Sistemi zootecnici e pastorali alpini Prof. Michele Corti ... - Ruralpini
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La proprietà condominale è tipica della Valchiavenna dove sono diffusi i Consorzi d’alpeggio, ma<br />
si trovano forme analoghe anche nelle valli bergamasche e lariane. La proprietà è indivisa e<br />
suddivisa in quote (erbate, vaccate) equivalenti al diritto di alpeggiare l’equivalente di un capo di<br />
bovino adulto. Le vendite e le successioni ereditarie (l’erbata è divisibile e alienabile) hanno portato<br />
ad un fortissimo frazionamento di questi titoli di propietà facendo si che il numero dei proprietari si<br />
elevasse a diverse centinaia. All’origine, invece, queste comunioni erano composte da un numero<br />
dimitato di proprietari spesso legati da vincoli parentali, ciò almeno nei casi in cui esse derivarono<br />
dalla divisione ereditaria di una proprietà privata; anche nel caso di trasformazione di proprietà<br />
collettive è presumibile che i comproprietari non fossero numerosi corrispondendo alle famiglie<br />
originarie del villaggio o di una singola contrada.<br />
Ad un utilizzo diretto da parte dei proprietari dell’alpe è subentrato in diversi caso in ragione<br />
dell’aumento del numero dei proprietari e del loro distacco dall’attività zootecnica quando non dalla<br />
stessa residenza locale, l’affitto ad (uno o più) allevatori già proprietari o a uno o pochi caricatoriimprenditori<br />
esterni alla comunione che hanno intrapreso la gestione indivisa dell’alpe. In passato<br />
era frequente anche la suddivisione di un alpe condominiale in diverse “partite” che in parte<br />
venivano affittate e in parte condotte direttamente dai comproprietari. Queste forme di proprietà in<br />
passato non hanno favorito una gestione razionale dei pascoli data la difficoltà, in presenza di<br />
numerosi proprietari, di assumere le decisioni necessarie all’esecuzione dei miglioramenti o solo<br />
all’adozione di criteri adeguati di sfruttamento del pascolo. L’eliminazione (forzata) della proprietà<br />
privata collettiva di villaggio che in alcuni casi ha dato luogo alla formazione di forme di proprietà<br />
privata indivisa nella maggior parte dei casi ha dato luogo alla formazione di una proprietà pubblica<br />
(comunale). Essa, nella maggior parte dei casi, è rimasta sino ad oggi ai Comuni . A proposito della<br />
proprietà comunale dei pascoli, dei boschi e delle alpi si deve osservare che spesso essa riguarda<br />
beni collocati nel territorio amministrativo di altri comuni sia in ragione del ruolo preminente<br />
esercitato da alcuni Comuni nell’ambito delle valli (che li ha portati a possedere diverse alpi<br />
dislocate in un ampio territorio vallivo) che di un criterio di vantaggio reciproco tra Comuni vicini<br />
che li portava a distribuire proprietà (e diritti d’uso) su un territorio più vasto di quello di pertinenza<br />
amministrativa in modo da sfruttare meglio le diverse vocazioni produttive dei singoli ristretti<br />
territori; in questo modo Comuni collecati a quote basse potevano disporre di alpi mentre quelli<br />
molto elevati potevano disporre di boschi e castagneti più in basso. La dislocazione delle proprietà<br />
comunali al di fuori dei limiti censuari è da collegare anche alle divisioni che in passato hanno dato<br />
vita a comunità autonome in luogo di più antiche forme di aggregazione di più villaggi.<br />
Indipendentemente dalla formazione antica o recente la proprietà comunale ha spesso coinciso con<br />
il mantenimento delle forme di godimento collettive. Se si prendono in esame le forme di<br />
conduzione delle alpi lombarde (Tab. ) si osserva come in provincia di Sondrio negli anni ‘70 -ma<br />
la situazione non è sostanzailmente mutata- assuma ancora rilevanza il godimento dell’alpe in “uso<br />
civico”. Un aspetto negativo di questo istituto è rappresentato dal fatto che il godimento è<br />
esercitato in forma “indivisa”; ciò significa che la gestione della mandria e, spesso, anche la<br />
lavorazione del latte avvengono tutt’oggi in forma individuale, un sistema incompatibile con una<br />
gestione razionale della risorsa pascoliva in quanto preclude l’applicazione dei piani di<br />
pascolamento consentendo a ciascun “utente” (se non perviene spontaneamente alla determinazione<br />
di aderire ad una gestione unitaria) di esercitare in modo anarchico il pascolo “libero” e di lasciar<br />
sostare il proprio bestiame per qualsivoglia tempo in prossimità delle baite (con le conseguenze note<br />
sulla qualità del pascolo e l’integrità del cotico erboso).<br />
Questi problemi, che oggi affliggono alcune delle più belle alpi valtellinesi, in passato erano molto<br />
più gravi in relazione alla forte estensione della presenza di usi civici. Ancora all’inizio del XX<br />
secolo anche una buona parte delle alpi vere e proprie e, sopratutto dei pascoli di bassa montagna,<br />
della Provincia di Como (compresa quella di Lecco) era goduta attraverso usi civici che venivano<br />
esercitati -in primavera e autunno- anche sulle alpi che, nel periodo di alpeggio, venivano affittate.