francese ed arrestata perché de<strong>di</strong>ta “all’arte<br />
meretricia”. In seguito venne trovata ripetutamente malata, poi autorizzata<br />
a curarsi sotto il controllo del padre e dei fratelli perché “non si d[esse] a<br />
uomo” fino alla guarigione. dopo ulteriori reclami da parte <strong>di</strong> Carabinieri<br />
contagiati fu internata nel Ricovero, da cui fuggì con una compagna<br />
calandosi da una finestra e attraversando il canale in secca. Fu fatta ricercare<br />
e per mezzo dei connotati registrati sappiamo che aveva “20 anni circa,<br />
occhi neri, capelli neri, naso e mento regolari, carnagione olivastra, statura<br />
giusta” e indossava “una vesta <strong>di</strong> cambriule scura e su<strong>di</strong>cia”. Ritrovata a
Bologna per mezzo <strong>di</strong> un suo biglietto fatto recapitare al padre, dovette<br />
restituire degli indumenti rubati durante le fuga. Fu poi nuovamente<br />
ricoverata e dopo la guarigione rinchiusa in carcere per scontare nove<br />
giorni <strong>di</strong> punizione. Qualche tempo dopo richiese un libretto <strong>di</strong> servizio<br />
per recarsi a lavorare a Bologna nel tentativo <strong>di</strong> “ritornare nella via<br />
dell’onestà” ma presto la troviamo a farsi me<strong>di</strong>care dal dott. Sacenti<br />
per lesioni al viso prodotte da uno “scal<strong>di</strong>no” lanciatole contro in una<br />
bottega. da Maria Magoni che si era lamentata con una vicina <strong>di</strong> non aver<br />
nulla da mangiare perché suo marito aveva consumato tutto il suo denaro<br />
trattenendosi due giorni a S. Agata con Virginia. dopo ulteriori ricoveri<br />
per le stesse malattie, Virginia faceva sapere <strong>di</strong> trovarsi a Firenze, dove era<br />
stata abbandonata da un “buon giovane”, che era partito senza avvertirla<br />
con un <strong>di</strong>staccamento militare, e dove si nascondeva presso una signora<br />
per il timore <strong>di</strong> essere arrestata. Con una pietosa lettera fatta recapitare al<br />
delegato <strong>di</strong> Persiceto chiedeva che egli le inviasse, presso un soldato dei<br />
Granatieri <strong>di</strong> Sardegna, le sue “carte <strong>di</strong> sicurezza” allo scopo <strong>di</strong> rientrare<br />
in paese. Rientrò e qualche anno dopo, nel 1866, ricompare in un elenco<br />
<strong>di</strong> meretrici, nel quale <strong>di</strong> lei si <strong>di</strong>ce: “fu puttana, ora ha marito e non ha<br />
del tutto smesso”.<br />
Enrica Vignoli, detta Bellaparola, per la sua “proclività al malcostume”<br />
ottenne ben presto il “libretto” da lei ripetutamente richiesto. Era<br />
un’irrequieta, non stava agli or<strong>di</strong>ni, nel gennaio del 1869 era iscritta<br />
nell’elenco degli arrestati per la rivolta e le violenze insorte in paese a<br />
seguito della tassa sul macinato. Più volte ricoverata al Sifilocomio e<br />
nel Ricovero, più volte incarcerata o rimandata in patria con foglio <strong>di</strong><br />
via, nel 1869 rimase incinta e scandalosamente non si faceva scrupolo<br />
<strong>di</strong> andare in giro a “portare in trionfo la vergogna della prostituzione”,<br />
tanto da procurare l’intervento del Parroco per “togliere l’offesa”. Negli<br />
anni successivi, fino al 1879, subì ancora ricoveri, ammonizioni a recedere<br />
dalla prostituzione e ad osservare la legge, ed arresti perché trovata<br />
a girovagare per le vie principali <strong>di</strong> sera, anche dopo l’Ave Maria, e a<br />
provocare schiamazzi ad<strong>di</strong>rittura nella pubblica piazza.<br />
Per concludere, esprimo l’opinione che dalle storie e dai fatti fin qui<br />
riportati sia possibile ricavare riflessioni e modelli attorno ad un argomento<br />
che tuttora ci costringe a confrontarci con la miseria, lo sfruttamento e la<br />
tratta delle donne, la prevenzione <strong>di</strong> gravi malattie, la vigilanza sull’or<strong>di</strong>ne<br />
pubblico, il contrasto alla delinquenza ed anche, non secondariamente,<br />
l’analfabetismo e la pochezza sessuale <strong>di</strong> troppi uomini. Con la speranza<br />
31
32<br />
che tale riflessione possa in<strong>di</strong>rizzare il <strong>di</strong>battito pubblico e le decisioni<br />
politiche al superamento degli inefficaci e rovinosi schemi del passato, per<br />
progettare interventi capaci <strong>di</strong> frenare l’ignoranza, il <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne, la violenza<br />
e l’abuso senza compromettere la <strong>di</strong>gnità, la sensibilità e la responsabilità<br />
personale dei soggetti coinvolti nel fenomeno del sesso a pagamento.
ROBERTO TOMMASINI<br />
I moti del 1831<br />
“Qui l’or<strong>di</strong>ne pubblico è quieto e lo spirito pubblico non patisce veruna alterazione.”<br />
Era la frase con cui il 4 Febbraio 1831 Petronio Vecchi, Priore <strong>di</strong> Crevalcore,<br />
chiudeva il suo settimanale bollettino politico in<strong>di</strong>rizzato alla Polizia Provinciale<br />
<strong>di</strong> Bologna.<br />
Il bollettino era un elenco dei crimini, degli illeciti e dei conseguenti interventi<br />
<strong>di</strong> polizia accaduti in territorio crevalcorese.<br />
I reati in<strong>di</strong>cati erano prevalentemente i furti, le aggressioni e le offese, ma<br />
quella settimana, oltre all’arresto <strong>di</strong> un tale Giuseppe Lo<strong>di</strong> <strong>di</strong> Caselle, detto il Cristo,<br />
reo <strong>di</strong> insulti e strapazzi verso il Rettore della Chiesa <strong>di</strong> Caselle, il bollettino<br />
trattò anche <strong>di</strong> un dragone modenese venuto a Palata per fare incetta <strong>di</strong> armi da<br />
fuoco e dell’eco <strong>di</strong> cannonate provenienti dal modenese la notte precedente.<br />
Effettivamente, anche a forza <strong>di</strong> cannonate, la notte del 3 Febbraio, Francesco<br />
IV duca <strong>di</strong> Modena stroncò sul nascere l’insurrezione organizzata da Ciro Menotti.<br />
L’insurrezione, repressa a Modena, si propagò comunque nei giorni successivi<br />
alle altre città emiliane e in seguito a quelle romagnole e delle Marche.<br />
A Bologna il rifiuto <strong>di</strong> Polizia e Milizia <strong>di</strong> sparare sul popolo costrinse il prolegato<br />
ad autorizzare la costituzione <strong>di</strong> una Commissione <strong>di</strong> governo provvisoria<br />
formata dai conti Carlo Pepoli, Alessandro Agucchi, Cesare Bianchetti, dal<br />
professor Francesco Orioli, dagli avvocati Antonio Zanolini e Antonio Silvani e<br />
presieduta dal marchese Francesco Bevilacqua.<br />
Il primo atto del nuovo organo <strong>di</strong> governo fu quello <strong>di</strong> istituire una Guar<strong>di</strong>a<br />
Nazionale, seguito poi dalla formalizzazione del Governo Provvisorio della città<br />
e della provincia <strong>di</strong> Bologna.<br />
don Angelo Frabetti, Cappellano nella chiesa <strong>di</strong> San Silvestro <strong>di</strong> Crevalcore,<br />
così descrisse quell’evento, una decina <strong>di</strong> anni dopo, in una sua cronaca manoscritta:<br />
“… e questo fu il giorno cinque Febbraio dove a Bologna furono levati i stemmi del Papa,<br />
e furono inalzate alcune ban<strong>di</strong>ere a tre colori bianco, verde e rosso, e fu comandato che tutti<br />
portassero nel Castello la Cocarda tricolorata e isituirono una guar<strong>di</strong>a nazionale colla montura<br />
a tre colori .<br />
Questo governo Liberale si <strong>di</strong>ramò nei Castelli soggetti alla Città <strong>di</strong> Bologna dove si videro<br />
proclami e Notificazioni detto Governo Liberale. Crevalcore in si fatta circostanza mostrò<br />
gran fanatismo al governo Liberale per essere sud<strong>di</strong>to a Bologna, e ai confini del Modenese<br />
35
36<br />
che innalzò una ban<strong>di</strong>era a tre colori che fu fatta a bella posta dalla Sig. ra Carolina Fangarezzi<br />
in Rossi fanatica per liberalismo e la regalò alla <strong>Comune</strong> e fu attaccata alla Casa<br />
Comunale” .<br />
L’esposizione del vessillo coincise probabilmente con la proclamazione dello<br />
statuto costituzionale approvato a Bologna il 4 <strong>di</strong> Marzo dall’Assemblea<br />
dei deputati delle Province Unite. Qualche giorno prima, sempre a Bologna,<br />
<strong>di</strong>ventata il centro decisionale dell’Assemblea delle Province Unite, era stata pianificata<br />
una spe<strong>di</strong>zione armata contro Roma, ed era stato adottato come stemma<br />
dell’Unione un’aquila nera in campo d’oro sovrapposta al fascio consolare annodato<br />
con nastri tricolori.<br />
Il tricolore era il simbolo che univa tutte le province insorte, la prova <strong>di</strong><br />
una strategia unica nell’insurrezione <strong>di</strong> città <strong>di</strong> stati <strong>di</strong>fferenti, la testimonianza<br />
dell’ambizione all’ unità nazionale degli insorti.<br />
A parte un gruppo <strong>di</strong> giovani corsi a dar man forte agli insorti Modenesi che<br />
erano agli or<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> un certo Giuseppe Manicar<strong>di</strong>, ufficiale estense pensionato,<br />
fino a quel momento i Crevalcoresi non furono particolarmente coinvolti nei<br />
moti rivoluzionari. In paese non c’erano presi<strong>di</strong> militari da conquistare, simboli<br />
del potere da abbattere, governanti da mettere in fuga.<br />
La pubblica amministrazione continuò ad essere gestita dal Priore Petronio<br />
Vecchi, eletto sotto il legato pontificio, mentre la guar<strong>di</strong>a civica locale si era sciolta<br />
da sola un anno prima, dopo aver perso il proprio comandante in un conflitto<br />
a fuoco con un malvivente.<br />
Il primo momento collettivo <strong>di</strong> partecipazione all’insurrezione fu l’organizzazione<br />
della Guar<strong>di</strong>a Nazionale locale.<br />
Il 5 Febbraio, giorno della costituzione del Governo provvisorio, era stato<br />
<strong>di</strong>vulgato a Bologna un e<strong>di</strong>tto sulla partecipazione obbligatoria <strong>di</strong> tutti i citta<strong>di</strong>ni<br />
maggiori <strong>di</strong> 18 anni alla Guar<strong>di</strong>a Nazionale. Ogni comune doveva costituire la<br />
propria: “ con le armi <strong>di</strong> cui sono in possesso, <strong>di</strong>videndosi in sedentari e mobili, portando la<br />
coccarda tricolore” .<br />
A Crevalcore la formazione della Guar<strong>di</strong>a nazionale avvenne una domenica<br />
<strong>di</strong> Marzo dalle sei del mattino all’una pomeri<strong>di</strong>ana. davanti alle fosse del castello<br />
a levante, si riunirono in assemblea tutti gli uomini dai <strong>di</strong>ciotto ai cinquant’anni<br />
delle parrocchie <strong>di</strong> Crevalcore, Sammartini e Caselle.<br />
durante l’assemblea vennero eletti capitani, tenenti, sergenti e formati i reparti,<br />
detti centurie, che costituirono la Guar<strong>di</strong>a Nazionale <strong>Crevalcorese</strong>. Gli<br />
ufficiali furono scelti fra i possidenti del paese, sicuramente più abituati a comandare<br />
( e un po’ istruiti ), mentre i reparti vennero composti in base alla statura<br />
dei volontari. Definiti i ruoli, il nuovo contingente militare, entrò trionfante nel<br />
castello e, dopo aver sfilato in formazione <strong>di</strong> battaglia, si schierò nella piazza del<br />
paese, dove fra le acclamazioni venne portata la ban<strong>di</strong>era tricolore.<br />
Nei locali situati fra la Casa del <strong>Comune</strong> e la sconsacrata Chiesa dei Battuti, già
37<br />
Febbraio 1831, Crevalcore - Esposizione del tricolore dal Palazzo Comunale
38<br />
utilizzati come quartiere dalla Guar<strong>di</strong>a Nazionale in Epoca Napoleonica, venne<br />
organizzata la caserma della nuova forza militare, subito posta sotto la sorveglianza<br />
<strong>di</strong> sentinelle. Comandante in capo della Guar<strong>di</strong>a Nazionale <strong>Crevalcorese</strong><br />
fu eletto il sig. Giuseppe Michelini.<br />
La strategia militare a <strong>di</strong>fesa del governo e della nuova costituzione era suggerita<br />
da un volantino <strong>di</strong>ffuso a Bologna il 7 Febbraio, intitolato “ Nuovo catechismo<br />
pel 1831” che pre<strong>di</strong>cava:<br />
“Chi non potrà avere uno schioppo, prenderà una forca, un ba<strong>di</strong>le, la falce del fieno <strong>di</strong>rizzata,<br />
un bastone con una punta <strong>di</strong> ferro.<br />
Quando il nemico minaccia le frontiere, bisogna subito ritirare i viveri, i bestiami, e le munizioni<br />
nei borghi, nelle castella, e nelle città; e là, all’imboccatura <strong>di</strong> tutte le strade, coprirsi <strong>di</strong><br />
barricate, alte cinque pie<strong>di</strong>, e ripetute anche nell’interno, a cento passi <strong>di</strong>stanti uno dall’altra.<br />
Bisogna inoltre preparare nelle case dei sassi e delle pietre. Quando il nemico si presenterà, gli<br />
uomini armati si <strong>di</strong>fenderanno <strong>di</strong>etro le barricate, e le donne, i vecchj, ed i ragazzi, dalle finestre<br />
e dai tetti getteranno sul nemico i sassi, le pietre, i tegoli stessi.<br />
Il paese che sarà minacciato farà subito suonare la campana a martello; ed i paesi circonvicini,<br />
che non avranno il nemico in vista, invieranno imme<strong>di</strong>atamente tutti gli uomini armati in<br />
soccorso del paese attaccato.<br />
In questo modo nessun nemico, per forte che sia, potrà sottomettere il popolo”.<br />
Il nemico possente, addestrato ed equipaggiato, era già arrivato in soccorso<br />
della duchessa <strong>di</strong> Parma e del duca <strong>di</strong> Modena. Si trattava dell’esercito Austriaco<br />
che a Fiorenzuola d’Arda il 2 Marzo sconfisse gli insorti parmensi e tre giorni<br />
dopo a Novi quelli modenesi. Il 6 <strong>di</strong> Marzo, giorno successivo alla battaglia, la<br />
notizia della sconfitta degli insorti modenesi giunse e si <strong>di</strong>ffuse in paese per<br />
opera <strong>di</strong> un certo Petronio Accorsi, crevalcorese e volontario nei dragoni della<br />
provincia <strong>di</strong> Modena, corpo militare in cui era corso ad arruolarsi nei giorni<br />
successivi all’insurrezione.<br />
Petronio Vecchi, Priore <strong>di</strong> Crevalcore, per evitare allarmismi fra la popolazione<br />
pose il reduce sotto la custo<strong>di</strong>a del corpo <strong>di</strong> guar<strong>di</strong>a e informò imme<strong>di</strong>atamente<br />
il Governo provvisorio della Città e Provincia <strong>di</strong> Bologna, della vittoria<br />
austriaca:<br />
“il battaglione dell’arciduca <strong>di</strong> Modena arrivò jeri a Carpi <strong>di</strong>rigendosi verso Modena ma<br />
che <strong>di</strong>mostratosi coi liberali e venuto alla zuffa con questi fosse prima sconfitto, ma che <strong>di</strong>ppoi<br />
rinforzato da truppa tedesca furono i liberali respinti”;<br />
e del conseguente sviluppo della situazione :<br />
“<strong>di</strong>versi modenesi <strong>di</strong> Bomporto che hanno confirmata la avanti detta Notizia, <strong>di</strong>cendo <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>rigersi a Castelfranco per raggiungervi i liberali modenesi ivi dovuti ritirarsi per l’urto dè<br />
tedeschi “.<br />
Le notizie trasmesse al Governo Bolognese furono integrate ancora dal Priore,<br />
verso sera, da un secondo <strong>di</strong>spaccio che riportava:<br />
“6 marzo 1831.
All’eccelsa Commissione governativa della Città e Provincia <strong>di</strong> Bologna .<br />
In aggiunta alla mia d’oggi segnata antecedente n° 96, sono a partecipare a codesta Eccelsa<br />
Commissione, che ulteriori notizie ricevute da n° 18 Mirandolesi qui giunti questa<br />
sera armati <strong>di</strong> fucili ( …) portano che l’incursione nelli Stati <strong>di</strong> Modena è operata dal solo<br />
Battaglione che seguì il Duca nella sua ritirata, e da alquanti insorgenti vestiti in varie foggie,<br />
ed in particolare aventi in testa un capello alla Tirolese .<br />
Si ha poi <strong>di</strong> certo che Corpi <strong>di</strong> liberali Modenesi, sonsi ritirati da què stati e stanziano oggi<br />
l’uno a Castelfranco, l’altro a San Giovanni in Persiceto .<br />
Qui tutto è quieto e tranquillo ed al giungere <strong>di</strong> qualche interessante notizia mi farò dovere<br />
ragguagliarne codesta Eccelsa Commissione .<br />
Le rinnovo i sentimenti dell’alta mia stima ed ossequio .<br />
Il Priore P.Vecchi “<br />
Quello stesso giorno, il legato Pontificio riprendeva il governo della città <strong>di</strong><br />
Ferrara grazie all’azione dell’esercito asburgico, intervenuto su richiesta del Pontefice<br />
per ripristinare la situazione precedente all’insurrezione.<br />
Il giorno seguente da Bologna giunsero le istruzioni, richieste dal Priore in<br />
merito all’assistenza da fornire ai 18 insorti Mirandolesi: l’intestazione era stata<br />
mo<strong>di</strong>ficata a mano, trasformando “Governo provvisorio della città e provincia <strong>di</strong><br />
Bologna” in “Governo Provvisorio delle province libere d’Italia”.<br />
Scrupolosamente il Priore <strong>di</strong> Crevalcore continuò a trasmettere a Bologna le<br />
notizie che giungevano da oltre confine, comunicando l’11 <strong>di</strong> Marzo:<br />
“Preso del dovere d’informare approssimativamente codesto Eccellentissimo Governo sulla<br />
parte delle cose attuali, ed eccone il dettaglio.<br />
La sera delli 8 correnti il battaglione del Duca <strong>di</strong> Modena giunse a Bomporto luogo <strong>di</strong>stante<br />
da questo castello circa cinque miglia. Dopo aver ivi bivaccato per tutta la notte la mattina del<br />
giorno susseguente q.d. partì detta truppa alla volta <strong>di</strong> Modena e <strong>di</strong>cesi per certo che alle ore 8<br />
Antimeri<strong>di</strong>ane <strong>di</strong> detto giorno entrasse in detta città senza seguisse alcun fatto d’armi, anche<br />
ivi trovasi tutt’ora.<br />
I liberali Modenesi all’avvicinarsi del Battaglione suin<strong>di</strong>cato finirono a Castelfranco, e <strong>di</strong> là<br />
partirono ieri mattina alla volta <strong>di</strong> Codesta Città.<br />
Nulla <strong>di</strong> più preciso posso <strong>di</strong>re sul loro proposito.<br />
Qui è tutto quieto e tranquillo e questa Guar<strong>di</strong>a Nazionale prosegue il suo servizio con<br />
zelo, ed attività.<br />
Se in seguito avrò altre notizie mi farò premura d’informare codesto Eccel.mo Governo al<br />
quale protesto la sincera mia stima, ed ossequio.<br />
Il Priore P. Vecchi”<br />
Il 19 <strong>di</strong> Marzo gli Austriaci lanciarono l’assalto alle province insorte dello Stato<br />
della Chiesa e in quel giorno il Priore <strong>di</strong> Crevalcore informò la Commissione<br />
Provinciale <strong>di</strong> Polizia <strong>di</strong> Bologna della presenza <strong>di</strong> un reparto austriaco alle porte<br />
del paese:<br />
“Circa le ore nove <strong>di</strong> questa mattina sono sconfinati per questo Paese n° 35 tedeschi armati<br />
39
40<br />
condotti da un suo ufficiale proveniente da Cento.<br />
All’arrivo <strong>di</strong> questi che sonsi fermati alla porta del paese che conduce a Modena osservando<br />
una carta Geografica, questo Sig. Luigi Rossi comandante questa Guar<strong>di</strong>a Nazionale gli si è<br />
presentato chiedendogli a che fossero venuti, e dal ufficiale tedesco le è stato risposto, per nulla,<br />
e che era stato uno sbaglio <strong>di</strong> strada dovendosi pasare a Bomporto, ove effettivamente sonsi<br />
incamminati, e passato il confine .<br />
Nulla hanno richiesto e molestato e le cose sono restate nel piede <strong>di</strong> prima, come pure questa<br />
guar<strong>di</strong>a Nazionale .<br />
Questa è la trista notizia che vengo sollecitamente a partecipare a Codesta Commissione, ed<br />
attenendomi frattanto alle prescrizioni della circolare <strong>di</strong> codesto Governo n° delli 8 detto messe,<br />
ho l’onore <strong>di</strong> rassegnarmi colla dovuta stima il massimo esequio.<br />
Il Priore<br />
Facendomi dovere <strong>di</strong> partecipare a codesta Commissione ulteriori notizie <strong>di</strong> quanto potesse<br />
accadere<br />
Spe<strong>di</strong>ta al destino per espresso” .<br />
dell’arrivo degli Austriaci a Crevalcore, la mattina del 19 Marzo 1831, esiste<br />
anche la versione del già citato don Angelo Frabetti che, rimasto fedele al governo<br />
Pontificio, così descrive il fatto nella sua cronaca manoscritta:<br />
“ Oh che bel vedere allor quando al comparire sulla piazza dopo il Campanile quel Corpo<br />
<strong>di</strong> soldati, che la Guar<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Crevalcore al vederli tutti se ne fuggirono, e il Capo posto che era<br />
quel giorno il Sig. Pietro Golinelli che depose la spada che aveva nel cinto dopo una Colonna<br />
del Quartiere, e gridare a suoi soldati e compagni che nascondessero i fucili che erano nel<br />
Quartiere, e <strong>di</strong>fatti li nascosero nel granaio del Teatro, e fu subito cambiata la nuova Ban<strong>di</strong>era<br />
in una vecchia tutta logora e la nuova mai più si vide comparire in pubblico cosi andò a termine<br />
il fanatismo <strong>Crevalcorese</strong> perché pochi giorni dopo vennero a Bologna tre<strong>di</strong>ci milla Tedeschi a<br />
sedare il tumulto dei Rivoluzionari, e a ristabilire il Governo Pontificio” .<br />
Il comportamento degli insorti Bolognesi non <strong>di</strong>fferì molto da quello dei<br />
Crevalcoresi e Bologna si consegnò, senza combattimenti, il 21 <strong>di</strong> Marzo nelle<br />
mani dell’esercito Austriaco.<br />
Il giorno prima il Governo delle Provincie Unite si era trasferito ad Ancona<br />
dove tentò <strong>di</strong> organizzare la <strong>di</strong>fesa. In quel giorno il Priore <strong>di</strong> Crevalcore riprese a<br />
compilare il proprio bollettino politico, ancora trasmesso al Governo Provvisorio<br />
delle Provincie Unite Italiane.<br />
Seguiva tre giorni dopo un’informativa alla Commissione Provinciale <strong>di</strong> Polizia,<br />
in cui oltre alla notizia <strong>di</strong> un furto, era descritta la situazione locale successiva<br />
al ripristino del governo Pontificio:<br />
“23 Marzo 1831.<br />
Con mio rammarico, e più grande <strong>di</strong>spiacere vengo a partecipare a codesta Polizia una<br />
rapina accaduta la scorsa notte alla Casa <strong>di</strong> Geremia Lo<strong>di</strong> Colono del Quartiere Albero in<br />
<strong>di</strong>stanza da questo Castello circa due miglia dalla parte <strong>di</strong> Camposanto Stato Estense, per<br />
opera <strong>di</strong> un<strong>di</strong>ci malvaggi sconosciuti armati <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> bastoni, ed uno <strong>di</strong> una pistola, parte
41<br />
Marzo 1831, Crevalcore - Costituzione della Guar<strong>di</strong>a Nazionale
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tinti in faccia, parte con fazzoletti tenevansi coperti fino agli occhi; quali dapprima tentarono<br />
introdursi in casa del suddetto Lo<strong>di</strong> col mentire nome <strong>di</strong> pattuglia della Guar<strong>di</strong>a del <strong>Comune</strong>, e<br />
<strong>di</strong>ppoi entraronsi con violenza derubandolo <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi Capi, arnesi e carni, il tutto come appare<br />
qui dalla mia denuncia del derubato stesso.<br />
Dalle interrogazioni fatte verbalmente al denunciante può sospettarsi che i malvaggi siano<br />
della villa <strong>di</strong> Camposanto sopradetto unito a quel Serafino Accorsi fuggiasco da queste carceri,<br />
e partecipato a codesta Polizia al n° 2 dello stesso bolettino R.le. delli 20 stante; avvalorando<br />
i sospetti suddetti le denuncie avutisi, che i malfattori colla refurtiva sonsi <strong>di</strong>retti al Modenese.<br />
Vedesi purtroppo che i male intenzionati, dopo che le truppe Austriache sonsi ritirate dal<br />
posto <strong>di</strong> Camposanto, e che questa guar<strong>di</strong>a Comunale che invigila al buon or<strong>di</strong>ne da qualche<br />
giorno non si aggira per la <strong>Comune</strong> per prudenziale vista e massima che si agirano le forze<br />
austriache, sonsi detti malviventi fatti più ar<strong>di</strong>ti, per cui sono anche con la presente a consultare<br />
codesta Polizia come debbasi regolarsi il servizio <strong>di</strong> questa Guar<strong>di</strong>a in appresso, molto necessitando<br />
una costante vigilanza a scanso <strong>di</strong> <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ni.<br />
Non tralascio pure <strong>di</strong> notificare a codesto Uffizio essersi qui levati i segnali tre colorati e<br />
che tutti sonsi levati le cocarde, e sono state pubblicate le stampe innoltrate da Sua Eminenza<br />
Reveren<strong>di</strong>ssima il Car<strong>di</strong>nale e Arcivescovo <strong>di</strong> Bologna e Legato a Latere delle quattro Legazioni,<br />
tutto proseguendo col massimo buon or<strong>di</strong>ne e tranquillità.<br />
In attenzione quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> grazioso riscontro che valga a contenermi in appresso, ho l’onore <strong>di</strong><br />
firmarmi col massimo ossequio e subor<strong>di</strong>nazione.<br />
Il Priore Petronio Vecchi”.<br />
Il 25 Marzo la retroguar<strong>di</strong>a dell’esercito degli insorti era sconfitta a Rimini<br />
dalle preponderanti forze austriache.<br />
Il 26 Marzo in Ancona il Governo delle province unite italiane, consapevole<br />
dell’impari lotta e per evitare inutili spargimenti <strong>di</strong> sangue, dopo aver ottenuto<br />
promessa <strong>di</strong> amnistia per i coinvolti nell’insurrezione, sottoscriveva la propria<br />
capitolazione. A Bologna il Car<strong>di</strong>nale Legato <strong>di</strong>chiarò nulli tutti gli atti compiuti<br />
dal governo rivoluzionario in città e nelle Legazioni.<br />
Lo Stato Pontificio cercò <strong>di</strong> mettere in sicurezza il riacquisito potere, emanando<br />
e<strong>di</strong>tti che intimavano alla popolazione la consegna delle armi detenute e<br />
or<strong>di</strong>nando ai Priori <strong>di</strong> ricostituire un nuovo corpo <strong>di</strong> guar<strong>di</strong>a chiamato Guar<strong>di</strong>a<br />
Civica Forense.<br />
La guar<strong>di</strong>a venne formata anche a Crevalcore e da subito si trovò a collaborare<br />
con il Briga<strong>di</strong>ere e le quattro guar<strong>di</strong>e provinciali giunte il 24 Marzo in paese, in<br />
risposta all’aiuto chiesto dal Priore Petronio Vecchi, preoccupato per la pubblica<br />
sicurezza.<br />
Più dura fu la repressione attuata nel ducato <strong>di</strong> Modena, culminata il 26 Maggio<br />
successivo con l’impiccagione <strong>di</strong> Ciro Menotti e <strong>di</strong> Vincenzo Borrelli.<br />
Con un e<strong>di</strong>tto il duca <strong>di</strong> Modena esiliò dal suo territorio, pena la decapitazione,<br />
tutti i rivoltosi.<br />
In tanti si rifugiarono nel confinante stato. Alcuni trovarono asilo in territorio
crevalcorese, dove, a detta <strong>di</strong> don Angelo Frabetti, “ portarono la peste dei vizi e<br />
la totale rovina della gioventù locale”. A <strong>di</strong>sturbare il cappellano della chiesa <strong>di</strong> San<br />
Silvestro era probabilmente la <strong>di</strong>ffusione degli ideali legati all’insurrezione che<br />
continuavano a minacciare il potere temporale dello Stato Pontificio.<br />
Nei mesi seguenti furti e rapine si intensificarono, ma più che alla presenza<br />
degli esiliati estensi nel nostro territorio, erano da attribuire alla scarsità <strong>di</strong> mezzi<br />
<strong>di</strong> sostentamento della popolazione.<br />
Nei Bollettini politici inviati al Governo sono continue le richieste, presentate<br />
dal Priore Vecchi, <strong>di</strong> interventi per favorire l’occupazione fra i braccianti:<br />
“- 8 Aprile Manca ad una gran parte <strong>di</strong> questi numerosi Braccianti il lavoro nell’attuale<br />
stagione, e mancano pure i mezzi ed i lavori anche a questa Magistratura onde poter impiegare<br />
un numero si grande <strong>di</strong> operai ascendenti a circa al n° 400.<br />
Ieri l’altro 6 corr. Si attrupparono in numero <strong>di</strong> centotrenta e più <strong>di</strong> costoro, e vennero in<br />
quest’ufficio chiedendo voler lavorare per guadagnarsi il vivere ed a stento si poterono <strong>di</strong>ssipare<br />
col dargli baj cinque per ciascuno.<br />
Questa carica si è pur adoperata presso i pochi proprietari <strong>di</strong> risaie, onde impieghino questa<br />
gente sfacendata, il che si è ottenuto per un certo numero, e per pochi giorni, stante i pochi lavori<br />
delle risaje, che sono ormai terminati.<br />
-15 Aprile, continua il bisogno <strong>di</strong> trovare lavoro alli Braccianti, ma non si sa il modo d’impiegarli,<br />
ed il bisogno e lagnanze cresceranno, mentre in breve cessano le vangature e la semina<br />
delle risaie, ed in proporzione della moltitu<strong>di</strong>ne pochi sono quelli che passeranno a lavorare nel<br />
Veronese.<br />
-22 Aprile, Fuori dè furti su descritti che suppongonsi commessi purtroppo da tanta gente<br />
priva <strong>di</strong> mezzi <strong>di</strong> sussistenza, uniti a male intenzionati, la popolazione sarebbe quieta e tranquilla,<br />
stante che lo spirito pubblico non soffre alterazione veruna.<br />
-29 Aprile, L’impegno <strong>di</strong> dare pane, o lavoro a molti Braccianti ha recato molto imbarazzo.<br />
Ora però pare cessato dacchè parte partono pel Veronese, a parte maggiore sono spe<strong>di</strong>ti alli<br />
lavori dell’Argine <strong>di</strong> Reno alla Bastia.<br />
Si è dovuto però far arrestare, e tradurre al Governo <strong>di</strong> S.Giovanni certo Luigi Allegretti,<br />
che oltre a farsi capo è più ar<strong>di</strong>mentoso degli altri usava parole insolenti”.<br />
Per favorire l’occupazione dei braccianti vennero inoltre intrapresi lavori <strong>di</strong><br />
allargamento della strada per Bologna e <strong>di</strong> acciottolamento della strada maestra<br />
del paese.<br />
Al fine <strong>di</strong> allontanare le insi<strong>di</strong>e rivoluzionare dal proprio territorio, il governo<br />
Pontificio iniziò una lenta e progressiva repressione dei coinvolti nell’insurrezione.<br />
In territorio crevalcorese, confinante con lo stato estense, si intensificarono le<br />
perlustrazioni delle guar<strong>di</strong>e locali, prima forense e poi rurale, e dei Carabinieri, in<br />
qualche occasione affiancati a reparti mobili <strong>di</strong> Carabinieri e guar<strong>di</strong>e pontificie.<br />
Anche alcuni Crevalcoresi che parteciparono alla rivolta ritennero più prudente<br />
emigrare, fra questi Rebigiani don Achille, parroco a Palata, emigrato in Fran-<br />
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44<br />
Maggio 1832, Crevalcore - dragoni Estensi in perlustrazione
cia nel 1831; Tommasini Angelo <strong>di</strong> Bomporto, ma residente a Palata, emigrato<br />
nel 1832. La polizia indagò i comportamenti del parroco accusato della <strong>di</strong>stribuzione<br />
<strong>di</strong> coccarde tricolore dall’altare e della partecipazione alle bande armate<br />
dei rivoltosi. Il Priore Petronio Vecchi affermò che don Achille, scoppiati gli<br />
sconvolgimenti del 31, mentre era rettore a Palata, partì per Bologna da dove<br />
si trasferì a Molinella per pre<strong>di</strong>care tutta la Quaresima e che, all’avvicinarsi degli<br />
Austriaci, si era detto che si fosse unito alle orde dei ribelli <strong>di</strong>rette ad Ancona<br />
e che, <strong>di</strong>sperse queste, fosse emigrato in Francia. Poi non fece ritorno a Palata<br />
fino al Giugno 1832. Dal giorno del suo rientro fino a quello della sua partenza<br />
definitiva dalla parrocchia, cui aveva rinunziato per controversia con i Pepoli,<br />
nulla poteva <strong>di</strong>rsi contro <strong>di</strong> lui.<br />
Nel Maggio 1832 reparti dell’esercito modenese entrarono nel nostro territorio<br />
per eseguire, in unione ad un battaglione <strong>di</strong> cacciatori e Carabinieri pontifici,<br />
operazioni <strong>di</strong> rastrellamento degli insorti.<br />
Alle truppe modenesi in transito per il nostro comune venne concesso, dal<br />
Priore Petronio Vecchi, <strong>di</strong> alloggiare nell’e<strong>di</strong>ficio dell’ospedale.<br />
Una settimana prima, in uno scontro a fuoco avvenuto sulle rive del Panaro,<br />
fra Crevalcore e Camposanto, militari e profughi modenesi si erano dati battaglia,<br />
causando la morte <strong>di</strong> un dragone e il ferimento <strong>di</strong> un profugo, che venne<br />
ricoverato all’osteria San Marco <strong>di</strong> Crevalcore.<br />
L’episo<strong>di</strong>o venne citato su alcuni notiziari dell’epoca con versioni <strong>di</strong>fferenti.<br />
<strong>di</strong> seguito l’articolo riportato il 9 Giugno 1832 sulla modenese Gazzetta dell’Italia<br />
Centrale che criticava in particolare la versione dei fatti fornita dal filo rivoluzionario<br />
Corriere Francese : “Si legge nel Corriere francese del 1° giugno n. 153 . «Un<br />
<strong>di</strong>staccamento <strong>di</strong> Dragoni del Duca <strong>di</strong> Modena viene <strong>di</strong> violare il territorio Pontificio, portandosi<br />
nel <strong>Comune</strong> <strong>di</strong> Crevalcore per arrestarvi taluni modenesi rifuggiti. Questi, non avendo<br />
alcun mezzo <strong>di</strong> fuggire si sono <strong>di</strong>fesi, ed hanno fatto fuoco <strong>di</strong> fucileria contro tali briganti. Un<br />
maresciallo d’ alloggio è stato ucciso, due dragoni sono stati feriti, e gli altri hanno preso la fuga.<br />
I conta<strong>di</strong>ni hanno perseguitato lungo tempo i dragoni, tra le più alte grida. Uno dei modenesi<br />
ha ricevuto una palla, che 1’ ha passato da parte a parte. Costui ha detto cadendo, che amava<br />
meglio morire, che essere rimesso al potere del Duca ». Oh bella! I soldati onorati <strong>di</strong> un legittimo<br />
Sovrano, stimato da tutte le Corti Europee, i Dragoni Estensi sono dunque briganti agli occhi<br />
del Corriere francese, perchè, fedeli al proprio dovere, sono affezionati al loro Augusto Principe,<br />
fanno rispettare le leggi, e perseguitano i pubblici delinquenti? Or che <strong>di</strong>re d’un tale vilissimo<br />
detrattore, che riguarda per ragione inversa come Eroi i <strong>di</strong>sperati fuorusciti e gli esecran<strong>di</strong> assassini?<br />
Siccome la sfrontata meretrice chiama sempre impu<strong>di</strong>ca la casta ed onesta donna, e il pubblico<br />
ladrone saluta sempre col nome <strong>di</strong> ladro la vittima innocente che a mano armata assalisce<br />
in pubblico cammino per rubarla e spogliarla, così il Corriere francese è in carattere naturale , e<br />
conserva il linguaggio proprio <strong>di</strong> lui, e <strong>di</strong> tutta la infamissima razza dei birbanti.<br />
Noi però poco curandoci dei falsi epiteti, rettificheremo soltanto il fatto, poiché il nostro scopo<br />
è quello <strong>di</strong> far conoscere, che i giornalisti rivoluzionari, ancorché volessero, non sanno <strong>di</strong>re mai<br />
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46<br />
una verità.<br />
Non è vero che i Reali Dragoni Estensi violassero il territorio Pontificio. Forse se si fossero<br />
risoluti a ciò fare, i buoni clienti del Corriere francese non avrebbero potuto sottrarsi alle<br />
conseguenze de’ loro malefici. Ecco come sono le cose. I Dragoni passeggiavano inermi fuori<br />
dell’abitato <strong>di</strong> Camposanto.<br />
Diversi profughi modenesi, scacciati dal territorio Bolognese, trovandosi girovaghi nella campagna<br />
<strong>di</strong> Crevalcore, si misero in agguato per commettere un assassinio sui Soldati Estensi.<br />
Essi fecero all’ improvviso una scarica <strong>di</strong> fucileria sui Dragoni, dalla quale niuno rimase<br />
offeso.<br />
I Dragoni corsero allora ad armarsi in Caserma e volarono all’attacco. Uno <strong>di</strong> questi essendosi<br />
troppo inoltrato per inseguire gli assassini aggressori, cadde vittima del suo coraggio, ed<br />
uno dei fuorusciti per nome Antonio Rizzi <strong>di</strong> S. Felice (soggetto della stessa pravità <strong>di</strong> cuore<br />
del Corriere francese) rimase mortalmente ferito. I conta<strong>di</strong>ni corsero ancor essi per perseguitare<br />
i fuorusciti e sostenere la pubblica forza protettrice delle loro sostanze; ed i bravi Dragoni ottennero<br />
dovuta ricompensa ai loro <strong>di</strong>stinti servizi. Or può darsi maggior impudenza <strong>di</strong> questo<br />
sfrontato giornale rivoluzionario, de<strong>di</strong>to a travisare i fatti più pubblici, e più notori”.<br />
Le notizie pubblicate sono contrad<strong>di</strong>ttorie anche sul comportamento dei crevalcoresi,<br />
certamente l’ atteggiamento delle autorità Pontificie non era con<strong>di</strong>viso<br />
da tutti i paesani che in parte continuarono ad aiutare i rivoluzionari.<br />
Fra questi anche il parroco <strong>di</strong> San Silvestro don Ignazio Venturoli e il cappellano<br />
alla Guisa don Paolo Francia, che vennero poi multati per aver fornito rifugio<br />
ad alcuni giovani modenesi. Lo stesso Venturoli e il PrioreVecchi garantirono per<br />
l’insegnante e storico crevalcorese Gaetano Atti che in un rapporto della Polizia<br />
Pontificia era così descritto: “Soggetto eru<strong>di</strong>to che con attività ammaestra pochi scolari,<br />
poco curandosi <strong>di</strong> insinuare in essi massime morali e religiose. Tiene poi una condotta apparentemente<br />
regolare, ma nelle trascorse vicende si mostrò aderente alle innovate cose”.<br />
Ambigua apparve la posizione <strong>di</strong> Petronio Vecchi, Priore del <strong>Comune</strong> prima,<br />
durante e dopo l’insurrezione, che segnalava, anche per dovere <strong>di</strong> carica, alcuni<br />
compaesani coinvolti nella rivolta, dei quali tendeva comunque a sminuire l’operato.<br />
Così ne parla Lorenzo Meletti nei suoi manoscritti:<br />
“Di un certo Giuseppe Manicar<strong>di</strong> <strong>di</strong>ceva che all’epoca degli in<strong>di</strong>cati torbi<strong>di</strong> si portò a<br />
Modena ove prese servizio nelle truppe ribelli seco conducendo alcuni giovinastri del basso volgo,<br />
sfaccendati e poco riflessivi <strong>di</strong> questo paese, mossi piuttosto dal bisogno <strong>di</strong> guadagnare che da<br />
spirito <strong>di</strong> partito, al primo sentore dell’avvicinarsi delle truppe austriache alcuni <strong>di</strong> questi <strong>di</strong>sertarono<br />
riconducendosi ai loro focolari e gli altri, dopo i fatti <strong>di</strong> Ancona fecero lo stesso, come<br />
pure il Manicar<strong>di</strong> che pure <strong>di</strong> presente qui <strong>di</strong>mora!<br />
Il Vecchi aggiungeva: Le critiche circostanze <strong>di</strong> quei tempi forzarono alcuni a non mostrarsi<br />
avversi alla novità della cosa, ma tutti però si contennero nei limiti del dovere e dell’onesto. Posso<br />
poi con osservanza accertarle o Ill.mo Governatore, che passati li pochi giorni <strong>di</strong> quei trambusti,<br />
tutto rientrò nel primero or<strong>di</strong>ne e che da quell’epoca in poi nessuno si è sbilanciato con fatti e
sentimenti”.<br />
Negli anni seguenti continuarono gli sforzi <strong>di</strong> Governo e Polizia per identificare<br />
ed emarginare i coinvolti nell’insurrezione; per i sospettati c’era l’esclusione<br />
dagli incarichi nella pubblica amministrazione e limitazioni negli spostamenti.<br />
Nei passaporti rilasciati, spesso sulla base <strong>di</strong> raccomandazioni fornite dai parroci,<br />
il mancato coinvolgimento nei moti era in<strong>di</strong>cato come referenza. Ecco un<br />
passaporto rilasciato il 10 Aprile 1831 dal parroco <strong>di</strong> Galeazza:<br />
“ A chiunque, certifico io sottoscritto Parroco <strong>di</strong> Santa Maria della Galeazza che Luigi<br />
Ragazzi, abitante in questa mia Parrocchia in qualità <strong>di</strong> servitore nella Fabbreria Pepoli nella<br />
Palazzina presso <strong>di</strong> Luigi Paltrinieri, dalla festa <strong>di</strong> tutti li Santi sino ad oggi; e che mai si è<br />
intromesso nelle cose spettanti al governo, e precisamente nel tempo della rivoluzione non essersi<br />
mai partito dalla propria officina, e né presa arma contro il Sovrano Regnante, ma sempre ha<br />
atteso al suo lavoro. Sto per la verità.<br />
In fede Don Domenico Pistani” .<br />
Forse non è casuale che nell’Archivio Storico Comunale manchino le liste dei<br />
comandanti e dei volontari iscritti nella Guar<strong>di</strong>a Nazionale <strong>Crevalcorese</strong> o notizie<br />
sull’esposizione del tricolore dalla finestra del palazzo comunale.<br />
L’azione repressiva riuscì a contenere gli ideali unitari per altri 15 anni.<br />
47
48<br />
FONTI ARCHIVISTICHE E dOCUMENTALI<br />
Archivio Storico del <strong>Comune</strong> <strong>di</strong> Crevalcore<br />
Carteggio Amministrativo, Polizia n. LV Rubrica 11°<br />
Passaporti (1815-1834), b1<br />
CA, Legislazione n. XIV, Rubr 1° Provvidenze Generali (1825-1832), b1<br />
CA, Erario n. XVII, Rubr 6° Spese Comunali (1830-1856), b1<br />
CA, Guerra e Milizia n.VIII, Rubr1° Provvidenze Generali (1816-1858), b1<br />
CA, Polizia n. XXXVIII, Rubr 4° denuncie e Querele, 5 Furti e truffe<br />
dal 1830 al 1832, b1<br />
CA, Polizia n. LXXIII, Rubr 13° Bollettini Politici dal 1827 al 1838, b1<br />
CA, Consigli n. XX Rubr 5° Sedute dal 1831 al 1835, b1<br />
Lorenzo Meletti, Crevalcore, manoscritti presso BCC<br />
Parte III, Note e Memorie, dal 1801, fascicolo I, n.19 (ms 17)<br />
Parte IV, E<strong>di</strong>fici Dal 1801,Volume II, n.27 (ms 20 C)<br />
Parte I, Crevalcoresi Illustri e Benemeriti secolo XVIII e XIX, fasc II, n3 (ms 2)<br />
Parte II, Annali, dal 1801, fasc I , n10 (ms 9 )<br />
Gaetano Frabetti, Memorie patrie, ms presso Accademia In<strong>di</strong>fferenti Risoluti <strong>di</strong><br />
Crevalcore<br />
Angelo Frabetti, Storia <strong>di</strong> Crevalcore; antichità del territorio crevalcorese compilata dal sig.<br />
dottore Gaetano Atti pubblico maestro <strong>di</strong> latinità, coll’aggiunta d’alcuni fatti ed avvenimenti<br />
accaduti nell’antichità fino al presente colla venuta dei Francesi racolti <strong>di</strong> don Angelo Frabetti,<br />
sacerdote crevalcorese, e sue note in fine, ms. presso AIRC<br />
BIBLIOGRAFIA<br />
Paolo Cassoli, La scuola <strong>di</strong> “Umanità e Rettorica <strong>di</strong> Gaetano Atti”, in Notiziario <strong>di</strong><br />
Crevalcore, n. 2, Maggio 1985<br />
Angela de Benetictis, «Militari apparenti». La guar<strong>di</strong>a civica <strong>di</strong> Bologna per lo Statuto<br />
fondamentale fra monarchia pontificia e citta<strong>di</strong>nanza, Bologna 2010
50<br />
Roma 1849. Il teatro <strong>di</strong> operazioni sul colle Gianicolo dall’aprile al giugno.
GALEAZZO GAMBERINI<br />
Per una storia del risorgimento nell’alta padusa<br />
Esistono innumerevoli e spesso ottimi testi che trattano degli avvenimenti<br />
connessi al Risorgimento italiano e più specificamente delle operazioni militari<br />
specie <strong>di</strong> quella che viene chiamata Prima guerra <strong>di</strong> in<strong>di</strong>pendenza (1848-<br />
1849). In questa fase del processo unitario politico militare si raccolsero,<br />
dopo iniziali effimeri successi, soltanto finali <strong>di</strong>sastrose sconfitte.<br />
Sempre da un punto <strong>di</strong> vista tecnico militare pochissimi gli stu<strong>di</strong> dettagliati<br />
degli uomini e dei reparti del territorio originati, per quanto riguarda lo Stato<br />
pontificio, nei Comuni della pianura bolognese nord-occidentale, quella<br />
confinante sia con lo stato austro-estense <strong>di</strong> Modena sia con la Legazione<br />
(provincia), sempre pontificia, <strong>di</strong> Ferrara. Quin<strong>di</strong> le presenti note riguardano<br />
sia gli uomini sia gli avvenimenti che coinvolsero i Reparti militari da questi<br />
stessi uomini formati che si portarono a combattere in ambiti più lontani<br />
(Lombardo-Veneto nel 1848 e Roma nel 1849, con le dolorose conseguenze<br />
che le conclusero, almeno provvisoriamente).<br />
Circa poi la storiografia ufficiale e riconosciuta, abbondantissima come si<br />
<strong>di</strong>ceva, non poca parte <strong>di</strong> questa è viziata, inevitabilmente, da una visione <strong>di</strong><br />
tipo nazionalistico, da contestualizzare opportunamente anche con altre parti<br />
del continente europeo; va cioè tenuto ben presente che nella storiografia<br />
contemporanea o imme<strong>di</strong>atamente successiva agli avvenimenti trattati, la retorica<br />
ebbe una sua parte che era, potremmo <strong>di</strong>re,inevitabile data la natura<br />
degli obiettivi da raggiungere: insomma gli spiriti andavano mobilitati.<br />
dopo il raggiungimento dell’Unità della Nazione questo spirito si trasformò<br />
rapidamente in strumento del costituendo apparato politico e militarindustriale<br />
che sfociò nelle guerre <strong>di</strong> conquista coloniali e, massima delle<br />
sciagure concepibili, portò alla grande e “inutile strage” 1 della sanguinosa<br />
I Guerra mon<strong>di</strong>ale (1914-18) e quin<strong>di</strong> alla strettamente collegata <strong>di</strong>ttatura<br />
fascista e alla successiva II Guerra mon<strong>di</strong>ale voluta dal regime con “provinciale”<br />
irresponsabile ignoranza.<br />
Il fascismo, al suo criminale epilogo con la R.S.I. (Salò), succube della<br />
potenza germanica, tra<strong>di</strong>zionalmente nemica della libertà italiana, per ere<strong>di</strong>tà<br />
ricevuta dal cessato impero asburgico, chiuse, o quasi, il ciclo iniziato con il<br />
Risorgimento e fu certo un’amara beffa che il regime agonizzante riesumasse<br />
molti simboli della Repubblica romana. Un altro frutto <strong>di</strong>storto dell’ideologia<br />
1 Benedetto XV, Messaggio <strong>di</strong> Natale 1917.<br />
51
52<br />
risorgimentale fu l’espansionismo adriatico patrocinato da gruppi finanziari,<br />
industriali e bancari come quello del Volpi <strong>di</strong> Misurata, ovvero la spinta verso<br />
i Balcani foriera <strong>di</strong> guai per i successivi cent’anni e non certo facile da sopire<br />
ancora oggi.<br />
Le antiche ra<strong>di</strong>ci del Territorio<br />
Potrà apparire abbastanza innaturale una unità territoriale formata da alcuni<br />
comuni del contado bolognese e altri del ferrarese, ma esiste, ignorata dai<br />
più, un’unità culturale <strong>di</strong> questa area che deriva dalla comune origine vescovile<br />
e/o abbaziale nonantolana e quin<strong>di</strong> certamente ecclesiastica (vescovile e non<br />
pontificia), formata letteralmente da <strong>di</strong>visioni e scambi territoriali intervenuti<br />
fin dalle origini del vescovato e del comune citta<strong>di</strong>no dominante (Bologna).<br />
Traccia inconfon<strong>di</strong>bile <strong>di</strong> questo passato che unisce culturalmente i comuni<br />
<strong>di</strong> Cento, Crevalcore, Persiceto, Pieve <strong>di</strong> Cento e S. Agata è l’Istituzione delle<br />
Partecipanze Agrarie, per la maggior parte ancora esistenti e vitali. Quin<strong>di</strong><br />
si tratta <strong>di</strong> un “unicum” subor<strong>di</strong>nato fin dal me<strong>di</strong>oevo al comune o al vescovato<br />
bolognesi e soltanto gli incidenti della storia hanno portato alla rottura<br />
formale <strong>di</strong> questa appartenenza come quello, macroscopico, della cessione <strong>di</strong><br />
Cento e della Pieve da parte <strong>di</strong> Papa Alessandro VI Borgia alla Casa d’Este,<br />
come dote della <strong>di</strong> lui figlia Lucrezia che andava in sposa nel 1501 all’ormai<br />
prossimo duca Alfonso I.<br />
del resto, lo stesso ducato estense era, escluse le imperiali Modena e Reggio,<br />
un feudo della Chiesa <strong>di</strong> Roma sempre più consolidantesi in vero e proprio<br />
Stato pontificio o, come sostiene qualcuno, come un vero impero feudale<br />
non troppo <strong>di</strong>verso dall’impero germanico, spesso suo fiero antagonista,<br />
per un lunghissimo tempo.<br />
Alla cessazione della dominazione estense su Ferrara (Patto <strong>di</strong> Cesena,1598),<br />
Cento e Pieve rimasero, per decisione papale (Clemente VIII Aldobran<strong>di</strong>ni),<br />
nel territorio sottoposto alla neonata Legazione ferrarese, senza ritornare al<br />
suo vescovile signore bolognese, che conservò soltanto <strong>di</strong>ritti dominicali <strong>di</strong><br />
decima. 2<br />
Secoli dopo anche il <strong>Comune</strong> <strong>di</strong> Crevalcore, da altri attori e per brevissimo<br />
tempo, entrò nella Legazione ferrarese: del resto ancora oggi importanti<br />
frazioni <strong>di</strong> confine <strong>di</strong> questo <strong>Comune</strong>, come Palata Pepoli, Galeazza Pepoli<br />
e Bevilacqua, fanno parte del Plebanato foraneo <strong>di</strong> Cento dal punto <strong>di</strong> vista<br />
ecclesiastico, solamente.<br />
Questo se<strong>di</strong>mentato stato <strong>di</strong> cose conobbe una improvvisa scossa con la<br />
rivoluzione francese del 1789 le cui armate, guidate dal giovane generale Buonaparte<br />
(prossimo imperatore...) invasero e conquistarono gran parte degli<br />
Stati italiani, nel 1796, combattendo la prima <strong>di</strong> una serie <strong>di</strong> guerre contro<br />
l’Impero d’Austria. Ad ogni modo la scossa e il cambiamento <strong>di</strong> clima poli-<br />
2 dando così inizio ad una <strong>di</strong>sputa secolare con la Comunità centese.
tico furono veramente rivoluzionari e in questi avvenimenti ci sono sempre<br />
vincitori e vinti: lo Stato pontificio fu certamente perdente, sotto l’aspetto<br />
politico ed economico, con la scomparsa della sua sovranità, la soppressione<br />
degli or<strong>di</strong>ni religiosi “regolari” e la conseguente confisca dei loro beni fon<strong>di</strong>ari.<br />
La riorganizzazione politica territoriale portò alla nascita della Repubblica<br />
confederale cispadana, la prima ad inalberare il tricolore bianco-rosso-verde<br />
(ma la prima ban<strong>di</strong>era ebbe i tre colori francesi, <strong>di</strong>sposti orizzontalmente).<br />
Venne sud<strong>di</strong>visa territorialmente, alla francese, in <strong>di</strong>partimenti nominati da<br />
fiumi o specchi d’acqua.<br />
Cento <strong>di</strong>venne il capoluogo del <strong>di</strong>partimento dell’ “Alta Padusa” (antico<br />
specchio vallivo che si estendeva per tutto il territorio <strong>di</strong> interesse). Successivamente<br />
la Repubblica cispadana confluì in quella Cisalpina e quin<strong>di</strong> nel<br />
Regno d’Italia, con Milano capitale.<br />
Nonostante certe durezze ed egoismi francesi 3 era stato fatto un grande<br />
passo avanti verso un nuovo stato <strong>di</strong> cose anche se la finale sconfitta napoleonica<br />
<strong>di</strong> Waterloo spense, almeno per il momento, il grande sogno delle classi<br />
italiane più evolute culturalmente.<br />
La Restaurazione<br />
Così come è stato necessario esaminare le “ra<strong>di</strong>ci napoleoniche” del Risorgimento<br />
italiano è giocoforza delineare il quadro della cosiddetta Restaurazione,<br />
ossia della riorganizzazione dei territori e delle relative sovranità secondo<br />
le imposizioni delle Potenze vincitrici che avevano sconfitto Napoleone.<br />
La risistemazione dell’Europa tendeva innanzitutto a rimettere o, appunto,<br />
a restaurare gli antichi Stati pre-napoleonici tenendo però conto delle mutazioni<br />
irreversibili intervenute nel quasi ventennio “francese” e ciò riuscì molto<br />
bene sotto la <strong>di</strong>rezione abile del Ministro degli esteri austriaco Metternich,<br />
accorto <strong>di</strong>plomatico (specie nella cura degli interessi particolari austriaci).<br />
Se in qualche modo si erano restaurati stati e sovrani era però opera impossibile<br />
rimettere in<strong>di</strong>etro cultura e mentalità delle popolazioni che avevano<br />
assaporato il gusto della libertà e della citta<strong>di</strong>nanza anche se ciò non avvenne<br />
sempre nell’ampiezza teorizzata dagli intellettuali: dopotutto era stato un<br />
ventennio in larga parte passato in stato <strong>di</strong> guerra e la mano <strong>di</strong> Parigi si era<br />
fatta sentire pesantemente. Le varie classi della popolazione avevano partecipato<br />
alle vicende in modo <strong>di</strong>verso a seconda dei casi. La nobiltà, per convinzione<br />
o per convenienza, si era schierata con gli stati francofili. La borghesia<br />
degli affari era stata la maggiore beneficiaria della situazione anche per la<br />
costituzione <strong>di</strong> una sorta <strong>di</strong> ampio mercato comune “ante litteram” che aveva<br />
soppiantato le tante frontiere (e relative dogane) vigenti nell’antico regime.<br />
Gli intellettuali avevano goduto <strong>di</strong> un clima insperato, una integrale realizza-<br />
3 Non secondaria la colossale razzia <strong>di</strong> opere d'arte or<strong>di</strong>nata dal Generale in capo per costituire il<br />
grande museo nazionale <strong>di</strong> Parigi.<br />
53
54<br />
zione o quasi degli ideali dell’Illuminismo settecentesco.<br />
Per quanto riguarda l’Italia in particolare (espressione, al tempo, soltanto<br />
geografica) va chiarito che la popolazione delle campagne, in larghissima<br />
parte analfabeta (90% o più), era rimasta come fuori della storia, pur avendo<br />
sopportato con il nuovo or<strong>di</strong>ne il peso della coscrizione obbligatoria (leva<br />
militare), prima sconosciuta e aveva pagato uno scotto <strong>di</strong> fame ed epidemie<br />
molto maggiore della plebe delle città; sarebbe questa la classe più perdente<br />
se non fosse essa superata, per danni morali e materiali, da quella ecclesiastica<br />
che vide la per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> privilegi e beni materiali, come più sopra riferito.<br />
I parroci e le <strong>di</strong>ocesi, che non vennero toccati minimamente da un punto<br />
<strong>di</strong> vista religioso, ebbero <strong>di</strong>minuite le loro funzioni “civili”, come la tenuta<br />
delle registrazioni anagrafiche demandate ai Comuni e comunque si videro<br />
abbastanza spesso preti e monsignori <strong>di</strong> vario livello, riottosi nei confronti<br />
delle nuove leggi laiche, con le manette ai polsi e anche papi, come Pio VI<br />
Braschi che nel 1798 venne deportato in Francia dove morì, e un altro (Pio<br />
VII Chiaramonti) che venne esiliato a Fontainebleau nel 1809, per fare ritorno<br />
a Roma soltanto nel 1814.<br />
I religiosi si sarebbero comunque presto rifatti da un punto <strong>di</strong> vista del<br />
potere anche se i beni confiscati, ormai venduti sul mercato (ai borghesi),<br />
erano irrecuperabili 4 .<br />
Per le popolazioni conta<strong>di</strong>ne il miglioramento culturale ed economico si<br />
sarebbe fatto attendere ancora, incre<strong>di</strong>bilmente, per oltre un secolo e cioè<br />
fino al consolidarsi dei vari movimenti politici e sindacali che esor<strong>di</strong>rono<br />
proprio nel fatale 1848 con il famoso “Manifesto”.<br />
La preparazione<br />
Proceduto all’in<strong>di</strong>spensabile inquadramento storico delle ra<strong>di</strong>ci è necessario<br />
abbandonare la situazione generale e focalizzare gli avvenimenti che<br />
interessano più da vicino il territorio che costituiva la parte nord-occidentale<br />
dell’ex Dipartimento del Reno, tornato a far parte dello Stato pontificio e<br />
precisamente delle Legazioni (Province) <strong>di</strong> Bologna e Ferrara, relativamente<br />
tranquille, al contrario della due altre, Ravenna e Forlì, perennemente in agitazione<br />
assieme a quella <strong>di</strong> Ancona (città atipica, nelle papaline Marche).<br />
Il controllo e la repressione del governo pontificio erano esercitati me<strong>di</strong>ante<br />
birri e carabinieri, un <strong>di</strong>ffuso sistema <strong>di</strong> spionaggio esplicato da non piccola<br />
parte del clero e infine dal piccolo e, non sempre ben organizzato, esercito<br />
pontificio in cui brillavano i due efficienti reggimenti <strong>di</strong> fanteria svizzeri che,<br />
non per niente, erano stanziati a Bologna e a Forlì.<br />
Sul tutto vigilava strategicamente l’armata austriaca che teneva guarnigioni<br />
nella fortezza <strong>di</strong> Ferrara e a Comacchio; questi presi<strong>di</strong> erano del resto autorizzati<br />
dagli accor<strong>di</strong> del Congresso <strong>di</strong> Vienna del 1815. Il movimento na-<br />
4 La gigantesca operazione <strong>di</strong> liquidazione avvenne tramite l' “Agenzia dei beni<br />
nazionali”costituita appositamente.
zionale vero e proprio ha un momento <strong>di</strong> origine che può essere in<strong>di</strong>viduato<br />
convenzionalmente con la partecipazione entusiastica <strong>di</strong> molti reduci delle<br />
formazioni napoleoniche e <strong>di</strong> giovani idealisti al tentativo dell’ex re <strong>di</strong> Napoli<br />
Gioacchino Murat (ex Maresciallo <strong>di</strong> Napoleone) <strong>di</strong> costituire, con la forza<br />
delle armi, un regno d’Italia: il tentativo fallì però, schiacciato dalle forze austriache<br />
proprio fra Ferrara, Cento e le Legazioni romagnole (1815).<br />
Circa poi la situazione nelle Legazioni bisogna <strong>di</strong>re che la parte a occidente<br />
della linea congiungente Bologna a Ferrara non era particolarmente riottosa<br />
in senso politico, ma che anzi certe importanti zone del centese (Renazzo/<br />
Malafitto) avevano visto massicci movimenti <strong>di</strong> “insorgenza” del tipo dei clericali<br />
“Viva Maria” con l’occupazione della città e l’attacco al ghetto israelitico,<br />
ancora in periodo napoleonico.<br />
Anche a oriente <strong>di</strong> Bologna, del resto, nella Legazione <strong>di</strong> Ravenna, e precisamente<br />
a Faenza, era esistito contemporaneamente un forte movimento<br />
reazionario.Quello che accomunava tutto il territorio in quei decenni era l’esistenza<br />
<strong>di</strong> un forte brigantaggio, non organizzato, che martoriava gli abitanti<br />
delle campagne e la viabilità.<br />
I ceti colti (che spesso ovviamente coincidevano con gli abbienti) intanto<br />
si organizzavano attraverso associazioni <strong>di</strong> tipo massonico come la “carboneria”<br />
e poi la mazziniana “Giovane Italia” con riferimenti e riti cospirativi i<br />
quali, quando scoperti dalle varie polizie, portavano ad arresti che si concludevano<br />
anche con esecuzioni capitali e pesanti condanne, quando i coinvolti<br />
non riuscivano a fuggire all’estero.<br />
Questi movimenti portavano ad una serie <strong>di</strong> sollevazioni come quelle del<br />
1821 con esecuzioni capitali in Piemonte (Stato allora estremamente conservatore)<br />
e quella delle Province Unite (parte settentrionale dello Stato pontificio)<br />
che riconobbe Bologna come propria capitale (1831) 5 , con imme<strong>di</strong>ato<br />
relativo arrivo delle truppe austriache per la repressione, chiamate dal pontefice.<br />
Nel territorio bolognese ferveva una intensa attività patriottica me<strong>di</strong>ante<br />
associazioni culturali e giornali, come quello degli illuminati stu<strong>di</strong>osi delle novità<br />
scientifiche tipo il “Felsineo” del Berti-Pichat (e non era poco, dato che<br />
ai docenti era proibito partecipare a convegni scientifici all’estero).<br />
Era già iniziata la missione sacerdotale e politica <strong>di</strong> un personaggio <strong>di</strong><br />
grande levatura come il padre barnabita Giuseppe “Ugo” Bassi (Cento 1801-<br />
Bologna 1849).<br />
Ovviamente in questo periodo anche l’area bolognese occidentale conobbe<br />
turbamenti dell’or<strong>di</strong>ne costituito <strong>di</strong> una certa entità, come quello dei moti<br />
<strong>di</strong> Savigno 6 .<br />
5 Dalle effimere Province Unite, Bologna derivò il suo attuale stemma comunale, con tutti i simboli<br />
inseriti nello scudo, in aggiunta alla preesistente croce.<br />
6 A Savigno, nella valle del Samoggia, quin<strong>di</strong> sul limitare della zona oggetto della nostra particolare<br />
attenzione, nel 1833 (regnante Papa Gregorio XVI) un gruppo <strong>di</strong> patrioti penetrò nel borgo ove<br />
55
56<br />
Nella Romagna orientale ( Legazione <strong>di</strong> Ravenna) si ebbe il massimo della<br />
reazione con un processo “monstre”, promosso dal famigerato card. Rivarola,<br />
che vide centinaia <strong>di</strong> imputati e <strong>di</strong> condannati anche all’obbligo della<br />
confessione annuale (sic) e che guastò irrime<strong>di</strong>abilmente i rapporti fra la popolazione<br />
e il governo pontificio, semmai ce ne fosse stato ancora bisogno.<br />
Anche nella vicina Modena, retta dal duca austro-estense Francesco IV,<br />
scorse del sangue a partire dal 1821 quando venne ghigliottinato un prete,<br />
per supposta propaganda massonica fra alcuni allievi 7 . da ricordare anche il<br />
complotto e l’esecuzione successiva, me<strong>di</strong>ante impiccagione, <strong>di</strong> Ciro Menotti<br />
e del suo compagno V. Borelli, nel 1831.<br />
Tale situazione, durata oltre un ventennio, vide l’azione sempre più intensa<br />
dei patrioti come, “in primis”, Giuseppe Mazzini (1805-1872 ), un genovese<br />
instancabile, e Giuseppe Garibal<strong>di</strong>, pretto uomo d’azione, che era in quel<br />
tempo esule in Sudamerica dove con una sua legione italiana combatteva per<br />
la libertà dell’Uruguay.<br />
Come già detto, fra i primi era anche il padre barnabita Giuseppe “Ugo”<br />
Bassi che percorse l’Italia in lungo e in largo, ricevuto dal pontefice e da<br />
sovrani e che infiammava le folle con <strong>di</strong>scorsi patriottici a forte contenuto<br />
sociale. 8<br />
si trovavano detenuti alcuni cospiratori in attesa <strong>di</strong> processo. Sulle prime l'impresa riuscì, ottenendo<br />
la liberazione dei detenuti. Forze pontificie partite da Bologna però raggiunsero e circondarono<br />
i patrioti nella zona <strong>di</strong> Monghidoro. Catturati e processati, ventuno <strong>di</strong> essi vennero condannati<br />
a morte, ma le esecuzioni furono però “solamente” sette ed eseguite contro il muro posteriore<br />
del monastero del Corpus Domini a Bologna (via Castelfidardo) il 7 maggio 1844.<br />
7 Si trattava <strong>di</strong> don G. Andreoli, sottoposto ad inumani interrogatori alla fine dei quali ammise i<br />
fatti contestati.<br />
La domanda <strong>di</strong> grazia presentata venne respinta sulla base del fatto che l'imputato aveva inizialmente<br />
negato. Processo ed esecuzione ebbero luogo a Rubiera <strong>di</strong> Reggio.<br />
8 Subì, il Bassi, innumerevoli persecuzioni sia da parte <strong>di</strong> superiori sia <strong>di</strong> vari or<strong>di</strong>ni religiosi. dopo<br />
un periodo <strong>di</strong> esilio nelle Marche, venne espulso dallo Stato pontificio e si rifugiò nel Regno <strong>di</strong><br />
Napoli dove beneficiò della protezione <strong>di</strong> quell'arcivescovo. Rientrò dopo l'amnistia per i reati politici<br />
concessa dal neo eletto Papa Pio IX Mastai- Ferretti (precedentemente vescovo <strong>di</strong> Imola) nel<br />
1846. Il Bassi continuò, sempre fra mille contrasti con il mondo ecclesiastico, nelle affollatissime<br />
pre<strong>di</strong>cazioni. Nonostante la ricchezza dell'Or<strong>di</strong>ne, era costretto all'umiliazione della richiesta <strong>di</strong><br />
mezzi per l'acquisto <strong>di</strong> tonaca e scarpe. Nulla gli venne risparmiato, comprese insinuazioni circa<br />
rapporti risultati solo epistolari con la concitta<strong>di</strong>na marchesina Carolina Rusconi (Cento 1807-<br />
Bologna 1892). Il Nostro, all'inizio delle ostilità contro l'Austria (1848), si unì ai volontari pontifici<br />
che assistette fraternamente nella battaglia <strong>di</strong> Treviso, durante la quale rimase ferito seriamente al<br />
petto e poi partecipò alla <strong>di</strong>fesa <strong>di</strong> Venezia. Assai triste che, proprio in quei giorni, il suo superiore<br />
barnabita ottenesse dal Papa la firma dell'atto <strong>di</strong> riduzione allo stato secolare e quin<strong>di</strong> egli <strong>di</strong>ventasse<br />
<strong>di</strong>pendente dal car<strong>di</strong>nale arcivescovo <strong>di</strong> Bologna Oppizzoni: il tutto a sua insaputa. Rientrato<br />
con il Battaglione “Alto Reno” del marchese Zambeccari, al <strong>di</strong> qua del Po, a seguito del cambiamento<br />
subentrato nella condotta <strong>di</strong> Pio IX (e il sabotaggio del filoaustriaco Segretario <strong>di</strong> stato card.<br />
Antonelli e della sua cerchia <strong>di</strong> prelati conservatori), seguì con entusiasmo le truppe trasformatesi,<br />
con l'evento del febbraio 1849, da pontificie a repubblicane. Queste forze si stavano concentrando
Rivoluzioni, guerra e battaglione “Basso Reno”.E’ evidente che una situazione<br />
pre-rivoluzionaria <strong>di</strong>ffusa in pressochè tutta l’Europa non sorge per<br />
caso e all’improvviso. Le aspirazioni alla libertà e all’in<strong>di</strong>pendenza dei popoli<br />
europei era stata scatenata dalla Rivoluzione francese del 1789 ed “esportata<br />
sulle baionette de l’Armée” comandata quasi da subito da Napoleone Buonaparte<br />
9<br />
Il primo scossone, almeno per gli italiani o, meglio, per gli abitanti della<br />
penisola italiana, fu l’elezione al soglio papale del car<strong>di</strong>nale Mastai-Ferretti,<br />
vescovo <strong>di</strong> Imola, con il nome <strong>di</strong> Pio IX nel 1846, alla morte <strong>di</strong> Gregorio<br />
XVI Cappellari (Belluno1765- 1846), il Papa massimamente reazionario. La<br />
posizione iniziale del nuovo Papa fu ritenuta molto liberale per la concessione<br />
<strong>di</strong> un’amnistia a tutti i detenuti politici o ai ricercati esuli, sia pure con<br />
giuramento <strong>di</strong> pentimento e fedeltà. Ed erano molti, a causa della rigida<br />
politica del suo predecessore Gregorio XVI e del <strong>di</strong> lui Segretario <strong>di</strong> stato<br />
card. Lambruschini. Concesse, Pio IX, una sorta <strong>di</strong> statuto che, se non<br />
la democrazia, permetteva un’assemblea (non elettiva) e un governo misto<br />
composto cioè non più <strong>di</strong> soli ecclesiastici. Nel ribollire politico fra gli Stati<br />
italiani si mostrò proclive, in un primo tempo, ad accettare la proposta <strong>di</strong> una<br />
presidenza in una confederazione italiana, avanzata da <strong>di</strong>versi intellettuali fra<br />
i quali Carlo Cattaneo (Milano 1801-1869). 10 Accettò anche trattative riservate<br />
con il Piemonte sabaudo, cosa questa non certo gra<strong>di</strong>ta alla sua Segreteria<br />
a Roma per <strong>di</strong>fenderla dai francesi, che si proponevano <strong>di</strong> rimettere sul perduto trono Pio IX. Il<br />
Bassi si comportò eroicamente nel Lazio e sul Gianicolo, assistendo i feriti <strong>di</strong> ambo le parti. Seguì<br />
Garibal<strong>di</strong> al momento della caduta <strong>di</strong> Roma nella ritirata verso il nord lungo il tormentato cammino<br />
appenninico fino allo scioglimento a S. Marino.<br />
Rimase nel gruppetto dei fedelissimi e si imbarcò a Cesenatico per <strong>di</strong>rigere su Venezia che ancora<br />
resisteva, ma le navi del blocco navale austriaco costrinsero i fuggiaschi a sbarcare a Magnavacca sul<br />
litorale ferrarese (attuale Porto Garibal<strong>di</strong>). Scoperto dai carabinieri pontifici, venne arrestato con<br />
il suo compagno cap. Giovanni Livraghi, entrambi completamente <strong>di</strong>sarmati (come da rapporti <strong>di</strong><br />
polizia conservati in A.S. Bo , Legazione, Atti Ris.b.8 e M.RIS.Bo. Ad nomen ) furono trasportati a<br />
Bologna, dove a villa Spada il gen. Gorzkowsky, dopo la detenzione <strong>di</strong> una nottata al carcere della<br />
Carità, ne or<strong>di</strong>nò la fucilazione, nonostante il suo proprio bando prevedesse tale pena solamente<br />
per i prigionieri catturati armati. Oscure le trame dei vari poteri austriaci e soprattutto pontifici,<br />
in questa triste vicenda. La scarica mortale li colpì il giorno 8 agosto 1849, alle ore 13:15, sotto il<br />
portico che conduce alla Certosa <strong>di</strong> Bologna ( oggi piazza della Pace), dopo che il parroco titolare<br />
aveva declinato la somministrazione dei sacramenti, demandandola ad un cappellano, causa precedenti<br />
impegni assunti. E' sepolto alla Certosa <strong>di</strong> Bologna, in un sarcofago sito nella cripta dei<br />
caduti della I Guerra mon<strong>di</strong>ale.<br />
9 Preferiamo scrivere il suo nome all'italiana anziché nella forma francesizzata in Bonaparte: almeno<br />
per gli anni iniziali, visto che il grande Corso nasceva in una famiglia <strong>di</strong> origini toscane.<br />
10 Federalista e repubblicano anti sabaudo. Capeggiò il consiglio <strong>di</strong> guerra durante la rivoluzione<br />
delle Cinque giornate <strong>di</strong> Milano. Dopo l'Unità, eletto deputato del Regno, si rifiutò <strong>di</strong> entrare in<br />
parlamento per non giurare fedeltà alla monarchia.<br />
57
58<br />
<strong>di</strong> stato che fece <strong>di</strong> tutto per sabotarle. Parte per compiacere la borghesia e<br />
i gran<strong>di</strong> proprietari dominanti e parte per oggettive necessità pubbliche, nel<br />
1846 concesse la costituzione <strong>di</strong> una Guar<strong>di</strong>a Civica come già era avvenuto,<br />
temporaneamente, nel 1831 al tempo delle Province Unite.<br />
La barriera si era ormai abbassata e la concessione venne accolta come<br />
se si trattasse della Guar<strong>di</strong>a nazionale napoleonica. C’è da <strong>di</strong>re, a proposito<br />
<strong>di</strong> statuti o <strong>di</strong> costituzioni, che tutti gli Stati italiani ed esteri erano costretti,<br />
nell’anno 1848, a far concessioni e a Parigi cadde ad<strong>di</strong>rittura la monarchia.<br />
Fra il 1847 e il 1848 tutti gli Stati italiani fecero la massima concessione<br />
compreso Napoli (sic), ma ciò però non avvenne nell’austriaco dominio del<br />
Lombardo-Veneto, nonostante la rivoluzione avesse interessato la stessa capitale,<br />
Vienna, il che provocò l’allontanamento dal governo dello stesso vecchio<br />
principe <strong>di</strong> Metternich, quello del trattato del 1815.<br />
Ciò avveniva contemporaneamente alla cruenta rivoluzione chiamata delle<br />
Cinque giornate <strong>di</strong> Milano, che vedeva la cacciata del Feld-Maresciallo conte<br />
Radetzky che si trovò costretto a rifugiarsi al riparo delle fortezze del “Quadrilatero”,<br />
in pratica sulla sinistra del fiume Mincio.<br />
Aveva bisogno <strong>di</strong> rinforzi dall’Istria e dalla Croazia per sedare i rivoluzionari<br />
milanesi e anche gli insorti veneti che via via aumentavano <strong>di</strong> numero,<br />
egli cedeva quin<strong>di</strong> spazio per guadagnare tempo.<br />
Il Piemonte <strong>di</strong> Carlo Alberto era titubante( e Stato reazionario sempre<br />
rimaneva).<br />
E’ in questo clima che si svilupparono le trattative con lo stato pontificio<br />
<strong>di</strong> cui si è già detto.<br />
Molto <strong>di</strong>fficile stringere accor<strong>di</strong> con i ducati emiliani retti da <strong>di</strong>nastie<br />
asburgiche, quin<strong>di</strong> la limitata libertà ricevuta dai popoli dello Stato pontificio<br />
li spinse, sotto la pressione delle associazioni patriottiche, con forza irrefrenabile,<br />
alla guerra contro l’Austria a fianco del Piemonte.<br />
Carlo Alberto finalmente si mosse, forse per soli fini espansionistici, verso<br />
la sempre desiderata Milano e poi il fiume Mincio, dove le forze pontificie in<br />
affluenza andavano a costituire l’ala destra del suo schieramento, con punto<br />
<strong>di</strong> congiunzione nella zona <strong>di</strong> Governolo-Ostiglia sul Po, dove avrebbe incontrato<br />
anche i pontifici del “Basso Reno” e del fratello “Alto Reno”.<br />
Ma chi erano i civici del “Basso Reno”? Erano volontari offertisi ed usciti<br />
dai ranghi della Guar<strong>di</strong>a Civica “stanziale”, che volontaria non era, ma sud<strong>di</strong>ti<br />
fra i 21 e i 60 anni, sostanzialmente coscritti, che a turno prestavano servizio<br />
<strong>di</strong> sorveglianza armata nei centri abitati e nelle campagne, in pattuglie più o<br />
meno bene armate e con poco o punto addestramento.<br />
Erano comandati da ufficiali e bassi ufficiali (sottufficiali) <strong>di</strong> nessuna esperienza<br />
(nei casi fortunati erano vecchi reduci napoleonici, nel qual caso facevano<br />
gli istruttori).<br />
Mentre gli ufficiali avevano a loro carico uniformi e armi (sciabola), alla<br />
truppa provvedeva il <strong>Comune</strong> <strong>di</strong> appartenenza così come avveniva per lo<br />
stipen<strong>di</strong>o degli ufficiali e il “soldo” della truppa. La spesa per l’armamento
veniva, ma non sempre, rimborsata dal governo.<br />
Naturalmente sia l’equipaggiamento sia l’armamento ed addestramento<br />
erano <strong>di</strong>rettamente proporzionali all’organizzazione e alla capacità dei Comuni.<br />
I fucili erano a “scaglia” (ossia a pietra focaia o acciarino) con baionetta ad<br />
innesto, <strong>di</strong> sezione triangolare; inesistenti le pistole e presenti spora<strong>di</strong>camente<br />
nelle dotazioni le “daghe” (sorta <strong>di</strong> gla<strong>di</strong>o romano).<br />
Non erano ancora <strong>di</strong>ffuse le trombe e per i segnali si usava il rullare dei<br />
tamburi presenti presso ogni Compagnia. Le uniformi spesso erano ridotte,<br />
per mancanza <strong>di</strong> mezzi specialmente nei Comuni più piccoli, al minimo in<strong>di</strong>spensabile<br />
per non fare apparire i reparti come bande <strong>di</strong> briganti e questo<br />
minimo era il berretto semirigido <strong>di</strong> colore blu detto bonetto (dal francese<br />
bonnet), e una “blouse”(blusa o giubbotto) dello stesso colore. Grosso problema<br />
era la fabbricazione del cappotto con cappuccio <strong>di</strong> colore marrone,<br />
in<strong>di</strong>spensabile anche nella stagione estiva per via dei frequenti pernottamenti<br />
all’ad<strong>di</strong>accio. Problema non risolto spesso era quello delle introvabili e comunque<br />
rapidamente usurabili calzature. Si deve considerare il fatto che, dovendo<br />
provvedere al tutto ogni singolo <strong>Comune</strong>, in<strong>di</strong>pendentemente o quasi<br />
dagli altri vicini (anche per necessarie ragioni economiche), si doveva affidare<br />
ad artigiani locali la fabbricazione dei capi <strong>di</strong> abbigliamento, il tutto in regime<br />
<strong>di</strong> urgenza, ma non si pensi che costituisse ragione per una lavorazione in<br />
serie: era troppo presto per i tempi.<br />
Ufficiali e sottufficiali, quanto a preparazione militare, erano o quasi al<br />
livello della truppa dalla quale venivano eletti con un sistema <strong>di</strong> terne, ossia<br />
in una rosa <strong>di</strong> tre nomi, votati dagli uomini, dalle quali erano scelti e nominati<br />
dall’autorità superiore (dal Papa i gra<strong>di</strong> superiori al tenente colonnello,<br />
almeno in teoria, mentre sicuramente <strong>di</strong> nomina papale erano i colonnelli<br />
comandanti <strong>di</strong> Legione (Unità <strong>di</strong> due o tre battaglioni equivalenti a un reggimento).<br />
La forza combattente quin<strong>di</strong>, espressa dalla Guar<strong>di</strong>a Civica stanziale, era<br />
soprattutto armata <strong>di</strong> entusiasmo per la causa nazionale (e qualche volta dalla<br />
sola necessità <strong>di</strong> mantenere le famiglie con il modesto, ma sicuro, “soldo”<br />
pagato dai Comuni).<br />
In definitiva lo spirito dei reparti <strong>di</strong>pendeva in buona misura dalla capacità<br />
<strong>di</strong> comando del Capo e dei suoi ufficiali che tutto lascia pensare buona , se<br />
non ottima, vista la scarsità dello stesso addestramento ed equipaggiamento.<br />
Tutto ciò viene confermato dal fatto che il futuro comandante del “Basso<br />
Reno”, maggiore Tommaso Rossi, ancora alle prime chiamate per addestramento<br />
nella Civica stanziale <strong>di</strong> Crevalcore, andasse a compiere gli esercizi previsti fuori<br />
dei rampari <strong>di</strong> mezzogiorno, alla pari <strong>di</strong> tutti gli altri “comuni” 11 .Sostanzialmente<br />
11 Maggiore e poi ten.col. Tommaso Rossi (Palata Pepoli 1809-Crevalcore 1855?).<br />
Graduato delle Pattuglie citta<strong>di</strong>ne confluite nella Guar<strong>di</strong>a Civica nel 1847. Ottenne onorevoli risultati<br />
al comando del battaglione del “Basso Reno” nel Mantovano e nel Veneto e soprattutto nella battagli<br />
59
60<br />
quello che faceva la <strong>di</strong>fferenza in tale situazione era la generica preparazione scolastica<br />
e il prestigio naturale degli ufficiali possidenti sui borghigiani popolani. Le<br />
classi più basse, come i braccianti nullatenenti, erano esclusi dalla Civica come pure<br />
i necrofori ed i macellai, considerati, ai tempi, mestieri infamanti....<br />
Non esisteva, al tempo, specie nei piccoli Comuni, un sistema <strong>di</strong> caserme, ma<br />
gli uomini convocati a domicilio, si presentavano alla residenza del comandante<br />
il battaglione o la compagnia, per prendere or<strong>di</strong>ni o iniziare movimenti. Soltanto<br />
nei maggiori centri dove esistevano conventi vuoti ancora <strong>di</strong>sponibili dall’epoca<br />
napoleonica, era possibile accantonare reparti e ciò era quello che avveniva a Cento<br />
(casermone ex monastero dei frati MM.OO. e anche la sconsacrata chiesa del Rosario<br />
vecchio, sul ramparo <strong>di</strong> settentrione) e, quando giunse il momento, a Bologna<br />
l’accantonamento si effettuò all’ ex monastero <strong>di</strong> S.Margherita (attuale via Cesare<br />
Battisti) e al convento dei Servi in strada Maggiore e a Ferrara, vicina alla zona naturale<br />
<strong>di</strong> operazioni, pure gli alloggiamenti erano situati presso conventi. La stessa<br />
Ferrara era sul fronte delle operazioni militari in quanto nella vecchia, ma sempre<br />
temibile fortezza, era stanziata da decenni (1815) una forte guarnigione austriaca<br />
con reparti solitamente <strong>di</strong> nazionalità croata e ungherese e la conseguente minaccia<br />
continua, del resto più volte materializzatasi, come base per l’invasione delle<br />
Legazioni, costituiva una spina nel fianco non soltanto della città, ma dell’intero<br />
territorio delle Quattro legazioni (assieme al minore complesso, pure austriaco, <strong>di</strong><br />
Comacchio).<br />
Quando le truppe austriache compirono alcuni movimenti ritenuti provocatori<br />
non fu più possibile all’allora debole pontefice arginare la valanga: il modesto<br />
esercito, rafforzato dal complesso dei reparti civici già in posto, si mosse lentamente<br />
per via or<strong>di</strong>naria (ossia a pie<strong>di</strong>) lungo la via Flaminia-passo del Furlo- Ferrara.<br />
Naturalmente i più vicini alla zona <strong>di</strong> operazioni erano i reparti che arruolavano i<br />
volontari dai reparti <strong>di</strong> guar<strong>di</strong>a civica stanziale e che formarono delle “colonne” <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong> Vicenza del 10/6/1848, in cui si <strong>di</strong>mostrò capace comandante, fatto notevole questo, considerata<br />
la nessuna esperienza o istruzione militare classica posseduta. Egli era però un illuminato proprietario<br />
terriero del crevalcorese, ben istruito ed evidentemente possedeva grande ascendente sui suoi uomini.<br />
Certamente la nomina era dovuta alla posizione sociale con relativa appartenenza ai circoli progressisti<br />
bolognesi, come quello del Berti-Pichat e, probabilmente, alla familiarità col vicino, nelle proprietà<br />
terriere, conte Carlo Pepoli, figura del Risorgimento bolognese. Il Nostro era figlio del Priore <strong>di</strong><br />
Crevalcore Fu sempre seguito nelle varie spe<strong>di</strong>zioni dalla moglie Clotilde Maccaferri <strong>di</strong> Massumatico<br />
(S.Pietro in Casale). La coppia ebbe una sola figlia, Elisabetta (Crevalcore 1833?- Bologna fine '800),<br />
custode per molti anni delle memorie familiari. Nel battaglione “Basso Reno” e poi nel reggimento<br />
“ L'Unione” era presente, come capitano comandante <strong>di</strong> una delle compagnie, Pietro Maccaferri da<br />
Massumatico (la cui famiglia era amministratrice del banchiere de Ferrari nel c.d. Principato del Poggetto),<br />
cognato del Rossi. dopo un onorevole servizio al comando interinale del reggimento, durante<br />
un'ispezione notturna alle <strong>di</strong>fese avanzate a porta S.Pancrazio sul Gianicolo, a Roma, nel giugno del<br />
1849, il Rossi venne catturato dai francesi e rinchiuso nel forte <strong>di</strong> Santa Margherita a Cannes e successivamente<br />
a Bastia, in Corsica, assieme al cognato. Non ebbe mai riconosciuto il suo grado come<br />
effettivo, causa la fine della Repubblica. Morì a Crevalcore durante la grande epidemia <strong>di</strong> colera del<br />
1855.
forza fra <strong>di</strong> loro variabile che marciarono verso Bondeno/Stellata e Ferrara onde<br />
riunirsi così da formare battaglioni <strong>di</strong> civici mobili il cui comando doveva essere<br />
assunto dal gen. Ferrari (mentre l’esercito regolare era affidato al piemontese gen.<br />
G. durando che, “fuori quadro” (aveva combattuto in Spagna nelle guerre carliste),<br />
aveva assunto servizio nell’esercito pontificio. Alla Stellata <strong>di</strong> Bondeno confluirono<br />
le colonne <strong>di</strong> Cento, Crevalcore, Persiceto e S.Agata B. che andarono a costituire<br />
sei Compagnie <strong>di</strong> un centinaio <strong>di</strong> uomini ciascuna, formando così un battaglione <strong>di</strong><br />
Guar<strong>di</strong>a civica mobile che si volle chiamare “<strong>di</strong> Cento”, con forti reazioni contrarie<br />
da parte dei volontari delle altre Comunità (figurarsi il campanilismo dell’epoca...).<br />
Sentendo montare lo scontento si dovette interessare della questione lo stesso<br />
gen. durando che decise per il nome <strong>di</strong> “Basso Reno”, <strong>di</strong> assonanza napoleonica,<br />
essendo il comandante dei corpi non regolari, ossia non permanenti, gen. Ferrari,<br />
ancora lontano.<br />
Il battaglione composto <strong>di</strong> sei Compagnie, dove la 1.a e la 2.a erano <strong>di</strong> Cento<br />
e Pieve, la 3.a <strong>di</strong> Crevalcore, la 4.a <strong>di</strong> Persiceto, la 5.a mista e la 6.a <strong>di</strong> S.Agata B.,<br />
mentre successivamente si aggregarono altre due Compagnie <strong>di</strong> Castel Bolognese,<br />
la 7.a e la 8.a del cap. Bu<strong>di</strong>ni, in seguito concentratesi in una sola, per questione <strong>di</strong><br />
personale.<br />
Il comandante il battaglione “Basso Reno” era il vecchio comandante della<br />
guar<strong>di</strong>a civica stanziale <strong>di</strong> Cento ten. col. Vito <strong>di</strong>ana che doveva la sua nomina ai<br />
maneggi dell’arcivescovo <strong>di</strong> Ferrara mons. Cadolini e all’alto funzionario centese,<br />
in servizio nel governo <strong>di</strong> Roma, avv. Francesco Borgatti (destinato ad un brillante<br />
avvenire nel parlamento del futuro Regno d’Italia) 12 . Ciò è la riprova del sistema<br />
delle nomine pontificie.<br />
Il <strong>di</strong>ana aveva in sott’or<strong>di</strong>ne i maggiori Berselli <strong>di</strong> Cento e Rossi <strong>di</strong> Crevalcore<br />
e decise <strong>di</strong> passare il Po, il che avvenne puntualmente con traghettamento<br />
13 nella zona <strong>di</strong> Sermide il giorno 5 <strong>di</strong> aprile del 1848, primo dei reparti<br />
pontifici, se non fosse che il futuro me<strong>di</strong>co centese Didaco Facchini riven<strong>di</strong>-<br />
12 Franceso Borgatti (Renazzo1818-Firenze 1885). Cattolico conservatore, apertosi, sempre con<br />
molta cautela, alle nuove istanze dei tempi. In stretti rapporti personali con l'arcivescovo <strong>di</strong> Ferrara<br />
Cadolini, su suggerimento o in accordo con questi, fu all'origine della (infelice) scelta <strong>di</strong> Vito<br />
<strong>di</strong>ana al comando prima della Guar<strong>di</strong>a civica centese e poi del battaglione civico mobile del “Basso<br />
Reno”, nell'avanzata su Ostiglia. Il Borgatti, laureatosi in Legge a Bologna, si trasferì nella papalina<br />
Roma (in gran fermento) ottenendo subito una serie <strong>di</strong> alti incarichi nei ministeri pontifici. Diresse<br />
il giornale “La speranza”. Segretario generale del ministero degli esteri, snodo cruciale nei rapporti<br />
fra i vari Stati italiani e segnatamente col Piemonte. Ebbe subdolamente contraria la Segreteria <strong>di</strong><br />
stato vaticana. dopo l'Unità fu più volte eletto dai centesi deputato alla Camera italiana e, più tar<strong>di</strong>,<br />
nominato dal Re senatore (allora carica a vita). Successivamente <strong>di</strong>venne, del Senato, vicepresidente<br />
reggente.<br />
Ebbe ruolo <strong>di</strong> primo piano nel giu<strong>di</strong>zio per alto tra<strong>di</strong>mento contro l'Ammiraglio Pellion <strong>di</strong> Persano,<br />
celebrato dal Senato del regno, sedente in Alta corte <strong>di</strong> giustizia, per la vergognosa sconfitta subita<br />
dalla flotta nel mare <strong>di</strong> Lissa (1866). Fu inoltre Ministro <strong>di</strong> Grazia e giustizia e dei culti dal 1866 al<br />
1867 nel Gabinetto <strong>di</strong> Bettino Ricasoli.<br />
13 Non esistevano ancora ponti galleggianti e tanto meno fissi, nella zona.<br />
61
62<br />
cò il primato al suo battaglione “Alto Reno” 14 .<br />
Questo battaglione bolognese ebbe scontri con gli austriaci alla Bevilacqua<br />
(Castello) <strong>di</strong> Ostiglia prima <strong>di</strong> andare a combattere a Treviso una dura lotta<br />
per sbarrare il passo ai rinforzi austriaci per il Radetzky, guidati dal ten.maresciallo<br />
Nugent.<br />
Il comandante era il famoso col. Zambeccari, nobile bolognese, che con<br />
il suo Reparto si era spinto anche fino a Modena, da Castelfranco E., per<br />
appoggiare il cambio <strong>di</strong> regime in quella città e questo senza nessuna autorizzazione<br />
o copertura da parte governativa pontificia.<br />
L’afflusso dei Reparti, specie volontari - oltre ai battaglioni civici c’erano<br />
i Legionari, i Crociati e altri - era complicato dall’arrivo dell’esercito napoletano<br />
quasi al completo, giunto via mare fino ad Ancona, che però, proprio<br />
al giungere delle sue avanguar<strong>di</strong>e in vista del Po, ricevette dal Re <strong>di</strong> Napoli<br />
l’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> rimpatrio, abbandonando la lotta per la causa italiana e fu questo<br />
un altro duro colpo che rafforzò nel tentennante Pio IX , che non voleva fare<br />
la guerra contro la maggiore potenza cattolica, ed era anche scoraggiato dalla<br />
Segreteria <strong>di</strong> stato filoaustriaca, la volontà nel desistere a proseguire nella<br />
lotta. A Roma si stu<strong>di</strong>ò una soluzione sottile e ipocrita per coprire l’avanzata<br />
e cioè si <strong>di</strong>chiararono i battaglioni civici mobili “corpi franchi”, ossia corpi<br />
irregolari senza status militare, ma questo declassamento (che esponeva a seri<br />
rischi, in caso <strong>di</strong> cattura da parte del nemico) non venne accettato facilmente<br />
da tutti i volontari che, come nel caso degli uomini del Quartiere Guisa <strong>di</strong><br />
Crevalcore, se ne ritornarono a casa.<br />
Si dovette provvedere a richiederne altri che per fortuna arrivarono in<br />
numero sufficiente.<br />
Proprio in questo momento scoppiò nel comando del “Basso Reno” un<br />
grosso problema: il ten.col. <strong>di</strong>ana abbandonò il suo posto, portandosi via<br />
tutti i documenti, e dovette intervenire personalmente il gen. durando che,<br />
fra i due Maggiori in forza al battaglione, scelse per la sostituzione il Rossi e<br />
lo promosse tenente colonnello seduta stante. E fu questa una scelta felice<br />
perché egli era amato da ufficiali e soldati. Il battaglione, dopo aver operato<br />
fra Ostiglia e Governolo, all’estrema sinistra dello schieramento pontificio,<br />
quasi a contatto con l’ala destra piemontese, venne spostato, via Rovigo e<br />
Padova verso Vicenza (nell’ultimo tratto a mezzo ferrovia: novità assoluta)<br />
dove si schierò nella zona <strong>di</strong> porta S. Lucia assieme alle Compagnie del 2.o<br />
reggimento svizzeri. La battaglia ebbe effettivamente luogo il 10 giugno 1849<br />
e non riuscì a bloccare l’avanzata del ten. maresciallo Nugent, in arrivo da<br />
Castelfranco V., dopo aver sconfitto i pontifici a Treviso e attraversato il<br />
Piave. La resa delle forze pontificie, stipulata a Vicenza, prevedeva la neutralizzazione<br />
delle forze che avevano capitolato, per il tempo <strong>di</strong> tre mesi (per<br />
14 Il futuro primario dottor <strong>di</strong>daco Facchini aveva, al tempo, per comandante <strong>di</strong> Compagnia il<br />
cap. Felice Orsini, l'attentatore <strong>di</strong> Napoleone III . Questo gesto, che era stato deciso per ven<strong>di</strong>care<br />
la Repubblica Romana del 1849, lo condusse alla ghigliottina, a Parigi, nel 1858.
questi mesi, in altre parole, non avrebbero potuto riprendere il combattimento<br />
e inoltre tutti i corpi non facenti parte dell’esercito pontificio permanente<br />
dovevano essere sciolti).<br />
Pena <strong>di</strong> morte per gli inadempienti<br />
Il Papa, che <strong>di</strong> certo non aveva incoraggiato la guerra, ma nemmeno si era<br />
decisamente opposto, or<strong>di</strong>nò al durando <strong>di</strong> ritirare tutte le forze al <strong>di</strong> qua del<br />
Po e <strong>di</strong> allontanarle da Bologna e Ferrara, verso la Romagna orientale (Forlì<br />
e Cesena).<br />
<strong>di</strong>retta conseguenza della capitolazione <strong>di</strong> Vicenza fu l’avanzata degli austriaci<br />
su Bondeno-Cento per Bologna dove poi si venne alla sollevazione<br />
e alla cacciata degli stessi, con gli scontri della Montagnola e non solo, l’8<br />
agosto 1848. 15<br />
La <strong>di</strong>fesa <strong>di</strong> Roma repubblicana<br />
L’autunno del 1848 si annunciava piuttosto tetro dal punto <strong>di</strong> vista politico<br />
e militare. Le sconfitte delle forze dei <strong>di</strong>versi stati italiani erano state nette<br />
e non certo per mancanza <strong>di</strong> valore dei combattenti quanto per l’ambiguità<br />
nel collegamento fra le <strong>di</strong>verse forze italiane schierate in campo e quin<strong>di</strong> per<br />
carenze politiche (basti pensare alle ambiguità e ai complotti del governo<br />
pontificio e specialmente della filoaustriaca Segreteria <strong>di</strong> stato).<br />
Certamente, da parte pontificia, erano pesate le forti carenze militari in fatto<br />
<strong>di</strong> numero e mezzi, carenze aggravate dalla pressochè assoluta mancanza <strong>di</strong><br />
addestramento dei reparti regolari (professionali) utilizzati in epoca pontificia<br />
soprattutto spezzettati in piccoli <strong>di</strong>staccamenti (e quin<strong>di</strong> incapaci <strong>di</strong> manovre<br />
d’assieme sul campo <strong>di</strong> battaglia) impiegati per servizio <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne pubblico e<br />
presi<strong>di</strong>o: e tutto ciò in contrapposizione al potente esercito austriaco che da<br />
mezzo secolo ormai si muoveva e spadroneggiava nella penisola spesso chiamato<br />
dagli stessi stati (Pontificio, <strong>di</strong> Napoli, Toscana) con la pur notevole<br />
eccezione dell’organizzato stato sardo- piemontese.<br />
Purtroppo tutti quanti gli eserciti italiani, senza eccezione, avevano in comune<br />
una caratteristica: la scarsa qualità degli ufficiali, specie <strong>di</strong> quelli <strong>di</strong> grado elevato,<br />
e ciò era l’assoluto contrario <strong>di</strong> quello che avveniva negli altri stati europei più<br />
importanti, dove erano gli elementi più stu<strong>di</strong>osi e intelligenti a entrare nella carriera<br />
delle armi e progre<strong>di</strong>re nei gra<strong>di</strong>.<br />
Circa i luoghi comuni sugli italiani, la guerra e soprattutto le rivoluzioni popolari,<br />
15 durante le scorrerie delle colonne nemiche per i territori ferrarese e bolognese fece parlare <strong>di</strong><br />
sé , ancora una volta, il ten.col. <strong>di</strong>ana il quale, avendo ripreso dopo il suo “abbandono <strong>di</strong> posto”<br />
ad Ostiglia, il comodo comando della “stanziale” centese, offrì i suoi servigi, per l'or<strong>di</strong>ne pubblico,<br />
al ten. maresciallo Welden che li accettò:ma non accettarono la cosa ufficiali e militi centesi<br />
che costrinsero il tra<strong>di</strong>tore ad abbandonare il Reparto e la città, per ignota destinazione. Il fellone<br />
non fu mai più rivisto. I preziosi documenti in suo possesso pare rimanessero nelle mani del<br />
Quartiermastro Cristani e della sua famiglia fino alla seconda metà dell'Ottocento.<br />
63
64<br />
avevano provato che non esistevano caratteristiche antropologiche negative negli<br />
italiani stessi, ma soltanto, in quel momento, <strong>di</strong>fetti <strong>di</strong> addestramento e <strong>di</strong> preparazione<br />
politica.<br />
Si potrebbe sostenere l’essere meglio lavoratori che guerrieri, ma la storia, almeno<br />
fino ad oggi, ha <strong>di</strong>mostrato che la cosa non è sempre vera; senza lotta il nostro<br />
Paese non si sarebbe costituito e certo non sarebbe libero.La lotta nella pianura padana<br />
e l’on<strong>di</strong>vago Pontefice regnante avevano molto stimolato lo spirito dei sud<strong>di</strong>ti<br />
che sentivano fortemente il peso del malgoverno ecclesiastico portante fatalmente<br />
a depressione economica e quin<strong>di</strong> alla miseria <strong>di</strong> vaste plaghe del territorio.<br />
Il ribollire degli spiriti era particolarmente accentuato nelle sempre riottose Romagne<br />
e nella città <strong>di</strong> Roma e suoi castelli. Proprio a Roma, nel turbato autunno del<br />
1848, nel corso <strong>di</strong> una riunione della consulta al palazzo della Cancelleria, venne ucciso<br />
da sconosciuti il primo ministro incaricato del Papa, Pellegrino Rossi,un avvocato<br />
moderato, mezzo bolognese, e si ebbero concomitanti atti <strong>di</strong> ribellione contro<br />
le istituzioni pontificie, specialmente da parte <strong>di</strong> reduci dei Reparti volontari<br />
ex combattenti nel Veneto. Non sentendosi al sicuro, Pio IX abbandonò,travestito,<br />
il palazzo del Quirinale il 13 novembre 1848 e si rifugiò nella fortezza <strong>di</strong> Gaeta,<br />
ospitato dal Re <strong>di</strong> Napoli.<br />
da quel momento prese gradualmente forma, durante un governo provvisorio<br />
pontificio che attuò qualche riforma nell’organizzazione statale, una nuova forma<br />
<strong>di</strong> struttura statale che il 9 febbraio 1849 portò alla proclamazione della Repubblica<br />
romana (“<strong>di</strong>o e Patria”) che si era ispirata alla repubblica del 1798 (detta Giacobina).<br />
Con la secolarizzazione <strong>di</strong> molte cariche prima rette da religiosi con elementi<br />
laici (borghesi o aristocratici) nelle Romagne le legazioni vennero eliminate e sostituite<br />
dalle Province che vennero rette da Presi<strong>di</strong> ( a Bologna venne nominato Carlo<br />
Berti Pichat).<br />
Con la Repubblica tutti i tribunali ecclesiastici vennero soppressi e prese forma<br />
un nuovo tipo <strong>di</strong> organizzazione giu<strong>di</strong>ziaria e <strong>di</strong> polizia. Venne costituita una Giunta<br />
suprema <strong>di</strong> governo formata dai rappresentanti delle tre maggiori città dello stato<br />
(Roma, Bologna e Ancona).<br />
Il 13 <strong>di</strong>cembre 1848 a Forlì i Circoli popolari richiesero la convocazione dell’Assemblea<br />
costituente. Con lo scioglimento <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi battaglioni civici mobili nelle<br />
Legazioni e il licenziamento in massa dei mercenari svizzeri, in questo territorio<br />
stanziati che, forse non sicuri del nuovo stato <strong>di</strong> cose, dubitavano del loro soldo, si<br />
venne a creare l’impellente necessità <strong>di</strong> nuovi reparti, ma la cosa non era facile, date<br />
le emergenze che si profilavano all’orizzonte dello Stato.<br />
Venne quin<strong>di</strong> decisa la costituzione <strong>di</strong> un nuovo reggimento regolare (ossia rientrante<br />
in pieno nell’“or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> battaglia” dell’esercito) denominato “L’Unione” cui<br />
venne anche assegnato un numero, come agli altri reggimenti, che era il 9.o <strong>di</strong> linea<br />
(fanteria) costituito su due battaglioni ( I e II) dove il II non era altro che il vecchio<br />
battaglione “Basso Reno” i cui uomini erano stati richiamati in servizio dopo essere<br />
stati inviati in congedo provvisorio alle loro abitazioni.<br />
Il I battaglione venne costituito con elementi bolognesi, ma soprattutto con
uomini della parte orientale della provincia e anche delle Legazioni <strong>di</strong> Forlì e <strong>di</strong><br />
Ravenna.<br />
In un primo tempo i due Reparti, assommanti in totale a circa 1700 uomini (800<br />
il I e 900 circa il II) vennero impiegati separatamente e cioè il II accantonato in<br />
S. Margherita e ai Servi (oggi via dei Bersaglieri, attuale caserma dei carabinieri) in<br />
mezzo a mille <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> carattere logistico come mancanza <strong>di</strong> effetti letterecci e<br />
ad<strong>di</strong>rittura usando lenzuola e coperte infestate da parassiti e sporcate da precedenti<br />
reparti. Questo stato <strong>di</strong> cose perdurò fino a quando il comandante Rossi non intervenne<br />
per l’ennesima volta nei confronti della Intendenza della 3.a <strong>di</strong>visione<br />
Militare (<strong>di</strong>rezione degli alloggiamenti militari, Sovrintendente Fabbri).<br />
Operativamente il battaglione ebbe <strong>di</strong>staccamenti a Castel S. Pietro Bolognese<br />
(oggi Terme) e Budrio, con un servizio <strong>di</strong> presi<strong>di</strong>o degli abitati e delle strade, specie<br />
la via Emilia.<br />
Più oscure e tormentate le vicende del I battaglione che aveva ancora uomini a<br />
Venezia che poi rientrarono, via mare, sbarcando a Ravenna. Complessivamente<br />
il reggimento ebbe tre depositi, oltre a quelli, già menzionati <strong>di</strong> Bologna, uno a<br />
Cento (ex palazzo del Commisssario Arcivescovile) e un altro a Ferrara. Trattandosi<br />
<strong>di</strong> un reggimento con tutti i crismi della regolarità e quin<strong>di</strong> con ben altro prestigio<br />
<strong>di</strong> quello dei Corpi Franchi, ossia civici mobili, ci fu una sorda lotta per ottenere<br />
il comando e perciò lavorio personale fra alcuni Colonnelli “pieni” (per usare una<br />
definizione militaresca che serve a <strong>di</strong>stinguere colonnelli da tenenti-colonnelli chiamando<br />
tutti “colonnello”) ed è chiaro che il livello del reparto comandato tendeva<br />
a fare grado.<br />
Il comando alla fine venne affidato al col. Angelo Pichi con i due tenenti- colonnelli<br />
Ferrara e Rossi, comandanti i battaglioni, ovviamente in sottor<strong>di</strong>ne.<br />
Con l’avvicinarsi quin<strong>di</strong> della stretta finale ed essendo chiaro che gli austriaci,<br />
entro breve, avrebbero schiacciato le Legazioni <strong>di</strong> Romagna occupando per cominciare<br />
Ferrara e Bologna, praticamente in<strong>di</strong>fen<strong>di</strong>bili, venne deciso il movimento dei<br />
due battaglioni verso il Lazio e Roma..<br />
La congiunzione dei due battaglioni avvenne ad Ancona, essendo partiti il I da<br />
Ravenna e il II da Bologna. Il col. Pichi era intanto passato al comando della 3.a<br />
<strong>di</strong>visione Militare <strong>di</strong> Bologna (situazione ambigua: non perse mai il comando del<br />
reggimento e ad Ancona si ebbe la frizione finale fra i due tenenti-colonnelli. Tommaso<br />
Rossi ebbe il sopravvento e il comando <strong>di</strong> fatto).<br />
Il reggimento marciò verso Roma con una forza <strong>di</strong> circa 1400 uomini, avendone<br />
lasciati ai depositi e ad Ancona circa 400.<br />
A Roma andava sempre più avvicinandosi il punto critico e si può fissare il momento<br />
del ra<strong>di</strong>cale cambiamento della situazione nell’assassinio <strong>di</strong> Pellegrino Rossi,<br />
il primo ministro conservatore designato da Pio IX, e la fuga a Gaeta dello stesso<br />
Pontefice, il 24 novembre 1848 che <strong>di</strong>ede inizio ad un esaltante periodo fatto <strong>di</strong><br />
realizzazione <strong>di</strong> tanti ideali da lungo tempo sognati e sempre repressi. Anche altre<br />
grosse e nere nuvole si andavano addensando sul futuro imme<strong>di</strong>ato.<br />
Tutte le potenze d’ Europa <strong>di</strong>sprezzavano l’arretrato ed oscurantista Stato clericale<br />
romano, ma guardavano , ovviamente, soprattutto ai loro interessi politico-<br />
65
66<br />
strategici. Mentre gli austriaci si preparavano ad invadere le solite Romagne fino<br />
ad Ancona (quasi una coazione a ripetere!) e si pensi che si sussurrava perfino <strong>di</strong><br />
una cessione territoriale a loro favore della parte padana dello Stato pontificio, ossia<br />
della sua parte più ricca e popolosa...., il presidente francese Bonaparte (nipote <strong>di</strong><br />
Napoleone Bonaparte, il grande imperatore) che aveva ambizioni imperiali a sua<br />
volta, da ottenere per via parlamentare con l’aiuto dei non pochi parlamentari cattolici<br />
francesi,mirava a muoversi in soccorso del Papa e pensava già ad una spe<strong>di</strong>zione<br />
militare a Roma, spe<strong>di</strong>zione però osteggiata dalle forze ra<strong>di</strong>cali del parlamento<br />
francese stesso.<br />
Dopo la sua fuga a Gaeta il pontefice aveva lasciato in comando a Roma una<br />
commissione straor<strong>di</strong>naria <strong>di</strong> Governo che doveva controllare le città dello Stato<br />
sempre più agitate dai ra<strong>di</strong>cali e dai reduci dei corpi volontari che avevano combattuto<br />
in Veneto (le campagne, reazionarie, contavano pressoché zero). Si arrivò<br />
presto a parlare <strong>di</strong> repubblica e Pio IX da Gaeta lanciò la scomunica ai filo-repubblicani<br />
e comunque a tutti coloro che si fossero lasciati coinvolgere, in modo attivo<br />
o passivo, nelle novità prossime venture. Non emise però bolle <strong>di</strong> scomunica ed<br />
applicò nientemeno che gli articoli dei dettati del Concilio <strong>di</strong> Trento, ossia della<br />
Controriforma del XVI secolo, i quali prevedevano appunto la scomunica a coloro<br />
che avessero messo in pericolo l’integrità del cosiddetto patrimonio <strong>di</strong> S. Pietro.<br />
La cosa ebbe effetto in modo <strong>di</strong>verso a seconda delle zone e anche a seconda<br />
dei personaggi.<br />
A Bologna l’anziano Arcivescovo non <strong>di</strong>ffuse la decisione del Papa e tantomeno<br />
applicò le <strong>di</strong>sposizioni. 16<br />
Intanto che il 9° fanteria (“L’Unione”) si riuniva ad Ancona e marciava<br />
verso Roma per la via Salaria (una passeggiata <strong>di</strong> 14 giorni), a Roma maturavano<br />
eventi <strong>di</strong> portata storica.<br />
Venivano indette le elezioni per l’Assemblea costituente che prevedeva 200<br />
deputati eletti dal popolo ed in tutto lo Stato ferveva un grande lavoro <strong>di</strong> orga-<br />
16 Mons. Oppizzoni (1768-1855). Arcivescovo <strong>di</strong> Bologna a 35 anni e car<strong>di</strong>nale a 36, era stato anche<br />
imprigionato in periodo napoleonico fra il 1811 e il 1813. Sarebbe <strong>di</strong>ventato il superiore <strong>di</strong> Ugo<br />
Bassi e Alessandro Gavazzi, i barnabiti espulsi dall'or<strong>di</strong>ne a loro insaputa, nel 1848. Tutto lascia<br />
pensare che lasciasse nelle mani del commissario straor<strong>di</strong>nario Be<strong>di</strong>ni l'oscuro affare Ugo Bassi e si<br />
limitasse a curare la sistemazione della salma.<br />
Fu il Be<strong>di</strong>ni certamente l'anima nera della ennesima restaurazione pontificia nelle Legazioni. Perfetto<br />
prototipo del curiale, aduso ad ogni intrigo politico, e si pensi alla sua presenza al campo<br />
austriaco <strong>di</strong> Castelfranco E. , a fianco degli stranieri che asse<strong>di</strong>avano, bombardandola, la seconda<br />
città del suo Stato. Molti elementi <strong>di</strong>mostrano il ruolo oscuro da questi avuto nella triste vicenda<br />
assolutamente illegale, anche nell'orrendo co<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> guerra, dell'assassinio dei patrioti Ugo Bassi e<br />
Giovanni Livraghi alla Certosa <strong>di</strong> Bologna: ne avrebbe ricevuto in premio, anni dopo, una tunica<br />
porpora. Mons. Be<strong>di</strong>ni (Senigallia 1803-Viterbo 1864) era concitta<strong>di</strong>no del Papa e certamente fra<br />
i Suoi preferiti. Se il nostro giu<strong>di</strong>zio dovesse oggi suonare eccessivo per la sensibilità, legittima, <strong>di</strong><br />
una parte del pubblico, si ricor<strong>di</strong>no le richieste <strong>di</strong> perdono, nei confronti del popolo italiano, da<br />
parte <strong>di</strong> un recente Pontefice per i comportamenti della Chiesa nei Suoi tentativi <strong>di</strong> conservare un<br />
ingombrante e anticristiano potere temporale.
nizzazione.<br />
I parroci erano costretti a consegnare i libri parrocchiali per la formazione dei<br />
ruoli e delle liste.<br />
Nei giorni fra il 21 e il 24 gennaio 1849 si svolsero liberamente le elezioni con<br />
i seggi vigilati dagli uomini della Guar<strong>di</strong>a civica. I votanti furono 250.000 ossia il<br />
30% degli aventi <strong>di</strong>ritto: dato ottimo considerata l’opposizione <strong>di</strong> larga parte del<br />
clero e l’assenza della maggioranza delle arretrate campagne. Risultarono eletti<br />
200 deputati che si inse<strong>di</strong>arono il 5 febbraio 1849 e circa 120 <strong>di</strong> questi risultarono<br />
a favore <strong>di</strong> una Repubblica ( l’8 febbraio 1848), il cui decreto <strong>di</strong> proclamazione<br />
(9 febbraio 1849) venne redatto dal budriese Quirico Filopanti (soltanto 20<br />
votarono per il già <strong>di</strong>mostrato impossibile stato costituzionale clericale).<br />
Il 18 marzo 1849 si emise il decreto che cambiava la denominazione della<br />
Guar<strong>di</strong>a civica in Guar<strong>di</strong>a nazionale. Alla fine dello stesso mese un corpo <strong>di</strong> 7mila<br />
francesi sbarcava a Civitavecchia e si spostava verso Roma, percorrendo la via<br />
Aurelia con quartier generale a Castel <strong>di</strong> Guido.<br />
I francesi, che contavano su <strong>di</strong> una favorevole accoglienza della popolazione,<br />
rimasero delusi.<br />
Non avevano forze sufficienti per porre un asse<strong>di</strong>o classico alla città, ovvero<br />
circondarla nel suo perimetro <strong>di</strong> oltre 30 km, per cui puntarono alla posizione<br />
migliore e cioè alla più elevata: il colle Gianicolo da dove le loro artiglierie potevano<br />
battere con il fuoco tutta intera (o quasi) la città e specie il centro storico.<br />
Lo schieramento francese quin<strong>di</strong> andava da monte Mario sull’ala sinistra alla<br />
Basilica <strong>di</strong> S. Paolo sulla destra, a cavallo del Tevere, dove lanciarono un ponte<br />
galleggiante.<br />
Tentarono <strong>di</strong> impadronirsi nella zona <strong>di</strong> monte Mario dell’antico ponte Rotto<br />
(p. Milvio), che però venne valorosamente <strong>di</strong>feso. Per tutto il resto delle malandate<br />
mura Aureliane si limitarono ad effettuare perlustrazioni con pattuglie <strong>di</strong><br />
cavalleria. I francesi attaccarono il giorno 30 <strong>di</strong> aprile sulla <strong>di</strong>rettrice <strong>di</strong> porta<br />
Cavalleggeri- porta Angelica, ma con una errata valutazione nei confronti dei<br />
<strong>di</strong>fensori, vennero clamorosamente respinti, soffrendo centinaia <strong>di</strong> per<strong>di</strong>te.<br />
A quel punto subentrò una pausa con il comandante francese Au<strong>di</strong>not installato<br />
a villa doria-Pamphili fuori <strong>di</strong> porta S. Pancrazio. Si iniziò una strana tregua<br />
fatta <strong>di</strong> messaggi fra il generale francese e il Triumvirato che teneva il potere<br />
governativo <strong>di</strong> Roma, ma che aveva il chiaro scopo <strong>di</strong> fare arrivare dalla Francia<br />
a Civitavecchia grossi rinforzi <strong>di</strong> truppe (e soprattutto <strong>di</strong> artiglierie). Quin<strong>di</strong> considerato<br />
l’enorme vantaggio in fatto <strong>di</strong> addestramento ed equipaggiamento dei<br />
francesi sui repubblicani e l’arrivo del corpo <strong>di</strong> rinforzo, non c’erano più dubbi<br />
sull’esito della lotta. Se ai vantaggi sopra descritti si aggiungeva pure l’attacco<br />
dei napoletani verso i colli Albani e la provincia <strong>di</strong> Frosinone ed era annunciato<br />
anche l’arrivo <strong>di</strong> truppe spagnole che avrebbero, poi si vide, scorrazzato nel Lazio<br />
senza però mai costituire un grosso problema militare, la Repubblica era finita.<br />
Garibal<strong>di</strong> pure era arrivato a Roma con la sua Legione denominata “italiana”<br />
e si mise a <strong>di</strong>sposizione della Repubblica. Venne subito impiegato a respingere i<br />
napoletani, che sconfisse a Velletri. I francesi attaccarono villa Corsini (detta dei<br />
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Quattro Venti) che costituiva con le altre (Valentini, Vascello ecc..) una linea <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>fesa antemurale rispetto ai bastioni rinascimentali che erano sulla sommità del<br />
Gianicolo. Fu un combattimento sanguinoso, per ben due volte il 33° Regg.to<br />
Granatieri francese attaccò, se ne impadronì, e la riperse (assieme a centinaia <strong>di</strong><br />
caduti).<br />
La terza volta riuscì a conservarla e così gli avamposti romani si ridussero alla<br />
villa detta del Vascello, giusto a pochi metri dalla debolissima porta S. Pancrazio.<br />
In breve tutto il terreno, coltivato a vigne, davanti ai bastioni, si ricoprì <strong>di</strong> trincee<br />
<strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa e anche <strong>di</strong> attacco. Erano trincee scavate nel terreno, ove possibile,<br />
se no in rilevato con le protezioni <strong>di</strong> gabbioni, ossia <strong>di</strong> grossi cesti <strong>di</strong> vimini.<br />
Le mosse de “L’Unione”<br />
Arrivato nel Lazio il Reggimento pattugliò vaste zone a nord <strong>di</strong> Roma e poi<br />
ebbe l’incarico <strong>di</strong> vigilare tutto l’arco delle mura Aureliane da porta Portese a<br />
porta Salaria e, date le forze <strong>di</strong>sponibili, voleva <strong>di</strong>re eseguire effettivamente solo<br />
una sorveglianza con posti <strong>di</strong> controllo presso le porte della città che erano state<br />
protette da barricate.<br />
Poi il reggimento venne spostato sul Gianicolo ove dovette agire militarmente<br />
in combattimenti (soprattutto il II battaglione) e in scavi notturni <strong>di</strong> trincee e<br />
altre opere <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa, cosa estremamente logorante. Il reggimento ebbe il posto <strong>di</strong><br />
comando e l’accantonamento degli uomini in palazzo Corsini alla Lungara (Trastevere).<br />
In quel periodo venne organizzato un sistema <strong>di</strong> ambulanze, ossia posti<br />
<strong>di</strong> me<strong>di</strong>cazione per i feriti nei vari ospedali e ospizi della città, ma in<strong>di</strong>pendenti<br />
dalla <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> questi, il che permise anche alle donne <strong>di</strong> cooperare e si <strong>di</strong>stinse<br />
fra tutte la milanese principessa <strong>di</strong> Belgioioso. Anche la moglie del comandante<br />
Rossi cooperò in <strong>di</strong>verse ambulanze. Sul fronte dei combattimenti si impegnò<br />
soprattutto l’ex “Basso Reno” sotto i bastioni a sinistra della porta. Mentre si<br />
avvicinava l’ora fatale della crisi finale.<br />
Il 12 giugno il reparto venne impegnato in una serie <strong>di</strong> combattimenti quando,<br />
nella zona del Vascello cadde, colpito a morte, l’anziano tenente Giovanni Timoteo<br />
Giordani (Cento 1799!) al quale soltanto la caduta della Repubblica impedì un<br />
grande riconoscimento al valor militare.<br />
Finirono forse in quel combattimento il ten. Francesco Lenzi, il serg. Calliope<br />
Lo<strong>di</strong>, cinque militi tutti centesi e il crevalcorese Cremonini, valorosissimo 17 .<br />
Il fatto d’arme certamente più glorioso fu la <strong>di</strong>fesa ad oltranza della villa del<br />
Vascello (massacrata dalla artiglieria francese e mai più ricostruita, ancora oggi<br />
17 Tutti i caduti della Repubblica romana sia del 1849 sia degli altri scontri fino al 1870 (breccia <strong>di</strong><br />
p.ta Pia) riposano dal 1941 in un monumento ossario eretto sul luogo ove nel 1849 era piazzata la<br />
batteria romana detta “del Pino”.<br />
Comprende quin<strong>di</strong> non solo i caduti del Gianicolo in no. <strong>di</strong> 942 (<strong>di</strong> cui 230 romagnoli delle ex<br />
legazioni/ province), ma anche un paio <strong>di</strong> centinaia <strong>di</strong> altri, caduti sempre sotto Roma come<br />
Mentana, villa Glori, Tivoli e altre località fino alla citata p.ta Pia, atto finale della grande avventura<br />
romana.<br />
Si noti che nella Campagna <strong>di</strong> Roma si ebbero più caduti della intera guerra in valle Padana.
mantenuta nella con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> fine lotta, come monumento). Sul Gianicolo, il cui<br />
fronte, dopo il rientro dagli scontri sui Castelli, era stato affidato al gen. Garibal<strong>di</strong>,<br />
esercitò la sua missione con un coraggio quasi suicida padre Ugo Bassi che<br />
giunse a <strong>di</strong>sinnescare anche le spolette delle granate francesi inesplose.<br />
Ma è sul Vascello che bisogna sempre fermare l’attenzione: era comandato dal<br />
col. Me<strong>di</strong>ci ed era stato formato il Reparto <strong>di</strong> questi, inizialmente, da volontari<br />
toscani rafforzato via via da altri <strong>di</strong> varie provenienze. Si coprirono <strong>di</strong> gloria i<br />
lombar<strong>di</strong> del battaglione <strong>di</strong> Luciano Manara (400 per<strong>di</strong>te su 800 effettivi!). Proprio<br />
l’ultimo giorno <strong>di</strong> guerra morì all’ospedale <strong>di</strong> S. Maria dei Pellegrini il poeta<br />
ventenne Goffredo Mameli (autore dei versi del nostro Inno nazionale), che era<br />
stato ferito ad un piede e morì <strong>di</strong> cancrena. Lo stesso Luciano Manara, ferito<br />
al capo l’ultimo giorno <strong>di</strong> battaglia (30 giugno 49), assistito da Ugo Bassi, morì<br />
al posto <strong>di</strong> me<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong> S. Maria della Scala in Trastevere. Al suo funerale<br />
in S.Lorenzo in Lucina ancora Ugo Bassi pronunciò l’orazione funebre, molto<br />
commovente, vestito della camicia rossa dei garibal<strong>di</strong>ni. Il 3 luglio 1849 Garibal<strong>di</strong><br />
lasciò Roma per il nord e il 6° Regg.to <strong>di</strong> linea (“L’Unione”), consegnato in<br />
Castel S. Angelo, venne sciolto non essendo fra le forze permanenti dello Stato<br />
pontificio. Il ten.col. T. Rossi non si vide concesso il grado militare permanente<br />
e tornò in patria con gli altri reduci e finì, ancora giovane, per una allora e spesso<br />
mortale epidemia <strong>di</strong> colera.<br />
Per un giu<strong>di</strong>zio finale sulle operazioni e sulla condotta dei Reparti composti<br />
da sud<strong>di</strong>ti, poi <strong>di</strong>venuti per loro volontà citta<strong>di</strong>ni, della nostra sub-regione, storicamente<br />
Romagna occidentale e che per la massima precisione ci è piaciuto<br />
chiamare Padusa, non si può fare altro che inchinarsi al loro valore, in qualche<br />
caso eccezionale, sia nella campagna del Veneto (1848) sia soprattutto nella <strong>di</strong>fesa<br />
della loro Repubblica romana (1849), che anche oggi sentiamo più che mai come<br />
nostra.<br />
Essi erano borghesi, intellettuali e popolani delle città e dei borghi che per la<br />
prima volta si trovavano ad affrontare un nemico agguerrito e baldanzoso per<br />
le molte vittorie, scarsamente armati e per niente addestrati. Fecero essi tutto il<br />
possibile. da sottolineare che la Costituzione della Repubblica romana del 1849<br />
votata, in Campidoglio, giusto l’ultimo giorno <strong>di</strong> guerra, avanzatissima, può essere<br />
ben considerata la progenitrice della nostra Carta Costituzionale del 1948,<br />
proclamata praticamente cent’anni dopo.<br />
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70<br />
Guida ragionata alle fonti<br />
Il materiale archivistico è <strong>di</strong>sponibile in relativa abbondanza, anche se <strong>di</strong>sperso<br />
in se<strong>di</strong> <strong>di</strong>verse e anche <strong>di</strong>sagiate. Trattandosi <strong>di</strong> svolgere una ricerca focalizzata<br />
ad avvenimenti o personaggi appartenenti ad una precisa e limitata<br />
realtà geografica è stato ritenuto conveniente partire dal livello degli archivi<br />
storici comunali insistenti sul territorio <strong>di</strong> interesse e cioè:<br />
A. S. C. Cento. La sede <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o o<strong>di</strong>erna è confortevole e molto ben seguita,<br />
ma il materiale è conservato in un ex stabilimento (non <strong>di</strong> proprietà<br />
comunale) soggetto a temperature non certo ottimali, ai fini della conservazione,<br />
per i fon<strong>di</strong> custo<strong>di</strong>ti. Scarsissimo e frammentario il materiale <strong>di</strong> interesse<br />
specifico <strong>di</strong>sponibile. Forse il fondo è stato saccheggiato durante qualche<br />
periodo, magari durante i <strong>di</strong>versi trasferimenti <strong>di</strong> sede avvenuti negli ultimi<br />
venticinque anni (Rocca, Ex Molino Valentini ed ex Canapificio Buracci).<br />
In almeno una sede provvisoria, quella dell’ ex Molino, i fon<strong>di</strong> dell’archivio<br />
sono stati oggetto sicuramente <strong>di</strong> furto, con effrazione della porta d’accesso.<br />
Caratteristica forse unica dei fon<strong>di</strong> centesi è quella <strong>di</strong> essere stati depauperati<br />
anche dal prelievo selettivo eseguito dall’archivista stesso negli anni <strong>di</strong> fine<br />
Ottocento per essere consegnati ad altro ente, fino ad allarmare i responsabili<br />
del tempo del Museo beneficiario (A.M.S.RIS.Bo.).<br />
A.S. C. S.Giovanni in Persiceto. I fon<strong>di</strong> conservati furono oggetto delle<br />
“attenzioni” dei rivoltosi della “Tassa sul macinato” nel 1869. E’ <strong>di</strong>fficile <strong>di</strong>re<br />
quanto sia il materiale perduto nell’incen<strong>di</strong>o, mai abbastanza deprecato, presso<br />
questo grosso comune. Anche qui i documenti hanno subito traslochi. La<br />
sede attuale, per quanto ottimamente or<strong>di</strong>nata, è penalizzata da limitatissimi<br />
orari <strong>di</strong> apertura e da temperature ambientali con punte estreme durante le<br />
stagioni.<br />
A.S.C. Crevalcore. E’ la perla degli archivi da noi utilizzati. Moderno e<strong>di</strong>ficio<br />
con agevole <strong>di</strong>sposizione del materiale, che gode <strong>di</strong> impianto <strong>di</strong> climatizzazione,<br />
ottimo per la conservazione.<br />
In questo quadro, confortevolissimo, si trova molto materiale, perfettamente<br />
or<strong>di</strong>nato, del periodo risorgimentale e in particolare molto della documentazione<br />
prodotta dai reparti del battaglione “Basso Reno” durante il<br />
comando del crevalcorese ten. col. Tommaso Rossi e, all’atto della smobilitazione<br />
del Reparto, versato agli archivi del comune dal quale <strong>di</strong>pendeva<br />
amministrativamente il battaglione.<br />
A.S.C. Bologna. E’ ben organizzato, <strong>di</strong>spone <strong>di</strong> interessante documentazione<br />
ed è a tutti gli effetti al livello <strong>di</strong> un archivio <strong>di</strong> stato. Sala <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o<br />
confortevole con personale competente, ma con i depositi però non troppo<br />
felici per la conservazione dell’abbondante materiale: è l’adattamento <strong>di</strong> un<br />
precedente impianto comunale che venne destinato ad accogliere i fon<strong>di</strong> archivistici<br />
depositati fra l’Archivio <strong>di</strong> Stato <strong>di</strong> Bologna e i magazzini della Sala<br />
Borsa (ante-restauro).
A. Museo del Risorgimento- Bologna. Giacimento <strong>di</strong> fon<strong>di</strong> preziosi per<br />
gli stu<strong>di</strong>osi, sia <strong>di</strong> tipo bibliografico sia documentario. Ha due se<strong>di</strong>, una museale<br />
(piazza Carducci) con depositi accessibili soltanto al personale e quella<br />
propriamente archivistico-bibliografica specializzata <strong>di</strong> via dei Musei, dove<br />
si trova la sala stu<strong>di</strong>o. Anche questa istituzione ha subito gli insulti della II<br />
guerra mon<strong>di</strong>ale quando il materiale esposto nelle vetrine del Museo venne<br />
raccolto nei depositi, creando così <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> collocazione per via del cambiamento<br />
dei riferimenti che avevano la loro origine nella sala Risorgimentale<br />
dell’Esposizione <strong>di</strong> Bologna. Le trasformazioni ebbero luogo nel 1943.<br />
A.S.C. S.Agata B. Archivio ben or<strong>di</strong>nato anche se non abbondantissimo<br />
nel materiale.<br />
d’altra parte è il più piccolo dei comuni <strong>di</strong> interesse. Orari <strong>di</strong> consultazione<br />
molto limitati.<br />
A.S. Bologna. Si tratta <strong>di</strong> uno dei più forniti archivi italiani, oggetto <strong>di</strong><br />
relativamente recente restauro, dotato <strong>di</strong> accogliente sede <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o e con<br />
ottimo personale. E’ sede <strong>di</strong> scuola archivistica e pubblica ed espone con una<br />
certa frequenza. Vi si trovano i fon<strong>di</strong> della Legazione/provincia pontificia <strong>di</strong><br />
Bologna, in modo sistematico. Proprio per l’organicità dei fon<strong>di</strong> depositati,<br />
si <strong>di</strong>fferenzia dal Museo del Risorgimento ove si possono reperire essenzialmente<br />
“pezzi” rari e selezionati, dovuti assai spesso a donazioni e lasciti <strong>di</strong><br />
vecchi patrioti o delle famiglie <strong>di</strong> questi.<br />
E’ presente la documentazione relativa ai fatti del 1848-49 (Ugo Bassi,<br />
Legazione, Atti Riservati 1849 e Legazione, Guar<strong>di</strong>a Civica 1848).<br />
A.S. Roma. ( da non confondere con l’ Archivio centrale dello stato situato<br />
al quartiere EUR).<br />
I fon<strong>di</strong> <strong>di</strong> interesse, parte degli archivi ministeriali pontifici, sono <strong>di</strong>visi<br />
fra la sede storica <strong>di</strong> Corso Rinascimento e quella staccata presso il “solito”<br />
vecchio stabilimento <strong>di</strong>smesso, <strong>di</strong>sagevole da raggiungere, oltre la stazione<br />
Tiburtina. Nella sezione staccata si conserva la maggior parte del materiale<br />
archivistico ante1870: la ricerca va comunque svolta presso entrambe le<br />
se<strong>di</strong>.<br />
Museo Centrale del Risorgimento presso il complesso del Vittoriano: conserva<br />
soltanto materiale per esposizione (parzialmente esposto).<br />
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72<br />
LEGENdA<br />
A.S.Bo. Archivio <strong>di</strong> Stato <strong>di</strong> Bologna<br />
A.S.Rm. Archivio <strong>di</strong> Stato <strong>di</strong> Roma<br />
A.M.S.RIS. Bo. Archivio del Museo storico del Risorgimento <strong>di</strong> Bologna<br />
B.C.A.Bo. Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio <strong>di</strong> Bologna<br />
A.S.C.Bo. Archivio storico comunale <strong>di</strong> Bologna<br />
A.S.C.Ce. Archivio storico comunale <strong>di</strong> Cento<br />
A.S.C.Cr. Archivio storico comunale <strong>di</strong> Crevalcore<br />
A.S.C.Pe. Archivio storico comunale <strong>di</strong> S.G..Persiceto<br />
A.S.C.S.A Archivio storico comunale <strong>di</strong> S.Agata Bolognese<br />
L’autore delle presenti note approfitta della circostanza per ringraziare i Funzionari<br />
e i loro Collaboratori per il cortese aiuto prestato; ringrazia, inoltre, la Direzione del<br />
Museo del Risorgimento <strong>di</strong> Bologna per la concessione delle immagini.
Il piemontese gen. G. Durando comandante i pontifici nella campagna del Veneto: molto <strong>di</strong>scusse<br />
le sue decisioni strategiche durante quella campagna.<br />
Ostiglia, aprile 1848. La posizione del batt.ne “Basso Reno” oltre il Po. detto reparto si era costituito<br />
fra Bondeno e Revere con le “colonne” civiche volontarie provenienti da Cento, Crevalcore,<br />
Persiceto, S.Agata B. cui si aggiunsero le due compagnie <strong>di</strong> Castelbolognese del valoroso cap.<br />
Bu<strong>di</strong>ni. Il primato nell’attraversamento del fiume venne riven<strong>di</strong>cato anche dai bolognesi del batt.ne<br />
“Alto Reno” (ten. col. Zambeccari).<br />
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1848. Il ten. col. Tommaso Rossi ( Palata Pepoli 1809- Crevalcore 1855 ). Il crevalcorese venne<br />
nominato comandante del “Basso Reno” dal gen. durando che tolse dal comando il centese ten.<br />
col. Vito <strong>di</strong>ana, primo comandante, per pecche caratteriali. Il Rossi tenne anche il comando del<br />
regg.to “L’Unione” alla <strong>di</strong>fesa <strong>di</strong> Roma nel 1849. Venne catturato dai francesi sul bastione n. 6 nel<br />
giugno del 1849. Venne da questi internato in Corsica
1848. “Guidone” <strong>di</strong> combattimento del batt.ne “Basso Reno”. Mentre la ban<strong>di</strong>era del battaglione era<br />
quella pontificia questa insegna, molto scolorita dal tempo, parrebbe tricolore, ma con <strong>di</strong>sposizione<br />
orizzontale delle strisce colorate.<br />
1848. Borsa-giberna porta munizioni del “Basso Reno”. Conteneva palle <strong>di</strong> piombo, cariche e<br />
inneschi (capsule o fulminanti) per i fucili in dotazione (prevalentemente <strong>di</strong> fabbricazione francese<br />
o trasformati da pietra focaia).<br />
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Vicenza 10/6/1848. Schieramento degli eserciti contrapposti nella battaglia (in nero i reparti<br />
austriaci).<br />
Il “Basso Reno” è schierato <strong>di</strong>etro il cimitero al centro delle Compagnie del 2° regg.to estero<br />
(Svizzeri pontifici).<br />
Il combattimento principale, il battaglione lo sostenne a Borgo S.Lucia e palazzo Scroffa.<br />
giugno 1848. Pianta <strong>di</strong> Vicenza <strong>di</strong> proprietà del T.Col. Rossi. A sud visibile il Monte Berico teatro<br />
<strong>di</strong> furiosi combattimenti.
Aprile-Giugno 1849. Carta militare delle <strong>di</strong>fese romane attorno a porta S.Pancrazio, sul Gianicolo.<br />
In alto, fuori porta , visibili le ville del Vascello, dei Quattro Venti e Valentini. Notare la trincea<br />
esterna ai bastioni rinascimentali.<br />
All’interno delle mura le ville Spada e Savorelli, luogo dell’ultima resistenza a fine giugno 1849.<br />
In basso il complesso <strong>di</strong> S.Pietro in Montorio, posto <strong>di</strong> primo soccorso. Le doppie linee sinuose<br />
(a tratteggio fine) fuori dei bastioni sono trincee (scavate o in rilevato gabbionato) costruite<br />
prevalentemente dagli uomini del regg.to “L’Unione”.<br />
Roma 1849. Tabella delle tipologie dei lavori <strong>di</strong> fortificazione eseguiti principalmente del I e II<br />
battaglione de “L’Unione”. I reparti lavoravano, specie <strong>di</strong> notte, <strong>di</strong> pala e piccone, autoproteggendosi<br />
dagli attacchi delle pattuglie francesi. In tale situazione subirono forte logoramento.<br />
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Roma 1849. Vista della zona, dopo i combattimenti sul Gianicolo, fuori porta S.Pancrazio.<br />
Da destra a sinistrVascello e fino al Casino dei Quattro Venti.
Roma, luglio 1849. La villa del Vascello. Evidente l’effetto del violento fuoco dell’artiglieria<br />
francese.<br />
La villa era, con la Valentini e i Quattro venti, un avamposto dei bastioni <strong>di</strong> porta S. Pancrazio. La<br />
resistenza <strong>di</strong> questo caposaldo <strong>di</strong>venne leggendaria: vi presero parte parecchi uomini de “L’Unione”<br />
(II battaglione!).<br />
Roma 1849. Il Casino dei Quattro Venti, al centro dei combattimenti manovrati, fu più volte perduto<br />
e ripreso con violentissimi scontri all’arma bianca. Famosa la carica <strong>di</strong> cavalleria dei bolognesi del<br />
cap. Masini. Ben visibile l’effetto dell’artiglieria. Oggi sorge sul luogo un arco monumentale, a<br />
ricordo.<br />
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Roma 1849. Pezzo d’artiglieria romana smantellato dal fuoco nemico sul retro dei bastioni.<br />
Roma, luglio 1849. Batteria <strong>di</strong> pezzi romani, dopo la fine delle ostilità. Visibile la mancanza<br />
<strong>di</strong> standar<strong>di</strong>zzazione dei pezzi schierati alle spalle <strong>di</strong> porta S. Pancrazio, in zona Pino (o<strong>di</strong>erno<br />
Ossario).
1849. Padre Ugo Bassi (Cento 1801- Bologna 1849) ritratto in un’incisione con la folta barba che<br />
caratterizzò i suoi ultimi mesi <strong>di</strong> vita. Era religioso barnabita con molti nemici nel suo ambiente.<br />
Fucilato illegalmente con il suo compagno cap. Giovanni Livraghi, vicino alla Certosa <strong>di</strong> Bologna<br />
l’8 agosto 1849 e sepolto in terra sconsacrata, in segno <strong>di</strong> <strong>di</strong>sprezzo.<br />
1849. Mons. Gaetano Be<strong>di</strong>ni (Senigallia 1803- Viterbo 1864). Concitta<strong>di</strong>no <strong>di</strong> Pio IX, venne<br />
nominato Commissario straor<strong>di</strong>nario per le Quattro legazioni dal papa e partecipò all’attacco,<br />
partito da Castelfranco E., per la conquista <strong>di</strong> Bologna nel maggio del 1849 a fianco degli Austriaci<br />
con i quali collaborò strettamente. Coinvolto nella oscura situazione che portò alla morte <strong>di</strong> Ugo<br />
Bassi.<br />
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1849. Copia del manifestino che incitava all’o<strong>di</strong>o o anche all’uccisione <strong>di</strong> Ugo Bassi, <strong>di</strong>ffuso dai<br />
reazionari bolognesi.
1849. In una stampa del Lanfranchi una ricostruzione della fucilazione <strong>di</strong> Bassi e Livraghi fra il<br />
Meloncello e la Certosa <strong>di</strong> Bologna (oggi piazza della Pace). Rimangono molti punti oscuri negli<br />
avvenimenti che portarono a queste illegali esecuzioni.<br />
1849-1866. Tale l’arco <strong>di</strong> tempo in cui combatterono questi volontari. Nella foto <strong>di</strong> gruppo<br />
garibal<strong>di</strong>ni centesi, ormai attempati, ripresi durante una celebrazione. da un elenco superstite si<br />
rileva che i combattenti persicetani (quelli ancora in vita durante il Cinquantenario, almeno) erano<br />
59 del “Basso Reno” (1848), 13 de “L’Unione”(1849) e 14 garibal<strong>di</strong>ni (1849-1870).<br />
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1848. Foto del dott. <strong>di</strong>daco Facchini, ormai anziano <strong>di</strong>rettore sanitario dell’ospedale <strong>di</strong> Cento.<br />
Aveva partecipato alla campagna nel Veneto come tenente in una Compagnia, comandata dal cap.<br />
Felice Orsini, nel batt.ne ”Alto Reno”, dello Zambeccari. Fu attento biografo <strong>di</strong> Ugo Bassi.<br />
1849. Sbia<strong>di</strong>to dagherrotipo dell’ormai anziano tenente Giovanni Timoteo Giordani (n. 1799),<br />
centese, caduto a porta S. Pancrazio in Roma, mentre comandava un contrassalto, spada in pugno,<br />
alla testa del suo plotone. Soltanto il crollo della Repubblica romana e il rivolgimento politico<br />
relativo impedìrono il riconoscimento ufficiale del fatto glorioso, con adeguata decorazione.
Bologna, maggio 1849. Avvicinandosi l’attacco austriaco alla<br />
città, il Preside della provincia O. Biancoli invita le Comunità<br />
locali a pre<strong>di</strong>sporre per una ferma resistenza anche ricorrendo<br />
a forme <strong>di</strong> guerriglia (lotta partigiana).<br />
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Fig.1 – Santino della B.V. delle Grazie venerata nella parrocchia <strong>di</strong> San Silvestro*
ROBERTO TOMMASINI<br />
I 685 giorni <strong>di</strong> Buoncuore<br />
In data 7 Ottobre 1857 un <strong>di</strong>spaccio legatizio informava il Consiglio Comunale<br />
della decisione del Pontefice <strong>di</strong> sostituire il nome <strong>di</strong> Crevalcore con la nuova denominazione<br />
<strong>di</strong> Buoncuore .<br />
La comunicazione lasciò sbigottiti citta<strong>di</strong>ni e pubblici amministratori che nel<br />
primo Consiglio Comunale utile, il seguente 23 Ottobre, presero ufficialmente<br />
atto del cambiamento.<br />
L’informazione fornita nell’occasione dal segretario comunale Giulio Cesare<br />
Ba<strong>di</strong>ni fu la seguente:<br />
“ Rapporto al primo Oggetto, che riguarda l’inaspettato cambiamento <strong>di</strong> nome che la Santità<br />
<strong>di</strong> Nostro Signore si è degnata <strong>di</strong> dare a questo <strong>Comune</strong> non posso a meno <strong>di</strong> attestare la<br />
compiacenza che ognuno <strong>di</strong> noi deve provare nel pensare che il Sommo Gerarca Sovrano ottimo<br />
e <strong>di</strong> Clemenza massima nel tempo in cui andava consolando della sua Augusta presenza le<br />
popolazioni della Provincia Bolognese volgeva benigno pensiero a questo Castello e lo chiamava<br />
Buoncuore; ad un tale contrassegno <strong>di</strong> paterno affetto i nostri cuori restano profondamente penetrati<br />
e da quest’ultimo confine dello stato mandano alla Sacra Persona sentimenti i più sinceri ,<br />
i più puri <strong>di</strong> umile riconoscenza , <strong>di</strong> sommo ringraziamento, <strong>di</strong> ossequiosa devozione “.<br />
I consiglieri comunali <strong>di</strong> fronte ad un provve<strong>di</strong>mento che cancellava l’identità<br />
della loro comunità non opposero alcuna obiezione. del resto sarebbe stata<br />
un’ardua impresa contestare la decisione personale del sovrano amministratore<br />
dei poteri temporale e spirituale.<br />
Qualche perplessità sull’inatteso cambiamento affiorò comunque nella successiva<br />
votazione, chiesta dal Priore comunale Vincenzo Rossi, sui ringraziamenti da<br />
estendere all’Eccellenza Reveren<strong>di</strong>ssima Monsignor Commissario e Prolegato <strong>di</strong><br />
Bologna, che ottenne 13 voti favorevoli e quattro contrari .<br />
Responsabile della sorpresa era stato Pio IX, entrato in contatto con la delegazione<br />
crevalcorese durante la visita effettuata il 24 <strong>di</strong> Agosto a San Giovanni<br />
in Persiceto.<br />
Tre mesi prima, il 14 <strong>di</strong> Maggio, il territorio crevalcorese era stato colpito da<br />
una furiosa tempesta che aveva danneggiato gran parte delle coltivazioni e costretto<br />
numerosi agricoltori locali a chiedere, come forma <strong>di</strong> sostegno, l’esonero<br />
dal pagamento delle tasse (focatico).<br />
Pur riconoscendo le critiche con<strong>di</strong>zioni delle famiglie, alle quali si sarebbe dovuto<br />
ridurre almeno i due terzi delle imposte, i nostri governanti decisero <strong>di</strong> non<br />
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accogliere la richiesta, valutando l’esenzione “ meschino sollievo <strong>di</strong> fronte alla immensa<br />
calamità generalmente sentita”.<br />
Con le colture, erano andate perdute buona parte delle opportunità <strong>di</strong> lavoro<br />
per i numerosi braccianti e il successivo 14 Luglio, il Consiglio comunale si era<br />
dovuto riunire per in<strong>di</strong>viduare forme alternative <strong>di</strong> occupazione.<br />
Non è comunque assodato se ad influire sulla decisione del Pontefice fossero<br />
stati i danni causati dal maltempo o più semplicemente i nomi evocanti la malasorte<br />
<strong>di</strong> Malalbergo e Crevalcore (Crevalcore era riportato nei documenti ufficiali<br />
come Crepalcore).<br />
Resta il fatto che il Pontefice <strong>di</strong>spose per la nuova beneaugurante denominazione,<br />
trasformando Crevalcore in Buoncuore .<br />
In un suo manoscritto lo storico locale Lorenzo Meletti, commentò così l’avvenimento:<br />
“ Invero dovette essere <strong>di</strong> grande conforto ai buoni Crevalcoresi, che versavano in sì misere<br />
con<strong>di</strong>zioni, il sapere che il loro Sovrano erasi occupato <strong>di</strong> loro....cambiando nome al Paese!......”<br />
Il nuovo nome cominciò ad essere utilizzato negli atti consiliari a partire dal<br />
23 Ottobre 1857, anche se la notizia del cambiamento era stata inoltrata dal Ministero<br />
dell’Interno dal giorno 2 Ottobre, come riporta la circolare legatizia del<br />
9 <strong>di</strong> Novembre, <strong>di</strong> seguito riportata, che forniva al Priore Comunale, istruzioni<br />
sull’argomento:<br />
“Molto illustre Signore<br />
Per le relazioni che codesto Magistrato potesse avere colle Comuni <strong>di</strong> Crevalcore, e <strong>di</strong> Malalbergo<br />
in questa Provincia, si rende noto che in seguito <strong>di</strong> benigno Sovrano Rescritto comunicato,<br />
dal Ministero dell’Interno con Dispaccio N 61.696 del 2 ottobre p.s.é stato sostituito il nome<br />
<strong>di</strong> Buoncuore a quello <strong>di</strong> Crevalcore, e <strong>di</strong> Buonalbergo a quello <strong>di</strong> Malalbergo: per cui le corrispondenze<br />
e gli atti relativi a dette due Comuni si debbono intestare quind’innanzi coi nuovi<br />
nomi preaccennati.<br />
Tanto serva <strong>di</strong> norma a V.S. per le <strong>di</strong>sposizioni interne d’uffizio e per le comunicazioni ai<br />
<strong>di</strong>pendenti dalla <strong>di</strong> Lei giuris<strong>di</strong>zione, le confermo la mia Stima<br />
Bologna 9 novembre 1857<br />
Il commissario Straor<strong>di</strong>nario e Pro Legato<br />
Camillo Amici “.<br />
Primo e unico Priore <strong>di</strong> Buoncuore fu Vincenzo Rossi. In carica al momento<br />
della ridenominazione, venne riconfermato nel mandato nel <strong>di</strong>cembre del<br />
1857.<br />
Le novità che contrad<strong>di</strong>stinsero l’epoca <strong>di</strong> Buoncuore furono:<br />
-l’installazione, lungo la via maestra e i crocevia, <strong>di</strong> un nuovo impianto <strong>di</strong> illuminazione,<br />
- un sommario restauro alla cappella maggiore della chiesa Parrocchiale,<br />
-la costruzione <strong>di</strong> un serbatoio per i rifiuti del macello pubblico,
-lo stanziamento <strong>di</strong> un fondo per la realizzazione <strong>di</strong> una pesa pubblica,<br />
-il potenziamento dell’argine della fossa Rangona.<br />
L’intervento <strong>di</strong> maggior rilevanza fu comunque la parziale ristrutturazione del<br />
Palazzo Comunale.<br />
L’antico tetto <strong>di</strong> debole struttura venne ricostruito, ri<strong>di</strong>mensionato, alzato e<br />
variato nelle pendenze .<br />
I lavori eseguiti nel 1858, nella sola ala <strong>di</strong> levante, non riuscirono perfettamente<br />
a causa della debolezza dei vecchi muri e delle fondazioni.<br />
Probabilmente alla ristrutturazione del palazzo comunale fu legato il rior<strong>di</strong>no<br />
dell’archivio storico comunale, effettuato dal segretario comunale Giulio Cesare<br />
Ba<strong>di</strong>ni, assistito da Gaetano Atti, all’epoca segretario amministrativo dell’Ospedale<br />
<strong>di</strong> Santa Maria dei Poveri.<br />
All’epoca <strong>di</strong> Buoncuore fece pure qualche passo avanti il progetto <strong>di</strong> collegamento<br />
stradale con la città <strong>di</strong> Cento.<br />
dopo aver valutato i progetti dell’ingegnere comunale Luigi Ceschi, che prevedeva<br />
il percorso Via Signata, Mulino del Secco, Passo del Guazzaloca, Riga<br />
Bassa e Filippina e quello risalente al 1848, degli ingegneri Raffaele Stagni e Luigi<br />
Gamberini, che proponeva il percorso <strong>di</strong> via <strong>di</strong> Mezzo Levante e Chiesa nuova, il<br />
Consiglio Comunale optò per un terzo stu<strong>di</strong>o che abbreviava il tracciato proposto<br />
dal Ceschi, deviando il tratto successivo al ponte del Guazzaloca, sul percorso<br />
Arginone dè Conti, Via dè Fabbri.<br />
Alla scelta del progetto, seguì la delibera per la costruzione del tratto <strong>di</strong> strada<br />
con cui collegare il Mulino del Secco al Ponte del Guazzaloca, ma i lavori vennero<br />
rimandati in attesa <strong>di</strong> adeguate coperture finanziarie.<br />
Il cambio <strong>di</strong> denominazione non era, infatti, bastato ad incrementare le scarse<br />
risorse pubbliche e neppure era riuscito ad imprimere particolari accelerazioni<br />
allo sviluppo del paese. Tutto continuò secondo consuetu<strong>di</strong>ne. Irrilevanti furono<br />
pure gli entusiasmi suscitati dal nuovo nome fra la popolazione, che non degnò<br />
l’evento <strong>di</strong> alcuna forma <strong>di</strong> festeggiamento.<br />
Principali occasioni <strong>di</strong> <strong>di</strong>vertimento rimasero le tra<strong>di</strong>zionali Fiera <strong>di</strong> Luglio e il<br />
Fierone <strong>di</strong> Settembre: La principale novità per le due ricorrenze dell’anno 1858<br />
fu la stampa del nuovo nome del paese sugli avvisi che annunciavano le manifestazioni<br />
.<br />
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Fig.2 – Avviso della fiera del 1858*
Il Fierone <strong>di</strong> Settembre venne fatto coincidere con le celebrazioni del dogma<br />
dell’Immacolata Concezione, del quale ricorreva quell’anno il 5° anniversario.<br />
In quell’occasione l’immagine della Madonna della Concezione venne trasportata<br />
con un’imponente processione nella chiesa <strong>di</strong> San Silvestro, dove rimase<br />
esposta per cinque giorni all’attenzione dei fedeli.<br />
La coincidenza dei due eventi contribuì ad arricchire il programma della manifestazione,<br />
annunciata nel modo seguente:<br />
IN BUONCUORE<br />
Avviso<br />
Per la domenica 5 settembre 1858<br />
Nella ricorrenza che viene solennizzato il dogma dell’ Immacolata Concezione,<br />
avranno luogo, <strong>di</strong>etro graziosa Superiore annuenza, i <strong>di</strong>vertimenti che seguono:<br />
TOMBOLA<br />
ASSICURATA IN NAPOLEONI 50 EFFETTIVI d’ARGENTO<br />
<strong>di</strong>visa nei seguenti premi:<br />
Cinquina Napoleoni n°10<br />
Tombola Napoleoni n° 40<br />
Le cartelle <strong>di</strong> 10 numeri si venderanno al prezzo <strong>di</strong> Bai 10 l’una.<br />
Al primo che coprirà 5 numeri, anche sparsi, nella propria Cartella verrà aggiu<strong>di</strong>cato<br />
il premio della Cinquina.<br />
Al primo che segnerà i 10 numeri e chiamerà la Tombola, toccherà in sorte il premio<br />
dei Napoleoni 40:<br />
Il possessore della Cartella che vincerà la tombola dei Napoleoni 40 quando essa<br />
Cartella sia stata giocata non più tar<strong>di</strong> delle ore 12 meri<strong>di</strong>ane dello stesso giorno <strong>di</strong><br />
domenica.<br />
5 Settembre, conseguirà un altro premio <strong>di</strong> Napoleoni d’argento N. 10 nel qual caso<br />
la Tombola verrebbe portata a Napoleoni 50 d’argento.<br />
Non si garantiscono gli errori i quali fossero per verificarsi nelle giuocate dal momento<br />
che sono stati ritirati i Registri.<br />
I Registri delle Cartelle resteranno aperti a comodo <strong>di</strong> tutti fino alle ore 4 e mezzo<br />
pomeri<strong>di</strong>ane del suddetto giorno, se ne farà quin<strong>di</strong> il ritiro, e ne avrà consegna la<br />
pubblica Autorità che presiederà l’estrazione. E questa avrà luogo immancabilmente<br />
alle ore 5pom.<br />
Nel caso <strong>di</strong> pioggia, l’estrazione verrà protratta ad altro giorno da stabilirsi e notificarsi<br />
con apposito Manifesto.<br />
Nella sera della domenica vi saranno FUOCHI dI GIOIA<br />
La BANdA MUSICALE del paese nel corso della giornata ed in ispecial modo nelle<br />
ore della sera, adunata nel centro del Castello e mentre durerà la pubblica illuminazione,<br />
eseguirà scelti pezzi <strong>di</strong> musica.<br />
Buoncuore il 30 Agosto 1858<br />
L’IMPRESA<br />
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Fig.3 – Avviso del “fierone”, 1858<br />
La banda musicale che si esibì nell’occasione si era costituita da poco tempo. Il<br />
corpo ban<strong>di</strong>stico precedente era stato sciolto nel Luglio dell’anno prima a causa<br />
della grande in<strong>di</strong>sciplina regnante fra i musicanti .<br />
Ad inizio 1859, il Consiglio Comunale si rinnovò nella metà dei suoi componenti,<br />
risultando così composto:<br />
Rossi Vincenzo Priore<br />
Maccaferri Alessandro 1° Anziano<br />
Busi Luigi 2° Anziano
Gelati Luigi 3° Anziano<br />
Breveglieri Angelo 4° Anziano<br />
Cremonini Giulio 5° Anziano<br />
Rigosi Giacomo Sindaco <strong>di</strong> Palata<br />
Stagni Camillo 1° Aggiunto<br />
donati domenico 2° Aggiunto<br />
Michelini dott. Antonio<br />
Pepoli March. Antonio<br />
Mattioli Giuseppe<br />
<strong>di</strong>nelli don Francesco<br />
Rossi dott. Federico<br />
Rossi Alessandro mandatario del conte Marco Antonio Malvasia<br />
Veronesi domenico<br />
Fanti Antonio<br />
Piccioli Francesco<br />
Sita Serafino<br />
Ricciar<strong>di</strong> Carlo<br />
Landuzzi Raffaele<br />
Lamma Giuseppe, espatriato e sostituito dal consigliere Scannavini Pietro.<br />
Francia Carlo<br />
Zani Gaetano<br />
deputati Ecclesiastici: don Angelo Salvatori arciprete <strong>di</strong> S. Silvestro e don<br />
Andrea Nicoli rettore <strong>di</strong> Caselle.<br />
Fig.4 – Timbro del <strong>Comune</strong> <strong>di</strong> Buoncuore**<br />
Il tentativo <strong>di</strong> imprimere un’accelerazione al progetto della strada per Cento fu<br />
un’altra delle iniziative del nuovo Consiglio Comunale che, dopo aver riconsiderato<br />
i progetti scartati, affidò i lavori all’impren<strong>di</strong>tore Raffaele Rossi, ma l’opera<br />
rimase ancora bloccata a causa <strong>di</strong> controversie insorte con la casa Torlonia.<br />
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Le attenzioni dei consiglieri e <strong>di</strong> buona parte della popolazione vennero presto<br />
<strong>di</strong>stratte dalle manovre politiche e militari dello Stato Sabaudo, dal quale erano<br />
attese iniziative favorevoli all’unità d’Italia.<br />
Il 19 Aprile l’Austria, sentendosi minacciata dalle manovre e dai rafforzamenti<br />
militari del regno <strong>di</strong> Sardegna, intimò con un ultimatum ai Piemontesi la smobilitazione<br />
dell’esercito. Questi, alla ricerca <strong>di</strong> un pretesto per iniziare il conflitto,<br />
ignorarono l’ultimatum degli Austriaci che il 24 Aprile cominciarono le ostilità.<br />
Le aspirazioni all’unità nazionale erano <strong>di</strong>ffuse e consolidate nel crevalcorese<br />
e in gran parte degli stati italiani dove l’inizio del conflitto venne interpretato<br />
come un appello all’insurrezione. Il Granducato <strong>di</strong> Toscana fu il primo a sollevarsi,<br />
il 27 Aprile, e il governo provvisorio che si instaurò offrì ai Savoia la <strong>di</strong>ttatura<br />
dello stato.<br />
Il 5 <strong>di</strong> Maggio, grazie al lavoro <strong>di</strong>plomatico <strong>di</strong> Cavour, i Francesi entrarono nel<br />
conflitto a fianco dei Piemontesi, costituendo una forza militare che risultò vittoriosa<br />
il 20 Maggio a Montebello, il 30 Maggio a Palestro, il 4 Giugno a Magenta,<br />
occupando poi Milano fra il 6 e l’8 <strong>di</strong> Giugno.<br />
Il 9 e l’11 Giugno a Parma e a Modena, abbandonate dai rispettivi sovrani, si<br />
instaurarono governi filo piemontesi .<br />
Il 12 Giugno i Bolognesi, affiancati anche dalla guarnigione pontificia, si ribellarono,<br />
costringendo il Car<strong>di</strong>nal Legato Giuseppe Milesi-Ferretti e le truppe<br />
Austriache a lasciare la città.<br />
Così la descrizione <strong>di</strong> quel giorno, nelle memorie del crevalcorese Gaetano<br />
Frabetti:<br />
“Li 12 Ditto Giugnio 1859 Subito che fu partiti li Tedeschi da Bologna Li Bolonesi misero<br />
su la Ban<strong>di</strong>era <strong>di</strong> tre Colori Biancha Rossa è verde con una croce in mezzo.<br />
E subito montò la guar<strong>di</strong>a Nazionale al Palazzo e fu ritirata giù l’arma del Papa e tutti<br />
si misero la Cocharda nel capello sempre tutti quel giorno Festegiarono con delli Eviva a suon<br />
<strong>di</strong> Banda”.<br />
Fra i prigionieri politici liberati dalle carceri bolognesi anche il crevalcorese<br />
Antonio delbuontromboni da tre anni detenuto con l’accusa <strong>di</strong> cospirazione<br />
politica.<br />
Fra le prime iniziative del Governo provvisorio instauratosi a Bologna, l’invio<br />
<strong>di</strong> un’ambasciata a Torino per offrire la <strong>di</strong>ttatura della città ai Savoia, azione che<br />
venne imme<strong>di</strong>atamente imitata dalle numerose città insorte della Romagna, delle<br />
Marche, dell’Umbria.<br />
Il 13 Giugno, il Consiglio comunale <strong>di</strong> Crevalcore trasmise alla Giunta provvisoria<br />
<strong>di</strong> Bologna la seguente <strong>di</strong>chiarazione <strong>di</strong> sottomissione e <strong>di</strong> obbe<strong>di</strong>enza:<br />
“In seguito delle più vive <strong>di</strong>mostrazioni date dall’intera popolazione <strong>di</strong> questo <strong>Comune</strong> la<br />
Rappresentanza Comunale dopo aver innalzato la ban<strong>di</strong>era Nazionale , si è costituita in<br />
straor<strong>di</strong>naria seduta ed ha ad unanimi voti <strong>di</strong>chiarato <strong>di</strong> riconoscere la nuova forma <strong>di</strong> Governo<br />
sotto la Dittatura del Re Vittorio Emanuele in oggi rappresentato dalle SS.VV.
Illustrissime in qualità <strong>di</strong> Giunta Provvisoria <strong>di</strong> Governo” .<br />
L’evento si festeggiò in paese con musiche, concerti e con l’innalzamento del<br />
vessillo tricolore.<br />
Nella comunicazione <strong>di</strong> adesione al nuovo governo risaltava il nuovo timbro<br />
comunale, <strong>di</strong> forma circolare con al centro un leone portante l’insegna “liberta”<br />
e circondato dalla <strong>di</strong>citura “<strong>Comune</strong> <strong>di</strong> Crevalcore”.<br />
L’abbandono dei simboli Pontifici era stata una delle richieste del governo<br />
provvisorio, ma nel nuovo sigillo l’amministrazione comunale aveva inserito il<br />
<strong>di</strong>smesso nome del paese. Si trattava <strong>di</strong> una presa posizione contro l’autorità del<br />
Pontefice che rafforzava la volontà <strong>di</strong> in<strong>di</strong>pendenza dallo Stato della Chiesa e che<br />
annunciava una ferma determinazione a riappropriarsi della propria identità.<br />
Il 15 Giugno dal nuovo governo bolognese giunse la seguente risposta:<br />
“La Giunta <strong>di</strong> Governo è lieta dell’adesione che il <strong>Comune</strong> <strong>di</strong> Crevalcore ha fatto al nuovo<br />
stato <strong>di</strong> cose, che ci darà miglior avvenire .<br />
Il Governo li invita a curare innanzi tutto il mantenimento dell’or<strong>di</strong>ne , e della quiete pubblica<br />
e a zelare con tutto il calore il <strong>di</strong>simpegno delle proprie funzioni amministrative” .<br />
Il 16 Giugno l’Amministrazione Comunale inoltrò al “Nobil Uomo Conte Annibale<br />
Ranuzzi “ Intendente della Città e Provincia <strong>di</strong> Bologna la comunicazione<br />
<strong>di</strong> presentazione del nuovo timbro comunale, riportante la <strong>di</strong>citura “<strong>Comune</strong> <strong>di</strong><br />
Crevalcore”.<br />
Fig.5 – Timbro del <strong>Comune</strong> <strong>di</strong> Crevalcore**<br />
Il 17 Giugno il priore Vincenzo Rossi raccomandò, tramite lettera, i gendarmi<br />
<strong>di</strong> stanza a Crevalcore dell’ex brigata pontificia del Tenente Colonnello Veliti,<br />
perché venissero presi al servizio del nuovo governo.<br />
In quei giorni, per garantire la sicurezza della popolazione, vennero costituite<br />
pattuglie civiche, impegnate principalmente in ronde notturne.<br />
Come dalle altre province insorte, anche da Crevalcore, numerosi giovani partirono<br />
per arruolarsi volontari nelle truppe piemontesi o nei Cacciatori delle Alpi<br />
<strong>di</strong> Garibal<strong>di</strong>. Nell’archivio storico sono presenti numerosi certificati <strong>di</strong> buona<br />
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condotta rilasciati dall’autorità comunale ai citta<strong>di</strong>ni intenzionati ad arruolarsi<br />
nella causa nazionale italiana o per la guerra d’in<strong>di</strong>pendenza d’Italia; fra questi:<br />
Antonio delbuontromboni, Fer<strong>di</strong>nando Albertini, Lamberti Felice, Andrea<br />
Golinelli, Federici Giuseppe, Guidotti Luigi. Alcuni volontari, come Albertini<br />
Emi<strong>di</strong>o, Poppi Francesco, Fregni Luigi, combatterono nelle file del regio esercito,<br />
altri, come Breveglieri Valerio, al comando <strong>di</strong> Garibal<strong>di</strong>. Secondo le testimonianze<br />
raccolte da Lorenzo Meletti, Fregni Luigi e Breveglieri Valerio rimasero feriti<br />
negli scontri armati.<br />
Il 20 <strong>di</strong> Giugno Pio IX, nel tentativo <strong>di</strong> arrestare la frantumazione dello Stato<br />
Pontificio, scomunicò tutti gli insorti.<br />
Il 24 Giugno le armate franco- piemontesi si imposero nelle battaglie <strong>di</strong> Solferino<br />
e San Martino. La notizia della vittoria venne accolta a Crevalcore con<br />
calorosi festeggiamenti la sera seguente.<br />
Il primo <strong>di</strong> Luglio, al termine della messa, tutti i sacerdoti crevalcoresi si unirono<br />
in preghiera a favore della pace.<br />
Il 4 Luglio a Crevalcore si riunì il primo Consiglio Comunale sotto la Giunta<br />
Provvisoria <strong>di</strong> Governo per le Romagne: era ancora composto dai consiglieri<br />
eletti sotto lo Stato Pontificio e presieduto dal Priore Vincenzo Rossi.<br />
Fig.6 Intestazione presente nelle comunicazioni del priore <strong>di</strong> Buoncuore<br />
Nel verbale delle delibere <strong>di</strong> quella giornata faceva la ricomparsa il nome <strong>di</strong><br />
Crevalcore e, dopo una prima seduta relativa alla riclassificazione <strong>di</strong> alcuni contribuenti<br />
e alla nomina <strong>di</strong> un consigliere anziano, se ne tenne una seconda, a carattere<br />
straor<strong>di</strong>nario che aveva per oggetto il ripristino ufficiale dell’antico nome .<br />
Con 13 voti favorevoli e uno contrario venne deliberato il ritorno alla denominazione<br />
<strong>di</strong> Crevalcore e l’abbandono del nome imposto dal Pontefice.<br />
Il Consiglio comunale si rivolse quin<strong>di</strong> al Governatore <strong>di</strong> Persiceto, con la<br />
seguente richiesta, per ottenere l’approvazione della Giunta Provvisoria <strong>di</strong> Governo<br />
al ripristino dell’antico nome:
“In nome della Giunta Provvisoria <strong>di</strong> Governo –Intendenza <strong>di</strong> Bologna –<strong>Comune</strong> <strong>di</strong> Crevalcore<br />
.<br />
Oggi lì 4 Luglio del giorno <strong>di</strong> Lunedì nell’Anno <strong>di</strong> Nostra Salute mille ed ottocento cinquanta<br />
nove. Il Comunale Consiglio <strong>di</strong> Crevalcore dopo <strong>di</strong> aver esauriti gli Oggetti superiormente<br />
accennati nella seduta medesima N° 53 annuale, si è intrattenuto nel locale stesso <strong>di</strong><br />
Residenza Municipale per deliberare in via straor<strong>di</strong>naria quanto si viene abbasso descrivendo;<br />
e quantunque sappia che un tal nuovo oggetto non sia stato partecipato all’Eccelsa Intendenza<br />
Provinciale me<strong>di</strong>ante apposito foglio in conformità del D.44 dell’e<strong>di</strong>tto 24 Novembre 1850 tuttavolta<br />
il consiglio si ritiene abbastanza giustificato dalla spontaneità della cosa e dalla naturale<br />
circostanza <strong>di</strong> questo nuovo oggetto che vuole sottoporre a determinazione della Rappresentanza<br />
intera Municipale, con atto straor<strong>di</strong>nario <strong>di</strong>stinto e separato ma che però va in appen<strong>di</strong>ce<br />
dell’antecedente seduta: sono quin<strong>di</strong> rimasti presenti alla definizione dell’oggetto in <strong>di</strong>scussione<br />
i seguenti Signori Consiglieri:<br />
Rossi Vincenzo Priore Comunale e Presidente<br />
Macaferri Alessandro 1° Anziano<br />
Busi Luigi 2° Anziano<br />
Cremonini Giulio 5° Anziano<br />
Rigosi Giacomo dell’appo<strong>di</strong>ato <strong>di</strong> Palata<br />
Stagni Camillo, aggiunto alla Sindacatura Medesima<br />
Donati Domenico, aggiunto come sopra<br />
Piccioli Francesco, Consigliere<br />
Landuzzi Raffaele, Consigliere<br />
Scanavini Pietro, Consigliere<br />
Sita Serafino, Consigliere<br />
Fanti Antonio, Consigliere<br />
Michelini D. Antonio Consigliere<br />
Veronesi Lorenzo Consigliere<br />
D. Giulio Cesare Ba<strong>di</strong>ni Segretario .<br />
Presiede l’adunanza l’Ill.mo Sig. Priore Comunale Rossi Vincenzo; i votanti sono in numero<br />
legale 14; si tengono fermi per la firma del presente atto in appen<strong>di</strong>ce i medesimi Consiglieri<br />
che hanno firmato la redazione dell’atto in antecedenza esteso; e stantechè e sortito il M° Reverendo<br />
Sig. D. Francesco Dinelli con assentimento del Sig. Presidente così rimangono tre firme<br />
soltanto a convalidare la regolarità <strong>di</strong> questo verbale .<br />
Il Comunale Consiglio preliminarmente <strong>di</strong>chiara e vuole che l’oggetto che s’imprende a trattazione<br />
venga per esteso descritto fra queste Comunicazioni Municipali e nel presente libro delle<br />
sedute quantunque come si <strong>di</strong>sse in via eccezionale a perpetua memoria. Poscia il Sig. Priore<br />
valendosi della facoltà accordategli dall’Ill.mo. ed Ecc.mo Signor Commissario Straor<strong>di</strong>nario<br />
Av.Clemente Taveggi nella sua visita che fece a questa Residenza Comunale nel giorno 27<br />
Giugno p.s. <strong>di</strong> cui al Dispaccio n° 29 Rubrica Funzionari Pubblici che si conserva agli Atti<br />
d’Archivio, e valendosi dette istruzioni in simile circostanza ottenute proclama l’oggetto in<br />
<strong>di</strong>scorso qual si è = Cambiamento del nome <strong>di</strong> Buoncuore in quello <strong>di</strong> Crevalcore da ridonarsi<br />
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a questo <strong>Comune</strong>.<br />
Proposto così l’oggetto dal Sig. Priore e Presidente vengano uno per uno interpellati i Consiglieri<br />
presenti ed anziani onde sentire se alcuna deduzione abbiano da esporre in proposito:<br />
e nessuna avendo presa la parola a confutare o ad opporsi alla fatta proposta e all’oggetto in<br />
<strong>di</strong>scussione; anzi si riscontrano in ogni Rappresentante del Municipio segni affermativi e <strong>di</strong><br />
approvazione perché venga ridato l’antico nome storico <strong>di</strong> Crevalcore alla patria: fatte le debite<br />
riflessioni, <strong>di</strong> unanime assentimento dal Consiglio, e con spontanea adesione = Considerando<br />
che Fin da quando il Sommo Pontefice Pio IX recavasi nel 1857 a visitare queste Provincie,<br />
e nella circostanza precisamente della sua venuta alla Città <strong>di</strong> San Giovanni in Persiceto compiacevasi<br />
<strong>di</strong> dare un nuovo nome a questo <strong>Comune</strong> sostituendo quello <strong>di</strong> Buoncuore all’antico e<br />
storico <strong>di</strong> Crevalcore .<br />
Un tal cambiamento <strong>di</strong> nome seguiva senza che veruna causa o circostanza straor<strong>di</strong>naria si<br />
verificasse in proposito, e molto più senza che verun Comunista a rappresentanza Municipale<br />
ve lo invocasse o ne facesse proposta veruna .<br />
Dai Paesani e Terrazzani il nuovo nome venne accolto generalmente con freddezza giacchè<br />
loro era <strong>di</strong> qualche rincrescimento il dovere abbandonare, lasciare un nome che richiama alla<br />
mente fatti gloriosi <strong>di</strong> letteratura e <strong>di</strong> storia, e tenuto caro da ogni Compaesano che nutra sentimenti<br />
generosi come lo si ama per istinto naturale e ragionevole il nome della propria patria e<br />
gelosamente si desidera <strong>di</strong> mantenerlo e conservarlo .<br />
Ritenuto che la maggior parte dei privati tanto amore portano all’antico nome del <strong>Comune</strong><br />
che non hanno finora avuto forza bastante <strong>di</strong> abbandonarlo e che anzi sene servono tutto giorno<br />
nelle loro corrispondenze private e nei loro negozi.<br />
Ritenuto e considerato quanto altro si doveva considerare e ritenere: per bocca del Signor<br />
Presidente si è formulato il seguente partito segreto .<br />
Quel Consigliere cui pare e piace che venga ridato al <strong>Comune</strong> l’antico nome <strong>di</strong> Crevalcore<br />
ponga nell’urna il voto bianco, e quel consigliere cui pare e piace <strong>di</strong>versamente che venga conservato<br />
quello <strong>di</strong> Buoncuore ponga nell’urna il voto nero, e raccolte poscia le fave in giro consumata<br />
la legale ballottazione, e riscontrate voti si si rinvengono bianche e favorevoli N° 13 e neri e<br />
contrari N° 1 (uno) cosicchè è passato il partito a maggioranza assoluta <strong>di</strong> suffragi .<br />
Il Comunale Consiglio in seguito <strong>di</strong> che ha data facoltà alla Magistratura perché pel Canale<br />
dell’ Ill.mo Sig. Governatore Giuris<strong>di</strong>zionario venga portato alla considerazione della Giunta<br />
Provvisoria <strong>di</strong> Governo quanto in oggi è stato operato ; officiando in pari tempo il sullodato<br />
Signor Governatore <strong>di</strong> S.Giovanni in Persiceto affinché s’interessi presso la superiorità Governativa<br />
ed ottenga la sanzione, approvazione e legalizzazione dell’atto presente e <strong>di</strong> ciò che la<br />
Rappresentanza Municipale ha decretato” .<br />
dei 14 consiglieri votanti il ripristino della denominazione <strong>di</strong> Crevalcore, 10<br />
erano in carica al momento dell’imposizione del nome <strong>di</strong> Buoncuore .<br />
Il 10 Luglio si formò in paese una commissione incaricata <strong>di</strong> raccogliere offerte<br />
per finanziare la guerra <strong>di</strong> in<strong>di</strong>pendenza, che cessò il giorno dopo in seguito<br />
all’armistizio <strong>di</strong> Villafranca. Napoleone III su pressione degli altri sovrani europei<br />
aveva preferito <strong>di</strong>simpegnarsi dall’alleanza con i Piemontesi che si trovarono così
costretti ad accettare l’armistizio.<br />
Nello stesso giorno, giungeva a Bologna il Marchese Massimo d’Azeglio, commissario<br />
straor<strong>di</strong>nario piemontese, nelle cui mani il 14 <strong>di</strong> Luglio la Giunta Centrale<br />
<strong>di</strong> Governo rassegnava la propria autorità.<br />
Il 16 Luglio il Governo Provvisorio Bolognese decretò lo scioglimento dei<br />
Consigli e delle Magistrature comunali, create dal Governo pontificio, sostituite<br />
nei singoli Comuni da Commissioni municipali provvisorie.<br />
Luigi Busi, presidente, Zani Gaetano e Maccaferri Alessandro formarono<br />
quella <strong>di</strong> Crevalcore, che nel manifesto informativo stampato dall’Intendenza<br />
della città e provincia <strong>di</strong> Bologna era ancora in<strong>di</strong>cata con Buoncuore.<br />
Il nome imposto da Pio IX , ripu<strong>di</strong>ato dall’Amministrazione da oltre un mese,<br />
risultava ancora la denominazione ufficiale<br />
Il 17 Luglio, su richiesta del governo del <strong>di</strong>stretto <strong>di</strong> San Giovanni in Persiceto,<br />
erano tolte le insegne arcivescovili dalle scuole comunali .<br />
Il 20 <strong>di</strong> Luglio morì <strong>di</strong> colera il Priore Vincenzo Rossi.<br />
Il 27 Luglio il Consiglio Comunale tornava a riunirsi, sotto il Commissariato<br />
Straor<strong>di</strong>nario per le Romagne.<br />
Nelle delibere <strong>di</strong> quella seduta il comune era identificato col nome <strong>di</strong> Crevalcore.<br />
Il 3 <strong>di</strong> Agosto l’Amministrazione comunale sollecitò l’Intendenza della città e<br />
provincia <strong>di</strong> Bologna per la riattivazione dell’antico nome.<br />
Nei giorni seguenti erano compilate le liste elettorali per le elezioni del deputato<br />
all’Assemblea Nazionale; le liste crevalcoresi contavano 333 elettori,<br />
vennero pubblicate il 12 Agosto per le elezioni fissate il 28.<br />
Il 18 <strong>di</strong> Agosto dal governo provvisorio bolognese giunse finalmente l’autorizzazione<br />
al ripristino dell’antica denominazione, un ritorno frutto degli<br />
avvenimenti <strong>di</strong> quel periodo che legavano il nome <strong>di</strong> Crevalcore alle lotte per<br />
l’in<strong>di</strong>pendenza e l’unità d’Italia.<br />
99
100<br />
Fig.7 - Notificazione del 21 Luglio 1859 in cui appare ancora la denominazione <strong>di</strong> Buoncuore **
Fig.8 - Particolare notificazione del 21 Luglio 1859 in cui appare ancora la denominazione <strong>di</strong><br />
Buoncuore**<br />
101<br />
“Illustrissimi Signori<br />
Con molta compiacenza alle S.S. VV. , <strong>di</strong>etro incarico ricevuto dal Superiore Governo<br />
S.E. il Sig. Governatore Generale delle Romagne con Decreto del giorno 17 corrente ha<br />
restituito l’antico e storico nome <strong>di</strong> Crevalcore a codesto <strong>Comune</strong>, il quale dovrà d’ora<br />
innanzi appellarsi con tal nome sì negli atti pubblici che nei privati, e come fu lungamente<br />
appellato prima che si pensasse a portarsi un cambiamento da riputarsi per lo meno<br />
inutile.<br />
Di tal guisa il Governatore ha fatto ragione ai giusti e lodevoli desideri <strong>di</strong> codesti<br />
abitanti sanzionati con Atto Consigliare del 5 luglio 1859 ad una quasi unanimità <strong>di</strong>
102<br />
voti .<br />
Mi è grato in questa occasione <strong>di</strong> confermarmi.<br />
Bologna 18 Agosto 1859”.<br />
La denominazione <strong>di</strong> Buoncuore, simbolo della rinnegata appartenenza<br />
allo Stato Pontificio, spariva definitivamente. Era durato 685 giorni, dal 2<br />
Ottobre 1857 al 18 Agosto 1859.<br />
La notizia non suscitò particolari clamori, le attenzioni dei Crevalcoresi<br />
erano ormai rivolte alle imminenti elezioni che il 28 <strong>di</strong> Agosto, con 229 voti<br />
su 234, designarono deputato all’Assemblea Nazionale l’avv. Luigi Maccaferri,<br />
<strong>di</strong> Persiceto. Nel manifesto pubblicato il 20 Agosto 1859 in cui erano elencati<br />
i can<strong>di</strong>dati proposti nei <strong>di</strong>versi collegi della città e provincia <strong>di</strong> Bologna<br />
compariva finalmente il nome <strong>di</strong> Crevalcore.<br />
L’armistizio <strong>di</strong> Villafranca e il successivo trattato <strong>di</strong> pace <strong>di</strong> Zurigo sancirono<br />
l’unione della Lombar<strong>di</strong>a al Piemonte, ma <strong>di</strong>sposero per gli altri paesi<br />
insorti il ritorno alla situazione precedente il conflitto.<br />
Per scongiurare tale eventualità i governi provvisori favorevoli all’annessione<br />
al Regno Sabaudo <strong>di</strong>chiararono decaduto lo Stato Pontificio e formarono<br />
una lega militare in <strong>di</strong>fesa dei loro territori.<br />
A Crevalcore nella mattina del 2 <strong>di</strong> Ottobre, un tocco della campana maggiore<br />
dava inizio alle votazioni del nuovo Consiglio Comunale. Le elezioni si<br />
svolsero presso il primo piano della casa del <strong>Comune</strong>; era richiesta ad ogni<br />
elettore l’in<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong> 30 nominativi, 23 per Crevalcore e 7 per l’Appo<strong>di</strong>ato<br />
<strong>di</strong> Palata.<br />
Il 9 Ottobre lo stemma dei Savoia era innalzato nel palazzo comunale fra<br />
inni patriottici e al Re Vittorio Emanuele, in un paese con l’illuminazione<br />
delle feste e rallegrato dalla musica della banda.<br />
Il 24 Ottobre il nuovo Consiglio Comunale nomina Priore Luigi Busi e anziani<br />
il dott. Michelini, Gaetano Zani, Fanti Antonio e Galeotti Giuseppe e<br />
viene verbalizzato in apertura con “ Regnando Sua Maestà Vittorio Emanuele<br />
II Re <strong>di</strong> Sardegna, Governo delle Romagne…”.<br />
A spegnere l’esultanza dei Crevalcoresi arrivò il 27 <strong>di</strong>cembre la poco gra<strong>di</strong>ta<br />
notizia che nell’ambito <strong>di</strong> un rior<strong>di</strong>no delle province effettuato dal nuovo<br />
governo, il comune <strong>di</strong> Crevalcore era stato associato alla provincia <strong>di</strong> Ferrara,<br />
non era più in quella <strong>di</strong> Bologna.
FONTI ARCHIVISTICHE E dOCUMENTALI<br />
Archivio Storico del <strong>Comune</strong> <strong>di</strong> Crevalcore:<br />
deliberazioni del Consiglio Comunale <strong>di</strong> Buoncuore 1854 - 1858, reg 1<br />
deliberazioni del Consiglio Comunale <strong>di</strong> Crevalcore 1858 - 1860, reg 1<br />
CA, Legislazione, Magistratura, Popolazione 1859, b 1<br />
CA, Guerra e Milizia, Rubrica VIII, fascicolo 1° Provvidenze Generali<br />
(1816-1858) , b 1<br />
Gaetano Frabetti, Memorie patrie, ms presso l’Accademia In<strong>di</strong>fferenti Risoluti <strong>di</strong><br />
Crevalcore<br />
Lorenzo Meletti , Crevalcore, manoscritti presso la BCC<br />
Parte II, Annali, dal 1801, fascicolo II, n 11 (ms 10)<br />
Parte III, Note e Memorie, dal 1801, fascicolo II, n 18 ( ms 20)<br />
Parte IV, E<strong>di</strong>fici Dal 1801, Volume II, n 27 ( ms 20 C )<br />
BIBLIOGRAFIA<br />
Sergio Morselli, Crevalcore: una palude. Vicende e abitanti, E<strong>di</strong>zioni del Circolo Artistico<br />
Culturale Pigozzi.<br />
Paolo Cassoli, Crevalcore, in: Dal Santerno al Panaro, Bologna e i comuni della provincia<br />
nella storia, nell’arte e nella tra<strong>di</strong>zione, a cura <strong>di</strong> Cesare Bianchi, vol. I, Da Bologna a<br />
Modena, Ed. Proposta.<br />
103<br />
Erminio Furlotti e Maria Logiu<strong>di</strong>ce, L’archivio storico Comunale <strong>di</strong> Crevalcore, in Notiziario<br />
<strong>di</strong> Crevalcore, n. 3, Settembre 1988<br />
* Collezione privata dell’autore<br />
** Archivio Storico Comunale<br />
IMMAGINI
104<br />
Fig. 1 – Ritorno alla deputazione <strong>di</strong> Bologna
MAGdA ABBATI<br />
alla vigilia dell’Unità, Ferraresi per caso<br />
105<br />
Alla metà dell’Ottocento, nel 1859, Crevalcore gioì per il fatto <strong>di</strong> essere riuscito<br />
a rigettare il nuovo e imposto nome “Buoncuore”, recuperando quello antico<br />
e sentito come proprio. Purtroppo, però, quasi contemporaneamente, perse la<br />
provincia d’appartenenza storica, quella <strong>di</strong> Bologna.<br />
E’ sicuramente vero che il territorio comunale da sempre si è presentato<br />
incuneato fra stati e\o province <strong>di</strong>verse, ma i Crevalcoresi si sentivano ( e si<br />
sentono anche oggi) Bolognesi dentro.<br />
Dalla fine del 1859, dunque, il nostro <strong>Comune</strong> dovette fare riferimento<br />
all’Intendenza <strong>di</strong> Cento, nella provincia <strong>di</strong> Ferrara.<br />
Certamente le vicende politiche e militari della penisola, tesa fra l’unità d’Italia<br />
e la restaurazione della Legazione Pontificia e degli antichi stati, rendevano<br />
estremamente risibile la piccola “querelle” crevalcorese.<br />
Resta il fatto che questo passaggio venne apertamente contestato, in quanto<br />
<strong>di</strong> natura prettamente burocratica, non sentito e non voluto dai citta<strong>di</strong>ni. In quel<br />
preciso momento storico, in effetti, si era creato un tale risveglio politico, una<br />
più generale attenzione alla politica alta, intesa come azione mo<strong>di</strong>ficatrice, si era<br />
aperta una riflessione intorno ai <strong>di</strong>ritti e ai doveri della citta<strong>di</strong>nanza, per cui un<br />
atto così unilaterale non poteva essere accolto nell’in<strong>di</strong>fferenza. I Crevalcoresi<br />
avevano contribuito e contribuivano nei fatti e nei pensieri alle lotte per arrivare<br />
a costruire uno stato unito, arruolandosi nell’esercito regio, nel Battaglione Basso<br />
Reno poi Unione, fra i Garibal<strong>di</strong>ni, pagando un prezzo <strong>di</strong> patimenti e <strong>di</strong> sangue<br />
come tutti i patrioti 1 .<br />
Fig. 2 – Crevalcore nel periodo ferrarese<br />
1 Lorenzo Meletti , Crevalcore, Parte II, Annali, dal 1801, fascicolo II, n 11 (ms 10) presso BCC
106<br />
Il 1860 si caratterizzò sicuramente per altre e più importanti vicende, ma la<br />
testardaggine dei “ranocchi” <strong>di</strong> allora riportò il Paese nella provincia <strong>di</strong> Bologna<br />
già a partire dal 1° Gennaio 1861, quando lo storico locale Lorenzo Meletti<br />
ricordò nei suoi Annali che “ai Crevalcoresi non garbava (…) per la incomo<strong>di</strong>tà e i danni<br />
che ne soffrivano gli interessi” 2 .<br />
Considerando le lungaggini della burocrazia (e, si sa, quella italica è<br />
<strong>di</strong>rettamente <strong>di</strong>scesa da quelle degli stati <strong>di</strong> ancien regime) il risultato fu ottenuto<br />
in tempi piuttosto brevi dal primo sindaco del <strong>Comune</strong> <strong>di</strong> Crevalcore. Pietro<br />
Biavati era un cosiddetto “possidente”, abitava nel quartiere San Martino al civico<br />
154, si era sposato con una donna modenese, Rosalia Colombo Quattrofrati, da<br />
cui in quegli anni aveva avuto tre figli, Carlo, Rosa e Isabella. Nel 1859 ricoprì<br />
l’incarico <strong>di</strong> capitano della Guar<strong>di</strong>a Nazionale in Paese. Si era dunque de<strong>di</strong>cato<br />
alle questioni dei Crevalcoresi pur essendo <strong>di</strong> origine citta<strong>di</strong>na, bolognese; degli<br />
“affari” domestici si occupava la moglie, coa<strong>di</strong>uvata dalla servitù: tre domestici ,<br />
un uomo e due sorelle, vivevano presso la famiglia del sindaco, come risulta da<br />
un censimento della popolazione <strong>di</strong> quell’anno 3 .<br />
Alla vigilia della <strong>di</strong>chiarazione dell’unità d’Italia, Biavati aveva dovuto comporre<br />
un anelito libertario <strong>di</strong> ben altro genere. I citta<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> Palata Pepoli cercarono con<br />
atti legali <strong>di</strong> ottenere il <strong>di</strong>stacco dal capoluogo, per <strong>di</strong>ventare “ comune autonomo”.<br />
La <strong>di</strong>stanza indubbia da Crevalcore, particolarmente pesante e faticosa in anni<br />
in cui ci si poteva spostare a pie<strong>di</strong> o a cavallo, il desiderio <strong>di</strong> in<strong>di</strong>pendenza e <strong>di</strong><br />
autonomia che in quel periodo infiammava facilmente gli animi, avevano spinto<br />
i Palatini a questa riven<strong>di</strong>cazione. Il nostro storico locale nella sua cronaca non<br />
entra nel merito della circostanza; sottolinea solo che i rappresentanti dei Palatini<br />
in Consiglio non pareva fossero a conoscenza della richiesta che venne, però,<br />
ricusata 4 .<br />
La scelta <strong>di</strong> mantenere l’appo<strong>di</strong>ato palatino nel territorio comunale seguiva <strong>di</strong><br />
pochi mesi quella che potrebbe essere definita come la prima azione elettorale<br />
dell’Italia unita. Tutti i “comunisti”, i citta<strong>di</strong>ni con <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> voto, erano stati<br />
chiamati a scegliere fra l’annessione al Regno Sabaudo o il mantenimento <strong>di</strong> un<br />
regno separato.<br />
Le elezioni furono indette per l’11 e il 12 Marzo 1860 nelle province emiliane<br />
e in Toscana. Si votò dalle 8 alle 17 , ma già alle 4 del pomeriggio del secondo<br />
giorno arrivò l’urna coi voti <strong>di</strong> Palata. Insieme a quelli <strong>di</strong> Crevalcore, furono<br />
scortati da uomini della Guar<strong>di</strong>a Nazionale e della Sicurezza Pubblica fino a<br />
Persiceto per lo spoglio. dev’essere stato un momento emozionante: un corteo<br />
<strong>di</strong> sei carrozze, parate a gala, annunciate dalla banda musicale e seguite dalle<br />
guar<strong>di</strong>e crevalcoresi.<br />
Nel <strong>Comune</strong> i votanti furono 2.755, compresi i 657 <strong>di</strong> Palata. I voti per<br />
l’adesione al Regno Sabaudo furono 2.555, un vero e proprio plebiscito. Palata e<br />
2 L. Meletti, ibidem<br />
3 ASCC, CA, Popolazione 1858-59 b1<br />
4 L. Meletti, Crevalcore, Parte III, Note e Memorie, dal 1801, fasc II, n18 (ms 20).
107<br />
Crevalcore scelsero, dunque, senza dubbio alcuno la via della costruzione <strong>di</strong> uno<br />
stato unitario.<br />
Meletti nei suoi Annali riporta per l’Emilia i seguenti dati:<br />
Popolazione 2.127.105<br />
Iscritti 526.218<br />
Votanti 427.512<br />
Annessione 426.006<br />
Regno separato 756<br />
Voti nulli 750<br />
Anche in quei territori che cent’anni dopo andranno a costituire la regione<br />
emiliana, il risultato fu molto netto e a favore dello stato unico.<br />
Con l’aiuto delle cronache manoscritte redatte dallo stu<strong>di</strong>oso locale Lorenzo<br />
Meletti, è possibile seguire per sommi capi le vicende del Consiglio post-unitario.<br />
Risulta così che la classe politica praticamente non mutò dopo il plebiscito; si<br />
mo<strong>di</strong>ficarono i titoli - non più Priore e Anziani, ma Sindaco e Assessori - però gli<br />
uomini a capo dell’amministrazione sostanzialmente non cambiarono. Si trattava<br />
dei possidenti, dei professionisti, i “notabili” del paese che si autodefinivano”<br />
costituzionali” o “costituzionalisti”, fedeli all’ideale monarchico coniugato al culto<br />
della famiglia reale e ad una visione “agrarista” della vita economica e sociale 5 .<br />
Il 18 Marzo 1860 le province emiliane e la Toscana entrarono quin<strong>di</strong> a far<br />
parte del Regno <strong>di</strong> Sardegna con un formale atto pubblico, il voto, per <strong>di</strong>mostrare<br />
anche all’Europa che la strada intrapresa era con<strong>di</strong>visa dal popolo.<br />
Occorre restringere il campo quando si parla <strong>di</strong> “popolo” rispetto alle elezioni:<br />
in realtà gli aventi <strong>di</strong>ritto al voto erano esclusivamente i citta<strong>di</strong>ni maschi, maggiori<br />
<strong>di</strong> 21 anni e con una certa <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> censo, sia per il voto amministrativo<br />
che politico.<br />
Il 3 Febbraio 1861 ebbe inizio la prima legislatura del parlamento italiano. Fu<br />
eletta da 239.583 elettori, la metà circa del corpo elettorale che rappresentava<br />
a sua volta l’1,9 % degli abitanti del regno che ammontavano a 21.700.000<br />
citta<strong>di</strong>ni. Il suffragio era rigidamente censitario: il requisito minimo per accedervi<br />
era il pagamento <strong>di</strong> almeno quaranta lire annue <strong>di</strong> imposte in<strong>di</strong>rette. Nel 1882<br />
verrà “allargato” al 7% della popolazione. La via della partecipazione politica<br />
ampiamente democratica era ancora molto in salita.<br />
Non bisogna però pensare che, essendo escluse dal voto, le donne italiane<br />
fossero completamente estranee alle lotte e alle riven<strong>di</strong>cazioni. Molte mogli,<br />
fidanzate, amanti e donne libere da legami sentimentali, appoggiarono e <strong>di</strong>scussero<br />
le scelte risorgimentali, fossero esse mazziniane, cavouriane, costituzionaliste…<br />
5 Magda Abbati, Un comune Emiliano fra 1800 e 1900: Crevalcore , Facoltà <strong>di</strong> Lettere e Filosofia<br />
dell’Università <strong>di</strong> Bologna, Corso <strong>di</strong> Storia Contemporanea, a. a. 1987-1988
108<br />
Nel carteggio epistolare conservato presso il Museo del Risorgimento <strong>di</strong> Bologna<br />
è possibile trovare le lettere che Clotilde Maccaferri, moglie del crevalcorese<br />
Tommaso Rossi, capitano del Battaglione Basso Reno e poi Unione, e che la<br />
figlia Elisabetta scrissero rispettivamente al marito e al padre 6 .<br />
6 Fondo “ Tommaso Rossi”, MRB<br />
Fig. 3 – Clotilde Maccaferri, ritratto<br />
In esse si può cogliere un’esplicita adesione agli ideali risorgimentali, ma si<br />
racconta anche del sostegno concreto, nelle retrovie, ai combattenti. Le due<br />
donne seguirono il capitano sui luoghi <strong>di</strong> battaglia: gli scontri avvenivano in zone<br />
precise a cui i civili potevano con cautela avvicinarsi, in una sorta <strong>di</strong> surreale<br />
contiguità fra la lotta militare e la vita quoti<strong>di</strong>ana.<br />
L’11 Ottobre 1860 il <strong>Comune</strong> ringraziò sia Elisabetta sia Clotilde Rossi perché<br />
erano riuscite a conservare il tricolore che il Battaglione Unione aveva fatto<br />
sventolare a Vicenza durante gli scontri per l’in<strong>di</strong>pendenza italiana nel 1848.<br />
Elisabetta Rossi avrà nel tempo l’accortezza e l’attenzione <strong>di</strong> conservare anche<br />
la documentazione <strong>di</strong> quei giorni che videro in primo piano il padre, morto nel<br />
1855 a causa <strong>di</strong> un’epidemia <strong>di</strong> colera, e che ci restituiscono uno spaccato delle lotte<br />
risorgimentali attraverso le vicende <strong>di</strong> un crevalcorese. Ora tale documentazione<br />
si trova a Bologna nel già citato Museo del Risorgimento.<br />
dopo l’esito del plebiscito, il 22 Marzo in segno <strong>di</strong> festa il Castello, il centro<br />
del paese, venne illuminato.<br />
Il 25 Marzo, pochi giorni dopo, nel Collegio <strong>di</strong> Crevalcore e Finale i Crevalcoresi<br />
elessero il loro primo deputato al Parlamento sabaudo: il conte Carlo Pepoli .<br />
Per cominciare a conoscere uomini e terre appena annesse, il primo Maggio il<br />
re Vittorio Emanuele II arrivò in visita a Bologna. A riprova del fatto che il paese
109<br />
aveva espresso una scelta pro-unità, il sindaco vi si recò per consegnare al re un<br />
contributo volontario <strong>di</strong> 10.000£ per sostenere “la guerra per l’in<strong>di</strong>pendenza”:<br />
così era in<strong>di</strong>cata nei documenti.<br />
Come si può notare, non solo la Legazione era stata abbandonata, ma anche<br />
la moneta antica. Il 1860 portò progressivamente il passaggio dagli scu<strong>di</strong>, dai baj<br />
alle lire.<br />
Altri cambiamenti entravano nella vita dei citta<strong>di</strong>ni. Infatti il primo Gennaio<br />
1861, oltre a tornare Bolognesi, i Crevalcoresi adottarono il sistema metrico<br />
decimale per i pesi e le misure, in base ad un decreto del Governo Generale delle<br />
Romagne del 1859 7 .<br />
Il 13 Maggio 1860 fu festeggiata l’adozione dello Statuto Sabaudo, la carta<br />
costituzionale che apriva spiragli <strong>di</strong> partecipazione democratica. Nella festa<br />
organizzata, però, “i preti delle legazioni”rifiutarono <strong>di</strong> cantare nella Chiesa<br />
Parrocchiale; il Te deum fu eseguito da tre (preti) modenesi 8 .<br />
Erano passati pochi mesi dai festeggiamenti seguiti alla nomina del deputato<br />
all’Assemblea Nazionale dell’Ottobre 1859. In quell’occasione invece le votazioni<br />
furono aperte dai rintocchi del campanile e le celebrazioni avvennero fra inni,<br />
grida come “Viva Vittorio Emanuele” e grazie rese in Chiesa, per cui sembrava<br />
che si potesse comporre la laicità del momento e la religiosità paesana, come<br />
spesso accadeva nei comuni più o meno gran<strong>di</strong> della “bassa”.<br />
Il 17 Luglio morì a Milazzo Petronio Setti, un giovane crevalcorese che si<br />
era arruolato al seguito delle camicie rosse <strong>di</strong> Garibal<strong>di</strong>, sbarcate in Sicilia l’11<br />
Maggio per rendere ancora più veloce il processo <strong>di</strong> annessione del Sud Italia<br />
che non intraprese la via dei plebisciti 9 .<br />
Oltre a Setti, altri moriranno sotto la ban<strong>di</strong>era italiana: Barbieri Aurelio,<br />
Bergamaschi Luigi, Malaguti Giovanni, Malavasi Enrico, caduti a Custoza nel<br />
1866.<br />
Meletti scrive che molti furono i volontari pronti a combattere per<br />
l’in<strong>di</strong>pendenza: chi combattè nel regio esercito come Albertini Emi<strong>di</strong>o, Poppi<br />
Francesco, Fregni Luigi, il dottor Federico Rossi che si arruolò come soldato<br />
semplice, chi nei garibal<strong>di</strong>ni come Breveglieri Valerio 10 .<br />
E’ il caso <strong>di</strong> ricordare che in territorio veneto e romano erano morti nel 1848<br />
e nel 1849 il capitano Cremonini domenico, Bellinelli Luigi, Cremonini Luigi,<br />
Grenzi Pietro, Paltrinieri Gaetano, Righi Luigi, Rondelli Giovanni, i cui nomi<br />
sono oggi sulle lapi<strong>di</strong> affisse nell’ingresso del nostro palazzo comunale.<br />
Elisabetta Rossi, figlia come si è già detto del capitano Tommaso Rossi, in<br />
un manoscritto presumibilmente redatto dopo il 1849, racconta <strong>di</strong> episo<strong>di</strong> legati<br />
al proprio soggiorno a Roma durante gli scontri per <strong>di</strong>fendere la costituzione<br />
della Repubblica Romana. In queste memorie scrisse <strong>di</strong> un eroico episo<strong>di</strong>o in<br />
7 L. Meletti, cit, Parte III, ibidem<br />
8 L. Meletti, cit, Parte II, ibidem<br />
9 L. Meletti, cit,Parte II, idem<br />
10 L. Meletti, cit, Parte III, ibidem
110<br />
cui furono protagonisti due giovani fratelli, pare crevalcoresi. “ Nel combattimento<br />
a Porta San Pancrazio del 12 Giugno i nostri furono costretti a ritirarsi da una posizione e<br />
i francesi s’inoltrarono: i due tamburini del nostro reggimento, chiamati Zittini <strong>di</strong> Crevalcore,<br />
coraggiosamente dal loro posto battevano la ritirata, quando il maggiore <strong>di</strong> essi fu colpito a<br />
morte. Il minore per nome Cesare d’anni tre<strong>di</strong>ci, <strong>di</strong>fendeva il corpo del fratello a sassate e, se il<br />
Capitano Francesco Magrini non l’avesse portato fuori del combattimento, sarebbe forse stato<br />
anch’egli vittima del suo coraggio. Il Magrini a Imola tenne poi sempre presso <strong>di</strong> sé il ragazzo<br />
come servitore e vi rimase per molti anni”.<br />
Tali memorie, che si trovano nel Fondo “Tommaso Rossi” del Museo del<br />
Risorgimento, ci appaiono estremamente interessanti. Innanzitutto finora non<br />
si sapeva <strong>di</strong> questo episo<strong>di</strong>o e <strong>di</strong> questo caduto. Purtroppo non risultano in quel<br />
periodo famiglie con quel nome; d’altra parte è possibile che si trattasse anche <strong>di</strong><br />
un soprannome dato ai giovani o alla loro famiglia o al loro ruolo <strong>di</strong> tamburini. Si<br />
resta comunque toccati dal gesto coraggioso e dalla giovane età del sopravvissuto<br />
che presumibilmente doveva essere <strong>di</strong> origini umili se successivamente andrà a<br />
servizio in casa del Capitano Magrini 11 .<br />
L’impegno <strong>di</strong> chi scrive e <strong>di</strong> chi si accosta curioso agli avvenimenti <strong>di</strong> quegli<br />
anni non deve cadere nel desiderio <strong>di</strong> indagare per trovare e provare l’importanza<br />
<strong>di</strong> Crevalcore e dei Crevalcoresi nelle vicende legate all’unificazione, rimanendo<br />
ancorati ad un piccolo e stretto localismo. E’ importante invece scoprire e<br />
verificare che l’adesione agli ideali unitari era una realtà anche molto popolare,<br />
al <strong>di</strong> là del genere, delle possibilità <strong>di</strong> censo e <strong>di</strong> voto. donne e uomini <strong>di</strong> origini<br />
molto lontane tra <strong>di</strong> loro cominciarono ad unirsi intorno a valori comuni nella<br />
speranza <strong>di</strong> costruire un nuovo e più rappresentativo stato, quello Italiano.<br />
Fig. 4 – Memorie <strong>di</strong> Elisabetta Rossi sulla Repubblica Romana<br />
11 In realtà, grazie a Lucio (Annibale Passarini) sappiamo <strong>di</strong> chi si tratta: è uno degli uomini ricordati<br />
nelle lapi<strong>di</strong> che si trovano in <strong>Comune</strong>. Gaetano Paltrinieri era un giovane crevalcorese, arruolatosi<br />
nel reggimento Unione, come tamburino. Morì a 17 anni e la notizia è giustamente raccontata da<br />
Elisabetta Rossi. Il suo nome si trova inciso in una lapide nel Museo Ossario del Gianicolo insieme<br />
ai caduti per la Repubblica Romana.
Fig. 5 - Lapide dell’Ossario del Gianicolo a Roma<br />
111