Sistemi zootecnici e pastorali alpini Prof. Michele Corti ... - Ruralpini
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interventi (poco giustificabili sul piano finanziario ed ambientale). In diversi casi i maggenghi (a<br />
“villaggio”) si sono trasformati in abitazioni permanenti venendo a costituire delle vere e proprie<br />
frazioni, in molti casi sono stati lasciati al completo abbandono.<br />
Laddove, ma la circostanza non è molto frequente, il maggengo offre superfici più ampie ed è<br />
raggiungibile con automezzi, la possibilità di costruire nuovi ricoveri ha consentito di poter<br />
continuare il loro utilizzo; in questi casi il tipo di utilizzo -basato sul pascolamento dei prati un<br />
tempo falciati- si è avvicinato a quello dell’alpeggio tanto che parecchi maggenghi si sono<br />
trasformati nelle stazioni più basse delle alpi soprastanti. Indipendentemente da quest’ultima<br />
soluzione, da incoraggiare quanto più possibile in quanto ampia le superfici delle alpi e, sopratutto,<br />
la durata dell’alpeggio, il recupero dei maggenghi in quelle situazioni dove non risulta possibile, per<br />
le caratteristiche pedologiche e climatiche delle stazioni, l’impianto di formazioni boschive stabili<br />
con buone caratteritiche di sfruttamento economiche e/o protettive, si deve pensare a forme di<br />
gestione territoriale basate sull’integrazione di criteri di utilizzo pastorale e di gestione faunistica.<br />
Considerata l’importanza del mantenimento di un mosaico di formazioni boschive e di superfici a<br />
copertura erbacea (per la prevenzione degli incendi, il mantenimento della biodiversità, la fruibilità<br />
della montagna per le attività di raccolta e di svago, il mantenimento dei quadri paesistici ecc.)<br />
risulta conveniente un utilizzo dei maggenghi mediante forme di pascolo controllato: con ovini e<br />
caprini (inserendo i maggenghi in circuiti di pascolo guidato o con la mandratura), con asini<br />
attraverso un pascolo confinato. La complessità del ruolo dei maggenghi nella vita della montagna è<br />
testimoniata anche dal fatto che molti insediamenti permanenti di oggi sono derivati da vecchi<br />
maggenghi.<br />
Altre forme di sfruttamento dei pascoli <strong>alpini</strong> e pre<strong>alpini</strong><br />
Le alpi e i maggenghi presuppongono un’organizzazione di tipo aziendale con fabbricati,<br />
infrastrutture per la raccolta e la distribuzione dell’acqua, viabilità ecc. Non tutti i pascoli <strong>alpini</strong> e<br />
pre<strong>alpini</strong> sono però utilizzati nell’ambito di alpi e maggenghi. Già si è visto come nei maggenghi il<br />
bestiame (almeno fino alla raccolta del foraggio) utilizzasse con il pascolo aree non pertinenti<br />
all’azienda ma bensì incolti produttivi o sterili e aree boscate di proprietà comunale. In alcuni<br />
villaggi che disponevano solo di pascoli non distanti dai “beni d’inverno” l’alpeggio e il maggengo<br />
sono sostituiti da trasferimenti giornalieri del bestiame e sul pascolo non esistono strutture<br />
permanenti. In alcuni casi gli stessi villaggi dispongono di maggenghi e alpi per i bovini mentre gli<br />
ovicaprini utilizzavano pascoli magri da dove rientravano giornalmente al villaggio (o ai<br />
maggenghi). Le pendici erbose ripide e brulle venivano invece utilizzate per la raccolta del “fieno<br />
selvatico” che si praticava a mano con il falcetto (seghèz). Questa operazione, sempre faticosa, era<br />
spesso pericolosa e veniva eseguita anche da donne e ragazze e oltre che sui “monti da fieno<br />
selvatico” sopra i villaggi veniva eseguita anche ad alta quota al di sopra delle alpi sui ripiani erbosi<br />
delle coste rocciose che gli animali non potevano raggiungere. Di seguito alcune testimonianze di<br />
informatori valtellinesi e camuni:<br />
“Quando eravamo giovani si partiva la mattina in quattro o cinque, si camminava magari un ora o due per fare un carico<br />
di legna o fieno selvatico per potere tenere un vitello in più, perché quello dei prati non era sufficiente. Un terzo del<br />
fieno lo facevamo nel bosco”. P.D.T. di Spriana, classe 1909, intervista raccolta il 2.8.79 da A. Dell’Oca e D. Benetti,<br />
in: pag.48<br />
“…se io le facessi vedere dove andavano le donne a prendere il fieno lei non ci crederebbe. Di notte le ragazze che<br />
erano su un po’ d’età, alle 2-3 partivano e andavano su per la valle di Togno, fin su in alto per falciare quella erba secca<br />
che aiutava al mantenimento delle bestie. (…) andavamo su in ottobre, novembre, anche dicembre su per i<br />
boschi. Falciavamo quell’erba secca il patüsc. Ne prendevano un carico sulle spalle e poi scendevano”<br />
L.S. maestra di Spriana, classe 1895 raccolta il 18.9.76 a Spriana da A e D. Benetti, in: p 34<br />
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