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iscrizioni parlanti - Dipartimento di Studi Linguistici e Letterari ...

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FRANCO BENUCCI E GIULIA FOLADORE<br />

‘ISCRIZIONI PARLANTI’ E ‘ISCRIZIONI INTERPELLANTI’<br />

NELL’EPIGRAFIA MEDIEVALE PADOVANA<br />

tuli. Munere me insigni, et statua decoravit equestri ordo Senatorius, et mea<br />

pura fides.” Come abbiamo visto, il 1453 fu un anno cruciale per le vicende<br />

della famiglia da Narni con la scomparsa <strong>di</strong> Gentile, l’inizio dell’invali<strong>di</strong>tà <strong>di</strong><br />

Giovanni Antonio e l’‘entrata in scena’ <strong>di</strong> Giacoma Leonessa quale<br />

committente della cappella <strong>di</strong> famiglia, quin<strong>di</strong> è possibile ipotizzare che vi<br />

sia stato un suo intervento più o meno <strong>di</strong>retto per la composizione<br />

dell’epitaffio del figlio, che, secondo quanto riferisce Eroli, sarebbe stato<br />

dettato da Galeotto Marzio, suo concitta<strong>di</strong>no. 54<br />

Tenuto conto del fatto che l’elogio funebre del marito era stato già ideato<br />

(sebbene non ancora messo ‘su pietra’) e <strong>di</strong> fronte al progetto unitario della<br />

cappella, è pertanto assai verosimile che lei stessa (o il frate suo confidente)<br />

abbia elaborato l’idea <strong>di</strong> intervenire sul testo pre<strong>di</strong>sposto dal ‘Porcellio’ per<br />

correggerne alcune durezze e soprattutto per dare, inserendo l’ambigua<br />

espressione nostraque pura fides, continuità testuale e retorica alle due<br />

<strong>iscrizioni</strong>. In tale contesto è altrettanto probabile che Giacoma Leonessa (o il<br />

confidente p. Giampietro da Belluno) abbia voluto dare a G. Marzio alcuni<br />

suggerimenti riguardo la stesura della seconda epigrafe (5.d) facendo in<br />

modo <strong>di</strong> ricavare per se stessa, in particolare nelle sue righe finali, lo spazio<br />

per intervenire <strong>di</strong>rettamente come EGO implicito che si rivolge al TU<br />

‘interno’ (il figlio Giovanni Antonio) per designargli in conclusione l’ILLE<br />

giacente <strong>di</strong> fronte (il marito e padre ‘Gattamelata’).<br />

Proprio in virtù del rapporto madre-figlio, la nobildonna si sarebbe cioè<br />

permessa <strong>di</strong> ‘prendere la parola’ (seppur nascostamente, come produttrice, o<br />

‘mandante’, del testo e incarnando per prima il ruolo poi pragmaticamente<br />

assunto da ogni lettore dell’epigrafe), lodandone l’aspetto fisico e l’abilità<br />

come uomo d’arme (Te quoque Iohannes Antoni […], clara tibi facies nec<br />

non victricia signa, inque acie virtus fulminis instar erat unica spes<br />

hominum), lamentandone la morte in giovane età (nam tu iuvenilibus annis<br />

consilio fueras et gravitate senex) e ricordando infine, nelle ultime righe, la<br />

fama del marito insieme alle virtù del figlio (Gattamelata pater decorant<br />

pietasque fidesque ingenium, mores, nomen et eloquium), quasi a<br />

sottolineare, accanto al legame filiale, anche quello coniugale, e a voler<br />

riba<strong>di</strong>re con una nota dolorosa il triste destino <strong>di</strong> questi due uomini, uniti<br />

nella vita e nella morte. (G.F.)<br />

4.2. Al <strong>di</strong> là dei rapporti intercorrenti tra l’EGO e il TU epigrafici, su cui ci<br />

siamo finora soffermati, la <strong>di</strong>stinzione principale che possiamo stabilire tra le<br />

varie IP elencate in (10) riguarda la referenza ultima dell’EGO che vi si<br />

manifesta come parlante. In una prima classe possiamo infatti riunire alcune<br />

<strong>iscrizioni</strong> in cui l’emittente del testo coincide, nella finzione retorica, con il<br />

54 Cfr. Eroli 1876: 183.<br />

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