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Rassegna Storica Crevalcorese - Dicembre 2011 - Comune di ...

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Rivista dell’Istituzione<br />

dei Servizi Culturali<br />

Paolo Borsellino<br />

<strong>di</strong> Crevalcore


<strong>Comune</strong> <strong>di</strong> Crevalcore<br />

<strong>Rassegna</strong> storica<br />

crevalcorese<br />

<strong>Dicembre</strong> <strong>2011</strong><br />

❦<br />

Istituto dei Servizi Culturali Paolo Borsellino


4<br />

<strong>Rassegna</strong> storica crevalcorese<br />

Rivista dell'Istituzione dei Servizi Culturali Paolo Borsellino <strong>di</strong> Crevalcore<br />

COMITATO dI REdAZIONE<br />

Paolo Cassoli<br />

Magda Abbati<br />

Roberto Tommasini<br />

Carla Righi<br />

dIRETTORE RESPONSABILE<br />

Magda Abbati<br />

Progetto Grafico<br />

Ufficio comunicazione <strong>Comune</strong> <strong>di</strong> Crevalcore<br />

Stampa<br />

Gruppo Sigem <strong>di</strong> Modena<br />

Informazioni e comunicazioni<br />

Istituzione dei Servizi Culturali Paolo Borsellino<br />

Via Persicetana 226 - 40014 Crevalcore (Bo);<br />

tel. 051.0981594, fax 051.6803580<br />

e mail: istituzione@comune.crevalcore.bo.it<br />

Ottavo numero, <strong>di</strong>stribuzione gratuita


SommaRIo<br />

Abbreviazioni 6<br />

Introduzione 7<br />

STUdI E RICERCHE<br />

Anna Natali 11<br />

Patente, libretto e gallici malori<br />

La prostituzione a Bologna e nel bolognese<br />

nel XIX secolo<br />

Roberto Tommasini 35<br />

I moti del 1831<br />

Galeazzo Gamberini 51<br />

Per una storia del risorgimento nell’alta padusa<br />

Roberto Tommasini 87<br />

I 685 giorni <strong>di</strong> Buoncuore<br />

Magda Abbati 105<br />

Alla vigilia dell’Unità, Ferraresi per caso<br />

5


6<br />

abbreviazioni<br />

Accademia In<strong>di</strong>fferenti Risoluti <strong>di</strong> Crevalcore: AIRC<br />

Anno accademico: a a<br />

Archivio Storico Comunale <strong>di</strong> Crevalcore: ASCC<br />

Biblioteca Comunale <strong>di</strong> Crevalcore: BCC<br />

Busta: b<br />

Carteggio Amministrativo: CA<br />

Opera citata: cit<br />

Fascicolo: fasc<br />

Manoscritto: ms<br />

Museo del I e II Risorgimento <strong>di</strong> Bologna: MRB<br />

Registro: reg<br />

Rubrica: rubr<br />

avvertenze e ringraziamenti<br />

Le immagini proposte in questo numero provengono dall’Archivio Storico<br />

Comunale <strong>di</strong> Crevalcore e dalla Collezione privata <strong>di</strong> Roberto Tommasini che,<br />

come sempre, ci regala tantissima <strong>di</strong>sponibilità e le sue bellissime immagini.<br />

Un altro ringraziamento va a Eugenio Menghini che pazientemente contribuisce<br />

alla raccolta or<strong>di</strong>nata del materiale che vedete qui pubblicato.<br />

Un grazie speciale a Lucio, al suo “tocco” fortunato e alla sua ostinazione.


Introduzione<br />

Raccontare e ricordare la storia dell’Italia attraverso episo<strong>di</strong> locali o eventi in<br />

ogni modo legati al territorio, penso sia un bel modo per rendere omaggio alla<br />

nostra Patria, ai suoi 150 anni e alla sua Unità.<br />

Credo sia anche un modo per attraversarli questi 150 anni e oltre, visto che<br />

alcuni contributi raccontano <strong>di</strong> vicende antecedenti il 1861, un modo per sentirle<br />

ancora nostre e non consegnarle definitivamente alla storia passata.<br />

Si <strong>di</strong>ce molto spesso che l’Italia è il paese dei mille campanili, e questo è sicuramente<br />

uno dei suoi tratti <strong>di</strong>stintivi. La <strong>di</strong>versità, il patrimonio locale, le singole<br />

territorialità, la frammentazione, i tanti <strong>di</strong>aletti, le tra<strong>di</strong>zioni popolari, che si fanno<br />

paese, per costruire l’Italia unita.<br />

Un’Italia che ci ha messo 85 anni per <strong>di</strong>ventare repubblica, e due in più per<br />

avere una carta dei valori, la Costituzione.<br />

Un’Italia che in 150 anni è stata attraversata da eserciti conquistatori e da eserciti<br />

liberatori.<br />

Un’Italia che ha visto la sua gente emigrare in cerca <strong>di</strong> lavoro e fortuna, e che<br />

ha visto le genti <strong>di</strong> altri paesi immigrare in cerca <strong>di</strong> lavoro e fortuna.<br />

Chissà se Mazzini, Mameli, Ugo Bassi, Garibal<strong>di</strong>, Cavour, avevano in mente<br />

quest’Italia quando hanno messo la loro stessa vita a <strong>di</strong>sposizione della patria.<br />

Ma chissà soprattutto se la gente comune, i conta<strong>di</strong>ni, i poveracci, i giovani <strong>di</strong><br />

quell’epoca che combatterono al fianco <strong>di</strong> questi personaggi avevano una vaga<br />

idea del loro eroismo e <strong>di</strong> quale pagina <strong>di</strong> storia stavano scrivendo.<br />

Anche Crevalcore si <strong>di</strong>stinse in quegli anni, per <strong>di</strong>versi citta<strong>di</strong>ni che combatterono<br />

a fianco <strong>di</strong> Garibal<strong>di</strong> nelle guerre risorgimentali. Oggi, grazie soprattutto<br />

alla tenacia <strong>di</strong> Passarini Annibale (Lucio), si è costituito a Crevalcore, un gruppo<br />

<strong>di</strong> rievocazione storica <strong>di</strong> garibal<strong>di</strong>ni, che sta portando in giro per l’Italia la rivisitazione<br />

<strong>di</strong> quei momenti.<br />

E’ per me motivo <strong>di</strong> orgoglio sapere che, attraverso questo gruppo <strong>di</strong> ragazzi<br />

giovani e meno giovani, il nome <strong>di</strong> Crevalcore è portato in tutto il Paese.<br />

Così come è stato motivo <strong>di</strong> orgoglio la visita al sacrario del Gianicolo a Roma,<br />

dove <strong>di</strong>verse lapi<strong>di</strong> <strong>di</strong> garibal<strong>di</strong>ni crevalcoresi sono presenti in mezzo a tanti altri<br />

morti provenienti da ogni parte d’Italia. da ogni parte d’Italia, da ogni campanile.<br />

Sì è così, genti <strong>di</strong> ogni angolo d’Italia che lasciarono il proprio paesino per<br />

combattere e costruire l’Italia. Quell’Italia che a noi oggi sembra così familiare e<br />

che ad<strong>di</strong>rittura c’è chi snobba o ripu<strong>di</strong>a in nome <strong>di</strong> una fantomatica autodeterminazione<br />

dei popoli, offendendo la memoria dei loro stessi antenati, dei loro<br />

padri.<br />

7


8<br />

Per questo il mio ringraziamento è profondo e forte verso tutti coloro che hanno<br />

contribuito alla realizzazione <strong>di</strong> questa rivista e che attraverso la loro tenacia<br />

tengono viva la memoria della nostra storia locale, al servizio dell’Italia Unita.<br />

Clau<strong>di</strong>o Broglia<br />

Sindaco <strong>di</strong> Crevalcore


“Povera patria! Schiacciata dagli abusi del potere<br />

<strong>di</strong> gente infame, che non sa cos’è il pudore<br />

Voglio sperare che il mondo torni a quote più normali<br />

che possa contemplare il cielo e i fiori,<br />

che non si parli più <strong>di</strong> <strong>di</strong>ttature<br />

se avremo ancora un po’ da vivere...<br />

La primavera intanto tarda ad arrivare”<br />

F. Battiato “Povera Patria”<br />

9


ANNA NATALI<br />

Patente, libretto e gallici malori.<br />

La prostituzione a Bologna e nel bolognese<br />

nel XIX secolo<br />

La ricerca che ha dato origine al presente testo (il quale propone una<br />

parte del materiale molto più ampio esposto nel volume Salariate dell’amore.<br />

Storie e faccende <strong>di</strong> meretrici nell’Ottocento bolognese, <strong>di</strong> Sara Accorsi e Anna<br />

Natali, Maglio e<strong>di</strong>tore, 2010) ha avuto origine dalla scoperta da parte<br />

mia, non esperta <strong>di</strong> storia e <strong>di</strong> tutt’altro mestiere, della possibilità che le<br />

carte se<strong>di</strong>mentate nei secoli dalle burocrazie potessero fornirci non solo<br />

fred<strong>di</strong> dati specialistici, ma, se letti nella luce <strong>di</strong> uno sguardo percettivo,<br />

trasmetterci chiaroscuri, prospettive, <strong>di</strong>namismi, sensazioni, linguaggi<br />

della vita vissuta dai soggetti, intrappolando nei documenti amministrativi<br />

un “cast” <strong>di</strong> figure vere che si muovevano nel territorio bolognese attorno<br />

al tema, scabroso e meschino, doloroso e <strong>di</strong>vertente, della prostituzione<br />

locale nella seconda metà dell’Ottocento, subito dopo l’Unità d’Italia.<br />

dalle carte personalmente consultate nell’archivio storico <strong>di</strong> Persiceto<br />

e nell’archivio <strong>di</strong> Stato <strong>di</strong> Bologna e dai testi letti sull’argomento ho<br />

tratto spunto per una descrizione del fenomeno prostituzionale e della<br />

sua regolamentazione, sia spaziando con uno sguardo generale su luoghi<br />

e tempi <strong>di</strong>versi, sia focalizzando più <strong>di</strong>stintamente la realtà locale,<br />

emiliana, bolognese e persicetana, quale aspetto del mio interesse per i<br />

comportamenti sessuali delle persone non sposate.<br />

I materiali archivistici consultati per il presente argomento consistono<br />

prevalentemente in corrispondenze amministrative sotto i titoli <strong>di</strong> “Ufficio<br />

<strong>di</strong> Pubblica Sicurezza <strong>di</strong> San Giovanni in Persiceto -Prostituzione”,<br />

“Polizia - Meretrici”, “Polizia - Parti illegittimi”, “Beneficenza pubblica -<br />

Case per Esposti ed Esposti”: ho ritrovato anche alcuni verbali <strong>di</strong> processi<br />

per stupro del Tribunale <strong>di</strong> Bologna che hanno costituito l’argomento <strong>di</strong><br />

un precedente volume, Amori illeciti, <strong>di</strong> Maurizio Garuti e Anna Natali.,<br />

Pendragon, 2007.<br />

La scelta del periodo <strong>di</strong> riferimento, la seconda metà del XIX secolo,<br />

11


12<br />

viene dal fatto che i documenti iniziano nel 1859, quando al termine<br />

della II guerra <strong>di</strong> In<strong>di</strong>pendenza ha luogo il plebiscito per l’annessione<br />

dell’Emilia al Piemonte e cessano verso la fine del secolo nel momento in<br />

cui, dopo la sostituzione del primo Regolamento del 1860 con un nuovo<br />

Regolamento del 1888, il controllo della prostituzione verrà registrato<br />

sotto intestazioni e capitoli <strong>di</strong>versi, che non ho inteso approfon<strong>di</strong>re per<br />

mantenere il lavoro circoscritto alla realtà locale.<br />

Il materiale raccolto si configura come una copiosa sequenza <strong>di</strong><br />

corrispondenze amministrative, moduli da compilare o compilati, fogli <strong>di</strong><br />

ricevute, trascrizioni <strong>di</strong> verbali <strong>di</strong> delibere, fogli <strong>di</strong> via, lettere <strong>di</strong> reclamo<br />

o <strong>di</strong> petizione, verbali <strong>di</strong> arresto e <strong>di</strong> traduzione in carcere, certificati<br />

me<strong>di</strong>ci e bolle <strong>di</strong> accettazione in ospedale, fogli statistici e comunicazioni<br />

anche personali <strong>di</strong> protesta, <strong>di</strong> <strong>di</strong>ssenso o <strong>di</strong> giustificazione. Nonostante<br />

la forma “burocratica” l’essere umano non può evitare <strong>di</strong> trasmettere,<br />

sia pure involontariamente, alcuni aspetti del suo modo <strong>di</strong> essere e della<br />

sua personalità, <strong>di</strong> modo che dalle carte si profilano dei personaggi che<br />

possono considerarsi figure e attori <strong>di</strong> storie <strong>di</strong> un teatro “ <strong>di</strong> piazza”.<br />

Nello scorrere quelle carte mi hanno guidato sia il desiderio <strong>di</strong> conoscenza<br />

dei vecchi fatti del costume e della realtà storica locale sia la curiosità<br />

per la verifica della reale efficacia delle misure <strong>di</strong> regolamentazione del<br />

comportamento prostituzionale.<br />

Non è estranea all’intento anche l’aspirazione a fornire strumenti e<br />

chiavi <strong>di</strong> lettura per coloro che si interessano, per riflessione personale<br />

e per compiti professionali, al tema della prostituzione, per evitare che<br />

lo si tratti come un banale soggetto <strong>di</strong> sarcastiche o licenziose battute o,<br />

all’opposto, come un semplice, pericoloso fenomeno <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne pubblico<br />

e <strong>di</strong> pubblica moralità.<br />

Morigerate o <strong>di</strong>screte le donne crevalcoresi ?<br />

Patente o libretto: oggi li richiede la Polizia Stradale, ma nell’Italia del<br />

1860 erano documenti ufficiali che identificavano le pubbliche meretrici.<br />

C’era però chi non aveva la patente ed erano le meretrici clandestine.<br />

Per ottenere la patente era sufficiente che la “voce pubblica”, confermata<br />

dalle informazioni del <strong>Comune</strong>, in<strong>di</strong>casse una donna come de<strong>di</strong>ta alla<br />

prostituzione perché la Pubblica Sicurezza la iscrivesse nell’elenco <strong>di</strong><br />

quelle sottoposte alla visita sanitaria obbligatoria. Se dalla visita risultava<br />

infetta da malattia venerea veniva deportata, anche in carcere, per il


trattamento obbligatorio “fino a guarigione”.<br />

Tuttavia, nonostante il controllo, le meretrici, sia pubbliche che<br />

clandestine, creavano <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne, schiamazzi, scandalo e qualcuno<br />

in<strong>di</strong>rizzava dei reclami alle autorità.<br />

In più vi erano le “straniere”, che allora potevano provenire anche<br />

solo da un altro comune della stessa provincia: esse pure costituivano un<br />

problema!<br />

E c’era pure un problema etico: perché il <strong>Comune</strong> doveva pagare le<br />

loro cure con i sol<strong>di</strong> pubblici, destinati alla beneficenza, visto che le loro<br />

malattie se le andavano in qualche modo a cercare con una condotta<br />

riprovevole?<br />

Notizie <strong>di</strong> questo genere sono registrate nei documenti del carteggio<br />

amministrativo degli Archivi Storici <strong>di</strong> San Giovanni in Persiceto e <strong>di</strong><br />

Bologna.<br />

13


14<br />

Purtroppo, nonostante una lunga e minuziosa ricerca nell’Archivio<br />

Storico del <strong>Comune</strong> <strong>di</strong> Crevalcore, non è stato possibile ritrovare alcun<br />

documento sull’argomento.<br />

Ora, la documentazione deriva da una precisa legge, <strong>di</strong> cui <strong>di</strong>rò più<br />

avanti, che obbligava al controllo del meretricio tutte le delegazioni <strong>di</strong><br />

Polizia e a Crevalcore una delegazione è documentata almeno dal 1861<br />

al 1865. Inoltre nell’archivio <strong>di</strong> Crevalcore tutte le attività <strong>di</strong> Pubblica<br />

Sicurezza sono registrate in centinaia <strong>di</strong> carte negli anni successivi. Vi si<br />

trovano tutti i tipi <strong>di</strong> reati che venivano compiuti, denunciati, sottoposti a<br />

condanna; vi si trovano i certificati rilasciati per buona o cattiva condotta;<br />

vi sono registrate le nascite illegittime, gli stupri, le ingiurie e le liti fra<br />

comari.<br />

Ma in nessun documento ho trovato, nel periodo <strong>di</strong> interesse della<br />

ricerca, un accenno, una <strong>di</strong>chiarazione, una accusa, una condanna, un<br />

certificato che facesse riferimento a prostitute e alla loro attività.<br />

Ho chiesto a chi conosce la storia crevalcorese e non ne ho ricavato<br />

nulla. Il solo Roberto Tommasini, che ringrazio, mi ha fatto sapere <strong>di</strong><br />

documenti relativi al Seicento e Settecento e <strong>di</strong> “voci” del periodo fra le<br />

due Guerre, che riferivano della presenza, in quasi ogni vicolo del paese, <strong>di</strong><br />

signore locali o <strong>di</strong> più o meno avvenenti signorine provenienti dalla città,<br />

presso affittacamere o cameriere in alcune osterie, che si prostituivano<br />

per miseria a cifre molto contenute.<br />

Con le responsabili dell’Archivio ci siamo interrogate su questo silenzio.<br />

Qualcuno, puritano, ha fatto sparire le carte “immorali” o qualcuno,<br />

immorale, se le è accaparrate? Non c’erano prostitute a Crevalcore?<br />

Almeno per la presenza <strong>di</strong> truppe impegnate nelle guerre risorgimentali,<br />

che scorazzavano nel bolognese, sembrerebbe poco cre<strong>di</strong>bile. C’erano<br />

prostitute, ma erano tanto <strong>di</strong>screte nel loro esercizio da rimanere oscure<br />

e <strong>di</strong>sperse nei vari quartieri e borghi che costituivano il territorio? Non<br />

lo sappiamo. Resta il fatto che ciò <strong>di</strong> cui narrerò in questo intervento, le<br />

regole e le azioni descritte, si riferiscono a normative dello Stato unitario<br />

italiano valide ovunque: è attestato però solo da documenti <strong>di</strong> Bologna e<br />

<strong>di</strong> Persiceto.


Definizioni e note sulla storia della prostituzione<br />

Prima <strong>di</strong> addentrarmi nell’esame della documentazione ritengo utili<br />

alcune precisazioni terminologiche e una breve premessa storica, per<br />

comprendere il significato del tema e la sua evoluzione nel tempo.<br />

Nella sua opera “I sette peccati capitali” F. Savater riferisce una frase<br />

<strong>di</strong> A. Goldman: “Qual è la <strong>di</strong>fferenza fra l’uomo e l’animale? Non la<br />

facoltà razionale, semmai il fatto <strong>di</strong> prostituirsi. L’animale non ha questa<br />

capacità, che consiste nell’ottenere attraverso il corpo un beneficio che<br />

non è il piacere sessuale, ma qualcosa <strong>di</strong> <strong>di</strong>verso dal sesso”.<br />

Che cos’è allora la prostituzione? Essa consiste nell’ abituale o transitoria<br />

prestazione <strong>di</strong> atti sessuali nei confronti <strong>di</strong> un numero indeterminato <strong>di</strong><br />

persone in cambio <strong>di</strong> denaro. Si tratta <strong>di</strong> una definizione corretta ma<br />

del tutto parziale, poiché in concreto la prostituzione è un fenomeno<br />

sociale complesso, <strong>di</strong>ffuso in ogni tempo e in ogni luogo, che le intricate<br />

<strong>di</strong>namiche della società hanno via via ripu<strong>di</strong>ato con scandalo, tollerato<br />

con ipocrisia, favorito con sotterfugi interessati e loschi.<br />

Per essa intervengono almeno due, ma più spesso tre personaggi: chi<br />

presta il servizio, chi lo richiede e ne usufruisce, chi lo organizza e vi<br />

specula. <strong>di</strong>fatti gli uomini che prendono parte al “commercio” e se ne<br />

avvalgono non sono certamente “innocenti” sul piano civile e sanitario e<br />

non sempre gli utili della prostituzione vanno alla persona che la esercita,<br />

poiché comunemente ad essa si accostano interme<strong>di</strong>ari, protettori e<br />

sfruttatori. Tuttavia nelle storie, nei libri, nei documenti, nei resoconti<br />

giornalistici, nei lavori parlamentari e nel linguaggio comune una sola<br />

è l’interprete, la prostituta, colei che è immagine <strong>di</strong> tutto il male per i<br />

benpensanti e <strong>di</strong> tutto il bene nelle fantasie <strong>di</strong> chi a lei ricorre o sogna <strong>di</strong><br />

ricorrervi. E nei documenti consultati solo loro, le “meretrici”, venivano<br />

schedate, controllate, patentate, vessate, schiavizzate, aiutate, protette,<br />

visitate, curate, recluse, ammonite, redente.<br />

Prostituta è la donna che esercita la prostituzione, ossia il “commercio<br />

<strong>di</strong> prestazioni sessuali”; il termine deriva da prostituire, nel senso <strong>di</strong><br />

statuere, mettere, porre, e pro, davanti, cioè “mettere in ven<strong>di</strong>ta”, come<br />

fa il mercante che pone le sue merci davanti a sé, al suo negozio, al suo<br />

banchetto, per venderle. Un altro termine, più usato in passato, era meretrice,<br />

da merere, guadagnare, colei che si fa pagare. E’ stata detta lupa, insaziabile,<br />

da cui il nome del luogo <strong>di</strong> lavoro, lupanare. Più frequentemente, in modo<br />

spregiativo, è usato il termine puttana, derivato dal francese antico putain, a<br />

sua volta tratto da pute, la putta, la prostituta, femminile dell’aggettivo put,<br />

15


16<br />

che significa puzzolente (<strong>di</strong>verso quin<strong>di</strong> da putta, femminile <strong>di</strong> putto, che nel<br />

nostro passato in<strong>di</strong>cava la fanciulla, la ragazzetta).<br />

Vedremo in seguito quali fatti, quali con<strong>di</strong>zioni, quali contesti hanno<br />

connotato la vita delle “donne pubbliche” del nostro territorio. Se oggi<br />

nuovi fermenti sociali, in presenza <strong>di</strong> un notevole incremento della<br />

prostituzione, associato anche agli estesi fenomeni immigratori dai paesi<br />

più poveri e all’intreccio con la criminalità, la tossico<strong>di</strong>pendenza, il<br />

business turistico, premono sui legislatori perchè si ritorni ad un regime<br />

<strong>di</strong> regolamentazione, chi è attento alla storia, al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> romantiche ed<br />

ipocrite reminiscenze delle allegre atmosfere delle “case chiuse”, non può<br />

<strong>di</strong>menticare la brutalità, la miseria, la prevaricazione, la per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> <strong>di</strong>gnità,<br />

i contagi infettivi che connotavano la prostituzione tollerata.<br />

“La prostituzione è antica come il mondo perché nacque coi primi<br />

uomini che adunaronsi in società e si sentirono sospinti a cercare<br />

l’amplesso carnale, non solo nelle legittime unioni matrimoniali, ma<br />

ovunque sorridevan loro le gioie d’amore, strappate con brutali violenze<br />

nello stato selvaggio, ogni qualvolta non trovavano il libero consenso”.<br />

Questa affermazione si trova in un testo giuri<strong>di</strong>co del 1888 che accompagna<br />

il nuovo regolamento sulla prostituzione e mi pare sia pertinente con<br />

quanto qui descritto. Continua l’anonimo autore: “Ma ben <strong>di</strong>versi furono<br />

i criteri coi quali la prostituzione venne giu<strong>di</strong>cata nelle <strong>di</strong>verse età e dai<br />

<strong>di</strong>versi popoli. Ciò che a noi appare estrema ignominia, fu ritenuta da altri<br />

onor singolare ed ambita gloria”.


Le prime tracce <strong>di</strong> prostituzione riguardano la prostituzione sacra o<br />

templare o rituale, che si riferiva ad una serie <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong>fferenti, in cui<br />

gli atti sessuali erano eseguiti nell’ambito <strong>di</strong> un rito religioso o con persone<br />

considerate sacre o associate ad un luogo sacro. Nel mito i fondatori<br />

stessi <strong>di</strong> Roma, Romolo e Remo, erano stati adottati da una lupa e Acca<br />

Larentia, la moglie del pastore che li aveva trovati ai pie<strong>di</strong> del Palatino, era<br />

una “lupa”, cioè una prostituta.<br />

I Babilonesi poi, secondo Erodoto, avevano una legge che obbligava<br />

tutte le donne del paese a prostituirsi almeno una volta all’anno ad un<br />

forestiero e questo può considerarsi l’inizio della prostituzione ospitale,<br />

che venne in seguito estendendosi fra gli altri popoli fino ad offrire la<br />

moglie, la sorella, la figlia al viandante che chiedeva asilo per una notte.<br />

Ancora Erodoto afferma che nelle colonie fenicie e in Li<strong>di</strong>a la<br />

prostituzione sacra presentava già le pratiche del lucro e del traffico,<br />

mentre in Egitto essa era già legale o politica perché governata da speciali<br />

norme, in genere analoghe a quelle del commercio.<br />

Gli Ebrei non ignoravano la prostituzione ma Mosè la vietò per le ebree,<br />

perché la razza giudaica non avesse ad imbastar<strong>di</strong>rsi e a degenerare.<br />

Nella Grecia antica, il sod<strong>di</strong>sfacimento sessuale a pagamento si svolgeva<br />

con modalità relativamente confrontabili con quelle della società borghese<br />

<strong>di</strong> oggi, e nelle città-stato la prostituzione era una necessità poiché erano<br />

proibiti per le fanciulle i rapporti prima del matrimonio, alle mogli legittime<br />

la legge consentiva <strong>di</strong> prestarsi ai soli “doveri” ed occorreva “<strong>di</strong>strarre” i<br />

giovani dalle pratiche omosessuali. Solone istituì per primo il <strong>di</strong>cterium, la<br />

“casa” da cui ebbe inizio la schiavitù delle donne de<strong>di</strong>te alla prostituzione<br />

venale, che venivano comprate per esservi immesse; le etére, invece, erano<br />

in qualche modo paragonabili alle cortigiane del Rinascimento europeo o<br />

dei salotti parigini, o alle geishe del Giappone feudale: colte, raffinate,<br />

esigenti, esperte nell’arte della seduzione, <strong>di</strong>sputavano con i filosofi,<br />

proteggevano le arti , erano sottoposte ad apposite leggi, ma libere.<br />

A Roma la pòrne greca (denominazione da cui deriva la parola pornografia)<br />

<strong>di</strong>viene meretrix, colei che guadagna col proprio corpo: il realismo e il<br />

materialismo <strong>di</strong> Roma ponevano subito in primo piano il “guadagno”!<br />

Narra Seneca il Retore che una schiava venduta come prostituta “stava<br />

nuda all’approdo a <strong>di</strong>sposizione dei compratori; ogni parte del suo corpo<br />

[veniva] esaminata e palpata”. Un passatempo degli sfaccendati giovani<br />

romani consisteva nell’andare al mercato a palpeggiare le ragazze in<br />

ven<strong>di</strong>ta. Ma esercitavano la prostituzione anche straniere rapite dai pirati<br />

o ragazze più o meno tacitamente cedute dalle famiglie. Giovenale afferma<br />

17


18<br />

che perfino Messalina, moglie dell’imperatore Clau<strong>di</strong>o, uscisse camuffata<br />

durante la notte per recarsi in un ”caldo lupanare” dove si concedeva per<br />

denaro con il falso nome <strong>di</strong> Lisisca. Fu la Legge Giulia la prima che si occupò<br />

del fenomeno, definendo i vari tipi <strong>di</strong> prostituzione, ai quali poi venivano<br />

riferite le <strong>di</strong>verse norme, fra cui l’iscrizione in registri che consentivano<br />

<strong>di</strong> ottenere una lista autentica <strong>di</strong> tutte le femmine che dovevano pagare<br />

la tassa <strong>di</strong> prostituzione. I Romani apprezzavano l’amore mercenario,<br />

che veniva praticato da tutte le classi sociali, patrizi, cavalieri, mercanti,<br />

plebei, soldati e anche schiavi e gli illustri sostenitori del patriarcato<br />

Seneca, Catone, Cicerone non solo tolleravano la prostituzione, ma la<br />

consideravano la più valida <strong>di</strong>fesa del matrimonio, pur non esimendosi<br />

dall’esprimere <strong>di</strong>sprezzo per la meretrice.<br />

L’irruzione dal Nord dei Popoli Barbari, forse meno proclivi per<br />

temperamento ai piaceri del sesso, e l’affermazione del Cristianesimo<br />

operarono una rigenerazione del costume. La prostituzione non<br />

scomparve ma assunse nuove forme e andamenti, invano repressa da<br />

<strong>di</strong>sposizioni tanto rigide quanto irragionevoli e inefficaci, con alternanza<br />

<strong>di</strong> perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> <strong>di</strong>vieto ad altri <strong>di</strong> regolamentazione, allo scopo <strong>di</strong> tenerne<br />

sotto controllo l’incidenza nel tessuto sociale. Fino al tardo Ottocento<br />

ha prevalso il modello <strong>di</strong>sciplinare, ufficiale o <strong>di</strong> fatto, e solo in tempi<br />

relativamente recenti l’opinione pubblica ha chiesto e ottenuto l’abolizione<br />

dei regolamenti, in modo che, <strong>di</strong>mostratasi impossibile l’eliminazione<br />

del fenomeno o una sua incisiva riduzione, venisse a cessare almeno la<br />

connivenza dello Stato nella sua gestione.<br />

dopo i secoli del primo Me<strong>di</strong>oevo, in cui si manifestò una crescente<br />

tolleranza, e dopo gli anni in cui <strong>di</strong>verse città istituirono un proprio<br />

postribolo municipale, non raramente per iniziativa <strong>di</strong> sovrani o <strong>di</strong><br />

ecclesiastici, un decisivo cambiamento si avviò nel corso del Cinquecento,<br />

quando intervennero due evenienze <strong>di</strong> rilevante importanza: la <strong>di</strong>rompente<br />

espansione della sifilide (in relazione tanto con la recente scoperta<br />

dell’America quanto con la campagna <strong>di</strong> Carlo VIII <strong>di</strong> Francia contro il<br />

Regno <strong>di</strong> Napoli) e l’affermazione <strong>di</strong> una morale e <strong>di</strong> una religiosità più<br />

rigide all’interno della Riforma protestante e della Controriforma cattolica.<br />

Perio<strong>di</strong>che <strong>di</strong>sposizioni e or<strong>di</strong>nanze vietarono con pene severissime sia la<br />

prostituzione organizzata che quella libera, senza però che si giungesse,<br />

ancora una volta, ad una reale repressione. E’ solo alla fine del ‘700,<br />

soprattutto in epoca napoleonica, che si fecero strada norme più evolute<br />

ed efficaci. Non si trattava solamente <strong>di</strong> provve<strong>di</strong>menti <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne pubblico<br />

e <strong>di</strong> polizia, ma <strong>di</strong> un vero controllo statale, rivolto più verso la prostituta


che verso la prostituzione. In numerose città e stati d’Europa le donne<br />

pubbliche vennero relegate in case <strong>di</strong> tolleranza, dove erano schedate con<br />

una accuratezza ed una pedanteria sconosciute negli elenchi stilati in<br />

precedenza. Esse venivano inoltre obbligate a visite me<strong>di</strong>che perio<strong>di</strong>che,<br />

anche bisettimanali, e veniva loro imposto, come ulteriore forma <strong>di</strong><br />

controllo, l’obbligo della “patente”, il libretto sanitario che attestava il<br />

loro stato <strong>di</strong> salute e la loro regolare condotta civile. Me<strong>di</strong>ci e poliziotti del<br />

buoncostume vennero così a configurare <strong>di</strong> fatto una regolamentazione <strong>di</strong><br />

stato mai affermata e anzi ufficialmente negata.<br />

Lo scopo esplicito <strong>di</strong> tali umilianti provve<strong>di</strong>menti era il contrasto<br />

alla <strong>di</strong>ffusione delle malattie veneree, sebbene l’opera <strong>di</strong> prevenzione si<br />

concentrasse irragionevolmente sulle sole donne, mentre liberi da ispezioni<br />

e incolpevoli per la legge erano gli altri veicoli del contagio, gli uomini.<br />

Un simile sistema <strong>di</strong> controllo venne a provocare, alla fine<br />

dell’Ottocento, un crescente moto <strong>di</strong> reazione in <strong>di</strong>versi gruppi sociali<br />

e in <strong>di</strong>versi paesi, confluito in gran parte nel 1875 nella “Federazione<br />

internazionale per l’abolizione della regolamentazione statale del vizio”.<br />

Il <strong>di</strong>battito, lo scontro, la lotta fra “abolizionisti” e “regolamentisti” si<br />

configurò a partire da quel momento con “vittorie” alterne, fino a che, tra<br />

fine Ottocento e primi decenni del Novecento il movimento abolizionista<br />

venne consolidato dall’emergere dei movimenti per i <strong>di</strong>ritti delle donne e<br />

dal <strong>di</strong>ffondersi dei partiti socialisti, fermamente contrari alla prostituzione<br />

istituzionalizzata.<br />

L’Italia, che ancora nel 1931 aveva stabilito una sorta <strong>di</strong> cogestione<br />

statale delle case <strong>di</strong> tolleranza, si collocò fra le ultime nazioni occidentali<br />

a “liberalizzare” il fenomeno, poiché solamente nel 1958 si concluse l’iter<br />

decennale della legge conosciuta come Legge Merlin, che aboliva ogni<br />

forma <strong>di</strong> riconoscimento legale del meretricio, chiudeva le cosiddette “case<br />

chiuse”, rafforzava le norme penali contro l’istigazione, la coercizione, lo<br />

19


20<br />

sfruttamento e la “tratta”, senza alcuna penalizzazione per la prostituta, e<br />

demandava ad un apposito regolamento le norme per la prevenzione e la<br />

cura delle malattie veneree.<br />

Cenni sulla prostituzione nel bolognese<br />

Con una certa frequenza nei film, nelle rappresentazioni o nei libri<br />

compare, insieme alla “venesiana”, la prostituta “bolognéeesce”, connotata<br />

da un forte accento regionale. Se per Venezia la presenza <strong>di</strong> un numero<br />

elevato <strong>di</strong> prostitute poteva essere spiegata con il suo ruolo <strong>di</strong> porto<br />

internazionale e interculturale, da che cosa può aver avuto origine un tale<br />

stereotipo per Bologna, che Casanova definisce “città del piacere”?<br />

Solitamente la prostituzione, essendo un commercio, si addensa dove<br />

esiste il mercato. E per tale tipo <strong>di</strong> commercio il mercato è rappresentato<br />

dalla presenza <strong>di</strong> un numero elevato <strong>di</strong> uomini, specialmente giovani,<br />

specialmente celibi.<br />

Bologna aveva ed ha una famosa università e numerose testimonianze<br />

in<strong>di</strong>cano una forte espansione delle presenze studentesche nei decenni<br />

fra il XVI e il XVII secolo, <strong>di</strong> giovani vaganti da un’università all’altra,<br />

spesso provenienti dal Nord-Europa e seguiti da compagni e servi.<br />

Un altro serbatoio <strong>di</strong> giovani uomini esuberanti e soli è quello degli<br />

eserciti e delle caserme. Bologna nella sua storia ha molto spesso<br />

alloggiato truppe occupanti o asse<strong>di</strong>anti o <strong>di</strong> passaggio e dopo l’Unità<br />

d’Italia è rimasta a lungo una città fortificata ed ha ospitato fino a pochi<br />

anni fa numerose caserme. Gli eserciti avevano spesso le proprie meretrici<br />

al seguito, ma pare che sia stato Napoleone ad esigere che nei territori<br />

occupati si istituissero case <strong>di</strong> piacere regolamentate, per poter sbarazzare<br />

le sue forze armate dai seguiti femminili, “necessari” ma scomo<strong>di</strong> da<br />

gestire nei suoi rapi<strong>di</strong> spostamenti e per limitare possibilmente le “per<strong>di</strong>te”<br />

temporanee <strong>di</strong> soldati a causa delle infezioni veneree trasmesse dalle<br />

clandestine. Fu con la leva obbligatoria ed in particolare con la prima<br />

Guerra Mon<strong>di</strong>ale che le numerose caserme <strong>di</strong> Bologna ebbero la necessità<br />

<strong>di</strong> trovare mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> “sfogo” per i tanti giovani che vi stazionavano o che<br />

tornavano dal fronte.<br />

Infine Bologna è ed è sempre stata un importantissimo nodo <strong>di</strong> vie<br />

<strong>di</strong> comunicazione, con strade e ferrovie che collegano Nord e Sud,<br />

tanto dell’Italia che dell’Europa, e quin<strong>di</strong> luogo <strong>di</strong> convergenza <strong>di</strong> affari,<br />

commerci e fiere, e sede <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> opere infrastrutturali, che richiamavano


ed ancora richiamano uomini viaggianti, maestranze e, quin<strong>di</strong>, prostitute.<br />

A Bologna il <strong>di</strong>stretto industriale della seta ha costituito a lungo un<br />

esteso serbatoio sia <strong>di</strong> operai addetti ai setifici, sia <strong>di</strong> donne migranti<br />

stagionali che nel periodo della maturazione dei bozzoli affluivano in<br />

città, provenienti in gran parte dalle poverissime montagne bolognesi<br />

e modenesi; esse potevano lavorare per due-tre mesi, dopo <strong>di</strong> che si<br />

trovavano <strong>di</strong>soccupate e centinaia <strong>di</strong> esse non avevano altra via che<br />

prostituirsi per fame.<br />

dunque una presenza costante e numerosa quella delle prostitute a<br />

Bologna, che hanno costituito una fascia sociale vera e propria, presente<br />

sotto ogni tipo <strong>di</strong> governo ed in ogni tempo, una realtà combattuta e<br />

tollerata al tempo stesso, perché alimentata da interessi concreti ma anche<br />

scomoda e “vergognosa” per il buon decoro della città.<br />

Nel corso dei secoli, pubblici amministratori, clero, magistrati si<br />

applicarono costantemente nella lotta alla prostituzione: ban<strong>di</strong>, e<strong>di</strong>tti,<br />

<strong>di</strong>sposizioni <strong>di</strong>sciplinari, furono numerosissimi e assai frequenti, a prova<br />

dell’entità del fenomeno e del nesso, piuttosto stretto e ricco <strong>di</strong> complicità,<br />

fra economia citta<strong>di</strong>na e prostituzione. E’ in genere da tali ban<strong>di</strong> che si<br />

hanno le notizie più significative.<br />

A Bologna nel 1563 fu fondata l’Opera dei Men<strong>di</strong>canti ed al suo<br />

interno vennero anche costituite case <strong>di</strong> correzione femminile, come la<br />

casa <strong>di</strong> S. Gregorio, nel tentativo <strong>di</strong> allontanare “delle povere femmine<br />

dalle pubbliche strade dove con continuo scandalo pernottavano”.<br />

Un e<strong>di</strong>tto nel ‘700 faceva <strong>di</strong>vieto alle prostitute <strong>di</strong> mettere piede nella<br />

Basilica <strong>di</strong> S. Stefano ed il car<strong>di</strong>nal Lambertini nel 1708 lo estese al <strong>di</strong>vieto<br />

<strong>di</strong> seguire la processione della Madonna <strong>di</strong> S. Luca e <strong>di</strong> uscire <strong>di</strong> casa nella<br />

notte del Giovedì santo, quando aveva luogo la visita al Santo Sepolcro.<br />

In proposito, un tempo nella Chiesa <strong>di</strong> S. Stefano, nel giorno <strong>di</strong> Pasqua,<br />

<strong>di</strong> primissima mattina, donne vestite <strong>di</strong> nero e velate si trascinavano in<br />

ginocchio dall’ingresso della basilica fino al Sepolcro, vi entravano e vi<br />

recitavano una loro preghiera segretissima: erano le “marie maddalene”<br />

<strong>di</strong> Bologna, le prostitute che fino a circa trenta anni fa svolgevano ancora<br />

questo loro particolarissimo rito.<br />

Nel Settecento le prostitute erano ancora centinaia e “davansi con<br />

tutta libertà in braccio ad ogni più sfrenata sensualità”, mentre altre “a<br />

briglie sciolte e senza ritegno correvano al precipizio”.<br />

Il controllo sanitario obbligatorio per le prostitute fu imposto dalle<br />

norme igieniche emesse dopo la Rivoluzione Francese, che aveva liberato<br />

il meretricio dalle imposizioni morali per sottoporlo a regolamentazione<br />

21


22<br />

statale <strong>di</strong> Polizia.<br />

Il papa Pio IX si era sempre mantenuto oppositore <strong>di</strong> qualunque sistema<br />

<strong>di</strong> regolamentazione, che giu<strong>di</strong>cava “non cristiano”: durante i ventuno anni<br />

<strong>di</strong> occupazione francese (dal 1849 al 1870) si era opposto alle pressioni<br />

dei generali francesi per ottenere, nell’interesse delle loro truppe, le case<br />

<strong>di</strong> tolleranza, l’iscrizione delle prostitute, le visite perio<strong>di</strong>che e le cure<br />

coercitive. Quando nel 1860 il Governo italiano promulgò il Regolamento<br />

voluto dal Cavour, il papa inviò una lettera al re Vittorio Emanuele,<br />

scongiurandolo <strong>di</strong> risparmiare una tale vergogna alla città <strong>di</strong> Roma.<br />

La regolamentazione ottocentesca nell’Italia postunitaria<br />

Si è gia accennato che fu nel 1860, al momento dell’Unificazione<br />

d’Italia, che venne promulgata una regolamentazione generale della<br />

prostituzione. Il Regolamento sulla prostituzione del ministro Cavour entrò in<br />

vigore il 1° aprile 1860, così che poté essere applicato sia alle prostitute<br />

del Piemonte, della Liguria e della Lombar<strong>di</strong>a che a quelle dell’Emilia,<br />

annessa col plebiscito <strong>di</strong> marzo. Esso abrogava tutti i precedenti e<br />

<strong>di</strong>chiarava lo scopo primario <strong>di</strong> controllare la propagazione delle malattie<br />

veneree, assai <strong>di</strong>ffuse in particolare fra le truppe che in quei turbinosi<br />

momenti del Risorgimento stazionavano e circolavano costantemente nei<br />

<strong>di</strong>versi territori dell’Italia, e fu il primo <strong>di</strong> una serie che giunse infine a<br />

regolamentare stabilmente la materia.<br />

Rappresentando una sorta <strong>di</strong> “meretricio <strong>di</strong> Stato”, il suddetto<br />

Regolamento si occupò <strong>di</strong> case deputate al servizio nella città, <strong>di</strong> licenze,<br />

<strong>di</strong> “patenti”, <strong>di</strong> orari <strong>di</strong> apertura, <strong>di</strong> tariffe, <strong>di</strong> controlli pubblici e <strong>di</strong><br />

conseguente pagamento <strong>di</strong> tasse all’erario. Esso impose anche relazioni<br />

annuali da parte dell’Ispettore Igienico, che a Bologna fu il dottor Pietro<br />

Gamberini, primario del Sifilocomio del Sant’Orsola, il quale, con<br />

<strong>di</strong>ligente precisione, ha lasciato scritti i Rapporti politico-amministrativi-clinici<br />

per tutti gli anni dal 1863 al 1887. Assieme ai documenti <strong>di</strong> archivio <strong>di</strong><br />

Prefettura e Questura essi rappresentano un’ incomparabile prospettiva<br />

per osservare i rapporti quoti<strong>di</strong>ani tra prostitute, polizia e me<strong>di</strong>ci fiscali,<br />

mentre la “voce” delle prostitute ci giunge quasi solamente dai molti casi<br />

<strong>di</strong> ribellione contro il Regolamento stesso .<br />

Esso era composto da ben 98 articoli, conteneva una trattazione<br />

minuziosa <strong>di</strong> tutte le questioni relative al meretricio ed era caratterizzato<br />

da una grande durezza nei confronti delle prostitute. I promulgatori e i


promotori lo consideravano progressista perché non puniva le donne per<br />

il loro mestiere ma solo quando lo esercitavano fuori dal controllo dello<br />

Stato. Era però assai repressivo e manteneva le prostitute registrate sotto<br />

la stretta sorveglianza della polizia e dei me<strong>di</strong>ci d’ufficio. E non solo,<br />

ma molte donne <strong>di</strong> classe sociale inferiore che non si sottomettevano<br />

al tra<strong>di</strong>zionale ruolo femminile, spesso <strong>di</strong>soccupate, immigrate dalla<br />

campagna, senzatetto, sole, prive del controllo <strong>di</strong> mariti o parenti maschili,<br />

non potevano che essere considerate “puttane” e arrestate come tali anche<br />

senza ragione.<br />

L’analisi del Regolamento Cavour consente <strong>di</strong> rilevare che i suoi punti<br />

cruciali erano l’art. 17: “sono considerate meretrici le donne che esercitano<br />

notoriamente la prostituzione»”; l’art. 20: “le prostitute non iscritte<br />

saranno chiamate all’Ufficio Sanitario o… vi saranno tradotte per essere<br />

registrate”; e l’art. 31: “l’arresto <strong>di</strong> meretrici….sarà notificato all’Ufficio<br />

Sanitario. In tale caso le meretrici arrestate dovranno essere sottoposte<br />

ad una visita straor<strong>di</strong>naria”. Con tali regole alla Polizia venivano assegnati<br />

poteri altamente <strong>di</strong>screzionali nel fermo delle donne colte in flagranza,<br />

vera o presunta, o denunciate come “sospette”, anche a mezzo <strong>di</strong> lettere<br />

anonime. Poiché il Regolamento era tecnicamente un atto <strong>di</strong> natura<br />

amministrativa e non penale, essa non era sottoposta a controlli da parte<br />

del potere giu<strong>di</strong>ziario.<br />

i sigg. CLiENTi<br />

sONO PREGATi Di ORiNARE<br />

ALL'iNTERNO DELLA CAsA<br />

ONDE EViTARE Di LORDARE<br />

LA PUBBLiCA ViA<br />

ANNI 1929 (VII) EF.<br />

Osservando per gran<strong>di</strong> linee le regole prescritte è possibile in<strong>di</strong>viduare<br />

in sei momenti nodali il percorso del rapporto obbligato delle meretrici<br />

con le autorità previste dal Regolamento: l’arresto, l’esame vaginale,<br />

l’iscrizione sui registri della polizia con l’induzione all’ingresso nelle case<br />

23


24<br />

<strong>di</strong> tolleranza, l’ammissione al sifilocomio, il permesso <strong>di</strong> trasferimento<br />

residenziale e la cancellazione dai registri della Polizia.<br />

dopo l’arresto e la visita coattiva alcune donne, sebbene risultate sane,<br />

venivano riconosciute come “notoriamente prostitute” clandestine e<br />

iscritte d’ufficio nel registro. Altre che risultavano affette da mali venerei<br />

venivano tradotte al Sifilocomio destinato alle prostitute anche quando<br />

tali non erano. Altre, infine, che erano sane e prive <strong>di</strong> “notorietà” come<br />

prostitute venivano rimesse in libertà con un ammonimento (“sane ma<br />

redarguite” era la <strong>di</strong>citura nei rapporti statistici) che risultava carico<br />

<strong>di</strong> umiliante prevaricazione. Le donne provenienti da un altro comune<br />

venivano munite <strong>di</strong> foglio <strong>di</strong> via con l’obbligo <strong>di</strong> lasciare al più presto il<br />

territorio.<br />

Le donne locali che erano considerate irrecuperabili e pericolose<br />

venivano iscritte d’ufficio, registrando in qualcuno degli otto tipi <strong>di</strong><br />

schede i loro dati esteriori (altezza, colore della pelle, capelli, naso, bocca,<br />

occhi e così via) e le informazioni personali che avrebbero consentito<br />

<strong>di</strong> riconoscerle sempre anche in futuro. Esse dovevano lasciare i loro<br />

documenti nell’Ufficio che le dotava <strong>di</strong> un apposito libretto, da portare<br />

sempre con sé, contenente i dati utili per la loro identificazione e i risultati<br />

delle visite bisettimanali effettuate o nell’Ufficio o nel postribolo, in<br />

mancanza delle quali erano soggette ad arresto.<br />

Se alla visita venivano trovate infette erano inizialmente tradotte e<br />

curate in un locale collegato alla prigione <strong>di</strong> S. Ludovico in via del<br />

Pratello poi, dal 1861, inviate al Sifilocomio <strong>di</strong> S. Orsola.<br />

Qualunque cambiamento <strong>di</strong> residenza <strong>di</strong> una pubblica meretrice da<br />

una città all’altra era sottoposto al permesso della Polizia, così come<br />

l’assentarsi per più <strong>di</strong> tre giorni dal bordello e anche il ricoverarsi in<br />

ospedale per malattie non veneree.<br />

In ultimo il Regolamento riconosceva alle patentate la facoltà <strong>di</strong><br />

uscire dalla professione e <strong>di</strong> essere cancellate dal registro, circostanza<br />

che avveniva in genere abbastanza presto, poco dopo i 30 anni (vi erano<br />

entrate in genere fra i 16 e i 21 anni). Per cancellarsi dovevano ottenere il<br />

nullaosta statale, ma la polizia era sospettosa (tra il 1863 e il 1886 accettò<br />

solo l’8% delle domande) e dovevano riuscire a <strong>di</strong>mostrare alla Polizia<br />

<strong>di</strong> aver trovato un lavoro, per lo più come domestica, o un protettore, <strong>di</strong><br />

solito un operaio e comunque un uomo <strong>di</strong> semplice con<strong>di</strong>zione, che si<br />

impegnava a mantenerle, a proteggerle e a garantire per loro.<br />

Per completezza si accennerà alle regole riguardanti i postriboli o<br />

bordelli, sebbene non ve ne fosse alcuno né a Persiceto né a Crevalcore,


ma ve ne era uno a Cento. Si poteva aprire un postribolo con una<br />

concessione da parte dell’Autorità <strong>di</strong> Pubblica Sicurezza e poteva essere<br />

o del tipo in cui le meretrici avevano domicilio fisso o <strong>di</strong> quello in cui<br />

le meretrici isolate si recavano per motivo <strong>di</strong> prostituzione. I postriboli<br />

erano sud<strong>di</strong>visi in categorie e classi a seconda dei requisiti e dei prezzi<br />

praticati, non dovevano essere ubicati nelle vie frequentate delle città, né<br />

vicino a scuole, pubblici uffici ed e<strong>di</strong>fici <strong>di</strong> culto.<br />

Il complesso e farraginoso apparato della regolamentazione<br />

prostituzionale era stato costruito, si è detto, per la necessità <strong>di</strong> frenare il<br />

<strong>di</strong>ffondersi delle malattie veneree, in particolare della più grave <strong>di</strong> esse, la<br />

sifilide. I “mali <strong>di</strong> Venere” sono malattie che prendono il nome dal fatto<br />

che, secondo l’esperienza comune fin dai tempi antichi, si contraggono<br />

tramite il “commercio con le donne”, ancelle della dea dell’amore. Oggi, per<br />

correttezza scientifica ed anche per eliminare un’ulteriore attribuzione <strong>di</strong><br />

colpevolezza al genere femminile, vengono dette “malattie a trasmissione<br />

sessuale”, poiché riguardano in ugual misura sia uomini che donne. Poiché<br />

però i risultati sanitari del Regolamento erano molto limitati, ci furono<br />

in <strong>di</strong>verse circostanze degli interventi parlamentari contro <strong>di</strong> esso, finché<br />

nel 1888 il ministro Crispi emanò due nuovi decreti, che applicavano<br />

il principio della separazione dei due aspetti del problema, l’or<strong>di</strong>ne<br />

pubblico e la salute. Le “tolleranze”, in quanto esercizi pubblici, e non le<br />

“tollerate”, erano sottoposte alla sorveglianza igienica e amministrativa,<br />

ancora piuttosto rigida, mentre le visite e le cure me<strong>di</strong>che ed ospedaliere<br />

venivano garantite, su loro spontanea richiesta, sia ad uomini che a donne.<br />

Con la chiusura dei sifilocomi e la soppressione degli Uffici Sanitari<br />

presso le Questure veniva a concludersi quella o<strong>di</strong>osa fase della <strong>di</strong>sciplina<br />

statale sulle condotte prostituzionali, che era stata introdotta dalla prima<br />

regolamentazione. Tuttavia la <strong>di</strong>sciplina, con qualche successiva mo<strong>di</strong>fica,<br />

si protrasse, come si è detto, fino alla legge Merlin del 1958.<br />

La prostituzione nei documenti <strong>di</strong> San Giovanni in Persiceto<br />

I primi documenti rinvenuti e utilizzati per il presente lavoro sono<br />

quelli presenti nell’Archivio Storico <strong>di</strong> Bologna sotto la voce “Ufficio<br />

<strong>di</strong> Pubblica Sicurezza <strong>di</strong> San Giovanni in Persiceto - Prostituzione” e<br />

riportano la data del giugno 1859, quando la città si era appena liberata<br />

dal governo pontificio ed erano in vigore le norme delle Istruzioni<br />

sulla Prostituzione e del successivo Regolamento sulla Prostituzione per la<br />

25


26<br />

città <strong>di</strong> Torino, che attribuivano il potere <strong>di</strong> sorveglianza alla Questura e<br />

introducevano l’istituzione <strong>di</strong> un apposito Ufficio Sanitario operante in<br />

<strong>di</strong>retta relazione con essa. Il carteggio conservato nell’Archivio Storico<br />

<strong>di</strong> Persiceto, alla voce “Polizia - Meretrici”, (quello che non si è trovato,<br />

come detto più sopra, a Crevalcore) inizia invece nel maggio 1863, dopo<br />

che le istituzioni regie si erano già stabilmente installate ed era già attiva<br />

la “Regia delegazione Mandamentale <strong>di</strong> S. Giovanni in Persiceto” della<br />

Polizia, cui spettava, fra gli altri, anche il compito <strong>di</strong> applicare il Regolamento<br />

Cavour. da quel momento i mittenti e i destinatari delle corrispondenze<br />

relative alla prostituzione <strong>di</strong>ventarono stabilmente il delegato <strong>di</strong> Pubblica<br />

Sicurezza, l’Ufficio Sanitario, la Questura e i <strong>di</strong>rettori me<strong>di</strong>ci dell’Ufficio<br />

Sanitario e del Sifilocomio <strong>di</strong> Bologna, il Sindaco, oltre al Comando dei<br />

Regi Carabinieri.<br />

Quali erano i contesti e le persone che determinavano i <strong>di</strong>versi aspetti<br />

del controllo della prostituzione locale?<br />

Nel primo momento <strong>di</strong> applicazione dei regolamenti il compito<br />

principale delle autorità consisteva nell’in<strong>di</strong>viduare le presunte prostitute,<br />

così da poterle assoggettare alla visita sanitaria coatta. Poiché i<br />

regolamenti affermavano che erano da considerarsi meretrici le donne<br />

che esercitavano notoriamente la prostituzione, il criterio <strong>di</strong> accertamento<br />

si fondava sulle voci della “pubblica fama”. Non tutte le voci giungevano<br />

ad essere svelate e registrate nelle pubbliche carte, bensì solo quelle che<br />

riguardavano gli ambienti più poveri, “miserabili”, in quanto era la miseria<br />

che conduceva i casi alle autorità, tenute ad occuparsi <strong>di</strong> chi non aveva<br />

mezzi per sostenersi. Coloro che i mezzi li avevano contavano su riguardo<br />

e riservatezza e gestivano le loro faccende in un modo più <strong>di</strong>screto! In ogni<br />

caso, all’inizio gli sconcertati impiegati del decaduto governo pontificio<br />

si trovarono a dover affrontare un compito imbarazzante e scabroso e si<br />

dovettero improvvisamente occupare <strong>di</strong> malattie vergognose e <strong>di</strong> oscure<br />

parti anatomiche femminili. Nella pratica amministrativa tuttavia, tranne<br />

che nei certificati me<strong>di</strong>ci, praticamente “pornografici” nella crudezza del<br />

loro linguaggio, per nascondere l’imbarazzo, si cercava <strong>di</strong> usare eufemismi<br />

e giri <strong>di</strong> parole, quali “mal francese” o “male attaccaticcio”, “parti<br />

pudende”, “tributi mensili”, “arte meretricia” o “ turpe mestiere”.<br />

Sebbene constatasse con un certo rammarico che era stato “impossibile<br />

in questa città fondare una casa <strong>di</strong> tolleranza”, il delegato segnalava che<br />

esistevano non poche prostitute, in particolare nella zona attorno a Porta<br />

Ferrara e al canale, dove frequenti clamori notturni suscitavano i reclami<br />

dei citta<strong>di</strong>ni e delle autorità. Tuttavia l’esame della documentazione mostra


che un imponente apparato organizzativo, che oltre alle già citate autorità,<br />

comprendeva ambulatori, me<strong>di</strong>ci condotti, comandanti delle truppe,<br />

levatrici, guar<strong>di</strong>e municipali, custo<strong>di</strong> delle carceri, messi, consiglieri<br />

comunali, economi, personale del Ricovero, <strong>di</strong>rettore dell’ospedale<br />

dei Bastar<strong>di</strong>ni, istituti correzionali, birocciai, e così via, riguardava<br />

annualmente una popolazione locale <strong>di</strong> non più <strong>di</strong> una decina <strong>di</strong> donne<br />

de<strong>di</strong>te alla prostituzione. Tale numero si rileva da una lettera del delegato<br />

<strong>di</strong> Pubblica Sicurezza che nel 1866 richiedeva alla Questura <strong>di</strong> Bologna,<br />

oltre a un registro per le iscritte, a uno per le infette e a un bollettario<br />

per le tasse prescritte, una dotazione <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci libretti da rilasciare alle<br />

meretrici! Riflettendo su quanto è stato detto in precedenza sull’efficacia<br />

finale della regolamentazione nei confronti dello scopo istituzionale, ossia<br />

il contrasto alla <strong>di</strong>ffusione della sifilide, <strong>di</strong> nuovo occorre rilevare quanto<br />

spesso gli apparati burocratici eccedano rispetto ai risultati, in particolare<br />

quando i provve<strong>di</strong>menti legislativi vengono elaborati in funzione <strong>di</strong> una<br />

pretesa ragione <strong>di</strong> “emergenza”.<br />

Nei fatti l’origine dell’emergenza era costituita dai “presi<strong>di</strong> <strong>di</strong> truppa”,<br />

ossia battaglioni militari stazionanti nel territorio durante le fasi più decisive<br />

delle guerre risorgimentali. dal Ministero giungeva la sollecitazione a far<br />

praticare visite straor<strong>di</strong>narie alle donne de<strong>di</strong>te alla prostituzione “onde<br />

preservare [le truppe] dal pericolo <strong>di</strong> contrarre infezioni”. Successero<br />

anche dei <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ni ed un Generale segnalò che alcuni militari si<br />

recavano nelle case <strong>di</strong> prostitute e pretendevano con minacce che esse<br />

si prestassero senza mercede o la restituissero dopo la consumazione.<br />

Ad<strong>di</strong>rittura, due prostitute che stavano all’Osteria della Stella erano<br />

state costrette a scappare a Bologna. Il Generale ammoniva però che “la<br />

mancanza o la deficienza <strong>di</strong> meretrici dove <strong>di</strong>mora molta truppa potrebbe<br />

arrecare gran<strong>di</strong> inconvenienti”, per cui occorreva prendere provve<strong>di</strong>menti<br />

per rime<strong>di</strong>are alla carenza!<br />

I primi elenchi <strong>di</strong> “sospette” comprendono i nomi delle coniugate<br />

Rosa Novellini, Maria Cavallini, Giuseppina Vignoli, che aveva appena<br />

partorito, domenica degli Esposti, Teresa Re, Teresa Balugani, Leonilde<br />

Martignoli, Carlotta Cocchi, Carlotta Morisi, Carolina Guizzar<strong>di</strong>, Rosa<br />

Morisi e le nubili Virginia Cotti, giovinetta, Virginia Piccinini, Ottavia<br />

Pe<strong>di</strong>ni. Qualcuna era già stata visitata, altre avrebbero dovuto esserlo<br />

al più presto. Alcune risultarono ammalate, per cui due <strong>di</strong> esse vennero<br />

spe<strong>di</strong>te al carcere correzionale della Ba<strong>di</strong>a a Bologna, altre furono ammesse<br />

al Ricovero <strong>di</strong> Persiceto, una fu affidata al marito con l’intimazione<br />

<strong>di</strong> sorvegliarla e curarla, e per la “infelice traviata” Virginia Piccinini<br />

27


28<br />

“essendo… molto giovane e da marito” si fece un tentativo <strong>di</strong> curarla in<br />

paese per non infamarla inviandola al carcere correzionale.<br />

Quando nel 1869 si avviò la regolare pratica della visita bisettimanale<br />

l’Ospedale civile aveva messo a <strong>di</strong>sposizione un locale al piano terreno del<br />

palazzo SS. Salvatore, sede dell’Ospedale omonimo, con accesso dal lato<br />

Sud, dove fino a non molti anni fa era ubicato l’Ufficio Postale. Poiché il<br />

corridoio su cui affacciava tale camera era <strong>di</strong>rettamente collegato da un<br />

lato all’ingresso principale e alla scala per i reparti <strong>di</strong> infermeria del piano<br />

superiore, dall’altro alla Piazza oggi detta Sassoli, si venivano a ingenerare<br />

incresciosi incontri o scontri fra i malati <strong>di</strong> ogni età e sesso, i <strong>di</strong>pendenti<br />

e le donne pubbliche che trascendevano in scostumate condotte. Esse<br />

davano spesso motivo <strong>di</strong> <strong>di</strong>sturbo con il loro linguaggio, il loro berciare, il<br />

loro sconcio comportamento ed abbigliamento e per <strong>di</strong> più non mancava<br />

l’indecoroso sollazzo dei giovanotti e dei per<strong>di</strong>tempo che nei giorni e<br />

orari <strong>di</strong> visita sfilavano su e giù per la piazza per vedere e irridere le<br />

prostitute che vi convenivano. Con una specie <strong>di</strong> “blitz” la presidenza<br />

dell’Ospedale revocò <strong>di</strong> punto in bianco la concessione della camera, e<br />

ne scaturì una polemica col <strong>Comune</strong> e una denuncia alla Prefettura,<br />

fino a che si giunse ad una ricucitura dello strappo quando l’Ospedale<br />

concesse dapprima un altro locale al piano superiore dello stabilimento,<br />

più appartato e riguardato (forse quello subito a destra dello scalone <strong>di</strong><br />

accesso in fondo agli attuali uffici della Biblioteca Comunale) e in seguito<br />

due locali nella Pia Casa <strong>di</strong> Ricovero, a pianterreno nella via del portico<br />

<strong>di</strong> S. Francesco (quello del vecchio Ospedale), con accesso da una porta<br />

che dava sull’angolo con via Borletto, più defilati e più adatti allo scopo.<br />

Abitualmente venivano obbligate a visita tutte le donne sospette <strong>di</strong><br />

“darsi in braccio al meretricio” anche se non erano iscritte nel registro e<br />

non erano in possesso del libretto. Le donne trovate affette da “celtico<br />

malore” venivano inviate a cura coatta, ma i me<strong>di</strong>ci erano piuttosto<br />

approssimativi nel decidere <strong>di</strong> quale malattia si trattasse e per lo più si<br />

limitavano a descrivere i sintomi e le lesioni, tanto che la Questura<br />

ancora nel 1870 doveva riba<strong>di</strong>re che al Sifilocomio dovevano essere inviate<br />

solo donne affette da “vera lue”.


Per quanto concerne il livello sociale e “professionale” delle prostitute<br />

persicetane si rileva che esse non erano “<strong>di</strong> qualità”: nel foglio statistico<br />

del 1872 sono classificate “tutte <strong>di</strong> terza classe”. In un elenco del 1868<br />

sono in<strong>di</strong>cate ventotto donne fra maritate, vedove e nubili e ciascuna <strong>di</strong><br />

esse viene qualificata dal solerte impiegato come “sospetta”, “puttana” o<br />

“puttanissima”.<br />

Una parte <strong>di</strong> donne è rappresentata dalle coniugate, per legge “soggette<br />

a maritale potestà”, con<strong>di</strong>zione che attribuiva al marito precisi doveri<br />

e poteri nei confronti della moglie, tanto che potevano essere a loro<br />

affidate perché le sorvegliassero: al marito <strong>di</strong> Teresa Re, Alessandro Rossi,<br />

veniva “intimato il precetto” <strong>di</strong> vigilare <strong>di</strong>ligentemente la condotta della<br />

moglie affinché non si desse alla prostituzione e <strong>di</strong> provvedere alla cura<br />

della sua lue venerea; in caso <strong>di</strong> inobbe<strong>di</strong>enza la moglie sarebbe stata<br />

arrestata e tradotta alle carceri dell’Abba<strong>di</strong>a a Bologna, mentre a lui non<br />

era minacciata alcuna sanzione.<br />

Cruciale era poi la con<strong>di</strong>zione delle minorenni, giovinette <strong>di</strong> quin<strong>di</strong>ci<strong>di</strong>ciotto<br />

anni, una ad<strong>di</strong>rittura <strong>di</strong> un<strong>di</strong>ci, che erano affette da malattie<br />

veneree e che dovevano essere curate. Erano da considerarsi prostitute?<br />

E dove inviarle per la cura? Il delegato <strong>di</strong> Polizia si poneva il problema,<br />

sebbene vivessero in ambienti già degradati ed avessero una pessima<br />

fama, <strong>di</strong> non <strong>di</strong>sonorarle col mandarle in posti dove i nomi stessi erano<br />

marchi d’ignominia e dove avrebbero dovuto restare a contatto con le più<br />

svergognate e sor<strong>di</strong>de meretrici, compromettendo la possibilità <strong>di</strong> maritarsi.<br />

<strong>di</strong>versi sono i nomi che compaiono: Virginia Piccinini, Enrica Vignoli,<br />

Giovanna Rossi, Amalia Piccinini, Alfonsina e Amalia Borghi, Marianna<br />

Guizzar<strong>di</strong>, Maria Stefani. Esse erano considerate, più che “naturalmente<br />

<strong>di</strong>sposte”, vittime <strong>di</strong> <strong>di</strong>sperate situazioni familiari, in cui mancavano<br />

uno o entrambi i genitori, ma soprattutto della turpitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> qualche<br />

sorella maggiore o <strong>di</strong> qualche madre che speculava sulla loro giovane età.<br />

Maria Stefani aveva circa <strong>di</strong>ciassette anni quando era fuggita dall’osteria<br />

29


30<br />

<strong>di</strong> Carpi, nella quale era andata a servizio, per seguire la Compagnia <strong>di</strong><br />

Operette de Angelis. I genitori che la cercavano e non la trovavano da<br />

nessuna parte, si rivolsero alla Polizia ma c’era il sospetto che la madre,<br />

donna <strong>di</strong> pessimi costumi, fosse interessata a far “rimpatriare la figlia …<br />

per mercanteggiare sulla sua gioventù”. Poi venne ritrovata, fu più volte<br />

fatta curare perché infetta, venne rimpatriata da Carpi e da Cento con<br />

foglio <strong>di</strong> via, stazionò anche alcuni giorni nel postribolo <strong>di</strong> Cento tenuto<br />

da Enrica Salvi ed alla fine, nel 1893, accettò <strong>di</strong> farsi curare a domicilio.<br />

I luoghi più consueti <strong>di</strong> prostituzione tollerata, ma anche clandestina,<br />

erano alcune abitazioni private e alcune osterie, in cui si riservavano una o<br />

più camere appartate nelle quali le donne ricevevano i “signori” o i soldati<br />

o comunque i frequentatori del mercato e delle fiere. Sono citate più volte<br />

le osterie del Leoncino, del Giubagino, della Stella, <strong>di</strong> Via S. Apollinare.<br />

Nel 1867 si trova un’istanza al Questore <strong>di</strong> Bologna da parte degli osti<br />

<strong>di</strong>onigio Scagliarini e Margherita Michelini che, <strong>di</strong>chiarandosi carichi<br />

<strong>di</strong> numerosa famiglia e <strong>di</strong> vita assai stentata, chiedevano in occasione<br />

della fiera, per una settimana, “la grazia <strong>di</strong> consentire che l’uno e l’altra<br />

[potessero] tenere due prostitute per ciascuno per vedere <strong>di</strong> guadagnare<br />

qualche cosa”. La risposta fu perentoria: la Questura ha l’incarico <strong>di</strong><br />

tutelare la pubblica moralità e non darà mai il suo assenso a che pubblici<br />

esercenti si facciano strumento <strong>di</strong> corruzione e non asseconderà.“la turpe<br />

speculazione che i due osti vorrebbero intraprendere” .<br />

Alcune delle donne compaiono nei documenti in una sola o poche<br />

circostanze, mentre altre saranno presenti per <strong>di</strong>versi anni, protagoniste<br />

<strong>di</strong> visite, malattie, ricoveri, prescrizioni, carcerazioni, espulsioni, ribellioni,<br />

trasferimenti, fughe, gravidanze clandestine, provve<strong>di</strong>menti <strong>di</strong>versi,<br />

mentre nuove figure si faranno presenti <strong>di</strong> anno in anno sulla scena, citate<br />

oltre che con i loro nomi anagrafici anche con i loro soprannomi, a volte<br />

curiosi, a volte storpiati o usati ad<strong>di</strong>rittura come cognomi.<br />

Virginia Piccinini, alias Luzzi o Luzì o Luzy o la Luzzi, nel 1859<br />

venne trovata affetta da mal francese ed arrestata perché de<strong>di</strong>ta “all’arte<br />

meretricia”. In seguito venne trovata ripetutamente malata, poi autorizzata<br />

a curarsi sotto il controllo del padre e dei fratelli perché “non si d[esse] a<br />

uomo” fino alla guarigione. dopo ulteriori reclami da parte <strong>di</strong> Carabinieri<br />

contagiati fu internata nel Ricovero, da cui fuggì con una compagna<br />

calandosi da una finestra e attraversando il canale in secca. Fu fatta ricercare<br />

e per mezzo dei connotati registrati sappiamo che aveva “20 anni circa,<br />

occhi neri, capelli neri, naso e mento regolari, carnagione olivastra, statura<br />

giusta” e indossava “una vesta <strong>di</strong> cambriule scura e su<strong>di</strong>cia”. Ritrovata a


Bologna per mezzo <strong>di</strong> un suo biglietto fatto recapitare al padre, dovette<br />

restituire degli indumenti rubati durante le fuga. Fu poi nuovamente<br />

ricoverata e dopo la guarigione rinchiusa in carcere per scontare nove<br />

giorni <strong>di</strong> punizione. Qualche tempo dopo richiese un libretto <strong>di</strong> servizio<br />

per recarsi a lavorare a Bologna nel tentativo <strong>di</strong> “ritornare nella via<br />

dell’onestà” ma presto la troviamo a farsi me<strong>di</strong>care dal dott. Sacenti<br />

per lesioni al viso prodotte da uno “scal<strong>di</strong>no” lanciatole contro in una<br />

bottega. da Maria Magoni che si era lamentata con una vicina <strong>di</strong> non aver<br />

nulla da mangiare perché suo marito aveva consumato tutto il suo denaro<br />

trattenendosi due giorni a S. Agata con Virginia. dopo ulteriori ricoveri<br />

per le stesse malattie, Virginia faceva sapere <strong>di</strong> trovarsi a Firenze, dove era<br />

stata abbandonata da un “buon giovane”, che era partito senza avvertirla<br />

con un <strong>di</strong>staccamento militare, e dove si nascondeva presso una signora<br />

per il timore <strong>di</strong> essere arrestata. Con una pietosa lettera fatta recapitare al<br />

delegato <strong>di</strong> Persiceto chiedeva che egli le inviasse, presso un soldato dei<br />

Granatieri <strong>di</strong> Sardegna, le sue “carte <strong>di</strong> sicurezza” allo scopo <strong>di</strong> rientrare<br />

in paese. Rientrò e qualche anno dopo, nel 1866, ricompare in un elenco<br />

<strong>di</strong> meretrici, nel quale <strong>di</strong> lei si <strong>di</strong>ce: “fu puttana, ora ha marito e non ha<br />

del tutto smesso”.<br />

Enrica Vignoli, detta Bellaparola, per la sua “proclività al malcostume”<br />

ottenne ben presto il “libretto” da lei ripetutamente richiesto. Era<br />

un’irrequieta, non stava agli or<strong>di</strong>ni, nel gennaio del 1869 era iscritta<br />

nell’elenco degli arrestati per la rivolta e le violenze insorte in paese a<br />

seguito della tassa sul macinato. Più volte ricoverata al Sifilocomio e<br />

nel Ricovero, più volte incarcerata o rimandata in patria con foglio <strong>di</strong><br />

via, nel 1869 rimase incinta e scandalosamente non si faceva scrupolo<br />

<strong>di</strong> andare in giro a “portare in trionfo la vergogna della prostituzione”,<br />

tanto da procurare l’intervento del Parroco per “togliere l’offesa”. Negli<br />

anni successivi, fino al 1879, subì ancora ricoveri, ammonizioni a recedere<br />

dalla prostituzione e ad osservare la legge, ed arresti perché trovata<br />

a girovagare per le vie principali <strong>di</strong> sera, anche dopo l’Ave Maria, e a<br />

provocare schiamazzi ad<strong>di</strong>rittura nella pubblica piazza.<br />

Per concludere, esprimo l’opinione che dalle storie e dai fatti fin qui<br />

riportati sia possibile ricavare riflessioni e modelli attorno ad un argomento<br />

che tuttora ci costringe a confrontarci con la miseria, lo sfruttamento e la<br />

tratta delle donne, la prevenzione <strong>di</strong> gravi malattie, la vigilanza sull’or<strong>di</strong>ne<br />

pubblico, il contrasto alla delinquenza ed anche, non secondariamente,<br />

l’analfabetismo e la pochezza sessuale <strong>di</strong> troppi uomini. Con la speranza<br />

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32<br />

che tale riflessione possa in<strong>di</strong>rizzare il <strong>di</strong>battito pubblico e le decisioni<br />

politiche al superamento degli inefficaci e rovinosi schemi del passato, per<br />

progettare interventi capaci <strong>di</strong> frenare l’ignoranza, il <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne, la violenza<br />

e l’abuso senza compromettere la <strong>di</strong>gnità, la sensibilità e la responsabilità<br />

personale dei soggetti coinvolti nel fenomeno del sesso a pagamento.


ROBERTO TOMMASINI<br />

I moti del 1831<br />

“Qui l’or<strong>di</strong>ne pubblico è quieto e lo spirito pubblico non patisce veruna alterazione.”<br />

Era la frase con cui il 4 Febbraio 1831 Petronio Vecchi, Priore <strong>di</strong> Crevalcore,<br />

chiudeva il suo settimanale bollettino politico in<strong>di</strong>rizzato alla Polizia Provinciale<br />

<strong>di</strong> Bologna.<br />

Il bollettino era un elenco dei crimini, degli illeciti e dei conseguenti interventi<br />

<strong>di</strong> polizia accaduti in territorio crevalcorese.<br />

I reati in<strong>di</strong>cati erano prevalentemente i furti, le aggressioni e le offese, ma<br />

quella settimana, oltre all’arresto <strong>di</strong> un tale Giuseppe Lo<strong>di</strong> <strong>di</strong> Caselle, detto il Cristo,<br />

reo <strong>di</strong> insulti e strapazzi verso il Rettore della Chiesa <strong>di</strong> Caselle, il bollettino<br />

trattò anche <strong>di</strong> un dragone modenese venuto a Palata per fare incetta <strong>di</strong> armi da<br />

fuoco e dell’eco <strong>di</strong> cannonate provenienti dal modenese la notte precedente.<br />

Effettivamente, anche a forza <strong>di</strong> cannonate, la notte del 3 Febbraio, Francesco<br />

IV duca <strong>di</strong> Modena stroncò sul nascere l’insurrezione organizzata da Ciro Menotti.<br />

L’insurrezione, repressa a Modena, si propagò comunque nei giorni successivi<br />

alle altre città emiliane e in seguito a quelle romagnole e delle Marche.<br />

A Bologna il rifiuto <strong>di</strong> Polizia e Milizia <strong>di</strong> sparare sul popolo costrinse il prolegato<br />

ad autorizzare la costituzione <strong>di</strong> una Commissione <strong>di</strong> governo provvisoria<br />

formata dai conti Carlo Pepoli, Alessandro Agucchi, Cesare Bianchetti, dal<br />

professor Francesco Orioli, dagli avvocati Antonio Zanolini e Antonio Silvani e<br />

presieduta dal marchese Francesco Bevilacqua.<br />

Il primo atto del nuovo organo <strong>di</strong> governo fu quello <strong>di</strong> istituire una Guar<strong>di</strong>a<br />

Nazionale, seguito poi dalla formalizzazione del Governo Provvisorio della città<br />

e della provincia <strong>di</strong> Bologna.<br />

don Angelo Frabetti, Cappellano nella chiesa <strong>di</strong> San Silvestro <strong>di</strong> Crevalcore,<br />

così descrisse quell’evento, una decina <strong>di</strong> anni dopo, in una sua cronaca manoscritta:<br />

“… e questo fu il giorno cinque Febbraio dove a Bologna furono levati i stemmi del Papa,<br />

e furono inalzate alcune ban<strong>di</strong>ere a tre colori bianco, verde e rosso, e fu comandato che tutti<br />

portassero nel Castello la Cocarda tricolorata e isituirono una guar<strong>di</strong>a nazionale colla montura<br />

a tre colori .<br />

Questo governo Liberale si <strong>di</strong>ramò nei Castelli soggetti alla Città <strong>di</strong> Bologna dove si videro<br />

proclami e Notificazioni detto Governo Liberale. Crevalcore in si fatta circostanza mostrò<br />

gran fanatismo al governo Liberale per essere sud<strong>di</strong>to a Bologna, e ai confini del Modenese<br />

35


36<br />

che innalzò una ban<strong>di</strong>era a tre colori che fu fatta a bella posta dalla Sig. ra Carolina Fangarezzi<br />

in Rossi fanatica per liberalismo e la regalò alla <strong>Comune</strong> e fu attaccata alla Casa<br />

Comunale” .<br />

L’esposizione del vessillo coincise probabilmente con la proclamazione dello<br />

statuto costituzionale approvato a Bologna il 4 <strong>di</strong> Marzo dall’Assemblea<br />

dei deputati delle Province Unite. Qualche giorno prima, sempre a Bologna,<br />

<strong>di</strong>ventata il centro decisionale dell’Assemblea delle Province Unite, era stata pianificata<br />

una spe<strong>di</strong>zione armata contro Roma, ed era stato adottato come stemma<br />

dell’Unione un’aquila nera in campo d’oro sovrapposta al fascio consolare annodato<br />

con nastri tricolori.<br />

Il tricolore era il simbolo che univa tutte le province insorte, la prova <strong>di</strong><br />

una strategia unica nell’insurrezione <strong>di</strong> città <strong>di</strong> stati <strong>di</strong>fferenti, la testimonianza<br />

dell’ambizione all’ unità nazionale degli insorti.<br />

A parte un gruppo <strong>di</strong> giovani corsi a dar man forte agli insorti Modenesi che<br />

erano agli or<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> un certo Giuseppe Manicar<strong>di</strong>, ufficiale estense pensionato,<br />

fino a quel momento i Crevalcoresi non furono particolarmente coinvolti nei<br />

moti rivoluzionari. In paese non c’erano presi<strong>di</strong> militari da conquistare, simboli<br />

del potere da abbattere, governanti da mettere in fuga.<br />

La pubblica amministrazione continuò ad essere gestita dal Priore Petronio<br />

Vecchi, eletto sotto il legato pontificio, mentre la guar<strong>di</strong>a civica locale si era sciolta<br />

da sola un anno prima, dopo aver perso il proprio comandante in un conflitto<br />

a fuoco con un malvivente.<br />

Il primo momento collettivo <strong>di</strong> partecipazione all’insurrezione fu l’organizzazione<br />

della Guar<strong>di</strong>a Nazionale locale.<br />

Il 5 Febbraio, giorno della costituzione del Governo provvisorio, era stato<br />

<strong>di</strong>vulgato a Bologna un e<strong>di</strong>tto sulla partecipazione obbligatoria <strong>di</strong> tutti i citta<strong>di</strong>ni<br />

maggiori <strong>di</strong> 18 anni alla Guar<strong>di</strong>a Nazionale. Ogni comune doveva costituire la<br />

propria: “ con le armi <strong>di</strong> cui sono in possesso, <strong>di</strong>videndosi in sedentari e mobili, portando la<br />

coccarda tricolore” .<br />

A Crevalcore la formazione della Guar<strong>di</strong>a nazionale avvenne una domenica<br />

<strong>di</strong> Marzo dalle sei del mattino all’una pomeri<strong>di</strong>ana. davanti alle fosse del castello<br />

a levante, si riunirono in assemblea tutti gli uomini dai <strong>di</strong>ciotto ai cinquant’anni<br />

delle parrocchie <strong>di</strong> Crevalcore, Sammartini e Caselle.<br />

durante l’assemblea vennero eletti capitani, tenenti, sergenti e formati i reparti,<br />

detti centurie, che costituirono la Guar<strong>di</strong>a Nazionale <strong>Crevalcorese</strong>. Gli<br />

ufficiali furono scelti fra i possidenti del paese, sicuramente più abituati a comandare<br />

( e un po’ istruiti ), mentre i reparti vennero composti in base alla statura<br />

dei volontari. Definiti i ruoli, il nuovo contingente militare, entrò trionfante nel<br />

castello e, dopo aver sfilato in formazione <strong>di</strong> battaglia, si schierò nella piazza del<br />

paese, dove fra le acclamazioni venne portata la ban<strong>di</strong>era tricolore.<br />

Nei locali situati fra la Casa del <strong>Comune</strong> e la sconsacrata Chiesa dei Battuti, già


37<br />

Febbraio 1831, Crevalcore - Esposizione del tricolore dal Palazzo Comunale


38<br />

utilizzati come quartiere dalla Guar<strong>di</strong>a Nazionale in Epoca Napoleonica, venne<br />

organizzata la caserma della nuova forza militare, subito posta sotto la sorveglianza<br />

<strong>di</strong> sentinelle. Comandante in capo della Guar<strong>di</strong>a Nazionale <strong>Crevalcorese</strong><br />

fu eletto il sig. Giuseppe Michelini.<br />

La strategia militare a <strong>di</strong>fesa del governo e della nuova costituzione era suggerita<br />

da un volantino <strong>di</strong>ffuso a Bologna il 7 Febbraio, intitolato “ Nuovo catechismo<br />

pel 1831” che pre<strong>di</strong>cava:<br />

“Chi non potrà avere uno schioppo, prenderà una forca, un ba<strong>di</strong>le, la falce del fieno <strong>di</strong>rizzata,<br />

un bastone con una punta <strong>di</strong> ferro.<br />

Quando il nemico minaccia le frontiere, bisogna subito ritirare i viveri, i bestiami, e le munizioni<br />

nei borghi, nelle castella, e nelle città; e là, all’imboccatura <strong>di</strong> tutte le strade, coprirsi <strong>di</strong><br />

barricate, alte cinque pie<strong>di</strong>, e ripetute anche nell’interno, a cento passi <strong>di</strong>stanti uno dall’altra.<br />

Bisogna inoltre preparare nelle case dei sassi e delle pietre. Quando il nemico si presenterà, gli<br />

uomini armati si <strong>di</strong>fenderanno <strong>di</strong>etro le barricate, e le donne, i vecchj, ed i ragazzi, dalle finestre<br />

e dai tetti getteranno sul nemico i sassi, le pietre, i tegoli stessi.<br />

Il paese che sarà minacciato farà subito suonare la campana a martello; ed i paesi circonvicini,<br />

che non avranno il nemico in vista, invieranno imme<strong>di</strong>atamente tutti gli uomini armati in<br />

soccorso del paese attaccato.<br />

In questo modo nessun nemico, per forte che sia, potrà sottomettere il popolo”.<br />

Il nemico possente, addestrato ed equipaggiato, era già arrivato in soccorso<br />

della duchessa <strong>di</strong> Parma e del duca <strong>di</strong> Modena. Si trattava dell’esercito Austriaco<br />

che a Fiorenzuola d’Arda il 2 Marzo sconfisse gli insorti parmensi e tre giorni<br />

dopo a Novi quelli modenesi. Il 6 <strong>di</strong> Marzo, giorno successivo alla battaglia, la<br />

notizia della sconfitta degli insorti modenesi giunse e si <strong>di</strong>ffuse in paese per<br />

opera <strong>di</strong> un certo Petronio Accorsi, crevalcorese e volontario nei dragoni della<br />

provincia <strong>di</strong> Modena, corpo militare in cui era corso ad arruolarsi nei giorni<br />

successivi all’insurrezione.<br />

Petronio Vecchi, Priore <strong>di</strong> Crevalcore, per evitare allarmismi fra la popolazione<br />

pose il reduce sotto la custo<strong>di</strong>a del corpo <strong>di</strong> guar<strong>di</strong>a e informò imme<strong>di</strong>atamente<br />

il Governo provvisorio della Città e Provincia <strong>di</strong> Bologna, della vittoria<br />

austriaca:<br />

“il battaglione dell’arciduca <strong>di</strong> Modena arrivò jeri a Carpi <strong>di</strong>rigendosi verso Modena ma<br />

che <strong>di</strong>mostratosi coi liberali e venuto alla zuffa con questi fosse prima sconfitto, ma che <strong>di</strong>ppoi<br />

rinforzato da truppa tedesca furono i liberali respinti”;<br />

e del conseguente sviluppo della situazione :<br />

“<strong>di</strong>versi modenesi <strong>di</strong> Bomporto che hanno confirmata la avanti detta Notizia, <strong>di</strong>cendo <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>rigersi a Castelfranco per raggiungervi i liberali modenesi ivi dovuti ritirarsi per l’urto dè<br />

tedeschi “.<br />

Le notizie trasmesse al Governo Bolognese furono integrate ancora dal Priore,<br />

verso sera, da un secondo <strong>di</strong>spaccio che riportava:<br />

“6 marzo 1831.


All’eccelsa Commissione governativa della Città e Provincia <strong>di</strong> Bologna .<br />

In aggiunta alla mia d’oggi segnata antecedente n° 96, sono a partecipare a codesta Eccelsa<br />

Commissione, che ulteriori notizie ricevute da n° 18 Mirandolesi qui giunti questa<br />

sera armati <strong>di</strong> fucili ( …) portano che l’incursione nelli Stati <strong>di</strong> Modena è operata dal solo<br />

Battaglione che seguì il Duca nella sua ritirata, e da alquanti insorgenti vestiti in varie foggie,<br />

ed in particolare aventi in testa un capello alla Tirolese .<br />

Si ha poi <strong>di</strong> certo che Corpi <strong>di</strong> liberali Modenesi, sonsi ritirati da què stati e stanziano oggi<br />

l’uno a Castelfranco, l’altro a San Giovanni in Persiceto .<br />

Qui tutto è quieto e tranquillo ed al giungere <strong>di</strong> qualche interessante notizia mi farò dovere<br />

ragguagliarne codesta Eccelsa Commissione .<br />

Le rinnovo i sentimenti dell’alta mia stima ed ossequio .<br />

Il Priore P.Vecchi “<br />

Quello stesso giorno, il legato Pontificio riprendeva il governo della città <strong>di</strong><br />

Ferrara grazie all’azione dell’esercito asburgico, intervenuto su richiesta del Pontefice<br />

per ripristinare la situazione precedente all’insurrezione.<br />

Il giorno seguente da Bologna giunsero le istruzioni, richieste dal Priore in<br />

merito all’assistenza da fornire ai 18 insorti Mirandolesi: l’intestazione era stata<br />

mo<strong>di</strong>ficata a mano, trasformando “Governo provvisorio della città e provincia <strong>di</strong><br />

Bologna” in “Governo Provvisorio delle province libere d’Italia”.<br />

Scrupolosamente il Priore <strong>di</strong> Crevalcore continuò a trasmettere a Bologna le<br />

notizie che giungevano da oltre confine, comunicando l’11 <strong>di</strong> Marzo:<br />

“Preso del dovere d’informare approssimativamente codesto Eccellentissimo Governo sulla<br />

parte delle cose attuali, ed eccone il dettaglio.<br />

La sera delli 8 correnti il battaglione del Duca <strong>di</strong> Modena giunse a Bomporto luogo <strong>di</strong>stante<br />

da questo castello circa cinque miglia. Dopo aver ivi bivaccato per tutta la notte la mattina del<br />

giorno susseguente q.d. partì detta truppa alla volta <strong>di</strong> Modena e <strong>di</strong>cesi per certo che alle ore 8<br />

Antimeri<strong>di</strong>ane <strong>di</strong> detto giorno entrasse in detta città senza seguisse alcun fatto d’armi, anche<br />

ivi trovasi tutt’ora.<br />

I liberali Modenesi all’avvicinarsi del Battaglione suin<strong>di</strong>cato finirono a Castelfranco, e <strong>di</strong> là<br />

partirono ieri mattina alla volta <strong>di</strong> Codesta Città.<br />

Nulla <strong>di</strong> più preciso posso <strong>di</strong>re sul loro proposito.<br />

Qui è tutto quieto e tranquillo e questa Guar<strong>di</strong>a Nazionale prosegue il suo servizio con<br />

zelo, ed attività.<br />

Se in seguito avrò altre notizie mi farò premura d’informare codesto Eccel.mo Governo al<br />

quale protesto la sincera mia stima, ed ossequio.<br />

Il Priore P. Vecchi”<br />

Il 19 <strong>di</strong> Marzo gli Austriaci lanciarono l’assalto alle province insorte dello Stato<br />

della Chiesa e in quel giorno il Priore <strong>di</strong> Crevalcore informò la Commissione<br />

Provinciale <strong>di</strong> Polizia <strong>di</strong> Bologna della presenza <strong>di</strong> un reparto austriaco alle porte<br />

del paese:<br />

“Circa le ore nove <strong>di</strong> questa mattina sono sconfinati per questo Paese n° 35 tedeschi armati<br />

39


40<br />

condotti da un suo ufficiale proveniente da Cento.<br />

All’arrivo <strong>di</strong> questi che sonsi fermati alla porta del paese che conduce a Modena osservando<br />

una carta Geografica, questo Sig. Luigi Rossi comandante questa Guar<strong>di</strong>a Nazionale gli si è<br />

presentato chiedendogli a che fossero venuti, e dal ufficiale tedesco le è stato risposto, per nulla,<br />

e che era stato uno sbaglio <strong>di</strong> strada dovendosi pasare a Bomporto, ove effettivamente sonsi<br />

incamminati, e passato il confine .<br />

Nulla hanno richiesto e molestato e le cose sono restate nel piede <strong>di</strong> prima, come pure questa<br />

guar<strong>di</strong>a Nazionale .<br />

Questa è la trista notizia che vengo sollecitamente a partecipare a Codesta Commissione, ed<br />

attenendomi frattanto alle prescrizioni della circolare <strong>di</strong> codesto Governo n° delli 8 detto messe,<br />

ho l’onore <strong>di</strong> rassegnarmi colla dovuta stima il massimo esequio.<br />

Il Priore<br />

Facendomi dovere <strong>di</strong> partecipare a codesta Commissione ulteriori notizie <strong>di</strong> quanto potesse<br />

accadere<br />

Spe<strong>di</strong>ta al destino per espresso” .<br />

dell’arrivo degli Austriaci a Crevalcore, la mattina del 19 Marzo 1831, esiste<br />

anche la versione del già citato don Angelo Frabetti che, rimasto fedele al governo<br />

Pontificio, così descrive il fatto nella sua cronaca manoscritta:<br />

“ Oh che bel vedere allor quando al comparire sulla piazza dopo il Campanile quel Corpo<br />

<strong>di</strong> soldati, che la Guar<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Crevalcore al vederli tutti se ne fuggirono, e il Capo posto che era<br />

quel giorno il Sig. Pietro Golinelli che depose la spada che aveva nel cinto dopo una Colonna<br />

del Quartiere, e gridare a suoi soldati e compagni che nascondessero i fucili che erano nel<br />

Quartiere, e <strong>di</strong>fatti li nascosero nel granaio del Teatro, e fu subito cambiata la nuova Ban<strong>di</strong>era<br />

in una vecchia tutta logora e la nuova mai più si vide comparire in pubblico cosi andò a termine<br />

il fanatismo <strong>Crevalcorese</strong> perché pochi giorni dopo vennero a Bologna tre<strong>di</strong>ci milla Tedeschi a<br />

sedare il tumulto dei Rivoluzionari, e a ristabilire il Governo Pontificio” .<br />

Il comportamento degli insorti Bolognesi non <strong>di</strong>fferì molto da quello dei<br />

Crevalcoresi e Bologna si consegnò, senza combattimenti, il 21 <strong>di</strong> Marzo nelle<br />

mani dell’esercito Austriaco.<br />

Il giorno prima il Governo delle Provincie Unite si era trasferito ad Ancona<br />

dove tentò <strong>di</strong> organizzare la <strong>di</strong>fesa. In quel giorno il Priore <strong>di</strong> Crevalcore riprese a<br />

compilare il proprio bollettino politico, ancora trasmesso al Governo Provvisorio<br />

delle Provincie Unite Italiane.<br />

Seguiva tre giorni dopo un’informativa alla Commissione Provinciale <strong>di</strong> Polizia,<br />

in cui oltre alla notizia <strong>di</strong> un furto, era descritta la situazione locale successiva<br />

al ripristino del governo Pontificio:<br />

“23 Marzo 1831.<br />

Con mio rammarico, e più grande <strong>di</strong>spiacere vengo a partecipare a codesta Polizia una<br />

rapina accaduta la scorsa notte alla Casa <strong>di</strong> Geremia Lo<strong>di</strong> Colono del Quartiere Albero in<br />

<strong>di</strong>stanza da questo Castello circa due miglia dalla parte <strong>di</strong> Camposanto Stato Estense, per<br />

opera <strong>di</strong> un<strong>di</strong>ci malvaggi sconosciuti armati <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> bastoni, ed uno <strong>di</strong> una pistola, parte


41<br />

Marzo 1831, Crevalcore - Costituzione della Guar<strong>di</strong>a Nazionale


42<br />

tinti in faccia, parte con fazzoletti tenevansi coperti fino agli occhi; quali dapprima tentarono<br />

introdursi in casa del suddetto Lo<strong>di</strong> col mentire nome <strong>di</strong> pattuglia della Guar<strong>di</strong>a del <strong>Comune</strong>, e<br />

<strong>di</strong>ppoi entraronsi con violenza derubandolo <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi Capi, arnesi e carni, il tutto come appare<br />

qui dalla mia denuncia del derubato stesso.<br />

Dalle interrogazioni fatte verbalmente al denunciante può sospettarsi che i malvaggi siano<br />

della villa <strong>di</strong> Camposanto sopradetto unito a quel Serafino Accorsi fuggiasco da queste carceri,<br />

e partecipato a codesta Polizia al n° 2 dello stesso bolettino R.le. delli 20 stante; avvalorando<br />

i sospetti suddetti le denuncie avutisi, che i malfattori colla refurtiva sonsi <strong>di</strong>retti al Modenese.<br />

Vedesi purtroppo che i male intenzionati, dopo che le truppe Austriache sonsi ritirate dal<br />

posto <strong>di</strong> Camposanto, e che questa guar<strong>di</strong>a Comunale che invigila al buon or<strong>di</strong>ne da qualche<br />

giorno non si aggira per la <strong>Comune</strong> per prudenziale vista e massima che si agirano le forze<br />

austriache, sonsi detti malviventi fatti più ar<strong>di</strong>ti, per cui sono anche con la presente a consultare<br />

codesta Polizia come debbasi regolarsi il servizio <strong>di</strong> questa Guar<strong>di</strong>a in appresso, molto necessitando<br />

una costante vigilanza a scanso <strong>di</strong> <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ni.<br />

Non tralascio pure <strong>di</strong> notificare a codesto Uffizio essersi qui levati i segnali tre colorati e<br />

che tutti sonsi levati le cocarde, e sono state pubblicate le stampe innoltrate da Sua Eminenza<br />

Reveren<strong>di</strong>ssima il Car<strong>di</strong>nale e Arcivescovo <strong>di</strong> Bologna e Legato a Latere delle quattro Legazioni,<br />

tutto proseguendo col massimo buon or<strong>di</strong>ne e tranquillità.<br />

In attenzione quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> grazioso riscontro che valga a contenermi in appresso, ho l’onore <strong>di</strong><br />

firmarmi col massimo ossequio e subor<strong>di</strong>nazione.<br />

Il Priore Petronio Vecchi”.<br />

Il 25 Marzo la retroguar<strong>di</strong>a dell’esercito degli insorti era sconfitta a Rimini<br />

dalle preponderanti forze austriache.<br />

Il 26 Marzo in Ancona il Governo delle province unite italiane, consapevole<br />

dell’impari lotta e per evitare inutili spargimenti <strong>di</strong> sangue, dopo aver ottenuto<br />

promessa <strong>di</strong> amnistia per i coinvolti nell’insurrezione, sottoscriveva la propria<br />

capitolazione. A Bologna il Car<strong>di</strong>nale Legato <strong>di</strong>chiarò nulli tutti gli atti compiuti<br />

dal governo rivoluzionario in città e nelle Legazioni.<br />

Lo Stato Pontificio cercò <strong>di</strong> mettere in sicurezza il riacquisito potere, emanando<br />

e<strong>di</strong>tti che intimavano alla popolazione la consegna delle armi detenute e<br />

or<strong>di</strong>nando ai Priori <strong>di</strong> ricostituire un nuovo corpo <strong>di</strong> guar<strong>di</strong>a chiamato Guar<strong>di</strong>a<br />

Civica Forense.<br />

La guar<strong>di</strong>a venne formata anche a Crevalcore e da subito si trovò a collaborare<br />

con il Briga<strong>di</strong>ere e le quattro guar<strong>di</strong>e provinciali giunte il 24 Marzo in paese, in<br />

risposta all’aiuto chiesto dal Priore Petronio Vecchi, preoccupato per la pubblica<br />

sicurezza.<br />

Più dura fu la repressione attuata nel ducato <strong>di</strong> Modena, culminata il 26 Maggio<br />

successivo con l’impiccagione <strong>di</strong> Ciro Menotti e <strong>di</strong> Vincenzo Borrelli.<br />

Con un e<strong>di</strong>tto il duca <strong>di</strong> Modena esiliò dal suo territorio, pena la decapitazione,<br />

tutti i rivoltosi.<br />

In tanti si rifugiarono nel confinante stato. Alcuni trovarono asilo in territorio


crevalcorese, dove, a detta <strong>di</strong> don Angelo Frabetti, “ portarono la peste dei vizi e<br />

la totale rovina della gioventù locale”. A <strong>di</strong>sturbare il cappellano della chiesa <strong>di</strong> San<br />

Silvestro era probabilmente la <strong>di</strong>ffusione degli ideali legati all’insurrezione che<br />

continuavano a minacciare il potere temporale dello Stato Pontificio.<br />

Nei mesi seguenti furti e rapine si intensificarono, ma più che alla presenza<br />

degli esiliati estensi nel nostro territorio, erano da attribuire alla scarsità <strong>di</strong> mezzi<br />

<strong>di</strong> sostentamento della popolazione.<br />

Nei Bollettini politici inviati al Governo sono continue le richieste, presentate<br />

dal Priore Vecchi, <strong>di</strong> interventi per favorire l’occupazione fra i braccianti:<br />

“- 8 Aprile Manca ad una gran parte <strong>di</strong> questi numerosi Braccianti il lavoro nell’attuale<br />

stagione, e mancano pure i mezzi ed i lavori anche a questa Magistratura onde poter impiegare<br />

un numero si grande <strong>di</strong> operai ascendenti a circa al n° 400.<br />

Ieri l’altro 6 corr. Si attrupparono in numero <strong>di</strong> centotrenta e più <strong>di</strong> costoro, e vennero in<br />

quest’ufficio chiedendo voler lavorare per guadagnarsi il vivere ed a stento si poterono <strong>di</strong>ssipare<br />

col dargli baj cinque per ciascuno.<br />

Questa carica si è pur adoperata presso i pochi proprietari <strong>di</strong> risaie, onde impieghino questa<br />

gente sfacendata, il che si è ottenuto per un certo numero, e per pochi giorni, stante i pochi lavori<br />

delle risaje, che sono ormai terminati.<br />

-15 Aprile, continua il bisogno <strong>di</strong> trovare lavoro alli Braccianti, ma non si sa il modo d’impiegarli,<br />

ed il bisogno e lagnanze cresceranno, mentre in breve cessano le vangature e la semina<br />

delle risaie, ed in proporzione della moltitu<strong>di</strong>ne pochi sono quelli che passeranno a lavorare nel<br />

Veronese.<br />

-22 Aprile, Fuori dè furti su descritti che suppongonsi commessi purtroppo da tanta gente<br />

priva <strong>di</strong> mezzi <strong>di</strong> sussistenza, uniti a male intenzionati, la popolazione sarebbe quieta e tranquilla,<br />

stante che lo spirito pubblico non soffre alterazione veruna.<br />

-29 Aprile, L’impegno <strong>di</strong> dare pane, o lavoro a molti Braccianti ha recato molto imbarazzo.<br />

Ora però pare cessato dacchè parte partono pel Veronese, a parte maggiore sono spe<strong>di</strong>ti alli<br />

lavori dell’Argine <strong>di</strong> Reno alla Bastia.<br />

Si è dovuto però far arrestare, e tradurre al Governo <strong>di</strong> S.Giovanni certo Luigi Allegretti,<br />

che oltre a farsi capo è più ar<strong>di</strong>mentoso degli altri usava parole insolenti”.<br />

Per favorire l’occupazione dei braccianti vennero inoltre intrapresi lavori <strong>di</strong><br />

allargamento della strada per Bologna e <strong>di</strong> acciottolamento della strada maestra<br />

del paese.<br />

Al fine <strong>di</strong> allontanare le insi<strong>di</strong>e rivoluzionare dal proprio territorio, il governo<br />

Pontificio iniziò una lenta e progressiva repressione dei coinvolti nell’insurrezione.<br />

In territorio crevalcorese, confinante con lo stato estense, si intensificarono le<br />

perlustrazioni delle guar<strong>di</strong>e locali, prima forense e poi rurale, e dei Carabinieri, in<br />

qualche occasione affiancati a reparti mobili <strong>di</strong> Carabinieri e guar<strong>di</strong>e pontificie.<br />

Anche alcuni Crevalcoresi che parteciparono alla rivolta ritennero più prudente<br />

emigrare, fra questi Rebigiani don Achille, parroco a Palata, emigrato in Fran-<br />

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44<br />

Maggio 1832, Crevalcore - dragoni Estensi in perlustrazione


cia nel 1831; Tommasini Angelo <strong>di</strong> Bomporto, ma residente a Palata, emigrato<br />

nel 1832. La polizia indagò i comportamenti del parroco accusato della <strong>di</strong>stribuzione<br />

<strong>di</strong> coccarde tricolore dall’altare e della partecipazione alle bande armate<br />

dei rivoltosi. Il Priore Petronio Vecchi affermò che don Achille, scoppiati gli<br />

sconvolgimenti del 31, mentre era rettore a Palata, partì per Bologna da dove<br />

si trasferì a Molinella per pre<strong>di</strong>care tutta la Quaresima e che, all’avvicinarsi degli<br />

Austriaci, si era detto che si fosse unito alle orde dei ribelli <strong>di</strong>rette ad Ancona<br />

e che, <strong>di</strong>sperse queste, fosse emigrato in Francia. Poi non fece ritorno a Palata<br />

fino al Giugno 1832. Dal giorno del suo rientro fino a quello della sua partenza<br />

definitiva dalla parrocchia, cui aveva rinunziato per controversia con i Pepoli,<br />

nulla poteva <strong>di</strong>rsi contro <strong>di</strong> lui.<br />

Nel Maggio 1832 reparti dell’esercito modenese entrarono nel nostro territorio<br />

per eseguire, in unione ad un battaglione <strong>di</strong> cacciatori e Carabinieri pontifici,<br />

operazioni <strong>di</strong> rastrellamento degli insorti.<br />

Alle truppe modenesi in transito per il nostro comune venne concesso, dal<br />

Priore Petronio Vecchi, <strong>di</strong> alloggiare nell’e<strong>di</strong>ficio dell’ospedale.<br />

Una settimana prima, in uno scontro a fuoco avvenuto sulle rive del Panaro,<br />

fra Crevalcore e Camposanto, militari e profughi modenesi si erano dati battaglia,<br />

causando la morte <strong>di</strong> un dragone e il ferimento <strong>di</strong> un profugo, che venne<br />

ricoverato all’osteria San Marco <strong>di</strong> Crevalcore.<br />

L’episo<strong>di</strong>o venne citato su alcuni notiziari dell’epoca con versioni <strong>di</strong>fferenti.<br />

<strong>di</strong> seguito l’articolo riportato il 9 Giugno 1832 sulla modenese Gazzetta dell’Italia<br />

Centrale che criticava in particolare la versione dei fatti fornita dal filo rivoluzionario<br />

Corriere Francese : “Si legge nel Corriere francese del 1° giugno n. 153 . «Un<br />

<strong>di</strong>staccamento <strong>di</strong> Dragoni del Duca <strong>di</strong> Modena viene <strong>di</strong> violare il territorio Pontificio, portandosi<br />

nel <strong>Comune</strong> <strong>di</strong> Crevalcore per arrestarvi taluni modenesi rifuggiti. Questi, non avendo<br />

alcun mezzo <strong>di</strong> fuggire si sono <strong>di</strong>fesi, ed hanno fatto fuoco <strong>di</strong> fucileria contro tali briganti. Un<br />

maresciallo d’ alloggio è stato ucciso, due dragoni sono stati feriti, e gli altri hanno preso la fuga.<br />

I conta<strong>di</strong>ni hanno perseguitato lungo tempo i dragoni, tra le più alte grida. Uno dei modenesi<br />

ha ricevuto una palla, che 1’ ha passato da parte a parte. Costui ha detto cadendo, che amava<br />

meglio morire, che essere rimesso al potere del Duca ». Oh bella! I soldati onorati <strong>di</strong> un legittimo<br />

Sovrano, stimato da tutte le Corti Europee, i Dragoni Estensi sono dunque briganti agli occhi<br />

del Corriere francese, perchè, fedeli al proprio dovere, sono affezionati al loro Augusto Principe,<br />

fanno rispettare le leggi, e perseguitano i pubblici delinquenti? Or che <strong>di</strong>re d’un tale vilissimo<br />

detrattore, che riguarda per ragione inversa come Eroi i <strong>di</strong>sperati fuorusciti e gli esecran<strong>di</strong> assassini?<br />

Siccome la sfrontata meretrice chiama sempre impu<strong>di</strong>ca la casta ed onesta donna, e il pubblico<br />

ladrone saluta sempre col nome <strong>di</strong> ladro la vittima innocente che a mano armata assalisce<br />

in pubblico cammino per rubarla e spogliarla, così il Corriere francese è in carattere naturale , e<br />

conserva il linguaggio proprio <strong>di</strong> lui, e <strong>di</strong> tutta la infamissima razza dei birbanti.<br />

Noi però poco curandoci dei falsi epiteti, rettificheremo soltanto il fatto, poiché il nostro scopo<br />

è quello <strong>di</strong> far conoscere, che i giornalisti rivoluzionari, ancorché volessero, non sanno <strong>di</strong>re mai<br />

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46<br />

una verità.<br />

Non è vero che i Reali Dragoni Estensi violassero il territorio Pontificio. Forse se si fossero<br />

risoluti a ciò fare, i buoni clienti del Corriere francese non avrebbero potuto sottrarsi alle<br />

conseguenze de’ loro malefici. Ecco come sono le cose. I Dragoni passeggiavano inermi fuori<br />

dell’abitato <strong>di</strong> Camposanto.<br />

Diversi profughi modenesi, scacciati dal territorio Bolognese, trovandosi girovaghi nella campagna<br />

<strong>di</strong> Crevalcore, si misero in agguato per commettere un assassinio sui Soldati Estensi.<br />

Essi fecero all’ improvviso una scarica <strong>di</strong> fucileria sui Dragoni, dalla quale niuno rimase<br />

offeso.<br />

I Dragoni corsero allora ad armarsi in Caserma e volarono all’attacco. Uno <strong>di</strong> questi essendosi<br />

troppo inoltrato per inseguire gli assassini aggressori, cadde vittima del suo coraggio, ed<br />

uno dei fuorusciti per nome Antonio Rizzi <strong>di</strong> S. Felice (soggetto della stessa pravità <strong>di</strong> cuore<br />

del Corriere francese) rimase mortalmente ferito. I conta<strong>di</strong>ni corsero ancor essi per perseguitare<br />

i fuorusciti e sostenere la pubblica forza protettrice delle loro sostanze; ed i bravi Dragoni ottennero<br />

dovuta ricompensa ai loro <strong>di</strong>stinti servizi. Or può darsi maggior impudenza <strong>di</strong> questo<br />

sfrontato giornale rivoluzionario, de<strong>di</strong>to a travisare i fatti più pubblici, e più notori”.<br />

Le notizie pubblicate sono contrad<strong>di</strong>ttorie anche sul comportamento dei crevalcoresi,<br />

certamente l’ atteggiamento delle autorità Pontificie non era con<strong>di</strong>viso<br />

da tutti i paesani che in parte continuarono ad aiutare i rivoluzionari.<br />

Fra questi anche il parroco <strong>di</strong> San Silvestro don Ignazio Venturoli e il cappellano<br />

alla Guisa don Paolo Francia, che vennero poi multati per aver fornito rifugio<br />

ad alcuni giovani modenesi. Lo stesso Venturoli e il PrioreVecchi garantirono per<br />

l’insegnante e storico crevalcorese Gaetano Atti che in un rapporto della Polizia<br />

Pontificia era così descritto: “Soggetto eru<strong>di</strong>to che con attività ammaestra pochi scolari,<br />

poco curandosi <strong>di</strong> insinuare in essi massime morali e religiose. Tiene poi una condotta apparentemente<br />

regolare, ma nelle trascorse vicende si mostrò aderente alle innovate cose”.<br />

Ambigua apparve la posizione <strong>di</strong> Petronio Vecchi, Priore del <strong>Comune</strong> prima,<br />

durante e dopo l’insurrezione, che segnalava, anche per dovere <strong>di</strong> carica, alcuni<br />

compaesani coinvolti nella rivolta, dei quali tendeva comunque a sminuire l’operato.<br />

Così ne parla Lorenzo Meletti nei suoi manoscritti:<br />

“Di un certo Giuseppe Manicar<strong>di</strong> <strong>di</strong>ceva che all’epoca degli in<strong>di</strong>cati torbi<strong>di</strong> si portò a<br />

Modena ove prese servizio nelle truppe ribelli seco conducendo alcuni giovinastri del basso volgo,<br />

sfaccendati e poco riflessivi <strong>di</strong> questo paese, mossi piuttosto dal bisogno <strong>di</strong> guadagnare che da<br />

spirito <strong>di</strong> partito, al primo sentore dell’avvicinarsi delle truppe austriache alcuni <strong>di</strong> questi <strong>di</strong>sertarono<br />

riconducendosi ai loro focolari e gli altri, dopo i fatti <strong>di</strong> Ancona fecero lo stesso, come<br />

pure il Manicar<strong>di</strong> che pure <strong>di</strong> presente qui <strong>di</strong>mora!<br />

Il Vecchi aggiungeva: Le critiche circostanze <strong>di</strong> quei tempi forzarono alcuni a non mostrarsi<br />

avversi alla novità della cosa, ma tutti però si contennero nei limiti del dovere e dell’onesto. Posso<br />

poi con osservanza accertarle o Ill.mo Governatore, che passati li pochi giorni <strong>di</strong> quei trambusti,<br />

tutto rientrò nel primero or<strong>di</strong>ne e che da quell’epoca in poi nessuno si è sbilanciato con fatti e


sentimenti”.<br />

Negli anni seguenti continuarono gli sforzi <strong>di</strong> Governo e Polizia per identificare<br />

ed emarginare i coinvolti nell’insurrezione; per i sospettati c’era l’esclusione<br />

dagli incarichi nella pubblica amministrazione e limitazioni negli spostamenti.<br />

Nei passaporti rilasciati, spesso sulla base <strong>di</strong> raccomandazioni fornite dai parroci,<br />

il mancato coinvolgimento nei moti era in<strong>di</strong>cato come referenza. Ecco un<br />

passaporto rilasciato il 10 Aprile 1831 dal parroco <strong>di</strong> Galeazza:<br />

“ A chiunque, certifico io sottoscritto Parroco <strong>di</strong> Santa Maria della Galeazza che Luigi<br />

Ragazzi, abitante in questa mia Parrocchia in qualità <strong>di</strong> servitore nella Fabbreria Pepoli nella<br />

Palazzina presso <strong>di</strong> Luigi Paltrinieri, dalla festa <strong>di</strong> tutti li Santi sino ad oggi; e che mai si è<br />

intromesso nelle cose spettanti al governo, e precisamente nel tempo della rivoluzione non essersi<br />

mai partito dalla propria officina, e né presa arma contro il Sovrano Regnante, ma sempre ha<br />

atteso al suo lavoro. Sto per la verità.<br />

In fede Don Domenico Pistani” .<br />

Forse non è casuale che nell’Archivio Storico Comunale manchino le liste dei<br />

comandanti e dei volontari iscritti nella Guar<strong>di</strong>a Nazionale <strong>Crevalcorese</strong> o notizie<br />

sull’esposizione del tricolore dalla finestra del palazzo comunale.<br />

L’azione repressiva riuscì a contenere gli ideali unitari per altri 15 anni.<br />

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48<br />

FONTI ARCHIVISTICHE E dOCUMENTALI<br />

Archivio Storico del <strong>Comune</strong> <strong>di</strong> Crevalcore<br />

Carteggio Amministrativo, Polizia n. LV Rubrica 11°<br />

Passaporti (1815-1834), b1<br />

CA, Legislazione n. XIV, Rubr 1° Provvidenze Generali (1825-1832), b1<br />

CA, Erario n. XVII, Rubr 6° Spese Comunali (1830-1856), b1<br />

CA, Guerra e Milizia n.VIII, Rubr1° Provvidenze Generali (1816-1858), b1<br />

CA, Polizia n. XXXVIII, Rubr 4° denuncie e Querele, 5 Furti e truffe<br />

dal 1830 al 1832, b1<br />

CA, Polizia n. LXXIII, Rubr 13° Bollettini Politici dal 1827 al 1838, b1<br />

CA, Consigli n. XX Rubr 5° Sedute dal 1831 al 1835, b1<br />

Lorenzo Meletti, Crevalcore, manoscritti presso BCC<br />

Parte III, Note e Memorie, dal 1801, fascicolo I, n.19 (ms 17)<br />

Parte IV, E<strong>di</strong>fici Dal 1801,Volume II, n.27 (ms 20 C)<br />

Parte I, Crevalcoresi Illustri e Benemeriti secolo XVIII e XIX, fasc II, n3 (ms 2)<br />

Parte II, Annali, dal 1801, fasc I , n10 (ms 9 )<br />

Gaetano Frabetti, Memorie patrie, ms presso Accademia In<strong>di</strong>fferenti Risoluti <strong>di</strong><br />

Crevalcore<br />

Angelo Frabetti, Storia <strong>di</strong> Crevalcore; antichità del territorio crevalcorese compilata dal sig.<br />

dottore Gaetano Atti pubblico maestro <strong>di</strong> latinità, coll’aggiunta d’alcuni fatti ed avvenimenti<br />

accaduti nell’antichità fino al presente colla venuta dei Francesi racolti <strong>di</strong> don Angelo Frabetti,<br />

sacerdote crevalcorese, e sue note in fine, ms. presso AIRC<br />

BIBLIOGRAFIA<br />

Paolo Cassoli, La scuola <strong>di</strong> “Umanità e Rettorica <strong>di</strong> Gaetano Atti”, in Notiziario <strong>di</strong><br />

Crevalcore, n. 2, Maggio 1985<br />

Angela de Benetictis, «Militari apparenti». La guar<strong>di</strong>a civica <strong>di</strong> Bologna per lo Statuto<br />

fondamentale fra monarchia pontificia e citta<strong>di</strong>nanza, Bologna 2010


50<br />

Roma 1849. Il teatro <strong>di</strong> operazioni sul colle Gianicolo dall’aprile al giugno.


GALEAZZO GAMBERINI<br />

Per una storia del risorgimento nell’alta padusa<br />

Esistono innumerevoli e spesso ottimi testi che trattano degli avvenimenti<br />

connessi al Risorgimento italiano e più specificamente delle operazioni militari<br />

specie <strong>di</strong> quella che viene chiamata Prima guerra <strong>di</strong> in<strong>di</strong>pendenza (1848-<br />

1849). In questa fase del processo unitario politico militare si raccolsero,<br />

dopo iniziali effimeri successi, soltanto finali <strong>di</strong>sastrose sconfitte.<br />

Sempre da un punto <strong>di</strong> vista tecnico militare pochissimi gli stu<strong>di</strong> dettagliati<br />

degli uomini e dei reparti del territorio originati, per quanto riguarda lo Stato<br />

pontificio, nei Comuni della pianura bolognese nord-occidentale, quella<br />

confinante sia con lo stato austro-estense <strong>di</strong> Modena sia con la Legazione<br />

(provincia), sempre pontificia, <strong>di</strong> Ferrara. Quin<strong>di</strong> le presenti note riguardano<br />

sia gli uomini sia gli avvenimenti che coinvolsero i Reparti militari da questi<br />

stessi uomini formati che si portarono a combattere in ambiti più lontani<br />

(Lombardo-Veneto nel 1848 e Roma nel 1849, con le dolorose conseguenze<br />

che le conclusero, almeno provvisoriamente).<br />

Circa poi la storiografia ufficiale e riconosciuta, abbondantissima come si<br />

<strong>di</strong>ceva, non poca parte <strong>di</strong> questa è viziata, inevitabilmente, da una visione <strong>di</strong><br />

tipo nazionalistico, da contestualizzare opportunamente anche con altre parti<br />

del continente europeo; va cioè tenuto ben presente che nella storiografia<br />

contemporanea o imme<strong>di</strong>atamente successiva agli avvenimenti trattati, la retorica<br />

ebbe una sua parte che era, potremmo <strong>di</strong>re,inevitabile data la natura<br />

degli obiettivi da raggiungere: insomma gli spiriti andavano mobilitati.<br />

dopo il raggiungimento dell’Unità della Nazione questo spirito si trasformò<br />

rapidamente in strumento del costituendo apparato politico e militarindustriale<br />

che sfociò nelle guerre <strong>di</strong> conquista coloniali e, massima delle<br />

sciagure concepibili, portò alla grande e “inutile strage” 1 della sanguinosa<br />

I Guerra mon<strong>di</strong>ale (1914-18) e quin<strong>di</strong> alla strettamente collegata <strong>di</strong>ttatura<br />

fascista e alla successiva II Guerra mon<strong>di</strong>ale voluta dal regime con “provinciale”<br />

irresponsabile ignoranza.<br />

Il fascismo, al suo criminale epilogo con la R.S.I. (Salò), succube della<br />

potenza germanica, tra<strong>di</strong>zionalmente nemica della libertà italiana, per ere<strong>di</strong>tà<br />

ricevuta dal cessato impero asburgico, chiuse, o quasi, il ciclo iniziato con il<br />

Risorgimento e fu certo un’amara beffa che il regime agonizzante riesumasse<br />

molti simboli della Repubblica romana. Un altro frutto <strong>di</strong>storto dell’ideologia<br />

1 Benedetto XV, Messaggio <strong>di</strong> Natale 1917.<br />

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52<br />

risorgimentale fu l’espansionismo adriatico patrocinato da gruppi finanziari,<br />

industriali e bancari come quello del Volpi <strong>di</strong> Misurata, ovvero la spinta verso<br />

i Balcani foriera <strong>di</strong> guai per i successivi cent’anni e non certo facile da sopire<br />

ancora oggi.<br />

Le antiche ra<strong>di</strong>ci del Territorio<br />

Potrà apparire abbastanza innaturale una unità territoriale formata da alcuni<br />

comuni del contado bolognese e altri del ferrarese, ma esiste, ignorata dai<br />

più, un’unità culturale <strong>di</strong> questa area che deriva dalla comune origine vescovile<br />

e/o abbaziale nonantolana e quin<strong>di</strong> certamente ecclesiastica (vescovile e non<br />

pontificia), formata letteralmente da <strong>di</strong>visioni e scambi territoriali intervenuti<br />

fin dalle origini del vescovato e del comune citta<strong>di</strong>no dominante (Bologna).<br />

Traccia inconfon<strong>di</strong>bile <strong>di</strong> questo passato che unisce culturalmente i comuni<br />

<strong>di</strong> Cento, Crevalcore, Persiceto, Pieve <strong>di</strong> Cento e S. Agata è l’Istituzione delle<br />

Partecipanze Agrarie, per la maggior parte ancora esistenti e vitali. Quin<strong>di</strong><br />

si tratta <strong>di</strong> un “unicum” subor<strong>di</strong>nato fin dal me<strong>di</strong>oevo al comune o al vescovato<br />

bolognesi e soltanto gli incidenti della storia hanno portato alla rottura<br />

formale <strong>di</strong> questa appartenenza come quello, macroscopico, della cessione <strong>di</strong><br />

Cento e della Pieve da parte <strong>di</strong> Papa Alessandro VI Borgia alla Casa d’Este,<br />

come dote della <strong>di</strong> lui figlia Lucrezia che andava in sposa nel 1501 all’ormai<br />

prossimo duca Alfonso I.<br />

del resto, lo stesso ducato estense era, escluse le imperiali Modena e Reggio,<br />

un feudo della Chiesa <strong>di</strong> Roma sempre più consolidantesi in vero e proprio<br />

Stato pontificio o, come sostiene qualcuno, come un vero impero feudale<br />

non troppo <strong>di</strong>verso dall’impero germanico, spesso suo fiero antagonista,<br />

per un lunghissimo tempo.<br />

Alla cessazione della dominazione estense su Ferrara (Patto <strong>di</strong> Cesena,1598),<br />

Cento e Pieve rimasero, per decisione papale (Clemente VIII Aldobran<strong>di</strong>ni),<br />

nel territorio sottoposto alla neonata Legazione ferrarese, senza ritornare al<br />

suo vescovile signore bolognese, che conservò soltanto <strong>di</strong>ritti dominicali <strong>di</strong><br />

decima. 2<br />

Secoli dopo anche il <strong>Comune</strong> <strong>di</strong> Crevalcore, da altri attori e per brevissimo<br />

tempo, entrò nella Legazione ferrarese: del resto ancora oggi importanti<br />

frazioni <strong>di</strong> confine <strong>di</strong> questo <strong>Comune</strong>, come Palata Pepoli, Galeazza Pepoli<br />

e Bevilacqua, fanno parte del Plebanato foraneo <strong>di</strong> Cento dal punto <strong>di</strong> vista<br />

ecclesiastico, solamente.<br />

Questo se<strong>di</strong>mentato stato <strong>di</strong> cose conobbe una improvvisa scossa con la<br />

rivoluzione francese del 1789 le cui armate, guidate dal giovane generale Buonaparte<br />

(prossimo imperatore...) invasero e conquistarono gran parte degli<br />

Stati italiani, nel 1796, combattendo la prima <strong>di</strong> una serie <strong>di</strong> guerre contro<br />

l’Impero d’Austria. Ad ogni modo la scossa e il cambiamento <strong>di</strong> clima poli-<br />

2 dando così inizio ad una <strong>di</strong>sputa secolare con la Comunità centese.


tico furono veramente rivoluzionari e in questi avvenimenti ci sono sempre<br />

vincitori e vinti: lo Stato pontificio fu certamente perdente, sotto l’aspetto<br />

politico ed economico, con la scomparsa della sua sovranità, la soppressione<br />

degli or<strong>di</strong>ni religiosi “regolari” e la conseguente confisca dei loro beni fon<strong>di</strong>ari.<br />

La riorganizzazione politica territoriale portò alla nascita della Repubblica<br />

confederale cispadana, la prima ad inalberare il tricolore bianco-rosso-verde<br />

(ma la prima ban<strong>di</strong>era ebbe i tre colori francesi, <strong>di</strong>sposti orizzontalmente).<br />

Venne sud<strong>di</strong>visa territorialmente, alla francese, in <strong>di</strong>partimenti nominati da<br />

fiumi o specchi d’acqua.<br />

Cento <strong>di</strong>venne il capoluogo del <strong>di</strong>partimento dell’ “Alta Padusa” (antico<br />

specchio vallivo che si estendeva per tutto il territorio <strong>di</strong> interesse). Successivamente<br />

la Repubblica cispadana confluì in quella Cisalpina e quin<strong>di</strong> nel<br />

Regno d’Italia, con Milano capitale.<br />

Nonostante certe durezze ed egoismi francesi 3 era stato fatto un grande<br />

passo avanti verso un nuovo stato <strong>di</strong> cose anche se la finale sconfitta napoleonica<br />

<strong>di</strong> Waterloo spense, almeno per il momento, il grande sogno delle classi<br />

italiane più evolute culturalmente.<br />

La Restaurazione<br />

Così come è stato necessario esaminare le “ra<strong>di</strong>ci napoleoniche” del Risorgimento<br />

italiano è giocoforza delineare il quadro della cosiddetta Restaurazione,<br />

ossia della riorganizzazione dei territori e delle relative sovranità secondo<br />

le imposizioni delle Potenze vincitrici che avevano sconfitto Napoleone.<br />

La risistemazione dell’Europa tendeva innanzitutto a rimettere o, appunto,<br />

a restaurare gli antichi Stati pre-napoleonici tenendo però conto delle mutazioni<br />

irreversibili intervenute nel quasi ventennio “francese” e ciò riuscì molto<br />

bene sotto la <strong>di</strong>rezione abile del Ministro degli esteri austriaco Metternich,<br />

accorto <strong>di</strong>plomatico (specie nella cura degli interessi particolari austriaci).<br />

Se in qualche modo si erano restaurati stati e sovrani era però opera impossibile<br />

rimettere in<strong>di</strong>etro cultura e mentalità delle popolazioni che avevano<br />

assaporato il gusto della libertà e della citta<strong>di</strong>nanza anche se ciò non avvenne<br />

sempre nell’ampiezza teorizzata dagli intellettuali: dopotutto era stato un<br />

ventennio in larga parte passato in stato <strong>di</strong> guerra e la mano <strong>di</strong> Parigi si era<br />

fatta sentire pesantemente. Le varie classi della popolazione avevano partecipato<br />

alle vicende in modo <strong>di</strong>verso a seconda dei casi. La nobiltà, per convinzione<br />

o per convenienza, si era schierata con gli stati francofili. La borghesia<br />

degli affari era stata la maggiore beneficiaria della situazione anche per la<br />

costituzione <strong>di</strong> una sorta <strong>di</strong> ampio mercato comune “ante litteram” che aveva<br />

soppiantato le tante frontiere (e relative dogane) vigenti nell’antico regime.<br />

Gli intellettuali avevano goduto <strong>di</strong> un clima insperato, una integrale realizza-<br />

3 Non secondaria la colossale razzia <strong>di</strong> opere d'arte or<strong>di</strong>nata dal Generale in capo per costituire il<br />

grande museo nazionale <strong>di</strong> Parigi.<br />

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54<br />

zione o quasi degli ideali dell’Illuminismo settecentesco.<br />

Per quanto riguarda l’Italia in particolare (espressione, al tempo, soltanto<br />

geografica) va chiarito che la popolazione delle campagne, in larghissima<br />

parte analfabeta (90% o più), era rimasta come fuori della storia, pur avendo<br />

sopportato con il nuovo or<strong>di</strong>ne il peso della coscrizione obbligatoria (leva<br />

militare), prima sconosciuta e aveva pagato uno scotto <strong>di</strong> fame ed epidemie<br />

molto maggiore della plebe delle città; sarebbe questa la classe più perdente<br />

se non fosse essa superata, per danni morali e materiali, da quella ecclesiastica<br />

che vide la per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> privilegi e beni materiali, come più sopra riferito.<br />

I parroci e le <strong>di</strong>ocesi, che non vennero toccati minimamente da un punto<br />

<strong>di</strong> vista religioso, ebbero <strong>di</strong>minuite le loro funzioni “civili”, come la tenuta<br />

delle registrazioni anagrafiche demandate ai Comuni e comunque si videro<br />

abbastanza spesso preti e monsignori <strong>di</strong> vario livello, riottosi nei confronti<br />

delle nuove leggi laiche, con le manette ai polsi e anche papi, come Pio VI<br />

Braschi che nel 1798 venne deportato in Francia dove morì, e un altro (Pio<br />

VII Chiaramonti) che venne esiliato a Fontainebleau nel 1809, per fare ritorno<br />

a Roma soltanto nel 1814.<br />

I religiosi si sarebbero comunque presto rifatti da un punto <strong>di</strong> vista del<br />

potere anche se i beni confiscati, ormai venduti sul mercato (ai borghesi),<br />

erano irrecuperabili 4 .<br />

Per le popolazioni conta<strong>di</strong>ne il miglioramento culturale ed economico si<br />

sarebbe fatto attendere ancora, incre<strong>di</strong>bilmente, per oltre un secolo e cioè<br />

fino al consolidarsi dei vari movimenti politici e sindacali che esor<strong>di</strong>rono<br />

proprio nel fatale 1848 con il famoso “Manifesto”.<br />

La preparazione<br />

Proceduto all’in<strong>di</strong>spensabile inquadramento storico delle ra<strong>di</strong>ci è necessario<br />

abbandonare la situazione generale e focalizzare gli avvenimenti che<br />

interessano più da vicino il territorio che costituiva la parte nord-occidentale<br />

dell’ex Dipartimento del Reno, tornato a far parte dello Stato pontificio e<br />

precisamente delle Legazioni (Province) <strong>di</strong> Bologna e Ferrara, relativamente<br />

tranquille, al contrario della due altre, Ravenna e Forlì, perennemente in agitazione<br />

assieme a quella <strong>di</strong> Ancona (città atipica, nelle papaline Marche).<br />

Il controllo e la repressione del governo pontificio erano esercitati me<strong>di</strong>ante<br />

birri e carabinieri, un <strong>di</strong>ffuso sistema <strong>di</strong> spionaggio esplicato da non piccola<br />

parte del clero e infine dal piccolo e, non sempre ben organizzato, esercito<br />

pontificio in cui brillavano i due efficienti reggimenti <strong>di</strong> fanteria svizzeri che,<br />

non per niente, erano stanziati a Bologna e a Forlì.<br />

Sul tutto vigilava strategicamente l’armata austriaca che teneva guarnigioni<br />

nella fortezza <strong>di</strong> Ferrara e a Comacchio; questi presi<strong>di</strong> erano del resto autorizzati<br />

dagli accor<strong>di</strong> del Congresso <strong>di</strong> Vienna del 1815. Il movimento na-<br />

4 La gigantesca operazione <strong>di</strong> liquidazione avvenne tramite l' “Agenzia dei beni<br />

nazionali”costituita appositamente.


zionale vero e proprio ha un momento <strong>di</strong> origine che può essere in<strong>di</strong>viduato<br />

convenzionalmente con la partecipazione entusiastica <strong>di</strong> molti reduci delle<br />

formazioni napoleoniche e <strong>di</strong> giovani idealisti al tentativo dell’ex re <strong>di</strong> Napoli<br />

Gioacchino Murat (ex Maresciallo <strong>di</strong> Napoleone) <strong>di</strong> costituire, con la forza<br />

delle armi, un regno d’Italia: il tentativo fallì però, schiacciato dalle forze austriache<br />

proprio fra Ferrara, Cento e le Legazioni romagnole (1815).<br />

Circa poi la situazione nelle Legazioni bisogna <strong>di</strong>re che la parte a occidente<br />

della linea congiungente Bologna a Ferrara non era particolarmente riottosa<br />

in senso politico, ma che anzi certe importanti zone del centese (Renazzo/<br />

Malafitto) avevano visto massicci movimenti <strong>di</strong> “insorgenza” del tipo dei clericali<br />

“Viva Maria” con l’occupazione della città e l’attacco al ghetto israelitico,<br />

ancora in periodo napoleonico.<br />

Anche a oriente <strong>di</strong> Bologna, del resto, nella Legazione <strong>di</strong> Ravenna, e precisamente<br />

a Faenza, era esistito contemporaneamente un forte movimento<br />

reazionario.Quello che accomunava tutto il territorio in quei decenni era l’esistenza<br />

<strong>di</strong> un forte brigantaggio, non organizzato, che martoriava gli abitanti<br />

delle campagne e la viabilità.<br />

I ceti colti (che spesso ovviamente coincidevano con gli abbienti) intanto<br />

si organizzavano attraverso associazioni <strong>di</strong> tipo massonico come la “carboneria”<br />

e poi la mazziniana “Giovane Italia” con riferimenti e riti cospirativi i<br />

quali, quando scoperti dalle varie polizie, portavano ad arresti che si concludevano<br />

anche con esecuzioni capitali e pesanti condanne, quando i coinvolti<br />

non riuscivano a fuggire all’estero.<br />

Questi movimenti portavano ad una serie <strong>di</strong> sollevazioni come quelle del<br />

1821 con esecuzioni capitali in Piemonte (Stato allora estremamente conservatore)<br />

e quella delle Province Unite (parte settentrionale dello Stato pontificio)<br />

che riconobbe Bologna come propria capitale (1831) 5 , con imme<strong>di</strong>ato<br />

relativo arrivo delle truppe austriache per la repressione, chiamate dal pontefice.<br />

Nel territorio bolognese ferveva una intensa attività patriottica me<strong>di</strong>ante<br />

associazioni culturali e giornali, come quello degli illuminati stu<strong>di</strong>osi delle novità<br />

scientifiche tipo il “Felsineo” del Berti-Pichat (e non era poco, dato che<br />

ai docenti era proibito partecipare a convegni scientifici all’estero).<br />

Era già iniziata la missione sacerdotale e politica <strong>di</strong> un personaggio <strong>di</strong><br />

grande levatura come il padre barnabita Giuseppe “Ugo” Bassi (Cento 1801-<br />

Bologna 1849).<br />

Ovviamente in questo periodo anche l’area bolognese occidentale conobbe<br />

turbamenti dell’or<strong>di</strong>ne costituito <strong>di</strong> una certa entità, come quello dei moti<br />

<strong>di</strong> Savigno 6 .<br />

5 Dalle effimere Province Unite, Bologna derivò il suo attuale stemma comunale, con tutti i simboli<br />

inseriti nello scudo, in aggiunta alla preesistente croce.<br />

6 A Savigno, nella valle del Samoggia, quin<strong>di</strong> sul limitare della zona oggetto della nostra particolare<br />

attenzione, nel 1833 (regnante Papa Gregorio XVI) un gruppo <strong>di</strong> patrioti penetrò nel borgo ove<br />

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56<br />

Nella Romagna orientale ( Legazione <strong>di</strong> Ravenna) si ebbe il massimo della<br />

reazione con un processo “monstre”, promosso dal famigerato card. Rivarola,<br />

che vide centinaia <strong>di</strong> imputati e <strong>di</strong> condannati anche all’obbligo della<br />

confessione annuale (sic) e che guastò irrime<strong>di</strong>abilmente i rapporti fra la popolazione<br />

e il governo pontificio, semmai ce ne fosse stato ancora bisogno.<br />

Anche nella vicina Modena, retta dal duca austro-estense Francesco IV,<br />

scorse del sangue a partire dal 1821 quando venne ghigliottinato un prete,<br />

per supposta propaganda massonica fra alcuni allievi 7 . da ricordare anche il<br />

complotto e l’esecuzione successiva, me<strong>di</strong>ante impiccagione, <strong>di</strong> Ciro Menotti<br />

e del suo compagno V. Borelli, nel 1831.<br />

Tale situazione, durata oltre un ventennio, vide l’azione sempre più intensa<br />

dei patrioti come, “in primis”, Giuseppe Mazzini (1805-1872 ), un genovese<br />

instancabile, e Giuseppe Garibal<strong>di</strong>, pretto uomo d’azione, che era in quel<br />

tempo esule in Sudamerica dove con una sua legione italiana combatteva per<br />

la libertà dell’Uruguay.<br />

Come già detto, fra i primi era anche il padre barnabita Giuseppe “Ugo”<br />

Bassi che percorse l’Italia in lungo e in largo, ricevuto dal pontefice e da<br />

sovrani e che infiammava le folle con <strong>di</strong>scorsi patriottici a forte contenuto<br />

sociale. 8<br />

si trovavano detenuti alcuni cospiratori in attesa <strong>di</strong> processo. Sulle prime l'impresa riuscì, ottenendo<br />

la liberazione dei detenuti. Forze pontificie partite da Bologna però raggiunsero e circondarono<br />

i patrioti nella zona <strong>di</strong> Monghidoro. Catturati e processati, ventuno <strong>di</strong> essi vennero condannati<br />

a morte, ma le esecuzioni furono però “solamente” sette ed eseguite contro il muro posteriore<br />

del monastero del Corpus Domini a Bologna (via Castelfidardo) il 7 maggio 1844.<br />

7 Si trattava <strong>di</strong> don G. Andreoli, sottoposto ad inumani interrogatori alla fine dei quali ammise i<br />

fatti contestati.<br />

La domanda <strong>di</strong> grazia presentata venne respinta sulla base del fatto che l'imputato aveva inizialmente<br />

negato. Processo ed esecuzione ebbero luogo a Rubiera <strong>di</strong> Reggio.<br />

8 Subì, il Bassi, innumerevoli persecuzioni sia da parte <strong>di</strong> superiori sia <strong>di</strong> vari or<strong>di</strong>ni religiosi. dopo<br />

un periodo <strong>di</strong> esilio nelle Marche, venne espulso dallo Stato pontificio e si rifugiò nel Regno <strong>di</strong><br />

Napoli dove beneficiò della protezione <strong>di</strong> quell'arcivescovo. Rientrò dopo l'amnistia per i reati politici<br />

concessa dal neo eletto Papa Pio IX Mastai- Ferretti (precedentemente vescovo <strong>di</strong> Imola) nel<br />

1846. Il Bassi continuò, sempre fra mille contrasti con il mondo ecclesiastico, nelle affollatissime<br />

pre<strong>di</strong>cazioni. Nonostante la ricchezza dell'Or<strong>di</strong>ne, era costretto all'umiliazione della richiesta <strong>di</strong><br />

mezzi per l'acquisto <strong>di</strong> tonaca e scarpe. Nulla gli venne risparmiato, comprese insinuazioni circa<br />

rapporti risultati solo epistolari con la concitta<strong>di</strong>na marchesina Carolina Rusconi (Cento 1807-<br />

Bologna 1892). Il Nostro, all'inizio delle ostilità contro l'Austria (1848), si unì ai volontari pontifici<br />

che assistette fraternamente nella battaglia <strong>di</strong> Treviso, durante la quale rimase ferito seriamente al<br />

petto e poi partecipò alla <strong>di</strong>fesa <strong>di</strong> Venezia. Assai triste che, proprio in quei giorni, il suo superiore<br />

barnabita ottenesse dal Papa la firma dell'atto <strong>di</strong> riduzione allo stato secolare e quin<strong>di</strong> egli <strong>di</strong>ventasse<br />

<strong>di</strong>pendente dal car<strong>di</strong>nale arcivescovo <strong>di</strong> Bologna Oppizzoni: il tutto a sua insaputa. Rientrato<br />

con il Battaglione “Alto Reno” del marchese Zambeccari, al <strong>di</strong> qua del Po, a seguito del cambiamento<br />

subentrato nella condotta <strong>di</strong> Pio IX (e il sabotaggio del filoaustriaco Segretario <strong>di</strong> stato card.<br />

Antonelli e della sua cerchia <strong>di</strong> prelati conservatori), seguì con entusiasmo le truppe trasformatesi,<br />

con l'evento del febbraio 1849, da pontificie a repubblicane. Queste forze si stavano concentrando


Rivoluzioni, guerra e battaglione “Basso Reno”.E’ evidente che una situazione<br />

pre-rivoluzionaria <strong>di</strong>ffusa in pressochè tutta l’Europa non sorge per<br />

caso e all’improvviso. Le aspirazioni alla libertà e all’in<strong>di</strong>pendenza dei popoli<br />

europei era stata scatenata dalla Rivoluzione francese del 1789 ed “esportata<br />

sulle baionette de l’Armée” comandata quasi da subito da Napoleone Buonaparte<br />

9<br />

Il primo scossone, almeno per gli italiani o, meglio, per gli abitanti della<br />

penisola italiana, fu l’elezione al soglio papale del car<strong>di</strong>nale Mastai-Ferretti,<br />

vescovo <strong>di</strong> Imola, con il nome <strong>di</strong> Pio IX nel 1846, alla morte <strong>di</strong> Gregorio<br />

XVI Cappellari (Belluno1765- 1846), il Papa massimamente reazionario. La<br />

posizione iniziale del nuovo Papa fu ritenuta molto liberale per la concessione<br />

<strong>di</strong> un’amnistia a tutti i detenuti politici o ai ricercati esuli, sia pure con<br />

giuramento <strong>di</strong> pentimento e fedeltà. Ed erano molti, a causa della rigida<br />

politica del suo predecessore Gregorio XVI e del <strong>di</strong> lui Segretario <strong>di</strong> stato<br />

card. Lambruschini. Concesse, Pio IX, una sorta <strong>di</strong> statuto che, se non<br />

la democrazia, permetteva un’assemblea (non elettiva) e un governo misto<br />

composto cioè non più <strong>di</strong> soli ecclesiastici. Nel ribollire politico fra gli Stati<br />

italiani si mostrò proclive, in un primo tempo, ad accettare la proposta <strong>di</strong> una<br />

presidenza in una confederazione italiana, avanzata da <strong>di</strong>versi intellettuali fra<br />

i quali Carlo Cattaneo (Milano 1801-1869). 10 Accettò anche trattative riservate<br />

con il Piemonte sabaudo, cosa questa non certo gra<strong>di</strong>ta alla sua Segreteria<br />

a Roma per <strong>di</strong>fenderla dai francesi, che si proponevano <strong>di</strong> rimettere sul perduto trono Pio IX. Il<br />

Bassi si comportò eroicamente nel Lazio e sul Gianicolo, assistendo i feriti <strong>di</strong> ambo le parti. Seguì<br />

Garibal<strong>di</strong> al momento della caduta <strong>di</strong> Roma nella ritirata verso il nord lungo il tormentato cammino<br />

appenninico fino allo scioglimento a S. Marino.<br />

Rimase nel gruppetto dei fedelissimi e si imbarcò a Cesenatico per <strong>di</strong>rigere su Venezia che ancora<br />

resisteva, ma le navi del blocco navale austriaco costrinsero i fuggiaschi a sbarcare a Magnavacca sul<br />

litorale ferrarese (attuale Porto Garibal<strong>di</strong>). Scoperto dai carabinieri pontifici, venne arrestato con<br />

il suo compagno cap. Giovanni Livraghi, entrambi completamente <strong>di</strong>sarmati (come da rapporti <strong>di</strong><br />

polizia conservati in A.S. Bo , Legazione, Atti Ris.b.8 e M.RIS.Bo. Ad nomen ) furono trasportati a<br />

Bologna, dove a villa Spada il gen. Gorzkowsky, dopo la detenzione <strong>di</strong> una nottata al carcere della<br />

Carità, ne or<strong>di</strong>nò la fucilazione, nonostante il suo proprio bando prevedesse tale pena solamente<br />

per i prigionieri catturati armati. Oscure le trame dei vari poteri austriaci e soprattutto pontifici,<br />

in questa triste vicenda. La scarica mortale li colpì il giorno 8 agosto 1849, alle ore 13:15, sotto il<br />

portico che conduce alla Certosa <strong>di</strong> Bologna ( oggi piazza della Pace), dopo che il parroco titolare<br />

aveva declinato la somministrazione dei sacramenti, demandandola ad un cappellano, causa precedenti<br />

impegni assunti. E' sepolto alla Certosa <strong>di</strong> Bologna, in un sarcofago sito nella cripta dei<br />

caduti della I Guerra mon<strong>di</strong>ale.<br />

9 Preferiamo scrivere il suo nome all'italiana anziché nella forma francesizzata in Bonaparte: almeno<br />

per gli anni iniziali, visto che il grande Corso nasceva in una famiglia <strong>di</strong> origini toscane.<br />

10 Federalista e repubblicano anti sabaudo. Capeggiò il consiglio <strong>di</strong> guerra durante la rivoluzione<br />

delle Cinque giornate <strong>di</strong> Milano. Dopo l'Unità, eletto deputato del Regno, si rifiutò <strong>di</strong> entrare in<br />

parlamento per non giurare fedeltà alla monarchia.<br />

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58<br />

<strong>di</strong> stato che fece <strong>di</strong> tutto per sabotarle. Parte per compiacere la borghesia e<br />

i gran<strong>di</strong> proprietari dominanti e parte per oggettive necessità pubbliche, nel<br />

1846 concesse la costituzione <strong>di</strong> una Guar<strong>di</strong>a Civica come già era avvenuto,<br />

temporaneamente, nel 1831 al tempo delle Province Unite.<br />

La barriera si era ormai abbassata e la concessione venne accolta come<br />

se si trattasse della Guar<strong>di</strong>a nazionale napoleonica. C’è da <strong>di</strong>re, a proposito<br />

<strong>di</strong> statuti o <strong>di</strong> costituzioni, che tutti gli Stati italiani ed esteri erano costretti,<br />

nell’anno 1848, a far concessioni e a Parigi cadde ad<strong>di</strong>rittura la monarchia.<br />

Fra il 1847 e il 1848 tutti gli Stati italiani fecero la massima concessione<br />

compreso Napoli (sic), ma ciò però non avvenne nell’austriaco dominio del<br />

Lombardo-Veneto, nonostante la rivoluzione avesse interessato la stessa capitale,<br />

Vienna, il che provocò l’allontanamento dal governo dello stesso vecchio<br />

principe <strong>di</strong> Metternich, quello del trattato del 1815.<br />

Ciò avveniva contemporaneamente alla cruenta rivoluzione chiamata delle<br />

Cinque giornate <strong>di</strong> Milano, che vedeva la cacciata del Feld-Maresciallo conte<br />

Radetzky che si trovò costretto a rifugiarsi al riparo delle fortezze del “Quadrilatero”,<br />

in pratica sulla sinistra del fiume Mincio.<br />

Aveva bisogno <strong>di</strong> rinforzi dall’Istria e dalla Croazia per sedare i rivoluzionari<br />

milanesi e anche gli insorti veneti che via via aumentavano <strong>di</strong> numero,<br />

egli cedeva quin<strong>di</strong> spazio per guadagnare tempo.<br />

Il Piemonte <strong>di</strong> Carlo Alberto era titubante( e Stato reazionario sempre<br />

rimaneva).<br />

E’ in questo clima che si svilupparono le trattative con lo stato pontificio<br />

<strong>di</strong> cui si è già detto.<br />

Molto <strong>di</strong>fficile stringere accor<strong>di</strong> con i ducati emiliani retti da <strong>di</strong>nastie<br />

asburgiche, quin<strong>di</strong> la limitata libertà ricevuta dai popoli dello Stato pontificio<br />

li spinse, sotto la pressione delle associazioni patriottiche, con forza irrefrenabile,<br />

alla guerra contro l’Austria a fianco del Piemonte.<br />

Carlo Alberto finalmente si mosse, forse per soli fini espansionistici, verso<br />

la sempre desiderata Milano e poi il fiume Mincio, dove le forze pontificie in<br />

affluenza andavano a costituire l’ala destra del suo schieramento, con punto<br />

<strong>di</strong> congiunzione nella zona <strong>di</strong> Governolo-Ostiglia sul Po, dove avrebbe incontrato<br />

anche i pontifici del “Basso Reno” e del fratello “Alto Reno”.<br />

Ma chi erano i civici del “Basso Reno”? Erano volontari offertisi ed usciti<br />

dai ranghi della Guar<strong>di</strong>a Civica “stanziale”, che volontaria non era, ma sud<strong>di</strong>ti<br />

fra i 21 e i 60 anni, sostanzialmente coscritti, che a turno prestavano servizio<br />

<strong>di</strong> sorveglianza armata nei centri abitati e nelle campagne, in pattuglie più o<br />

meno bene armate e con poco o punto addestramento.<br />

Erano comandati da ufficiali e bassi ufficiali (sottufficiali) <strong>di</strong> nessuna esperienza<br />

(nei casi fortunati erano vecchi reduci napoleonici, nel qual caso facevano<br />

gli istruttori).<br />

Mentre gli ufficiali avevano a loro carico uniformi e armi (sciabola), alla<br />

truppa provvedeva il <strong>Comune</strong> <strong>di</strong> appartenenza così come avveniva per lo<br />

stipen<strong>di</strong>o degli ufficiali e il “soldo” della truppa. La spesa per l’armamento


veniva, ma non sempre, rimborsata dal governo.<br />

Naturalmente sia l’equipaggiamento sia l’armamento ed addestramento<br />

erano <strong>di</strong>rettamente proporzionali all’organizzazione e alla capacità dei Comuni.<br />

I fucili erano a “scaglia” (ossia a pietra focaia o acciarino) con baionetta ad<br />

innesto, <strong>di</strong> sezione triangolare; inesistenti le pistole e presenti spora<strong>di</strong>camente<br />

nelle dotazioni le “daghe” (sorta <strong>di</strong> gla<strong>di</strong>o romano).<br />

Non erano ancora <strong>di</strong>ffuse le trombe e per i segnali si usava il rullare dei<br />

tamburi presenti presso ogni Compagnia. Le uniformi spesso erano ridotte,<br />

per mancanza <strong>di</strong> mezzi specialmente nei Comuni più piccoli, al minimo in<strong>di</strong>spensabile<br />

per non fare apparire i reparti come bande <strong>di</strong> briganti e questo<br />

minimo era il berretto semirigido <strong>di</strong> colore blu detto bonetto (dal francese<br />

bonnet), e una “blouse”(blusa o giubbotto) dello stesso colore. Grosso problema<br />

era la fabbricazione del cappotto con cappuccio <strong>di</strong> colore marrone,<br />

in<strong>di</strong>spensabile anche nella stagione estiva per via dei frequenti pernottamenti<br />

all’ad<strong>di</strong>accio. Problema non risolto spesso era quello delle introvabili e comunque<br />

rapidamente usurabili calzature. Si deve considerare il fatto che, dovendo<br />

provvedere al tutto ogni singolo <strong>Comune</strong>, in<strong>di</strong>pendentemente o quasi<br />

dagli altri vicini (anche per necessarie ragioni economiche), si doveva affidare<br />

ad artigiani locali la fabbricazione dei capi <strong>di</strong> abbigliamento, il tutto in regime<br />

<strong>di</strong> urgenza, ma non si pensi che costituisse ragione per una lavorazione in<br />

serie: era troppo presto per i tempi.<br />

Ufficiali e sottufficiali, quanto a preparazione militare, erano o quasi al<br />

livello della truppa dalla quale venivano eletti con un sistema <strong>di</strong> terne, ossia<br />

in una rosa <strong>di</strong> tre nomi, votati dagli uomini, dalle quali erano scelti e nominati<br />

dall’autorità superiore (dal Papa i gra<strong>di</strong> superiori al tenente colonnello,<br />

almeno in teoria, mentre sicuramente <strong>di</strong> nomina papale erano i colonnelli<br />

comandanti <strong>di</strong> Legione (Unità <strong>di</strong> due o tre battaglioni equivalenti a un reggimento).<br />

La forza combattente quin<strong>di</strong>, espressa dalla Guar<strong>di</strong>a Civica stanziale, era<br />

soprattutto armata <strong>di</strong> entusiasmo per la causa nazionale (e qualche volta dalla<br />

sola necessità <strong>di</strong> mantenere le famiglie con il modesto, ma sicuro, “soldo”<br />

pagato dai Comuni).<br />

In definitiva lo spirito dei reparti <strong>di</strong>pendeva in buona misura dalla capacità<br />

<strong>di</strong> comando del Capo e dei suoi ufficiali che tutto lascia pensare buona , se<br />

non ottima, vista la scarsità dello stesso addestramento ed equipaggiamento.<br />

Tutto ciò viene confermato dal fatto che il futuro comandante del “Basso<br />

Reno”, maggiore Tommaso Rossi, ancora alle prime chiamate per addestramento<br />

nella Civica stanziale <strong>di</strong> Crevalcore, andasse a compiere gli esercizi previsti fuori<br />

dei rampari <strong>di</strong> mezzogiorno, alla pari <strong>di</strong> tutti gli altri “comuni” 11 .Sostanzialmente<br />

11 Maggiore e poi ten.col. Tommaso Rossi (Palata Pepoli 1809-Crevalcore 1855?).<br />

Graduato delle Pattuglie citta<strong>di</strong>ne confluite nella Guar<strong>di</strong>a Civica nel 1847. Ottenne onorevoli risultati<br />

al comando del battaglione del “Basso Reno” nel Mantovano e nel Veneto e soprattutto nella battagli<br />

59


60<br />

quello che faceva la <strong>di</strong>fferenza in tale situazione era la generica preparazione scolastica<br />

e il prestigio naturale degli ufficiali possidenti sui borghigiani popolani. Le<br />

classi più basse, come i braccianti nullatenenti, erano esclusi dalla Civica come pure<br />

i necrofori ed i macellai, considerati, ai tempi, mestieri infamanti....<br />

Non esisteva, al tempo, specie nei piccoli Comuni, un sistema <strong>di</strong> caserme, ma<br />

gli uomini convocati a domicilio, si presentavano alla residenza del comandante<br />

il battaglione o la compagnia, per prendere or<strong>di</strong>ni o iniziare movimenti. Soltanto<br />

nei maggiori centri dove esistevano conventi vuoti ancora <strong>di</strong>sponibili dall’epoca<br />

napoleonica, era possibile accantonare reparti e ciò era quello che avveniva a Cento<br />

(casermone ex monastero dei frati MM.OO. e anche la sconsacrata chiesa del Rosario<br />

vecchio, sul ramparo <strong>di</strong> settentrione) e, quando giunse il momento, a Bologna<br />

l’accantonamento si effettuò all’ ex monastero <strong>di</strong> S.Margherita (attuale via Cesare<br />

Battisti) e al convento dei Servi in strada Maggiore e a Ferrara, vicina alla zona naturale<br />

<strong>di</strong> operazioni, pure gli alloggiamenti erano situati presso conventi. La stessa<br />

Ferrara era sul fronte delle operazioni militari in quanto nella vecchia, ma sempre<br />

temibile fortezza, era stanziata da decenni (1815) una forte guarnigione austriaca<br />

con reparti solitamente <strong>di</strong> nazionalità croata e ungherese e la conseguente minaccia<br />

continua, del resto più volte materializzatasi, come base per l’invasione delle<br />

Legazioni, costituiva una spina nel fianco non soltanto della città, ma dell’intero<br />

territorio delle Quattro legazioni (assieme al minore complesso, pure austriaco, <strong>di</strong><br />

Comacchio).<br />

Quando le truppe austriache compirono alcuni movimenti ritenuti provocatori<br />

non fu più possibile all’allora debole pontefice arginare la valanga: il modesto<br />

esercito, rafforzato dal complesso dei reparti civici già in posto, si mosse lentamente<br />

per via or<strong>di</strong>naria (ossia a pie<strong>di</strong>) lungo la via Flaminia-passo del Furlo- Ferrara.<br />

Naturalmente i più vicini alla zona <strong>di</strong> operazioni erano i reparti che arruolavano i<br />

volontari dai reparti <strong>di</strong> guar<strong>di</strong>a civica stanziale e che formarono delle “colonne” <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong> Vicenza del 10/6/1848, in cui si <strong>di</strong>mostrò capace comandante, fatto notevole questo, considerata<br />

la nessuna esperienza o istruzione militare classica posseduta. Egli era però un illuminato proprietario<br />

terriero del crevalcorese, ben istruito ed evidentemente possedeva grande ascendente sui suoi uomini.<br />

Certamente la nomina era dovuta alla posizione sociale con relativa appartenenza ai circoli progressisti<br />

bolognesi, come quello del Berti-Pichat e, probabilmente, alla familiarità col vicino, nelle proprietà<br />

terriere, conte Carlo Pepoli, figura del Risorgimento bolognese. Il Nostro era figlio del Priore <strong>di</strong><br />

Crevalcore Fu sempre seguito nelle varie spe<strong>di</strong>zioni dalla moglie Clotilde Maccaferri <strong>di</strong> Massumatico<br />

(S.Pietro in Casale). La coppia ebbe una sola figlia, Elisabetta (Crevalcore 1833?- Bologna fine '800),<br />

custode per molti anni delle memorie familiari. Nel battaglione “Basso Reno” e poi nel reggimento<br />

“ L'Unione” era presente, come capitano comandante <strong>di</strong> una delle compagnie, Pietro Maccaferri da<br />

Massumatico (la cui famiglia era amministratrice del banchiere de Ferrari nel c.d. Principato del Poggetto),<br />

cognato del Rossi. dopo un onorevole servizio al comando interinale del reggimento, durante<br />

un'ispezione notturna alle <strong>di</strong>fese avanzate a porta S.Pancrazio sul Gianicolo, a Roma, nel giugno del<br />

1849, il Rossi venne catturato dai francesi e rinchiuso nel forte <strong>di</strong> Santa Margherita a Cannes e successivamente<br />

a Bastia, in Corsica, assieme al cognato. Non ebbe mai riconosciuto il suo grado come<br />

effettivo, causa la fine della Repubblica. Morì a Crevalcore durante la grande epidemia <strong>di</strong> colera del<br />

1855.


forza fra <strong>di</strong> loro variabile che marciarono verso Bondeno/Stellata e Ferrara onde<br />

riunirsi così da formare battaglioni <strong>di</strong> civici mobili il cui comando doveva essere<br />

assunto dal gen. Ferrari (mentre l’esercito regolare era affidato al piemontese gen.<br />

G. durando che, “fuori quadro” (aveva combattuto in Spagna nelle guerre carliste),<br />

aveva assunto servizio nell’esercito pontificio. Alla Stellata <strong>di</strong> Bondeno confluirono<br />

le colonne <strong>di</strong> Cento, Crevalcore, Persiceto e S.Agata B. che andarono a costituire<br />

sei Compagnie <strong>di</strong> un centinaio <strong>di</strong> uomini ciascuna, formando così un battaglione <strong>di</strong><br />

Guar<strong>di</strong>a civica mobile che si volle chiamare “<strong>di</strong> Cento”, con forti reazioni contrarie<br />

da parte dei volontari delle altre Comunità (figurarsi il campanilismo dell’epoca...).<br />

Sentendo montare lo scontento si dovette interessare della questione lo stesso<br />

gen. durando che decise per il nome <strong>di</strong> “Basso Reno”, <strong>di</strong> assonanza napoleonica,<br />

essendo il comandante dei corpi non regolari, ossia non permanenti, gen. Ferrari,<br />

ancora lontano.<br />

Il battaglione composto <strong>di</strong> sei Compagnie, dove la 1.a e la 2.a erano <strong>di</strong> Cento<br />

e Pieve, la 3.a <strong>di</strong> Crevalcore, la 4.a <strong>di</strong> Persiceto, la 5.a mista e la 6.a <strong>di</strong> S.Agata B.,<br />

mentre successivamente si aggregarono altre due Compagnie <strong>di</strong> Castel Bolognese,<br />

la 7.a e la 8.a del cap. Bu<strong>di</strong>ni, in seguito concentratesi in una sola, per questione <strong>di</strong><br />

personale.<br />

Il comandante il battaglione “Basso Reno” era il vecchio comandante della<br />

guar<strong>di</strong>a civica stanziale <strong>di</strong> Cento ten. col. Vito <strong>di</strong>ana che doveva la sua nomina ai<br />

maneggi dell’arcivescovo <strong>di</strong> Ferrara mons. Cadolini e all’alto funzionario centese,<br />

in servizio nel governo <strong>di</strong> Roma, avv. Francesco Borgatti (destinato ad un brillante<br />

avvenire nel parlamento del futuro Regno d’Italia) 12 . Ciò è la riprova del sistema<br />

delle nomine pontificie.<br />

Il <strong>di</strong>ana aveva in sott’or<strong>di</strong>ne i maggiori Berselli <strong>di</strong> Cento e Rossi <strong>di</strong> Crevalcore<br />

e decise <strong>di</strong> passare il Po, il che avvenne puntualmente con traghettamento<br />

13 nella zona <strong>di</strong> Sermide il giorno 5 <strong>di</strong> aprile del 1848, primo dei reparti<br />

pontifici, se non fosse che il futuro me<strong>di</strong>co centese Didaco Facchini riven<strong>di</strong>-<br />

12 Franceso Borgatti (Renazzo1818-Firenze 1885). Cattolico conservatore, apertosi, sempre con<br />

molta cautela, alle nuove istanze dei tempi. In stretti rapporti personali con l'arcivescovo <strong>di</strong> Ferrara<br />

Cadolini, su suggerimento o in accordo con questi, fu all'origine della (infelice) scelta <strong>di</strong> Vito<br />

<strong>di</strong>ana al comando prima della Guar<strong>di</strong>a civica centese e poi del battaglione civico mobile del “Basso<br />

Reno”, nell'avanzata su Ostiglia. Il Borgatti, laureatosi in Legge a Bologna, si trasferì nella papalina<br />

Roma (in gran fermento) ottenendo subito una serie <strong>di</strong> alti incarichi nei ministeri pontifici. Diresse<br />

il giornale “La speranza”. Segretario generale del ministero degli esteri, snodo cruciale nei rapporti<br />

fra i vari Stati italiani e segnatamente col Piemonte. Ebbe subdolamente contraria la Segreteria <strong>di</strong><br />

stato vaticana. dopo l'Unità fu più volte eletto dai centesi deputato alla Camera italiana e, più tar<strong>di</strong>,<br />

nominato dal Re senatore (allora carica a vita). Successivamente <strong>di</strong>venne, del Senato, vicepresidente<br />

reggente.<br />

Ebbe ruolo <strong>di</strong> primo piano nel giu<strong>di</strong>zio per alto tra<strong>di</strong>mento contro l'Ammiraglio Pellion <strong>di</strong> Persano,<br />

celebrato dal Senato del regno, sedente in Alta corte <strong>di</strong> giustizia, per la vergognosa sconfitta subita<br />

dalla flotta nel mare <strong>di</strong> Lissa (1866). Fu inoltre Ministro <strong>di</strong> Grazia e giustizia e dei culti dal 1866 al<br />

1867 nel Gabinetto <strong>di</strong> Bettino Ricasoli.<br />

13 Non esistevano ancora ponti galleggianti e tanto meno fissi, nella zona.<br />

61


62<br />

cò il primato al suo battaglione “Alto Reno” 14 .<br />

Questo battaglione bolognese ebbe scontri con gli austriaci alla Bevilacqua<br />

(Castello) <strong>di</strong> Ostiglia prima <strong>di</strong> andare a combattere a Treviso una dura lotta<br />

per sbarrare il passo ai rinforzi austriaci per il Radetzky, guidati dal ten.maresciallo<br />

Nugent.<br />

Il comandante era il famoso col. Zambeccari, nobile bolognese, che con<br />

il suo Reparto si era spinto anche fino a Modena, da Castelfranco E., per<br />

appoggiare il cambio <strong>di</strong> regime in quella città e questo senza nessuna autorizzazione<br />

o copertura da parte governativa pontificia.<br />

L’afflusso dei Reparti, specie volontari - oltre ai battaglioni civici c’erano<br />

i Legionari, i Crociati e altri - era complicato dall’arrivo dell’esercito napoletano<br />

quasi al completo, giunto via mare fino ad Ancona, che però, proprio<br />

al giungere delle sue avanguar<strong>di</strong>e in vista del Po, ricevette dal Re <strong>di</strong> Napoli<br />

l’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> rimpatrio, abbandonando la lotta per la causa italiana e fu questo<br />

un altro duro colpo che rafforzò nel tentennante Pio IX , che non voleva fare<br />

la guerra contro la maggiore potenza cattolica, ed era anche scoraggiato dalla<br />

Segreteria <strong>di</strong> stato filoaustriaca, la volontà nel desistere a proseguire nella<br />

lotta. A Roma si stu<strong>di</strong>ò una soluzione sottile e ipocrita per coprire l’avanzata<br />

e cioè si <strong>di</strong>chiararono i battaglioni civici mobili “corpi franchi”, ossia corpi<br />

irregolari senza status militare, ma questo declassamento (che esponeva a seri<br />

rischi, in caso <strong>di</strong> cattura da parte del nemico) non venne accettato facilmente<br />

da tutti i volontari che, come nel caso degli uomini del Quartiere Guisa <strong>di</strong><br />

Crevalcore, se ne ritornarono a casa.<br />

Si dovette provvedere a richiederne altri che per fortuna arrivarono in<br />

numero sufficiente.<br />

Proprio in questo momento scoppiò nel comando del “Basso Reno” un<br />

grosso problema: il ten.col. <strong>di</strong>ana abbandonò il suo posto, portandosi via<br />

tutti i documenti, e dovette intervenire personalmente il gen. durando che,<br />

fra i due Maggiori in forza al battaglione, scelse per la sostituzione il Rossi e<br />

lo promosse tenente colonnello seduta stante. E fu questa una scelta felice<br />

perché egli era amato da ufficiali e soldati. Il battaglione, dopo aver operato<br />

fra Ostiglia e Governolo, all’estrema sinistra dello schieramento pontificio,<br />

quasi a contatto con l’ala destra piemontese, venne spostato, via Rovigo e<br />

Padova verso Vicenza (nell’ultimo tratto a mezzo ferrovia: novità assoluta)<br />

dove si schierò nella zona <strong>di</strong> porta S. Lucia assieme alle Compagnie del 2.o<br />

reggimento svizzeri. La battaglia ebbe effettivamente luogo il 10 giugno 1849<br />

e non riuscì a bloccare l’avanzata del ten. maresciallo Nugent, in arrivo da<br />

Castelfranco V., dopo aver sconfitto i pontifici a Treviso e attraversato il<br />

Piave. La resa delle forze pontificie, stipulata a Vicenza, prevedeva la neutralizzazione<br />

delle forze che avevano capitolato, per il tempo <strong>di</strong> tre mesi (per<br />

14 Il futuro primario dottor <strong>di</strong>daco Facchini aveva, al tempo, per comandante <strong>di</strong> Compagnia il<br />

cap. Felice Orsini, l'attentatore <strong>di</strong> Napoleone III . Questo gesto, che era stato deciso per ven<strong>di</strong>care<br />

la Repubblica Romana del 1849, lo condusse alla ghigliottina, a Parigi, nel 1858.


questi mesi, in altre parole, non avrebbero potuto riprendere il combattimento<br />

e inoltre tutti i corpi non facenti parte dell’esercito pontificio permanente<br />

dovevano essere sciolti).<br />

Pena <strong>di</strong> morte per gli inadempienti<br />

Il Papa, che <strong>di</strong> certo non aveva incoraggiato la guerra, ma nemmeno si era<br />

decisamente opposto, or<strong>di</strong>nò al durando <strong>di</strong> ritirare tutte le forze al <strong>di</strong> qua del<br />

Po e <strong>di</strong> allontanarle da Bologna e Ferrara, verso la Romagna orientale (Forlì<br />

e Cesena).<br />

<strong>di</strong>retta conseguenza della capitolazione <strong>di</strong> Vicenza fu l’avanzata degli austriaci<br />

su Bondeno-Cento per Bologna dove poi si venne alla sollevazione<br />

e alla cacciata degli stessi, con gli scontri della Montagnola e non solo, l’8<br />

agosto 1848. 15<br />

La <strong>di</strong>fesa <strong>di</strong> Roma repubblicana<br />

L’autunno del 1848 si annunciava piuttosto tetro dal punto <strong>di</strong> vista politico<br />

e militare. Le sconfitte delle forze dei <strong>di</strong>versi stati italiani erano state nette<br />

e non certo per mancanza <strong>di</strong> valore dei combattenti quanto per l’ambiguità<br />

nel collegamento fra le <strong>di</strong>verse forze italiane schierate in campo e quin<strong>di</strong> per<br />

carenze politiche (basti pensare alle ambiguità e ai complotti del governo<br />

pontificio e specialmente della filoaustriaca Segreteria <strong>di</strong> stato).<br />

Certamente, da parte pontificia, erano pesate le forti carenze militari in fatto<br />

<strong>di</strong> numero e mezzi, carenze aggravate dalla pressochè assoluta mancanza <strong>di</strong><br />

addestramento dei reparti regolari (professionali) utilizzati in epoca pontificia<br />

soprattutto spezzettati in piccoli <strong>di</strong>staccamenti (e quin<strong>di</strong> incapaci <strong>di</strong> manovre<br />

d’assieme sul campo <strong>di</strong> battaglia) impiegati per servizio <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne pubblico e<br />

presi<strong>di</strong>o: e tutto ciò in contrapposizione al potente esercito austriaco che da<br />

mezzo secolo ormai si muoveva e spadroneggiava nella penisola spesso chiamato<br />

dagli stessi stati (Pontificio, <strong>di</strong> Napoli, Toscana) con la pur notevole<br />

eccezione dell’organizzato stato sardo- piemontese.<br />

Purtroppo tutti quanti gli eserciti italiani, senza eccezione, avevano in comune<br />

una caratteristica: la scarsa qualità degli ufficiali, specie <strong>di</strong> quelli <strong>di</strong> grado elevato,<br />

e ciò era l’assoluto contrario <strong>di</strong> quello che avveniva negli altri stati europei più<br />

importanti, dove erano gli elementi più stu<strong>di</strong>osi e intelligenti a entrare nella carriera<br />

delle armi e progre<strong>di</strong>re nei gra<strong>di</strong>.<br />

Circa i luoghi comuni sugli italiani, la guerra e soprattutto le rivoluzioni popolari,<br />

15 durante le scorrerie delle colonne nemiche per i territori ferrarese e bolognese fece parlare <strong>di</strong><br />

sé , ancora una volta, il ten.col. <strong>di</strong>ana il quale, avendo ripreso dopo il suo “abbandono <strong>di</strong> posto”<br />

ad Ostiglia, il comodo comando della “stanziale” centese, offrì i suoi servigi, per l'or<strong>di</strong>ne pubblico,<br />

al ten. maresciallo Welden che li accettò:ma non accettarono la cosa ufficiali e militi centesi<br />

che costrinsero il tra<strong>di</strong>tore ad abbandonare il Reparto e la città, per ignota destinazione. Il fellone<br />

non fu mai più rivisto. I preziosi documenti in suo possesso pare rimanessero nelle mani del<br />

Quartiermastro Cristani e della sua famiglia fino alla seconda metà dell'Ottocento.<br />

63


64<br />

avevano provato che non esistevano caratteristiche antropologiche negative negli<br />

italiani stessi, ma soltanto, in quel momento, <strong>di</strong>fetti <strong>di</strong> addestramento e <strong>di</strong> preparazione<br />

politica.<br />

Si potrebbe sostenere l’essere meglio lavoratori che guerrieri, ma la storia, almeno<br />

fino ad oggi, ha <strong>di</strong>mostrato che la cosa non è sempre vera; senza lotta il nostro<br />

Paese non si sarebbe costituito e certo non sarebbe libero.La lotta nella pianura padana<br />

e l’on<strong>di</strong>vago Pontefice regnante avevano molto stimolato lo spirito dei sud<strong>di</strong>ti<br />

che sentivano fortemente il peso del malgoverno ecclesiastico portante fatalmente<br />

a depressione economica e quin<strong>di</strong> alla miseria <strong>di</strong> vaste plaghe del territorio.<br />

Il ribollire degli spiriti era particolarmente accentuato nelle sempre riottose Romagne<br />

e nella città <strong>di</strong> Roma e suoi castelli. Proprio a Roma, nel turbato autunno del<br />

1848, nel corso <strong>di</strong> una riunione della consulta al palazzo della Cancelleria, venne ucciso<br />

da sconosciuti il primo ministro incaricato del Papa, Pellegrino Rossi,un avvocato<br />

moderato, mezzo bolognese, e si ebbero concomitanti atti <strong>di</strong> ribellione contro<br />

le istituzioni pontificie, specialmente da parte <strong>di</strong> reduci dei Reparti volontari<br />

ex combattenti nel Veneto. Non sentendosi al sicuro, Pio IX abbandonò,travestito,<br />

il palazzo del Quirinale il 13 novembre 1848 e si rifugiò nella fortezza <strong>di</strong> Gaeta,<br />

ospitato dal Re <strong>di</strong> Napoli.<br />

da quel momento prese gradualmente forma, durante un governo provvisorio<br />

pontificio che attuò qualche riforma nell’organizzazione statale, una nuova forma<br />

<strong>di</strong> struttura statale che il 9 febbraio 1849 portò alla proclamazione della Repubblica<br />

romana (“<strong>di</strong>o e Patria”) che si era ispirata alla repubblica del 1798 (detta Giacobina).<br />

Con la secolarizzazione <strong>di</strong> molte cariche prima rette da religiosi con elementi<br />

laici (borghesi o aristocratici) nelle Romagne le legazioni vennero eliminate e sostituite<br />

dalle Province che vennero rette da Presi<strong>di</strong> ( a Bologna venne nominato Carlo<br />

Berti Pichat).<br />

Con la Repubblica tutti i tribunali ecclesiastici vennero soppressi e prese forma<br />

un nuovo tipo <strong>di</strong> organizzazione giu<strong>di</strong>ziaria e <strong>di</strong> polizia. Venne costituita una Giunta<br />

suprema <strong>di</strong> governo formata dai rappresentanti delle tre maggiori città dello stato<br />

(Roma, Bologna e Ancona).<br />

Il 13 <strong>di</strong>cembre 1848 a Forlì i Circoli popolari richiesero la convocazione dell’Assemblea<br />

costituente. Con lo scioglimento <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi battaglioni civici mobili nelle<br />

Legazioni e il licenziamento in massa dei mercenari svizzeri, in questo territorio<br />

stanziati che, forse non sicuri del nuovo stato <strong>di</strong> cose, dubitavano del loro soldo, si<br />

venne a creare l’impellente necessità <strong>di</strong> nuovi reparti, ma la cosa non era facile, date<br />

le emergenze che si profilavano all’orizzonte dello Stato.<br />

Venne quin<strong>di</strong> decisa la costituzione <strong>di</strong> un nuovo reggimento regolare (ossia rientrante<br />

in pieno nell’“or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> battaglia” dell’esercito) denominato “L’Unione” cui<br />

venne anche assegnato un numero, come agli altri reggimenti, che era il 9.o <strong>di</strong> linea<br />

(fanteria) costituito su due battaglioni ( I e II) dove il II non era altro che il vecchio<br />

battaglione “Basso Reno” i cui uomini erano stati richiamati in servizio dopo essere<br />

stati inviati in congedo provvisorio alle loro abitazioni.<br />

Il I battaglione venne costituito con elementi bolognesi, ma soprattutto con


uomini della parte orientale della provincia e anche delle Legazioni <strong>di</strong> Forlì e <strong>di</strong><br />

Ravenna.<br />

In un primo tempo i due Reparti, assommanti in totale a circa 1700 uomini (800<br />

il I e 900 circa il II) vennero impiegati separatamente e cioè il II accantonato in<br />

S. Margherita e ai Servi (oggi via dei Bersaglieri, attuale caserma dei carabinieri) in<br />

mezzo a mille <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> carattere logistico come mancanza <strong>di</strong> effetti letterecci e<br />

ad<strong>di</strong>rittura usando lenzuola e coperte infestate da parassiti e sporcate da precedenti<br />

reparti. Questo stato <strong>di</strong> cose perdurò fino a quando il comandante Rossi non intervenne<br />

per l’ennesima volta nei confronti della Intendenza della 3.a <strong>di</strong>visione<br />

Militare (<strong>di</strong>rezione degli alloggiamenti militari, Sovrintendente Fabbri).<br />

Operativamente il battaglione ebbe <strong>di</strong>staccamenti a Castel S. Pietro Bolognese<br />

(oggi Terme) e Budrio, con un servizio <strong>di</strong> presi<strong>di</strong>o degli abitati e delle strade, specie<br />

la via Emilia.<br />

Più oscure e tormentate le vicende del I battaglione che aveva ancora uomini a<br />

Venezia che poi rientrarono, via mare, sbarcando a Ravenna. Complessivamente<br />

il reggimento ebbe tre depositi, oltre a quelli, già menzionati <strong>di</strong> Bologna, uno a<br />

Cento (ex palazzo del Commisssario Arcivescovile) e un altro a Ferrara. Trattandosi<br />

<strong>di</strong> un reggimento con tutti i crismi della regolarità e quin<strong>di</strong> con ben altro prestigio<br />

<strong>di</strong> quello dei Corpi Franchi, ossia civici mobili, ci fu una sorda lotta per ottenere<br />

il comando e perciò lavorio personale fra alcuni Colonnelli “pieni” (per usare una<br />

definizione militaresca che serve a <strong>di</strong>stinguere colonnelli da tenenti-colonnelli chiamando<br />

tutti “colonnello”) ed è chiaro che il livello del reparto comandato tendeva<br />

a fare grado.<br />

Il comando alla fine venne affidato al col. Angelo Pichi con i due tenenti- colonnelli<br />

Ferrara e Rossi, comandanti i battaglioni, ovviamente in sottor<strong>di</strong>ne.<br />

Con l’avvicinarsi quin<strong>di</strong> della stretta finale ed essendo chiaro che gli austriaci,<br />

entro breve, avrebbero schiacciato le Legazioni <strong>di</strong> Romagna occupando per cominciare<br />

Ferrara e Bologna, praticamente in<strong>di</strong>fen<strong>di</strong>bili, venne deciso il movimento dei<br />

due battaglioni verso il Lazio e Roma..<br />

La congiunzione dei due battaglioni avvenne ad Ancona, essendo partiti il I da<br />

Ravenna e il II da Bologna. Il col. Pichi era intanto passato al comando della 3.a<br />

<strong>di</strong>visione Militare <strong>di</strong> Bologna (situazione ambigua: non perse mai il comando del<br />

reggimento e ad Ancona si ebbe la frizione finale fra i due tenenti-colonnelli. Tommaso<br />

Rossi ebbe il sopravvento e il comando <strong>di</strong> fatto).<br />

Il reggimento marciò verso Roma con una forza <strong>di</strong> circa 1400 uomini, avendone<br />

lasciati ai depositi e ad Ancona circa 400.<br />

A Roma andava sempre più avvicinandosi il punto critico e si può fissare il momento<br />

del ra<strong>di</strong>cale cambiamento della situazione nell’assassinio <strong>di</strong> Pellegrino Rossi,<br />

il primo ministro conservatore designato da Pio IX, e la fuga a Gaeta dello stesso<br />

Pontefice, il 24 novembre 1848 che <strong>di</strong>ede inizio ad un esaltante periodo fatto <strong>di</strong><br />

realizzazione <strong>di</strong> tanti ideali da lungo tempo sognati e sempre repressi. Anche altre<br />

grosse e nere nuvole si andavano addensando sul futuro imme<strong>di</strong>ato.<br />

Tutte le potenze d’ Europa <strong>di</strong>sprezzavano l’arretrato ed oscurantista Stato clericale<br />

romano, ma guardavano , ovviamente, soprattutto ai loro interessi politico-<br />

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66<br />

strategici. Mentre gli austriaci si preparavano ad invadere le solite Romagne fino<br />

ad Ancona (quasi una coazione a ripetere!) e si pensi che si sussurrava perfino <strong>di</strong><br />

una cessione territoriale a loro favore della parte padana dello Stato pontificio, ossia<br />

della sua parte più ricca e popolosa...., il presidente francese Bonaparte (nipote <strong>di</strong><br />

Napoleone Bonaparte, il grande imperatore) che aveva ambizioni imperiali a sua<br />

volta, da ottenere per via parlamentare con l’aiuto dei non pochi parlamentari cattolici<br />

francesi,mirava a muoversi in soccorso del Papa e pensava già ad una spe<strong>di</strong>zione<br />

militare a Roma, spe<strong>di</strong>zione però osteggiata dalle forze ra<strong>di</strong>cali del parlamento<br />

francese stesso.<br />

Dopo la sua fuga a Gaeta il pontefice aveva lasciato in comando a Roma una<br />

commissione straor<strong>di</strong>naria <strong>di</strong> Governo che doveva controllare le città dello Stato<br />

sempre più agitate dai ra<strong>di</strong>cali e dai reduci dei corpi volontari che avevano combattuto<br />

in Veneto (le campagne, reazionarie, contavano pressoché zero). Si arrivò<br />

presto a parlare <strong>di</strong> repubblica e Pio IX da Gaeta lanciò la scomunica ai filo-repubblicani<br />

e comunque a tutti coloro che si fossero lasciati coinvolgere, in modo attivo<br />

o passivo, nelle novità prossime venture. Non emise però bolle <strong>di</strong> scomunica ed<br />

applicò nientemeno che gli articoli dei dettati del Concilio <strong>di</strong> Trento, ossia della<br />

Controriforma del XVI secolo, i quali prevedevano appunto la scomunica a coloro<br />

che avessero messo in pericolo l’integrità del cosiddetto patrimonio <strong>di</strong> S. Pietro.<br />

La cosa ebbe effetto in modo <strong>di</strong>verso a seconda delle zone e anche a seconda<br />

dei personaggi.<br />

A Bologna l’anziano Arcivescovo non <strong>di</strong>ffuse la decisione del Papa e tantomeno<br />

applicò le <strong>di</strong>sposizioni. 16<br />

Intanto che il 9° fanteria (“L’Unione”) si riuniva ad Ancona e marciava<br />

verso Roma per la via Salaria (una passeggiata <strong>di</strong> 14 giorni), a Roma maturavano<br />

eventi <strong>di</strong> portata storica.<br />

Venivano indette le elezioni per l’Assemblea costituente che prevedeva 200<br />

deputati eletti dal popolo ed in tutto lo Stato ferveva un grande lavoro <strong>di</strong> orga-<br />

16 Mons. Oppizzoni (1768-1855). Arcivescovo <strong>di</strong> Bologna a 35 anni e car<strong>di</strong>nale a 36, era stato anche<br />

imprigionato in periodo napoleonico fra il 1811 e il 1813. Sarebbe <strong>di</strong>ventato il superiore <strong>di</strong> Ugo<br />

Bassi e Alessandro Gavazzi, i barnabiti espulsi dall'or<strong>di</strong>ne a loro insaputa, nel 1848. Tutto lascia<br />

pensare che lasciasse nelle mani del commissario straor<strong>di</strong>nario Be<strong>di</strong>ni l'oscuro affare Ugo Bassi e si<br />

limitasse a curare la sistemazione della salma.<br />

Fu il Be<strong>di</strong>ni certamente l'anima nera della ennesima restaurazione pontificia nelle Legazioni. Perfetto<br />

prototipo del curiale, aduso ad ogni intrigo politico, e si pensi alla sua presenza al campo<br />

austriaco <strong>di</strong> Castelfranco E. , a fianco degli stranieri che asse<strong>di</strong>avano, bombardandola, la seconda<br />

città del suo Stato. Molti elementi <strong>di</strong>mostrano il ruolo oscuro da questi avuto nella triste vicenda<br />

assolutamente illegale, anche nell'orrendo co<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> guerra, dell'assassinio dei patrioti Ugo Bassi e<br />

Giovanni Livraghi alla Certosa <strong>di</strong> Bologna: ne avrebbe ricevuto in premio, anni dopo, una tunica<br />

porpora. Mons. Be<strong>di</strong>ni (Senigallia 1803-Viterbo 1864) era concitta<strong>di</strong>no del Papa e certamente fra<br />

i Suoi preferiti. Se il nostro giu<strong>di</strong>zio dovesse oggi suonare eccessivo per la sensibilità, legittima, <strong>di</strong><br />

una parte del pubblico, si ricor<strong>di</strong>no le richieste <strong>di</strong> perdono, nei confronti del popolo italiano, da<br />

parte <strong>di</strong> un recente Pontefice per i comportamenti della Chiesa nei Suoi tentativi <strong>di</strong> conservare un<br />

ingombrante e anticristiano potere temporale.


nizzazione.<br />

I parroci erano costretti a consegnare i libri parrocchiali per la formazione dei<br />

ruoli e delle liste.<br />

Nei giorni fra il 21 e il 24 gennaio 1849 si svolsero liberamente le elezioni con<br />

i seggi vigilati dagli uomini della Guar<strong>di</strong>a civica. I votanti furono 250.000 ossia il<br />

30% degli aventi <strong>di</strong>ritto: dato ottimo considerata l’opposizione <strong>di</strong> larga parte del<br />

clero e l’assenza della maggioranza delle arretrate campagne. Risultarono eletti<br />

200 deputati che si inse<strong>di</strong>arono il 5 febbraio 1849 e circa 120 <strong>di</strong> questi risultarono<br />

a favore <strong>di</strong> una Repubblica ( l’8 febbraio 1848), il cui decreto <strong>di</strong> proclamazione<br />

(9 febbraio 1849) venne redatto dal budriese Quirico Filopanti (soltanto 20<br />

votarono per il già <strong>di</strong>mostrato impossibile stato costituzionale clericale).<br />

Il 18 marzo 1849 si emise il decreto che cambiava la denominazione della<br />

Guar<strong>di</strong>a civica in Guar<strong>di</strong>a nazionale. Alla fine dello stesso mese un corpo <strong>di</strong> 7mila<br />

francesi sbarcava a Civitavecchia e si spostava verso Roma, percorrendo la via<br />

Aurelia con quartier generale a Castel <strong>di</strong> Guido.<br />

I francesi, che contavano su <strong>di</strong> una favorevole accoglienza della popolazione,<br />

rimasero delusi.<br />

Non avevano forze sufficienti per porre un asse<strong>di</strong>o classico alla città, ovvero<br />

circondarla nel suo perimetro <strong>di</strong> oltre 30 km, per cui puntarono alla posizione<br />

migliore e cioè alla più elevata: il colle Gianicolo da dove le loro artiglierie potevano<br />

battere con il fuoco tutta intera (o quasi) la città e specie il centro storico.<br />

Lo schieramento francese quin<strong>di</strong> andava da monte Mario sull’ala sinistra alla<br />

Basilica <strong>di</strong> S. Paolo sulla destra, a cavallo del Tevere, dove lanciarono un ponte<br />

galleggiante.<br />

Tentarono <strong>di</strong> impadronirsi nella zona <strong>di</strong> monte Mario dell’antico ponte Rotto<br />

(p. Milvio), che però venne valorosamente <strong>di</strong>feso. Per tutto il resto delle malandate<br />

mura Aureliane si limitarono ad effettuare perlustrazioni con pattuglie <strong>di</strong><br />

cavalleria. I francesi attaccarono il giorno 30 <strong>di</strong> aprile sulla <strong>di</strong>rettrice <strong>di</strong> porta<br />

Cavalleggeri- porta Angelica, ma con una errata valutazione nei confronti dei<br />

<strong>di</strong>fensori, vennero clamorosamente respinti, soffrendo centinaia <strong>di</strong> per<strong>di</strong>te.<br />

A quel punto subentrò una pausa con il comandante francese Au<strong>di</strong>not installato<br />

a villa doria-Pamphili fuori <strong>di</strong> porta S. Pancrazio. Si iniziò una strana tregua<br />

fatta <strong>di</strong> messaggi fra il generale francese e il Triumvirato che teneva il potere<br />

governativo <strong>di</strong> Roma, ma che aveva il chiaro scopo <strong>di</strong> fare arrivare dalla Francia<br />

a Civitavecchia grossi rinforzi <strong>di</strong> truppe (e soprattutto <strong>di</strong> artiglierie). Quin<strong>di</strong> considerato<br />

l’enorme vantaggio in fatto <strong>di</strong> addestramento ed equipaggiamento dei<br />

francesi sui repubblicani e l’arrivo del corpo <strong>di</strong> rinforzo, non c’erano più dubbi<br />

sull’esito della lotta. Se ai vantaggi sopra descritti si aggiungeva pure l’attacco<br />

dei napoletani verso i colli Albani e la provincia <strong>di</strong> Frosinone ed era annunciato<br />

anche l’arrivo <strong>di</strong> truppe spagnole che avrebbero, poi si vide, scorrazzato nel Lazio<br />

senza però mai costituire un grosso problema militare, la Repubblica era finita.<br />

Garibal<strong>di</strong> pure era arrivato a Roma con la sua Legione denominata “italiana”<br />

e si mise a <strong>di</strong>sposizione della Repubblica. Venne subito impiegato a respingere i<br />

napoletani, che sconfisse a Velletri. I francesi attaccarono villa Corsini (detta dei<br />

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Quattro Venti) che costituiva con le altre (Valentini, Vascello ecc..) una linea <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>fesa antemurale rispetto ai bastioni rinascimentali che erano sulla sommità del<br />

Gianicolo. Fu un combattimento sanguinoso, per ben due volte il 33° Regg.to<br />

Granatieri francese attaccò, se ne impadronì, e la riperse (assieme a centinaia <strong>di</strong><br />

caduti).<br />

La terza volta riuscì a conservarla e così gli avamposti romani si ridussero alla<br />

villa detta del Vascello, giusto a pochi metri dalla debolissima porta S. Pancrazio.<br />

In breve tutto il terreno, coltivato a vigne, davanti ai bastioni, si ricoprì <strong>di</strong> trincee<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa e anche <strong>di</strong> attacco. Erano trincee scavate nel terreno, ove possibile,<br />

se no in rilevato con le protezioni <strong>di</strong> gabbioni, ossia <strong>di</strong> grossi cesti <strong>di</strong> vimini.<br />

Le mosse de “L’Unione”<br />

Arrivato nel Lazio il Reggimento pattugliò vaste zone a nord <strong>di</strong> Roma e poi<br />

ebbe l’incarico <strong>di</strong> vigilare tutto l’arco delle mura Aureliane da porta Portese a<br />

porta Salaria e, date le forze <strong>di</strong>sponibili, voleva <strong>di</strong>re eseguire effettivamente solo<br />

una sorveglianza con posti <strong>di</strong> controllo presso le porte della città che erano state<br />

protette da barricate.<br />

Poi il reggimento venne spostato sul Gianicolo ove dovette agire militarmente<br />

in combattimenti (soprattutto il II battaglione) e in scavi notturni <strong>di</strong> trincee e<br />

altre opere <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa, cosa estremamente logorante. Il reggimento ebbe il posto <strong>di</strong><br />

comando e l’accantonamento degli uomini in palazzo Corsini alla Lungara (Trastevere).<br />

In quel periodo venne organizzato un sistema <strong>di</strong> ambulanze, ossia posti<br />

<strong>di</strong> me<strong>di</strong>cazione per i feriti nei vari ospedali e ospizi della città, ma in<strong>di</strong>pendenti<br />

dalla <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> questi, il che permise anche alle donne <strong>di</strong> cooperare e si <strong>di</strong>stinse<br />

fra tutte la milanese principessa <strong>di</strong> Belgioioso. Anche la moglie del comandante<br />

Rossi cooperò in <strong>di</strong>verse ambulanze. Sul fronte dei combattimenti si impegnò<br />

soprattutto l’ex “Basso Reno” sotto i bastioni a sinistra della porta. Mentre si<br />

avvicinava l’ora fatale della crisi finale.<br />

Il 12 giugno il reparto venne impegnato in una serie <strong>di</strong> combattimenti quando,<br />

nella zona del Vascello cadde, colpito a morte, l’anziano tenente Giovanni Timoteo<br />

Giordani (Cento 1799!) al quale soltanto la caduta della Repubblica impedì un<br />

grande riconoscimento al valor militare.<br />

Finirono forse in quel combattimento il ten. Francesco Lenzi, il serg. Calliope<br />

Lo<strong>di</strong>, cinque militi tutti centesi e il crevalcorese Cremonini, valorosissimo 17 .<br />

Il fatto d’arme certamente più glorioso fu la <strong>di</strong>fesa ad oltranza della villa del<br />

Vascello (massacrata dalla artiglieria francese e mai più ricostruita, ancora oggi<br />

17 Tutti i caduti della Repubblica romana sia del 1849 sia degli altri scontri fino al 1870 (breccia <strong>di</strong><br />

p.ta Pia) riposano dal 1941 in un monumento ossario eretto sul luogo ove nel 1849 era piazzata la<br />

batteria romana detta “del Pino”.<br />

Comprende quin<strong>di</strong> non solo i caduti del Gianicolo in no. <strong>di</strong> 942 (<strong>di</strong> cui 230 romagnoli delle ex<br />

legazioni/ province), ma anche un paio <strong>di</strong> centinaia <strong>di</strong> altri, caduti sempre sotto Roma come<br />

Mentana, villa Glori, Tivoli e altre località fino alla citata p.ta Pia, atto finale della grande avventura<br />

romana.<br />

Si noti che nella Campagna <strong>di</strong> Roma si ebbero più caduti della intera guerra in valle Padana.


mantenuta nella con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> fine lotta, come monumento). Sul Gianicolo, il cui<br />

fronte, dopo il rientro dagli scontri sui Castelli, era stato affidato al gen. Garibal<strong>di</strong>,<br />

esercitò la sua missione con un coraggio quasi suicida padre Ugo Bassi che<br />

giunse a <strong>di</strong>sinnescare anche le spolette delle granate francesi inesplose.<br />

Ma è sul Vascello che bisogna sempre fermare l’attenzione: era comandato dal<br />

col. Me<strong>di</strong>ci ed era stato formato il Reparto <strong>di</strong> questi, inizialmente, da volontari<br />

toscani rafforzato via via da altri <strong>di</strong> varie provenienze. Si coprirono <strong>di</strong> gloria i<br />

lombar<strong>di</strong> del battaglione <strong>di</strong> Luciano Manara (400 per<strong>di</strong>te su 800 effettivi!). Proprio<br />

l’ultimo giorno <strong>di</strong> guerra morì all’ospedale <strong>di</strong> S. Maria dei Pellegrini il poeta<br />

ventenne Goffredo Mameli (autore dei versi del nostro Inno nazionale), che era<br />

stato ferito ad un piede e morì <strong>di</strong> cancrena. Lo stesso Luciano Manara, ferito<br />

al capo l’ultimo giorno <strong>di</strong> battaglia (30 giugno 49), assistito da Ugo Bassi, morì<br />

al posto <strong>di</strong> me<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong> S. Maria della Scala in Trastevere. Al suo funerale<br />

in S.Lorenzo in Lucina ancora Ugo Bassi pronunciò l’orazione funebre, molto<br />

commovente, vestito della camicia rossa dei garibal<strong>di</strong>ni. Il 3 luglio 1849 Garibal<strong>di</strong><br />

lasciò Roma per il nord e il 6° Regg.to <strong>di</strong> linea (“L’Unione”), consegnato in<br />

Castel S. Angelo, venne sciolto non essendo fra le forze permanenti dello Stato<br />

pontificio. Il ten.col. T. Rossi non si vide concesso il grado militare permanente<br />

e tornò in patria con gli altri reduci e finì, ancora giovane, per una allora e spesso<br />

mortale epidemia <strong>di</strong> colera.<br />

Per un giu<strong>di</strong>zio finale sulle operazioni e sulla condotta dei Reparti composti<br />

da sud<strong>di</strong>ti, poi <strong>di</strong>venuti per loro volontà citta<strong>di</strong>ni, della nostra sub-regione, storicamente<br />

Romagna occidentale e che per la massima precisione ci è piaciuto<br />

chiamare Padusa, non si può fare altro che inchinarsi al loro valore, in qualche<br />

caso eccezionale, sia nella campagna del Veneto (1848) sia soprattutto nella <strong>di</strong>fesa<br />

della loro Repubblica romana (1849), che anche oggi sentiamo più che mai come<br />

nostra.<br />

Essi erano borghesi, intellettuali e popolani delle città e dei borghi che per la<br />

prima volta si trovavano ad affrontare un nemico agguerrito e baldanzoso per<br />

le molte vittorie, scarsamente armati e per niente addestrati. Fecero essi tutto il<br />

possibile. da sottolineare che la Costituzione della Repubblica romana del 1849<br />

votata, in Campidoglio, giusto l’ultimo giorno <strong>di</strong> guerra, avanzatissima, può essere<br />

ben considerata la progenitrice della nostra Carta Costituzionale del 1948,<br />

proclamata praticamente cent’anni dopo.<br />

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70<br />

Guida ragionata alle fonti<br />

Il materiale archivistico è <strong>di</strong>sponibile in relativa abbondanza, anche se <strong>di</strong>sperso<br />

in se<strong>di</strong> <strong>di</strong>verse e anche <strong>di</strong>sagiate. Trattandosi <strong>di</strong> svolgere una ricerca focalizzata<br />

ad avvenimenti o personaggi appartenenti ad una precisa e limitata<br />

realtà geografica è stato ritenuto conveniente partire dal livello degli archivi<br />

storici comunali insistenti sul territorio <strong>di</strong> interesse e cioè:<br />

A. S. C. Cento. La sede <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o o<strong>di</strong>erna è confortevole e molto ben seguita,<br />

ma il materiale è conservato in un ex stabilimento (non <strong>di</strong> proprietà<br />

comunale) soggetto a temperature non certo ottimali, ai fini della conservazione,<br />

per i fon<strong>di</strong> custo<strong>di</strong>ti. Scarsissimo e frammentario il materiale <strong>di</strong> interesse<br />

specifico <strong>di</strong>sponibile. Forse il fondo è stato saccheggiato durante qualche<br />

periodo, magari durante i <strong>di</strong>versi trasferimenti <strong>di</strong> sede avvenuti negli ultimi<br />

venticinque anni (Rocca, Ex Molino Valentini ed ex Canapificio Buracci).<br />

In almeno una sede provvisoria, quella dell’ ex Molino, i fon<strong>di</strong> dell’archivio<br />

sono stati oggetto sicuramente <strong>di</strong> furto, con effrazione della porta d’accesso.<br />

Caratteristica forse unica dei fon<strong>di</strong> centesi è quella <strong>di</strong> essere stati depauperati<br />

anche dal prelievo selettivo eseguito dall’archivista stesso negli anni <strong>di</strong> fine<br />

Ottocento per essere consegnati ad altro ente, fino ad allarmare i responsabili<br />

del tempo del Museo beneficiario (A.M.S.RIS.Bo.).<br />

A.S. C. S.Giovanni in Persiceto. I fon<strong>di</strong> conservati furono oggetto delle<br />

“attenzioni” dei rivoltosi della “Tassa sul macinato” nel 1869. E’ <strong>di</strong>fficile <strong>di</strong>re<br />

quanto sia il materiale perduto nell’incen<strong>di</strong>o, mai abbastanza deprecato, presso<br />

questo grosso comune. Anche qui i documenti hanno subito traslochi. La<br />

sede attuale, per quanto ottimamente or<strong>di</strong>nata, è penalizzata da limitatissimi<br />

orari <strong>di</strong> apertura e da temperature ambientali con punte estreme durante le<br />

stagioni.<br />

A.S.C. Crevalcore. E’ la perla degli archivi da noi utilizzati. Moderno e<strong>di</strong>ficio<br />

con agevole <strong>di</strong>sposizione del materiale, che gode <strong>di</strong> impianto <strong>di</strong> climatizzazione,<br />

ottimo per la conservazione.<br />

In questo quadro, confortevolissimo, si trova molto materiale, perfettamente<br />

or<strong>di</strong>nato, del periodo risorgimentale e in particolare molto della documentazione<br />

prodotta dai reparti del battaglione “Basso Reno” durante il<br />

comando del crevalcorese ten. col. Tommaso Rossi e, all’atto della smobilitazione<br />

del Reparto, versato agli archivi del comune dal quale <strong>di</strong>pendeva<br />

amministrativamente il battaglione.<br />

A.S.C. Bologna. E’ ben organizzato, <strong>di</strong>spone <strong>di</strong> interessante documentazione<br />

ed è a tutti gli effetti al livello <strong>di</strong> un archivio <strong>di</strong> stato. Sala <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o<br />

confortevole con personale competente, ma con i depositi però non troppo<br />

felici per la conservazione dell’abbondante materiale: è l’adattamento <strong>di</strong> un<br />

precedente impianto comunale che venne destinato ad accogliere i fon<strong>di</strong> archivistici<br />

depositati fra l’Archivio <strong>di</strong> Stato <strong>di</strong> Bologna e i magazzini della Sala<br />

Borsa (ante-restauro).


A. Museo del Risorgimento- Bologna. Giacimento <strong>di</strong> fon<strong>di</strong> preziosi per<br />

gli stu<strong>di</strong>osi, sia <strong>di</strong> tipo bibliografico sia documentario. Ha due se<strong>di</strong>, una museale<br />

(piazza Carducci) con depositi accessibili soltanto al personale e quella<br />

propriamente archivistico-bibliografica specializzata <strong>di</strong> via dei Musei, dove<br />

si trova la sala stu<strong>di</strong>o. Anche questa istituzione ha subito gli insulti della II<br />

guerra mon<strong>di</strong>ale quando il materiale esposto nelle vetrine del Museo venne<br />

raccolto nei depositi, creando così <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> collocazione per via del cambiamento<br />

dei riferimenti che avevano la loro origine nella sala Risorgimentale<br />

dell’Esposizione <strong>di</strong> Bologna. Le trasformazioni ebbero luogo nel 1943.<br />

A.S.C. S.Agata B. Archivio ben or<strong>di</strong>nato anche se non abbondantissimo<br />

nel materiale.<br />

d’altra parte è il più piccolo dei comuni <strong>di</strong> interesse. Orari <strong>di</strong> consultazione<br />

molto limitati.<br />

A.S. Bologna. Si tratta <strong>di</strong> uno dei più forniti archivi italiani, oggetto <strong>di</strong><br />

relativamente recente restauro, dotato <strong>di</strong> accogliente sede <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o e con<br />

ottimo personale. E’ sede <strong>di</strong> scuola archivistica e pubblica ed espone con una<br />

certa frequenza. Vi si trovano i fon<strong>di</strong> della Legazione/provincia pontificia <strong>di</strong><br />

Bologna, in modo sistematico. Proprio per l’organicità dei fon<strong>di</strong> depositati,<br />

si <strong>di</strong>fferenzia dal Museo del Risorgimento ove si possono reperire essenzialmente<br />

“pezzi” rari e selezionati, dovuti assai spesso a donazioni e lasciti <strong>di</strong><br />

vecchi patrioti o delle famiglie <strong>di</strong> questi.<br />

E’ presente la documentazione relativa ai fatti del 1848-49 (Ugo Bassi,<br />

Legazione, Atti Riservati 1849 e Legazione, Guar<strong>di</strong>a Civica 1848).<br />

A.S. Roma. ( da non confondere con l’ Archivio centrale dello stato situato<br />

al quartiere EUR).<br />

I fon<strong>di</strong> <strong>di</strong> interesse, parte degli archivi ministeriali pontifici, sono <strong>di</strong>visi<br />

fra la sede storica <strong>di</strong> Corso Rinascimento e quella staccata presso il “solito”<br />

vecchio stabilimento <strong>di</strong>smesso, <strong>di</strong>sagevole da raggiungere, oltre la stazione<br />

Tiburtina. Nella sezione staccata si conserva la maggior parte del materiale<br />

archivistico ante1870: la ricerca va comunque svolta presso entrambe le<br />

se<strong>di</strong>.<br />

Museo Centrale del Risorgimento presso il complesso del Vittoriano: conserva<br />

soltanto materiale per esposizione (parzialmente esposto).<br />

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72<br />

LEGENdA<br />

A.S.Bo. Archivio <strong>di</strong> Stato <strong>di</strong> Bologna<br />

A.S.Rm. Archivio <strong>di</strong> Stato <strong>di</strong> Roma<br />

A.M.S.RIS. Bo. Archivio del Museo storico del Risorgimento <strong>di</strong> Bologna<br />

B.C.A.Bo. Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio <strong>di</strong> Bologna<br />

A.S.C.Bo. Archivio storico comunale <strong>di</strong> Bologna<br />

A.S.C.Ce. Archivio storico comunale <strong>di</strong> Cento<br />

A.S.C.Cr. Archivio storico comunale <strong>di</strong> Crevalcore<br />

A.S.C.Pe. Archivio storico comunale <strong>di</strong> S.G..Persiceto<br />

A.S.C.S.A Archivio storico comunale <strong>di</strong> S.Agata Bolognese<br />

L’autore delle presenti note approfitta della circostanza per ringraziare i Funzionari<br />

e i loro Collaboratori per il cortese aiuto prestato; ringrazia, inoltre, la Direzione del<br />

Museo del Risorgimento <strong>di</strong> Bologna per la concessione delle immagini.


Il piemontese gen. G. Durando comandante i pontifici nella campagna del Veneto: molto <strong>di</strong>scusse<br />

le sue decisioni strategiche durante quella campagna.<br />

Ostiglia, aprile 1848. La posizione del batt.ne “Basso Reno” oltre il Po. detto reparto si era costituito<br />

fra Bondeno e Revere con le “colonne” civiche volontarie provenienti da Cento, Crevalcore,<br />

Persiceto, S.Agata B. cui si aggiunsero le due compagnie <strong>di</strong> Castelbolognese del valoroso cap.<br />

Bu<strong>di</strong>ni. Il primato nell’attraversamento del fiume venne riven<strong>di</strong>cato anche dai bolognesi del batt.ne<br />

“Alto Reno” (ten. col. Zambeccari).<br />

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1848. Il ten. col. Tommaso Rossi ( Palata Pepoli 1809- Crevalcore 1855 ). Il crevalcorese venne<br />

nominato comandante del “Basso Reno” dal gen. durando che tolse dal comando il centese ten.<br />

col. Vito <strong>di</strong>ana, primo comandante, per pecche caratteriali. Il Rossi tenne anche il comando del<br />

regg.to “L’Unione” alla <strong>di</strong>fesa <strong>di</strong> Roma nel 1849. Venne catturato dai francesi sul bastione n. 6 nel<br />

giugno del 1849. Venne da questi internato in Corsica


1848. “Guidone” <strong>di</strong> combattimento del batt.ne “Basso Reno”. Mentre la ban<strong>di</strong>era del battaglione era<br />

quella pontificia questa insegna, molto scolorita dal tempo, parrebbe tricolore, ma con <strong>di</strong>sposizione<br />

orizzontale delle strisce colorate.<br />

1848. Borsa-giberna porta munizioni del “Basso Reno”. Conteneva palle <strong>di</strong> piombo, cariche e<br />

inneschi (capsule o fulminanti) per i fucili in dotazione (prevalentemente <strong>di</strong> fabbricazione francese<br />

o trasformati da pietra focaia).<br />

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Vicenza 10/6/1848. Schieramento degli eserciti contrapposti nella battaglia (in nero i reparti<br />

austriaci).<br />

Il “Basso Reno” è schierato <strong>di</strong>etro il cimitero al centro delle Compagnie del 2° regg.to estero<br />

(Svizzeri pontifici).<br />

Il combattimento principale, il battaglione lo sostenne a Borgo S.Lucia e palazzo Scroffa.<br />

giugno 1848. Pianta <strong>di</strong> Vicenza <strong>di</strong> proprietà del T.Col. Rossi. A sud visibile il Monte Berico teatro<br />

<strong>di</strong> furiosi combattimenti.


Aprile-Giugno 1849. Carta militare delle <strong>di</strong>fese romane attorno a porta S.Pancrazio, sul Gianicolo.<br />

In alto, fuori porta , visibili le ville del Vascello, dei Quattro Venti e Valentini. Notare la trincea<br />

esterna ai bastioni rinascimentali.<br />

All’interno delle mura le ville Spada e Savorelli, luogo dell’ultima resistenza a fine giugno 1849.<br />

In basso il complesso <strong>di</strong> S.Pietro in Montorio, posto <strong>di</strong> primo soccorso. Le doppie linee sinuose<br />

(a tratteggio fine) fuori dei bastioni sono trincee (scavate o in rilevato gabbionato) costruite<br />

prevalentemente dagli uomini del regg.to “L’Unione”.<br />

Roma 1849. Tabella delle tipologie dei lavori <strong>di</strong> fortificazione eseguiti principalmente del I e II<br />

battaglione de “L’Unione”. I reparti lavoravano, specie <strong>di</strong> notte, <strong>di</strong> pala e piccone, autoproteggendosi<br />

dagli attacchi delle pattuglie francesi. In tale situazione subirono forte logoramento.<br />

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Roma 1849. Vista della zona, dopo i combattimenti sul Gianicolo, fuori porta S.Pancrazio.<br />

Da destra a sinistrVascello e fino al Casino dei Quattro Venti.


Roma, luglio 1849. La villa del Vascello. Evidente l’effetto del violento fuoco dell’artiglieria<br />

francese.<br />

La villa era, con la Valentini e i Quattro venti, un avamposto dei bastioni <strong>di</strong> porta S. Pancrazio. La<br />

resistenza <strong>di</strong> questo caposaldo <strong>di</strong>venne leggendaria: vi presero parte parecchi uomini de “L’Unione”<br />

(II battaglione!).<br />

Roma 1849. Il Casino dei Quattro Venti, al centro dei combattimenti manovrati, fu più volte perduto<br />

e ripreso con violentissimi scontri all’arma bianca. Famosa la carica <strong>di</strong> cavalleria dei bolognesi del<br />

cap. Masini. Ben visibile l’effetto dell’artiglieria. Oggi sorge sul luogo un arco monumentale, a<br />

ricordo.<br />

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Roma 1849. Pezzo d’artiglieria romana smantellato dal fuoco nemico sul retro dei bastioni.<br />

Roma, luglio 1849. Batteria <strong>di</strong> pezzi romani, dopo la fine delle ostilità. Visibile la mancanza<br />

<strong>di</strong> standar<strong>di</strong>zzazione dei pezzi schierati alle spalle <strong>di</strong> porta S. Pancrazio, in zona Pino (o<strong>di</strong>erno<br />

Ossario).


1849. Padre Ugo Bassi (Cento 1801- Bologna 1849) ritratto in un’incisione con la folta barba che<br />

caratterizzò i suoi ultimi mesi <strong>di</strong> vita. Era religioso barnabita con molti nemici nel suo ambiente.<br />

Fucilato illegalmente con il suo compagno cap. Giovanni Livraghi, vicino alla Certosa <strong>di</strong> Bologna<br />

l’8 agosto 1849 e sepolto in terra sconsacrata, in segno <strong>di</strong> <strong>di</strong>sprezzo.<br />

1849. Mons. Gaetano Be<strong>di</strong>ni (Senigallia 1803- Viterbo 1864). Concitta<strong>di</strong>no <strong>di</strong> Pio IX, venne<br />

nominato Commissario straor<strong>di</strong>nario per le Quattro legazioni dal papa e partecipò all’attacco,<br />

partito da Castelfranco E., per la conquista <strong>di</strong> Bologna nel maggio del 1849 a fianco degli Austriaci<br />

con i quali collaborò strettamente. Coinvolto nella oscura situazione che portò alla morte <strong>di</strong> Ugo<br />

Bassi.<br />

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1849. Copia del manifestino che incitava all’o<strong>di</strong>o o anche all’uccisione <strong>di</strong> Ugo Bassi, <strong>di</strong>ffuso dai<br />

reazionari bolognesi.


1849. In una stampa del Lanfranchi una ricostruzione della fucilazione <strong>di</strong> Bassi e Livraghi fra il<br />

Meloncello e la Certosa <strong>di</strong> Bologna (oggi piazza della Pace). Rimangono molti punti oscuri negli<br />

avvenimenti che portarono a queste illegali esecuzioni.<br />

1849-1866. Tale l’arco <strong>di</strong> tempo in cui combatterono questi volontari. Nella foto <strong>di</strong> gruppo<br />

garibal<strong>di</strong>ni centesi, ormai attempati, ripresi durante una celebrazione. da un elenco superstite si<br />

rileva che i combattenti persicetani (quelli ancora in vita durante il Cinquantenario, almeno) erano<br />

59 del “Basso Reno” (1848), 13 de “L’Unione”(1849) e 14 garibal<strong>di</strong>ni (1849-1870).<br />

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1848. Foto del dott. <strong>di</strong>daco Facchini, ormai anziano <strong>di</strong>rettore sanitario dell’ospedale <strong>di</strong> Cento.<br />

Aveva partecipato alla campagna nel Veneto come tenente in una Compagnia, comandata dal cap.<br />

Felice Orsini, nel batt.ne ”Alto Reno”, dello Zambeccari. Fu attento biografo <strong>di</strong> Ugo Bassi.<br />

1849. Sbia<strong>di</strong>to dagherrotipo dell’ormai anziano tenente Giovanni Timoteo Giordani (n. 1799),<br />

centese, caduto a porta S. Pancrazio in Roma, mentre comandava un contrassalto, spada in pugno,<br />

alla testa del suo plotone. Soltanto il crollo della Repubblica romana e il rivolgimento politico<br />

relativo impedìrono il riconoscimento ufficiale del fatto glorioso, con adeguata decorazione.


Bologna, maggio 1849. Avvicinandosi l’attacco austriaco alla<br />

città, il Preside della provincia O. Biancoli invita le Comunità<br />

locali a pre<strong>di</strong>sporre per una ferma resistenza anche ricorrendo<br />

a forme <strong>di</strong> guerriglia (lotta partigiana).<br />

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Fig.1 – Santino della B.V. delle Grazie venerata nella parrocchia <strong>di</strong> San Silvestro*


ROBERTO TOMMASINI<br />

I 685 giorni <strong>di</strong> Buoncuore<br />

In data 7 Ottobre 1857 un <strong>di</strong>spaccio legatizio informava il Consiglio Comunale<br />

della decisione del Pontefice <strong>di</strong> sostituire il nome <strong>di</strong> Crevalcore con la nuova denominazione<br />

<strong>di</strong> Buoncuore .<br />

La comunicazione lasciò sbigottiti citta<strong>di</strong>ni e pubblici amministratori che nel<br />

primo Consiglio Comunale utile, il seguente 23 Ottobre, presero ufficialmente<br />

atto del cambiamento.<br />

L’informazione fornita nell’occasione dal segretario comunale Giulio Cesare<br />

Ba<strong>di</strong>ni fu la seguente:<br />

“ Rapporto al primo Oggetto, che riguarda l’inaspettato cambiamento <strong>di</strong> nome che la Santità<br />

<strong>di</strong> Nostro Signore si è degnata <strong>di</strong> dare a questo <strong>Comune</strong> non posso a meno <strong>di</strong> attestare la<br />

compiacenza che ognuno <strong>di</strong> noi deve provare nel pensare che il Sommo Gerarca Sovrano ottimo<br />

e <strong>di</strong> Clemenza massima nel tempo in cui andava consolando della sua Augusta presenza le<br />

popolazioni della Provincia Bolognese volgeva benigno pensiero a questo Castello e lo chiamava<br />

Buoncuore; ad un tale contrassegno <strong>di</strong> paterno affetto i nostri cuori restano profondamente penetrati<br />

e da quest’ultimo confine dello stato mandano alla Sacra Persona sentimenti i più sinceri ,<br />

i più puri <strong>di</strong> umile riconoscenza , <strong>di</strong> sommo ringraziamento, <strong>di</strong> ossequiosa devozione “.<br />

I consiglieri comunali <strong>di</strong> fronte ad un provve<strong>di</strong>mento che cancellava l’identità<br />

della loro comunità non opposero alcuna obiezione. del resto sarebbe stata<br />

un’ardua impresa contestare la decisione personale del sovrano amministratore<br />

dei poteri temporale e spirituale.<br />

Qualche perplessità sull’inatteso cambiamento affiorò comunque nella successiva<br />

votazione, chiesta dal Priore comunale Vincenzo Rossi, sui ringraziamenti da<br />

estendere all’Eccellenza Reveren<strong>di</strong>ssima Monsignor Commissario e Prolegato <strong>di</strong><br />

Bologna, che ottenne 13 voti favorevoli e quattro contrari .<br />

Responsabile della sorpresa era stato Pio IX, entrato in contatto con la delegazione<br />

crevalcorese durante la visita effettuata il 24 <strong>di</strong> Agosto a San Giovanni<br />

in Persiceto.<br />

Tre mesi prima, il 14 <strong>di</strong> Maggio, il territorio crevalcorese era stato colpito da<br />

una furiosa tempesta che aveva danneggiato gran parte delle coltivazioni e costretto<br />

numerosi agricoltori locali a chiedere, come forma <strong>di</strong> sostegno, l’esonero<br />

dal pagamento delle tasse (focatico).<br />

Pur riconoscendo le critiche con<strong>di</strong>zioni delle famiglie, alle quali si sarebbe dovuto<br />

ridurre almeno i due terzi delle imposte, i nostri governanti decisero <strong>di</strong> non<br />

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88<br />

accogliere la richiesta, valutando l’esenzione “ meschino sollievo <strong>di</strong> fronte alla immensa<br />

calamità generalmente sentita”.<br />

Con le colture, erano andate perdute buona parte delle opportunità <strong>di</strong> lavoro<br />

per i numerosi braccianti e il successivo 14 Luglio, il Consiglio comunale si era<br />

dovuto riunire per in<strong>di</strong>viduare forme alternative <strong>di</strong> occupazione.<br />

Non è comunque assodato se ad influire sulla decisione del Pontefice fossero<br />

stati i danni causati dal maltempo o più semplicemente i nomi evocanti la malasorte<br />

<strong>di</strong> Malalbergo e Crevalcore (Crevalcore era riportato nei documenti ufficiali<br />

come Crepalcore).<br />

Resta il fatto che il Pontefice <strong>di</strong>spose per la nuova beneaugurante denominazione,<br />

trasformando Crevalcore in Buoncuore .<br />

In un suo manoscritto lo storico locale Lorenzo Meletti, commentò così l’avvenimento:<br />

“ Invero dovette essere <strong>di</strong> grande conforto ai buoni Crevalcoresi, che versavano in sì misere<br />

con<strong>di</strong>zioni, il sapere che il loro Sovrano erasi occupato <strong>di</strong> loro....cambiando nome al Paese!......”<br />

Il nuovo nome cominciò ad essere utilizzato negli atti consiliari a partire dal<br />

23 Ottobre 1857, anche se la notizia del cambiamento era stata inoltrata dal Ministero<br />

dell’Interno dal giorno 2 Ottobre, come riporta la circolare legatizia del<br />

9 <strong>di</strong> Novembre, <strong>di</strong> seguito riportata, che forniva al Priore Comunale, istruzioni<br />

sull’argomento:<br />

“Molto illustre Signore<br />

Per le relazioni che codesto Magistrato potesse avere colle Comuni <strong>di</strong> Crevalcore, e <strong>di</strong> Malalbergo<br />

in questa Provincia, si rende noto che in seguito <strong>di</strong> benigno Sovrano Rescritto comunicato,<br />

dal Ministero dell’Interno con Dispaccio N 61.696 del 2 ottobre p.s.é stato sostituito il nome<br />

<strong>di</strong> Buoncuore a quello <strong>di</strong> Crevalcore, e <strong>di</strong> Buonalbergo a quello <strong>di</strong> Malalbergo: per cui le corrispondenze<br />

e gli atti relativi a dette due Comuni si debbono intestare quind’innanzi coi nuovi<br />

nomi preaccennati.<br />

Tanto serva <strong>di</strong> norma a V.S. per le <strong>di</strong>sposizioni interne d’uffizio e per le comunicazioni ai<br />

<strong>di</strong>pendenti dalla <strong>di</strong> Lei giuris<strong>di</strong>zione, le confermo la mia Stima<br />

Bologna 9 novembre 1857<br />

Il commissario Straor<strong>di</strong>nario e Pro Legato<br />

Camillo Amici “.<br />

Primo e unico Priore <strong>di</strong> Buoncuore fu Vincenzo Rossi. In carica al momento<br />

della ridenominazione, venne riconfermato nel mandato nel <strong>di</strong>cembre del<br />

1857.<br />

Le novità che contrad<strong>di</strong>stinsero l’epoca <strong>di</strong> Buoncuore furono:<br />

-l’installazione, lungo la via maestra e i crocevia, <strong>di</strong> un nuovo impianto <strong>di</strong> illuminazione,<br />

- un sommario restauro alla cappella maggiore della chiesa Parrocchiale,<br />

-la costruzione <strong>di</strong> un serbatoio per i rifiuti del macello pubblico,


-lo stanziamento <strong>di</strong> un fondo per la realizzazione <strong>di</strong> una pesa pubblica,<br />

-il potenziamento dell’argine della fossa Rangona.<br />

L’intervento <strong>di</strong> maggior rilevanza fu comunque la parziale ristrutturazione del<br />

Palazzo Comunale.<br />

L’antico tetto <strong>di</strong> debole struttura venne ricostruito, ri<strong>di</strong>mensionato, alzato e<br />

variato nelle pendenze .<br />

I lavori eseguiti nel 1858, nella sola ala <strong>di</strong> levante, non riuscirono perfettamente<br />

a causa della debolezza dei vecchi muri e delle fondazioni.<br />

Probabilmente alla ristrutturazione del palazzo comunale fu legato il rior<strong>di</strong>no<br />

dell’archivio storico comunale, effettuato dal segretario comunale Giulio Cesare<br />

Ba<strong>di</strong>ni, assistito da Gaetano Atti, all’epoca segretario amministrativo dell’Ospedale<br />

<strong>di</strong> Santa Maria dei Poveri.<br />

All’epoca <strong>di</strong> Buoncuore fece pure qualche passo avanti il progetto <strong>di</strong> collegamento<br />

stradale con la città <strong>di</strong> Cento.<br />

dopo aver valutato i progetti dell’ingegnere comunale Luigi Ceschi, che prevedeva<br />

il percorso Via Signata, Mulino del Secco, Passo del Guazzaloca, Riga<br />

Bassa e Filippina e quello risalente al 1848, degli ingegneri Raffaele Stagni e Luigi<br />

Gamberini, che proponeva il percorso <strong>di</strong> via <strong>di</strong> Mezzo Levante e Chiesa nuova, il<br />

Consiglio Comunale optò per un terzo stu<strong>di</strong>o che abbreviava il tracciato proposto<br />

dal Ceschi, deviando il tratto successivo al ponte del Guazzaloca, sul percorso<br />

Arginone dè Conti, Via dè Fabbri.<br />

Alla scelta del progetto, seguì la delibera per la costruzione del tratto <strong>di</strong> strada<br />

con cui collegare il Mulino del Secco al Ponte del Guazzaloca, ma i lavori vennero<br />

rimandati in attesa <strong>di</strong> adeguate coperture finanziarie.<br />

Il cambio <strong>di</strong> denominazione non era, infatti, bastato ad incrementare le scarse<br />

risorse pubbliche e neppure era riuscito ad imprimere particolari accelerazioni<br />

allo sviluppo del paese. Tutto continuò secondo consuetu<strong>di</strong>ne. Irrilevanti furono<br />

pure gli entusiasmi suscitati dal nuovo nome fra la popolazione, che non degnò<br />

l’evento <strong>di</strong> alcuna forma <strong>di</strong> festeggiamento.<br />

Principali occasioni <strong>di</strong> <strong>di</strong>vertimento rimasero le tra<strong>di</strong>zionali Fiera <strong>di</strong> Luglio e il<br />

Fierone <strong>di</strong> Settembre: La principale novità per le due ricorrenze dell’anno 1858<br />

fu la stampa del nuovo nome del paese sugli avvisi che annunciavano le manifestazioni<br />

.<br />

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90<br />

Fig.2 – Avviso della fiera del 1858*


Il Fierone <strong>di</strong> Settembre venne fatto coincidere con le celebrazioni del dogma<br />

dell’Immacolata Concezione, del quale ricorreva quell’anno il 5° anniversario.<br />

In quell’occasione l’immagine della Madonna della Concezione venne trasportata<br />

con un’imponente processione nella chiesa <strong>di</strong> San Silvestro, dove rimase<br />

esposta per cinque giorni all’attenzione dei fedeli.<br />

La coincidenza dei due eventi contribuì ad arricchire il programma della manifestazione,<br />

annunciata nel modo seguente:<br />

IN BUONCUORE<br />

Avviso<br />

Per la domenica 5 settembre 1858<br />

Nella ricorrenza che viene solennizzato il dogma dell’ Immacolata Concezione,<br />

avranno luogo, <strong>di</strong>etro graziosa Superiore annuenza, i <strong>di</strong>vertimenti che seguono:<br />

TOMBOLA<br />

ASSICURATA IN NAPOLEONI 50 EFFETTIVI d’ARGENTO<br />

<strong>di</strong>visa nei seguenti premi:<br />

Cinquina Napoleoni n°10<br />

Tombola Napoleoni n° 40<br />

Le cartelle <strong>di</strong> 10 numeri si venderanno al prezzo <strong>di</strong> Bai 10 l’una.<br />

Al primo che coprirà 5 numeri, anche sparsi, nella propria Cartella verrà aggiu<strong>di</strong>cato<br />

il premio della Cinquina.<br />

Al primo che segnerà i 10 numeri e chiamerà la Tombola, toccherà in sorte il premio<br />

dei Napoleoni 40:<br />

Il possessore della Cartella che vincerà la tombola dei Napoleoni 40 quando essa<br />

Cartella sia stata giocata non più tar<strong>di</strong> delle ore 12 meri<strong>di</strong>ane dello stesso giorno <strong>di</strong><br />

domenica.<br />

5 Settembre, conseguirà un altro premio <strong>di</strong> Napoleoni d’argento N. 10 nel qual caso<br />

la Tombola verrebbe portata a Napoleoni 50 d’argento.<br />

Non si garantiscono gli errori i quali fossero per verificarsi nelle giuocate dal momento<br />

che sono stati ritirati i Registri.<br />

I Registri delle Cartelle resteranno aperti a comodo <strong>di</strong> tutti fino alle ore 4 e mezzo<br />

pomeri<strong>di</strong>ane del suddetto giorno, se ne farà quin<strong>di</strong> il ritiro, e ne avrà consegna la<br />

pubblica Autorità che presiederà l’estrazione. E questa avrà luogo immancabilmente<br />

alle ore 5pom.<br />

Nel caso <strong>di</strong> pioggia, l’estrazione verrà protratta ad altro giorno da stabilirsi e notificarsi<br />

con apposito Manifesto.<br />

Nella sera della domenica vi saranno FUOCHI dI GIOIA<br />

La BANdA MUSICALE del paese nel corso della giornata ed in ispecial modo nelle<br />

ore della sera, adunata nel centro del Castello e mentre durerà la pubblica illuminazione,<br />

eseguirà scelti pezzi <strong>di</strong> musica.<br />

Buoncuore il 30 Agosto 1858<br />

L’IMPRESA<br />

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92<br />

Fig.3 – Avviso del “fierone”, 1858<br />

La banda musicale che si esibì nell’occasione si era costituita da poco tempo. Il<br />

corpo ban<strong>di</strong>stico precedente era stato sciolto nel Luglio dell’anno prima a causa<br />

della grande in<strong>di</strong>sciplina regnante fra i musicanti .<br />

Ad inizio 1859, il Consiglio Comunale si rinnovò nella metà dei suoi componenti,<br />

risultando così composto:<br />

Rossi Vincenzo Priore<br />

Maccaferri Alessandro 1° Anziano<br />

Busi Luigi 2° Anziano


Gelati Luigi 3° Anziano<br />

Breveglieri Angelo 4° Anziano<br />

Cremonini Giulio 5° Anziano<br />

Rigosi Giacomo Sindaco <strong>di</strong> Palata<br />

Stagni Camillo 1° Aggiunto<br />

donati domenico 2° Aggiunto<br />

Michelini dott. Antonio<br />

Pepoli March. Antonio<br />

Mattioli Giuseppe<br />

<strong>di</strong>nelli don Francesco<br />

Rossi dott. Federico<br />

Rossi Alessandro mandatario del conte Marco Antonio Malvasia<br />

Veronesi domenico<br />

Fanti Antonio<br />

Piccioli Francesco<br />

Sita Serafino<br />

Ricciar<strong>di</strong> Carlo<br />

Landuzzi Raffaele<br />

Lamma Giuseppe, espatriato e sostituito dal consigliere Scannavini Pietro.<br />

Francia Carlo<br />

Zani Gaetano<br />

deputati Ecclesiastici: don Angelo Salvatori arciprete <strong>di</strong> S. Silvestro e don<br />

Andrea Nicoli rettore <strong>di</strong> Caselle.<br />

Fig.4 – Timbro del <strong>Comune</strong> <strong>di</strong> Buoncuore**<br />

Il tentativo <strong>di</strong> imprimere un’accelerazione al progetto della strada per Cento fu<br />

un’altra delle iniziative del nuovo Consiglio Comunale che, dopo aver riconsiderato<br />

i progetti scartati, affidò i lavori all’impren<strong>di</strong>tore Raffaele Rossi, ma l’opera<br />

rimase ancora bloccata a causa <strong>di</strong> controversie insorte con la casa Torlonia.<br />

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94<br />

Le attenzioni dei consiglieri e <strong>di</strong> buona parte della popolazione vennero presto<br />

<strong>di</strong>stratte dalle manovre politiche e militari dello Stato Sabaudo, dal quale erano<br />

attese iniziative favorevoli all’unità d’Italia.<br />

Il 19 Aprile l’Austria, sentendosi minacciata dalle manovre e dai rafforzamenti<br />

militari del regno <strong>di</strong> Sardegna, intimò con un ultimatum ai Piemontesi la smobilitazione<br />

dell’esercito. Questi, alla ricerca <strong>di</strong> un pretesto per iniziare il conflitto,<br />

ignorarono l’ultimatum degli Austriaci che il 24 Aprile cominciarono le ostilità.<br />

Le aspirazioni all’unità nazionale erano <strong>di</strong>ffuse e consolidate nel crevalcorese<br />

e in gran parte degli stati italiani dove l’inizio del conflitto venne interpretato<br />

come un appello all’insurrezione. Il Granducato <strong>di</strong> Toscana fu il primo a sollevarsi,<br />

il 27 Aprile, e il governo provvisorio che si instaurò offrì ai Savoia la <strong>di</strong>ttatura<br />

dello stato.<br />

Il 5 <strong>di</strong> Maggio, grazie al lavoro <strong>di</strong>plomatico <strong>di</strong> Cavour, i Francesi entrarono nel<br />

conflitto a fianco dei Piemontesi, costituendo una forza militare che risultò vittoriosa<br />

il 20 Maggio a Montebello, il 30 Maggio a Palestro, il 4 Giugno a Magenta,<br />

occupando poi Milano fra il 6 e l’8 <strong>di</strong> Giugno.<br />

Il 9 e l’11 Giugno a Parma e a Modena, abbandonate dai rispettivi sovrani, si<br />

instaurarono governi filo piemontesi .<br />

Il 12 Giugno i Bolognesi, affiancati anche dalla guarnigione pontificia, si ribellarono,<br />

costringendo il Car<strong>di</strong>nal Legato Giuseppe Milesi-Ferretti e le truppe<br />

Austriache a lasciare la città.<br />

Così la descrizione <strong>di</strong> quel giorno, nelle memorie del crevalcorese Gaetano<br />

Frabetti:<br />

“Li 12 Ditto Giugnio 1859 Subito che fu partiti li Tedeschi da Bologna Li Bolonesi misero<br />

su la Ban<strong>di</strong>era <strong>di</strong> tre Colori Biancha Rossa è verde con una croce in mezzo.<br />

E subito montò la guar<strong>di</strong>a Nazionale al Palazzo e fu ritirata giù l’arma del Papa e tutti<br />

si misero la Cocharda nel capello sempre tutti quel giorno Festegiarono con delli Eviva a suon<br />

<strong>di</strong> Banda”.<br />

Fra i prigionieri politici liberati dalle carceri bolognesi anche il crevalcorese<br />

Antonio delbuontromboni da tre anni detenuto con l’accusa <strong>di</strong> cospirazione<br />

politica.<br />

Fra le prime iniziative del Governo provvisorio instauratosi a Bologna, l’invio<br />

<strong>di</strong> un’ambasciata a Torino per offrire la <strong>di</strong>ttatura della città ai Savoia, azione che<br />

venne imme<strong>di</strong>atamente imitata dalle numerose città insorte della Romagna, delle<br />

Marche, dell’Umbria.<br />

Il 13 Giugno, il Consiglio comunale <strong>di</strong> Crevalcore trasmise alla Giunta provvisoria<br />

<strong>di</strong> Bologna la seguente <strong>di</strong>chiarazione <strong>di</strong> sottomissione e <strong>di</strong> obbe<strong>di</strong>enza:<br />

“In seguito delle più vive <strong>di</strong>mostrazioni date dall’intera popolazione <strong>di</strong> questo <strong>Comune</strong> la<br />

Rappresentanza Comunale dopo aver innalzato la ban<strong>di</strong>era Nazionale , si è costituita in<br />

straor<strong>di</strong>naria seduta ed ha ad unanimi voti <strong>di</strong>chiarato <strong>di</strong> riconoscere la nuova forma <strong>di</strong> Governo<br />

sotto la Dittatura del Re Vittorio Emanuele in oggi rappresentato dalle SS.VV.


Illustrissime in qualità <strong>di</strong> Giunta Provvisoria <strong>di</strong> Governo” .<br />

L’evento si festeggiò in paese con musiche, concerti e con l’innalzamento del<br />

vessillo tricolore.<br />

Nella comunicazione <strong>di</strong> adesione al nuovo governo risaltava il nuovo timbro<br />

comunale, <strong>di</strong> forma circolare con al centro un leone portante l’insegna “liberta”<br />

e circondato dalla <strong>di</strong>citura “<strong>Comune</strong> <strong>di</strong> Crevalcore”.<br />

L’abbandono dei simboli Pontifici era stata una delle richieste del governo<br />

provvisorio, ma nel nuovo sigillo l’amministrazione comunale aveva inserito il<br />

<strong>di</strong>smesso nome del paese. Si trattava <strong>di</strong> una presa posizione contro l’autorità del<br />

Pontefice che rafforzava la volontà <strong>di</strong> in<strong>di</strong>pendenza dallo Stato della Chiesa e che<br />

annunciava una ferma determinazione a riappropriarsi della propria identità.<br />

Il 15 Giugno dal nuovo governo bolognese giunse la seguente risposta:<br />

“La Giunta <strong>di</strong> Governo è lieta dell’adesione che il <strong>Comune</strong> <strong>di</strong> Crevalcore ha fatto al nuovo<br />

stato <strong>di</strong> cose, che ci darà miglior avvenire .<br />

Il Governo li invita a curare innanzi tutto il mantenimento dell’or<strong>di</strong>ne , e della quiete pubblica<br />

e a zelare con tutto il calore il <strong>di</strong>simpegno delle proprie funzioni amministrative” .<br />

Il 16 Giugno l’Amministrazione Comunale inoltrò al “Nobil Uomo Conte Annibale<br />

Ranuzzi “ Intendente della Città e Provincia <strong>di</strong> Bologna la comunicazione<br />

<strong>di</strong> presentazione del nuovo timbro comunale, riportante la <strong>di</strong>citura “<strong>Comune</strong> <strong>di</strong><br />

Crevalcore”.<br />

Fig.5 – Timbro del <strong>Comune</strong> <strong>di</strong> Crevalcore**<br />

Il 17 Giugno il priore Vincenzo Rossi raccomandò, tramite lettera, i gendarmi<br />

<strong>di</strong> stanza a Crevalcore dell’ex brigata pontificia del Tenente Colonnello Veliti,<br />

perché venissero presi al servizio del nuovo governo.<br />

In quei giorni, per garantire la sicurezza della popolazione, vennero costituite<br />

pattuglie civiche, impegnate principalmente in ronde notturne.<br />

Come dalle altre province insorte, anche da Crevalcore, numerosi giovani partirono<br />

per arruolarsi volontari nelle truppe piemontesi o nei Cacciatori delle Alpi<br />

<strong>di</strong> Garibal<strong>di</strong>. Nell’archivio storico sono presenti numerosi certificati <strong>di</strong> buona<br />

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96<br />

condotta rilasciati dall’autorità comunale ai citta<strong>di</strong>ni intenzionati ad arruolarsi<br />

nella causa nazionale italiana o per la guerra d’in<strong>di</strong>pendenza d’Italia; fra questi:<br />

Antonio delbuontromboni, Fer<strong>di</strong>nando Albertini, Lamberti Felice, Andrea<br />

Golinelli, Federici Giuseppe, Guidotti Luigi. Alcuni volontari, come Albertini<br />

Emi<strong>di</strong>o, Poppi Francesco, Fregni Luigi, combatterono nelle file del regio esercito,<br />

altri, come Breveglieri Valerio, al comando <strong>di</strong> Garibal<strong>di</strong>. Secondo le testimonianze<br />

raccolte da Lorenzo Meletti, Fregni Luigi e Breveglieri Valerio rimasero feriti<br />

negli scontri armati.<br />

Il 20 <strong>di</strong> Giugno Pio IX, nel tentativo <strong>di</strong> arrestare la frantumazione dello Stato<br />

Pontificio, scomunicò tutti gli insorti.<br />

Il 24 Giugno le armate franco- piemontesi si imposero nelle battaglie <strong>di</strong> Solferino<br />

e San Martino. La notizia della vittoria venne accolta a Crevalcore con<br />

calorosi festeggiamenti la sera seguente.<br />

Il primo <strong>di</strong> Luglio, al termine della messa, tutti i sacerdoti crevalcoresi si unirono<br />

in preghiera a favore della pace.<br />

Il 4 Luglio a Crevalcore si riunì il primo Consiglio Comunale sotto la Giunta<br />

Provvisoria <strong>di</strong> Governo per le Romagne: era ancora composto dai consiglieri<br />

eletti sotto lo Stato Pontificio e presieduto dal Priore Vincenzo Rossi.<br />

Fig.6 Intestazione presente nelle comunicazioni del priore <strong>di</strong> Buoncuore<br />

Nel verbale delle delibere <strong>di</strong> quella giornata faceva la ricomparsa il nome <strong>di</strong><br />

Crevalcore e, dopo una prima seduta relativa alla riclassificazione <strong>di</strong> alcuni contribuenti<br />

e alla nomina <strong>di</strong> un consigliere anziano, se ne tenne una seconda, a carattere<br />

straor<strong>di</strong>nario che aveva per oggetto il ripristino ufficiale dell’antico nome .<br />

Con 13 voti favorevoli e uno contrario venne deliberato il ritorno alla denominazione<br />

<strong>di</strong> Crevalcore e l’abbandono del nome imposto dal Pontefice.<br />

Il Consiglio comunale si rivolse quin<strong>di</strong> al Governatore <strong>di</strong> Persiceto, con la<br />

seguente richiesta, per ottenere l’approvazione della Giunta Provvisoria <strong>di</strong> Governo<br />

al ripristino dell’antico nome:


“In nome della Giunta Provvisoria <strong>di</strong> Governo –Intendenza <strong>di</strong> Bologna –<strong>Comune</strong> <strong>di</strong> Crevalcore<br />

.<br />

Oggi lì 4 Luglio del giorno <strong>di</strong> Lunedì nell’Anno <strong>di</strong> Nostra Salute mille ed ottocento cinquanta<br />

nove. Il Comunale Consiglio <strong>di</strong> Crevalcore dopo <strong>di</strong> aver esauriti gli Oggetti superiormente<br />

accennati nella seduta medesima N° 53 annuale, si è intrattenuto nel locale stesso <strong>di</strong><br />

Residenza Municipale per deliberare in via straor<strong>di</strong>naria quanto si viene abbasso descrivendo;<br />

e quantunque sappia che un tal nuovo oggetto non sia stato partecipato all’Eccelsa Intendenza<br />

Provinciale me<strong>di</strong>ante apposito foglio in conformità del D.44 dell’e<strong>di</strong>tto 24 Novembre 1850 tuttavolta<br />

il consiglio si ritiene abbastanza giustificato dalla spontaneità della cosa e dalla naturale<br />

circostanza <strong>di</strong> questo nuovo oggetto che vuole sottoporre a determinazione della Rappresentanza<br />

intera Municipale, con atto straor<strong>di</strong>nario <strong>di</strong>stinto e separato ma che però va in appen<strong>di</strong>ce<br />

dell’antecedente seduta: sono quin<strong>di</strong> rimasti presenti alla definizione dell’oggetto in <strong>di</strong>scussione<br />

i seguenti Signori Consiglieri:<br />

Rossi Vincenzo Priore Comunale e Presidente<br />

Macaferri Alessandro 1° Anziano<br />

Busi Luigi 2° Anziano<br />

Cremonini Giulio 5° Anziano<br />

Rigosi Giacomo dell’appo<strong>di</strong>ato <strong>di</strong> Palata<br />

Stagni Camillo, aggiunto alla Sindacatura Medesima<br />

Donati Domenico, aggiunto come sopra<br />

Piccioli Francesco, Consigliere<br />

Landuzzi Raffaele, Consigliere<br />

Scanavini Pietro, Consigliere<br />

Sita Serafino, Consigliere<br />

Fanti Antonio, Consigliere<br />

Michelini D. Antonio Consigliere<br />

Veronesi Lorenzo Consigliere<br />

D. Giulio Cesare Ba<strong>di</strong>ni Segretario .<br />

Presiede l’adunanza l’Ill.mo Sig. Priore Comunale Rossi Vincenzo; i votanti sono in numero<br />

legale 14; si tengono fermi per la firma del presente atto in appen<strong>di</strong>ce i medesimi Consiglieri<br />

che hanno firmato la redazione dell’atto in antecedenza esteso; e stantechè e sortito il M° Reverendo<br />

Sig. D. Francesco Dinelli con assentimento del Sig. Presidente così rimangono tre firme<br />

soltanto a convalidare la regolarità <strong>di</strong> questo verbale .<br />

Il Comunale Consiglio preliminarmente <strong>di</strong>chiara e vuole che l’oggetto che s’imprende a trattazione<br />

venga per esteso descritto fra queste Comunicazioni Municipali e nel presente libro delle<br />

sedute quantunque come si <strong>di</strong>sse in via eccezionale a perpetua memoria. Poscia il Sig. Priore<br />

valendosi della facoltà accordategli dall’Ill.mo. ed Ecc.mo Signor Commissario Straor<strong>di</strong>nario<br />

Av.Clemente Taveggi nella sua visita che fece a questa Residenza Comunale nel giorno 27<br />

Giugno p.s. <strong>di</strong> cui al Dispaccio n° 29 Rubrica Funzionari Pubblici che si conserva agli Atti<br />

d’Archivio, e valendosi dette istruzioni in simile circostanza ottenute proclama l’oggetto in<br />

<strong>di</strong>scorso qual si è = Cambiamento del nome <strong>di</strong> Buoncuore in quello <strong>di</strong> Crevalcore da ridonarsi<br />

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98<br />

a questo <strong>Comune</strong>.<br />

Proposto così l’oggetto dal Sig. Priore e Presidente vengano uno per uno interpellati i Consiglieri<br />

presenti ed anziani onde sentire se alcuna deduzione abbiano da esporre in proposito:<br />

e nessuna avendo presa la parola a confutare o ad opporsi alla fatta proposta e all’oggetto in<br />

<strong>di</strong>scussione; anzi si riscontrano in ogni Rappresentante del Municipio segni affermativi e <strong>di</strong><br />

approvazione perché venga ridato l’antico nome storico <strong>di</strong> Crevalcore alla patria: fatte le debite<br />

riflessioni, <strong>di</strong> unanime assentimento dal Consiglio, e con spontanea adesione = Considerando<br />

che Fin da quando il Sommo Pontefice Pio IX recavasi nel 1857 a visitare queste Provincie,<br />

e nella circostanza precisamente della sua venuta alla Città <strong>di</strong> San Giovanni in Persiceto compiacevasi<br />

<strong>di</strong> dare un nuovo nome a questo <strong>Comune</strong> sostituendo quello <strong>di</strong> Buoncuore all’antico e<br />

storico <strong>di</strong> Crevalcore .<br />

Un tal cambiamento <strong>di</strong> nome seguiva senza che veruna causa o circostanza straor<strong>di</strong>naria si<br />

verificasse in proposito, e molto più senza che verun Comunista a rappresentanza Municipale<br />

ve lo invocasse o ne facesse proposta veruna .<br />

Dai Paesani e Terrazzani il nuovo nome venne accolto generalmente con freddezza giacchè<br />

loro era <strong>di</strong> qualche rincrescimento il dovere abbandonare, lasciare un nome che richiama alla<br />

mente fatti gloriosi <strong>di</strong> letteratura e <strong>di</strong> storia, e tenuto caro da ogni Compaesano che nutra sentimenti<br />

generosi come lo si ama per istinto naturale e ragionevole il nome della propria patria e<br />

gelosamente si desidera <strong>di</strong> mantenerlo e conservarlo .<br />

Ritenuto che la maggior parte dei privati tanto amore portano all’antico nome del <strong>Comune</strong><br />

che non hanno finora avuto forza bastante <strong>di</strong> abbandonarlo e che anzi sene servono tutto giorno<br />

nelle loro corrispondenze private e nei loro negozi.<br />

Ritenuto e considerato quanto altro si doveva considerare e ritenere: per bocca del Signor<br />

Presidente si è formulato il seguente partito segreto .<br />

Quel Consigliere cui pare e piace che venga ridato al <strong>Comune</strong> l’antico nome <strong>di</strong> Crevalcore<br />

ponga nell’urna il voto bianco, e quel consigliere cui pare e piace <strong>di</strong>versamente che venga conservato<br />

quello <strong>di</strong> Buoncuore ponga nell’urna il voto nero, e raccolte poscia le fave in giro consumata<br />

la legale ballottazione, e riscontrate voti si si rinvengono bianche e favorevoli N° 13 e neri e<br />

contrari N° 1 (uno) cosicchè è passato il partito a maggioranza assoluta <strong>di</strong> suffragi .<br />

Il Comunale Consiglio in seguito <strong>di</strong> che ha data facoltà alla Magistratura perché pel Canale<br />

dell’ Ill.mo Sig. Governatore Giuris<strong>di</strong>zionario venga portato alla considerazione della Giunta<br />

Provvisoria <strong>di</strong> Governo quanto in oggi è stato operato ; officiando in pari tempo il sullodato<br />

Signor Governatore <strong>di</strong> S.Giovanni in Persiceto affinché s’interessi presso la superiorità Governativa<br />

ed ottenga la sanzione, approvazione e legalizzazione dell’atto presente e <strong>di</strong> ciò che la<br />

Rappresentanza Municipale ha decretato” .<br />

dei 14 consiglieri votanti il ripristino della denominazione <strong>di</strong> Crevalcore, 10<br />

erano in carica al momento dell’imposizione del nome <strong>di</strong> Buoncuore .<br />

Il 10 Luglio si formò in paese una commissione incaricata <strong>di</strong> raccogliere offerte<br />

per finanziare la guerra <strong>di</strong> in<strong>di</strong>pendenza, che cessò il giorno dopo in seguito<br />

all’armistizio <strong>di</strong> Villafranca. Napoleone III su pressione degli altri sovrani europei<br />

aveva preferito <strong>di</strong>simpegnarsi dall’alleanza con i Piemontesi che si trovarono così


costretti ad accettare l’armistizio.<br />

Nello stesso giorno, giungeva a Bologna il Marchese Massimo d’Azeglio, commissario<br />

straor<strong>di</strong>nario piemontese, nelle cui mani il 14 <strong>di</strong> Luglio la Giunta Centrale<br />

<strong>di</strong> Governo rassegnava la propria autorità.<br />

Il 16 Luglio il Governo Provvisorio Bolognese decretò lo scioglimento dei<br />

Consigli e delle Magistrature comunali, create dal Governo pontificio, sostituite<br />

nei singoli Comuni da Commissioni municipali provvisorie.<br />

Luigi Busi, presidente, Zani Gaetano e Maccaferri Alessandro formarono<br />

quella <strong>di</strong> Crevalcore, che nel manifesto informativo stampato dall’Intendenza<br />

della città e provincia <strong>di</strong> Bologna era ancora in<strong>di</strong>cata con Buoncuore.<br />

Il nome imposto da Pio IX , ripu<strong>di</strong>ato dall’Amministrazione da oltre un mese,<br />

risultava ancora la denominazione ufficiale<br />

Il 17 Luglio, su richiesta del governo del <strong>di</strong>stretto <strong>di</strong> San Giovanni in Persiceto,<br />

erano tolte le insegne arcivescovili dalle scuole comunali .<br />

Il 20 <strong>di</strong> Luglio morì <strong>di</strong> colera il Priore Vincenzo Rossi.<br />

Il 27 Luglio il Consiglio Comunale tornava a riunirsi, sotto il Commissariato<br />

Straor<strong>di</strong>nario per le Romagne.<br />

Nelle delibere <strong>di</strong> quella seduta il comune era identificato col nome <strong>di</strong> Crevalcore.<br />

Il 3 <strong>di</strong> Agosto l’Amministrazione comunale sollecitò l’Intendenza della città e<br />

provincia <strong>di</strong> Bologna per la riattivazione dell’antico nome.<br />

Nei giorni seguenti erano compilate le liste elettorali per le elezioni del deputato<br />

all’Assemblea Nazionale; le liste crevalcoresi contavano 333 elettori,<br />

vennero pubblicate il 12 Agosto per le elezioni fissate il 28.<br />

Il 18 <strong>di</strong> Agosto dal governo provvisorio bolognese giunse finalmente l’autorizzazione<br />

al ripristino dell’antica denominazione, un ritorno frutto degli<br />

avvenimenti <strong>di</strong> quel periodo che legavano il nome <strong>di</strong> Crevalcore alle lotte per<br />

l’in<strong>di</strong>pendenza e l’unità d’Italia.<br />

99


100<br />

Fig.7 - Notificazione del 21 Luglio 1859 in cui appare ancora la denominazione <strong>di</strong> Buoncuore **


Fig.8 - Particolare notificazione del 21 Luglio 1859 in cui appare ancora la denominazione <strong>di</strong><br />

Buoncuore**<br />

101<br />

“Illustrissimi Signori<br />

Con molta compiacenza alle S.S. VV. , <strong>di</strong>etro incarico ricevuto dal Superiore Governo<br />

S.E. il Sig. Governatore Generale delle Romagne con Decreto del giorno 17 corrente ha<br />

restituito l’antico e storico nome <strong>di</strong> Crevalcore a codesto <strong>Comune</strong>, il quale dovrà d’ora<br />

innanzi appellarsi con tal nome sì negli atti pubblici che nei privati, e come fu lungamente<br />

appellato prima che si pensasse a portarsi un cambiamento da riputarsi per lo meno<br />

inutile.<br />

Di tal guisa il Governatore ha fatto ragione ai giusti e lodevoli desideri <strong>di</strong> codesti<br />

abitanti sanzionati con Atto Consigliare del 5 luglio 1859 ad una quasi unanimità <strong>di</strong>


102<br />

voti .<br />

Mi è grato in questa occasione <strong>di</strong> confermarmi.<br />

Bologna 18 Agosto 1859”.<br />

La denominazione <strong>di</strong> Buoncuore, simbolo della rinnegata appartenenza<br />

allo Stato Pontificio, spariva definitivamente. Era durato 685 giorni, dal 2<br />

Ottobre 1857 al 18 Agosto 1859.<br />

La notizia non suscitò particolari clamori, le attenzioni dei Crevalcoresi<br />

erano ormai rivolte alle imminenti elezioni che il 28 <strong>di</strong> Agosto, con 229 voti<br />

su 234, designarono deputato all’Assemblea Nazionale l’avv. Luigi Maccaferri,<br />

<strong>di</strong> Persiceto. Nel manifesto pubblicato il 20 Agosto 1859 in cui erano elencati<br />

i can<strong>di</strong>dati proposti nei <strong>di</strong>versi collegi della città e provincia <strong>di</strong> Bologna<br />

compariva finalmente il nome <strong>di</strong> Crevalcore.<br />

L’armistizio <strong>di</strong> Villafranca e il successivo trattato <strong>di</strong> pace <strong>di</strong> Zurigo sancirono<br />

l’unione della Lombar<strong>di</strong>a al Piemonte, ma <strong>di</strong>sposero per gli altri paesi<br />

insorti il ritorno alla situazione precedente il conflitto.<br />

Per scongiurare tale eventualità i governi provvisori favorevoli all’annessione<br />

al Regno Sabaudo <strong>di</strong>chiararono decaduto lo Stato Pontificio e formarono<br />

una lega militare in <strong>di</strong>fesa dei loro territori.<br />

A Crevalcore nella mattina del 2 <strong>di</strong> Ottobre, un tocco della campana maggiore<br />

dava inizio alle votazioni del nuovo Consiglio Comunale. Le elezioni si<br />

svolsero presso il primo piano della casa del <strong>Comune</strong>; era richiesta ad ogni<br />

elettore l’in<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong> 30 nominativi, 23 per Crevalcore e 7 per l’Appo<strong>di</strong>ato<br />

<strong>di</strong> Palata.<br />

Il 9 Ottobre lo stemma dei Savoia era innalzato nel palazzo comunale fra<br />

inni patriottici e al Re Vittorio Emanuele, in un paese con l’illuminazione<br />

delle feste e rallegrato dalla musica della banda.<br />

Il 24 Ottobre il nuovo Consiglio Comunale nomina Priore Luigi Busi e anziani<br />

il dott. Michelini, Gaetano Zani, Fanti Antonio e Galeotti Giuseppe e<br />

viene verbalizzato in apertura con “ Regnando Sua Maestà Vittorio Emanuele<br />

II Re <strong>di</strong> Sardegna, Governo delle Romagne…”.<br />

A spegnere l’esultanza dei Crevalcoresi arrivò il 27 <strong>di</strong>cembre la poco gra<strong>di</strong>ta<br />

notizia che nell’ambito <strong>di</strong> un rior<strong>di</strong>no delle province effettuato dal nuovo<br />

governo, il comune <strong>di</strong> Crevalcore era stato associato alla provincia <strong>di</strong> Ferrara,<br />

non era più in quella <strong>di</strong> Bologna.


FONTI ARCHIVISTICHE E dOCUMENTALI<br />

Archivio Storico del <strong>Comune</strong> <strong>di</strong> Crevalcore:<br />

deliberazioni del Consiglio Comunale <strong>di</strong> Buoncuore 1854 - 1858, reg 1<br />

deliberazioni del Consiglio Comunale <strong>di</strong> Crevalcore 1858 - 1860, reg 1<br />

CA, Legislazione, Magistratura, Popolazione 1859, b 1<br />

CA, Guerra e Milizia, Rubrica VIII, fascicolo 1° Provvidenze Generali<br />

(1816-1858) , b 1<br />

Gaetano Frabetti, Memorie patrie, ms presso l’Accademia In<strong>di</strong>fferenti Risoluti <strong>di</strong><br />

Crevalcore<br />

Lorenzo Meletti , Crevalcore, manoscritti presso la BCC<br />

Parte II, Annali, dal 1801, fascicolo II, n 11 (ms 10)<br />

Parte III, Note e Memorie, dal 1801, fascicolo II, n 18 ( ms 20)<br />

Parte IV, E<strong>di</strong>fici Dal 1801, Volume II, n 27 ( ms 20 C )<br />

BIBLIOGRAFIA<br />

Sergio Morselli, Crevalcore: una palude. Vicende e abitanti, E<strong>di</strong>zioni del Circolo Artistico<br />

Culturale Pigozzi.<br />

Paolo Cassoli, Crevalcore, in: Dal Santerno al Panaro, Bologna e i comuni della provincia<br />

nella storia, nell’arte e nella tra<strong>di</strong>zione, a cura <strong>di</strong> Cesare Bianchi, vol. I, Da Bologna a<br />

Modena, Ed. Proposta.<br />

103<br />

Erminio Furlotti e Maria Logiu<strong>di</strong>ce, L’archivio storico Comunale <strong>di</strong> Crevalcore, in Notiziario<br />

<strong>di</strong> Crevalcore, n. 3, Settembre 1988<br />

* Collezione privata dell’autore<br />

** Archivio Storico Comunale<br />

IMMAGINI


104<br />

Fig. 1 – Ritorno alla deputazione <strong>di</strong> Bologna


MAGdA ABBATI<br />

alla vigilia dell’Unità, Ferraresi per caso<br />

105<br />

Alla metà dell’Ottocento, nel 1859, Crevalcore gioì per il fatto <strong>di</strong> essere riuscito<br />

a rigettare il nuovo e imposto nome “Buoncuore”, recuperando quello antico<br />

e sentito come proprio. Purtroppo, però, quasi contemporaneamente, perse la<br />

provincia d’appartenenza storica, quella <strong>di</strong> Bologna.<br />

E’ sicuramente vero che il territorio comunale da sempre si è presentato<br />

incuneato fra stati e\o province <strong>di</strong>verse, ma i Crevalcoresi si sentivano ( e si<br />

sentono anche oggi) Bolognesi dentro.<br />

Dalla fine del 1859, dunque, il nostro <strong>Comune</strong> dovette fare riferimento<br />

all’Intendenza <strong>di</strong> Cento, nella provincia <strong>di</strong> Ferrara.<br />

Certamente le vicende politiche e militari della penisola, tesa fra l’unità d’Italia<br />

e la restaurazione della Legazione Pontificia e degli antichi stati, rendevano<br />

estremamente risibile la piccola “querelle” crevalcorese.<br />

Resta il fatto che questo passaggio venne apertamente contestato, in quanto<br />

<strong>di</strong> natura prettamente burocratica, non sentito e non voluto dai citta<strong>di</strong>ni. In quel<br />

preciso momento storico, in effetti, si era creato un tale risveglio politico, una<br />

più generale attenzione alla politica alta, intesa come azione mo<strong>di</strong>ficatrice, si era<br />

aperta una riflessione intorno ai <strong>di</strong>ritti e ai doveri della citta<strong>di</strong>nanza, per cui un<br />

atto così unilaterale non poteva essere accolto nell’in<strong>di</strong>fferenza. I Crevalcoresi<br />

avevano contribuito e contribuivano nei fatti e nei pensieri alle lotte per arrivare<br />

a costruire uno stato unito, arruolandosi nell’esercito regio, nel Battaglione Basso<br />

Reno poi Unione, fra i Garibal<strong>di</strong>ni, pagando un prezzo <strong>di</strong> patimenti e <strong>di</strong> sangue<br />

come tutti i patrioti 1 .<br />

Fig. 2 – Crevalcore nel periodo ferrarese<br />

1 Lorenzo Meletti , Crevalcore, Parte II, Annali, dal 1801, fascicolo II, n 11 (ms 10) presso BCC


106<br />

Il 1860 si caratterizzò sicuramente per altre e più importanti vicende, ma la<br />

testardaggine dei “ranocchi” <strong>di</strong> allora riportò il Paese nella provincia <strong>di</strong> Bologna<br />

già a partire dal 1° Gennaio 1861, quando lo storico locale Lorenzo Meletti<br />

ricordò nei suoi Annali che “ai Crevalcoresi non garbava (…) per la incomo<strong>di</strong>tà e i danni<br />

che ne soffrivano gli interessi” 2 .<br />

Considerando le lungaggini della burocrazia (e, si sa, quella italica è<br />

<strong>di</strong>rettamente <strong>di</strong>scesa da quelle degli stati <strong>di</strong> ancien regime) il risultato fu ottenuto<br />

in tempi piuttosto brevi dal primo sindaco del <strong>Comune</strong> <strong>di</strong> Crevalcore. Pietro<br />

Biavati era un cosiddetto “possidente”, abitava nel quartiere San Martino al civico<br />

154, si era sposato con una donna modenese, Rosalia Colombo Quattrofrati, da<br />

cui in quegli anni aveva avuto tre figli, Carlo, Rosa e Isabella. Nel 1859 ricoprì<br />

l’incarico <strong>di</strong> capitano della Guar<strong>di</strong>a Nazionale in Paese. Si era dunque de<strong>di</strong>cato<br />

alle questioni dei Crevalcoresi pur essendo <strong>di</strong> origine citta<strong>di</strong>na, bolognese; degli<br />

“affari” domestici si occupava la moglie, coa<strong>di</strong>uvata dalla servitù: tre domestici ,<br />

un uomo e due sorelle, vivevano presso la famiglia del sindaco, come risulta da<br />

un censimento della popolazione <strong>di</strong> quell’anno 3 .<br />

Alla vigilia della <strong>di</strong>chiarazione dell’unità d’Italia, Biavati aveva dovuto comporre<br />

un anelito libertario <strong>di</strong> ben altro genere. I citta<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> Palata Pepoli cercarono con<br />

atti legali <strong>di</strong> ottenere il <strong>di</strong>stacco dal capoluogo, per <strong>di</strong>ventare “ comune autonomo”.<br />

La <strong>di</strong>stanza indubbia da Crevalcore, particolarmente pesante e faticosa in anni<br />

in cui ci si poteva spostare a pie<strong>di</strong> o a cavallo, il desiderio <strong>di</strong> in<strong>di</strong>pendenza e <strong>di</strong><br />

autonomia che in quel periodo infiammava facilmente gli animi, avevano spinto<br />

i Palatini a questa riven<strong>di</strong>cazione. Il nostro storico locale nella sua cronaca non<br />

entra nel merito della circostanza; sottolinea solo che i rappresentanti dei Palatini<br />

in Consiglio non pareva fossero a conoscenza della richiesta che venne, però,<br />

ricusata 4 .<br />

La scelta <strong>di</strong> mantenere l’appo<strong>di</strong>ato palatino nel territorio comunale seguiva <strong>di</strong><br />

pochi mesi quella che potrebbe essere definita come la prima azione elettorale<br />

dell’Italia unita. Tutti i “comunisti”, i citta<strong>di</strong>ni con <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> voto, erano stati<br />

chiamati a scegliere fra l’annessione al Regno Sabaudo o il mantenimento <strong>di</strong> un<br />

regno separato.<br />

Le elezioni furono indette per l’11 e il 12 Marzo 1860 nelle province emiliane<br />

e in Toscana. Si votò dalle 8 alle 17 , ma già alle 4 del pomeriggio del secondo<br />

giorno arrivò l’urna coi voti <strong>di</strong> Palata. Insieme a quelli <strong>di</strong> Crevalcore, furono<br />

scortati da uomini della Guar<strong>di</strong>a Nazionale e della Sicurezza Pubblica fino a<br />

Persiceto per lo spoglio. dev’essere stato un momento emozionante: un corteo<br />

<strong>di</strong> sei carrozze, parate a gala, annunciate dalla banda musicale e seguite dalle<br />

guar<strong>di</strong>e crevalcoresi.<br />

Nel <strong>Comune</strong> i votanti furono 2.755, compresi i 657 <strong>di</strong> Palata. I voti per<br />

l’adesione al Regno Sabaudo furono 2.555, un vero e proprio plebiscito. Palata e<br />

2 L. Meletti, ibidem<br />

3 ASCC, CA, Popolazione 1858-59 b1<br />

4 L. Meletti, Crevalcore, Parte III, Note e Memorie, dal 1801, fasc II, n18 (ms 20).


107<br />

Crevalcore scelsero, dunque, senza dubbio alcuno la via della costruzione <strong>di</strong> uno<br />

stato unitario.<br />

Meletti nei suoi Annali riporta per l’Emilia i seguenti dati:<br />

Popolazione 2.127.105<br />

Iscritti 526.218<br />

Votanti 427.512<br />

Annessione 426.006<br />

Regno separato 756<br />

Voti nulli 750<br />

Anche in quei territori che cent’anni dopo andranno a costituire la regione<br />

emiliana, il risultato fu molto netto e a favore dello stato unico.<br />

Con l’aiuto delle cronache manoscritte redatte dallo stu<strong>di</strong>oso locale Lorenzo<br />

Meletti, è possibile seguire per sommi capi le vicende del Consiglio post-unitario.<br />

Risulta così che la classe politica praticamente non mutò dopo il plebiscito; si<br />

mo<strong>di</strong>ficarono i titoli - non più Priore e Anziani, ma Sindaco e Assessori - però gli<br />

uomini a capo dell’amministrazione sostanzialmente non cambiarono. Si trattava<br />

dei possidenti, dei professionisti, i “notabili” del paese che si autodefinivano”<br />

costituzionali” o “costituzionalisti”, fedeli all’ideale monarchico coniugato al culto<br />

della famiglia reale e ad una visione “agrarista” della vita economica e sociale 5 .<br />

Il 18 Marzo 1860 le province emiliane e la Toscana entrarono quin<strong>di</strong> a far<br />

parte del Regno <strong>di</strong> Sardegna con un formale atto pubblico, il voto, per <strong>di</strong>mostrare<br />

anche all’Europa che la strada intrapresa era con<strong>di</strong>visa dal popolo.<br />

Occorre restringere il campo quando si parla <strong>di</strong> “popolo” rispetto alle elezioni:<br />

in realtà gli aventi <strong>di</strong>ritto al voto erano esclusivamente i citta<strong>di</strong>ni maschi, maggiori<br />

<strong>di</strong> 21 anni e con una certa <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> censo, sia per il voto amministrativo<br />

che politico.<br />

Il 3 Febbraio 1861 ebbe inizio la prima legislatura del parlamento italiano. Fu<br />

eletta da 239.583 elettori, la metà circa del corpo elettorale che rappresentava<br />

a sua volta l’1,9 % degli abitanti del regno che ammontavano a 21.700.000<br />

citta<strong>di</strong>ni. Il suffragio era rigidamente censitario: il requisito minimo per accedervi<br />

era il pagamento <strong>di</strong> almeno quaranta lire annue <strong>di</strong> imposte in<strong>di</strong>rette. Nel 1882<br />

verrà “allargato” al 7% della popolazione. La via della partecipazione politica<br />

ampiamente democratica era ancora molto in salita.<br />

Non bisogna però pensare che, essendo escluse dal voto, le donne italiane<br />

fossero completamente estranee alle lotte e alle riven<strong>di</strong>cazioni. Molte mogli,<br />

fidanzate, amanti e donne libere da legami sentimentali, appoggiarono e <strong>di</strong>scussero<br />

le scelte risorgimentali, fossero esse mazziniane, cavouriane, costituzionaliste…<br />

5 Magda Abbati, Un comune Emiliano fra 1800 e 1900: Crevalcore , Facoltà <strong>di</strong> Lettere e Filosofia<br />

dell’Università <strong>di</strong> Bologna, Corso <strong>di</strong> Storia Contemporanea, a. a. 1987-1988


108<br />

Nel carteggio epistolare conservato presso il Museo del Risorgimento <strong>di</strong> Bologna<br />

è possibile trovare le lettere che Clotilde Maccaferri, moglie del crevalcorese<br />

Tommaso Rossi, capitano del Battaglione Basso Reno e poi Unione, e che la<br />

figlia Elisabetta scrissero rispettivamente al marito e al padre 6 .<br />

6 Fondo “ Tommaso Rossi”, MRB<br />

Fig. 3 – Clotilde Maccaferri, ritratto<br />

In esse si può cogliere un’esplicita adesione agli ideali risorgimentali, ma si<br />

racconta anche del sostegno concreto, nelle retrovie, ai combattenti. Le due<br />

donne seguirono il capitano sui luoghi <strong>di</strong> battaglia: gli scontri avvenivano in zone<br />

precise a cui i civili potevano con cautela avvicinarsi, in una sorta <strong>di</strong> surreale<br />

contiguità fra la lotta militare e la vita quoti<strong>di</strong>ana.<br />

L’11 Ottobre 1860 il <strong>Comune</strong> ringraziò sia Elisabetta sia Clotilde Rossi perché<br />

erano riuscite a conservare il tricolore che il Battaglione Unione aveva fatto<br />

sventolare a Vicenza durante gli scontri per l’in<strong>di</strong>pendenza italiana nel 1848.<br />

Elisabetta Rossi avrà nel tempo l’accortezza e l’attenzione <strong>di</strong> conservare anche<br />

la documentazione <strong>di</strong> quei giorni che videro in primo piano il padre, morto nel<br />

1855 a causa <strong>di</strong> un’epidemia <strong>di</strong> colera, e che ci restituiscono uno spaccato delle lotte<br />

risorgimentali attraverso le vicende <strong>di</strong> un crevalcorese. Ora tale documentazione<br />

si trova a Bologna nel già citato Museo del Risorgimento.<br />

dopo l’esito del plebiscito, il 22 Marzo in segno <strong>di</strong> festa il Castello, il centro<br />

del paese, venne illuminato.<br />

Il 25 Marzo, pochi giorni dopo, nel Collegio <strong>di</strong> Crevalcore e Finale i Crevalcoresi<br />

elessero il loro primo deputato al Parlamento sabaudo: il conte Carlo Pepoli .<br />

Per cominciare a conoscere uomini e terre appena annesse, il primo Maggio il<br />

re Vittorio Emanuele II arrivò in visita a Bologna. A riprova del fatto che il paese


109<br />

aveva espresso una scelta pro-unità, il sindaco vi si recò per consegnare al re un<br />

contributo volontario <strong>di</strong> 10.000£ per sostenere “la guerra per l’in<strong>di</strong>pendenza”:<br />

così era in<strong>di</strong>cata nei documenti.<br />

Come si può notare, non solo la Legazione era stata abbandonata, ma anche<br />

la moneta antica. Il 1860 portò progressivamente il passaggio dagli scu<strong>di</strong>, dai baj<br />

alle lire.<br />

Altri cambiamenti entravano nella vita dei citta<strong>di</strong>ni. Infatti il primo Gennaio<br />

1861, oltre a tornare Bolognesi, i Crevalcoresi adottarono il sistema metrico<br />

decimale per i pesi e le misure, in base ad un decreto del Governo Generale delle<br />

Romagne del 1859 7 .<br />

Il 13 Maggio 1860 fu festeggiata l’adozione dello Statuto Sabaudo, la carta<br />

costituzionale che apriva spiragli <strong>di</strong> partecipazione democratica. Nella festa<br />

organizzata, però, “i preti delle legazioni”rifiutarono <strong>di</strong> cantare nella Chiesa<br />

Parrocchiale; il Te deum fu eseguito da tre (preti) modenesi 8 .<br />

Erano passati pochi mesi dai festeggiamenti seguiti alla nomina del deputato<br />

all’Assemblea Nazionale dell’Ottobre 1859. In quell’occasione invece le votazioni<br />

furono aperte dai rintocchi del campanile e le celebrazioni avvennero fra inni,<br />

grida come “Viva Vittorio Emanuele” e grazie rese in Chiesa, per cui sembrava<br />

che si potesse comporre la laicità del momento e la religiosità paesana, come<br />

spesso accadeva nei comuni più o meno gran<strong>di</strong> della “bassa”.<br />

Il 17 Luglio morì a Milazzo Petronio Setti, un giovane crevalcorese che si<br />

era arruolato al seguito delle camicie rosse <strong>di</strong> Garibal<strong>di</strong>, sbarcate in Sicilia l’11<br />

Maggio per rendere ancora più veloce il processo <strong>di</strong> annessione del Sud Italia<br />

che non intraprese la via dei plebisciti 9 .<br />

Oltre a Setti, altri moriranno sotto la ban<strong>di</strong>era italiana: Barbieri Aurelio,<br />

Bergamaschi Luigi, Malaguti Giovanni, Malavasi Enrico, caduti a Custoza nel<br />

1866.<br />

Meletti scrive che molti furono i volontari pronti a combattere per<br />

l’in<strong>di</strong>pendenza: chi combattè nel regio esercito come Albertini Emi<strong>di</strong>o, Poppi<br />

Francesco, Fregni Luigi, il dottor Federico Rossi che si arruolò come soldato<br />

semplice, chi nei garibal<strong>di</strong>ni come Breveglieri Valerio 10 .<br />

E’ il caso <strong>di</strong> ricordare che in territorio veneto e romano erano morti nel 1848<br />

e nel 1849 il capitano Cremonini domenico, Bellinelli Luigi, Cremonini Luigi,<br />

Grenzi Pietro, Paltrinieri Gaetano, Righi Luigi, Rondelli Giovanni, i cui nomi<br />

sono oggi sulle lapi<strong>di</strong> affisse nell’ingresso del nostro palazzo comunale.<br />

Elisabetta Rossi, figlia come si è già detto del capitano Tommaso Rossi, in<br />

un manoscritto presumibilmente redatto dopo il 1849, racconta <strong>di</strong> episo<strong>di</strong> legati<br />

al proprio soggiorno a Roma durante gli scontri per <strong>di</strong>fendere la costituzione<br />

della Repubblica Romana. In queste memorie scrisse <strong>di</strong> un eroico episo<strong>di</strong>o in<br />

7 L. Meletti, cit, Parte III, ibidem<br />

8 L. Meletti, cit, Parte II, ibidem<br />

9 L. Meletti, cit,Parte II, idem<br />

10 L. Meletti, cit, Parte III, ibidem


110<br />

cui furono protagonisti due giovani fratelli, pare crevalcoresi. “ Nel combattimento<br />

a Porta San Pancrazio del 12 Giugno i nostri furono costretti a ritirarsi da una posizione e<br />

i francesi s’inoltrarono: i due tamburini del nostro reggimento, chiamati Zittini <strong>di</strong> Crevalcore,<br />

coraggiosamente dal loro posto battevano la ritirata, quando il maggiore <strong>di</strong> essi fu colpito a<br />

morte. Il minore per nome Cesare d’anni tre<strong>di</strong>ci, <strong>di</strong>fendeva il corpo del fratello a sassate e, se il<br />

Capitano Francesco Magrini non l’avesse portato fuori del combattimento, sarebbe forse stato<br />

anch’egli vittima del suo coraggio. Il Magrini a Imola tenne poi sempre presso <strong>di</strong> sé il ragazzo<br />

come servitore e vi rimase per molti anni”.<br />

Tali memorie, che si trovano nel Fondo “Tommaso Rossi” del Museo del<br />

Risorgimento, ci appaiono estremamente interessanti. Innanzitutto finora non<br />

si sapeva <strong>di</strong> questo episo<strong>di</strong>o e <strong>di</strong> questo caduto. Purtroppo non risultano in quel<br />

periodo famiglie con quel nome; d’altra parte è possibile che si trattasse anche <strong>di</strong><br />

un soprannome dato ai giovani o alla loro famiglia o al loro ruolo <strong>di</strong> tamburini. Si<br />

resta comunque toccati dal gesto coraggioso e dalla giovane età del sopravvissuto<br />

che presumibilmente doveva essere <strong>di</strong> origini umili se successivamente andrà a<br />

servizio in casa del Capitano Magrini 11 .<br />

L’impegno <strong>di</strong> chi scrive e <strong>di</strong> chi si accosta curioso agli avvenimenti <strong>di</strong> quegli<br />

anni non deve cadere nel desiderio <strong>di</strong> indagare per trovare e provare l’importanza<br />

<strong>di</strong> Crevalcore e dei Crevalcoresi nelle vicende legate all’unificazione, rimanendo<br />

ancorati ad un piccolo e stretto localismo. E’ importante invece scoprire e<br />

verificare che l’adesione agli ideali unitari era una realtà anche molto popolare,<br />

al <strong>di</strong> là del genere, delle possibilità <strong>di</strong> censo e <strong>di</strong> voto. donne e uomini <strong>di</strong> origini<br />

molto lontane tra <strong>di</strong> loro cominciarono ad unirsi intorno a valori comuni nella<br />

speranza <strong>di</strong> costruire un nuovo e più rappresentativo stato, quello Italiano.<br />

Fig. 4 – Memorie <strong>di</strong> Elisabetta Rossi sulla Repubblica Romana<br />

11 In realtà, grazie a Lucio (Annibale Passarini) sappiamo <strong>di</strong> chi si tratta: è uno degli uomini ricordati<br />

nelle lapi<strong>di</strong> che si trovano in <strong>Comune</strong>. Gaetano Paltrinieri era un giovane crevalcorese, arruolatosi<br />

nel reggimento Unione, come tamburino. Morì a 17 anni e la notizia è giustamente raccontata da<br />

Elisabetta Rossi. Il suo nome si trova inciso in una lapide nel Museo Ossario del Gianicolo insieme<br />

ai caduti per la Repubblica Romana.


Fig. 5 - Lapide dell’Ossario del Gianicolo a Roma<br />

111

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