Sistemi zootecnici e pastorali alpini Prof. Michele Corti ... - Ruralpini

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08.06.2013 Views

alpi piede limite superiore basse 1.000-1.500 2.000 formano i torrenti o dei ripiani glaciali; al di fuori della catena alpina vera e propria le alpi possono comprendere aree di larghi crestoni erbosi o di solo versante sfruttando selle o ripiani per la localizzazione delle casere. Nelle zone calcaree la collocazione dei fabbricati d’alpe è condizionata dalla presenza delle rare sorgenti o delle “bolle” (“lavaggi”). Il numero di stazioni è compreso tra 1 e 5, più frequentemente 2-3. Il dislivello tra le stazioni va da un minimo di 100-150 m ad un massimo di 700, quello tra il “piede” dell’alpe e le zone più alte di pascolo può superare i 1.000 m come in Valle Albano (Como). In passato la lavorazione del latte era più frequentemente eseguita nei semplici fabbricati con coperture temporanee presenti in ogni stazione (il calécc delle valli del Bitto rappresenta un esempio di persistenza di questa tipologia). Mancando un locale per l’affioramento della panna era regola utilizzare il latte intero. Con la diffusione della produzione di burro la lavorazione del latte si è concentrata presso le “casere” attrezzate con locali dove il latte veniva e viene tuttora posto in bacinelle di rame immerse in acqua di sorgente corrente. Maggenghi (“cascine di monte”) I maggenghi (denominati localmente anche monti, prati, prati di monte, masi, cascine) rappresentano come nel caso delle “alpi” un insieme di fabbricati zootecnici e di superfici a pratopascolo. Sono collocati nelle Alpi centrali in una fascia altimetrica che va dai 900 ai 1.800 metri. La differenza tra “maggenghi” e “alpi” è legata alla modalità dell’utilizzo delle risorse foraggere. Presso i maggenghi sono prevalenti i prati falciabili (“segatizi” dal termine lombardo segà = falciare il fieno). Presso i maggenghi il fieno ottenuto era utilizzato sopratutto come scorta per l’annata successiva quando, a primavera, il bestiame si spostava dalle sedi invernali alle “cascine di monte” (maggenghi). In misura più limitata il fieno ottenuto nei maggenghi era portato a valle per costituire scorte per l’inverno. Il pascolo nei maggenghi era praticato nelle aree marginali ( spesso di proprietà comunale) al limite dei boschi o, molto spesso, sotto il ceduo stesso. Alla discesa dagli alpeggi (e comunque dopo lo sfalcio) il bestiame utilizzava il ricaccio dei prati. Nelle zone prealpine meno elevate il bestiame trascorre tutto il periodo estivo presso i maggenghi dal momento che questi sono collocati sul piano culminale e non è possibile disporre di stazioni più elevate. Per maggengo si intende sia il periodo trascorso dal bestiame presso queste località che, per estensione, il luogo fisico costituito dall’insieme di prati-pascoli e stalle-fienili. I maggenghi al contrario delle alpi, spesso gestite in forma indivisa, sono sempre gestiti in forma privata famigliare e i fabbricati insistono normalmente su terreni di proprietà privata costituiti da prati-pascoli situati al limite (inferiore) di boschi e pascoli di proprietà comunale che, come visto servono ad integrare la produzione foraggera dei prati falciabili. In ragione di una maggiore uniformità dei sistemi di conduzione la tipologia dei fabbricati rurali che si può trovare presso i maggenghi è molto più uniforme. Varia il tipo di materiale (dalle cassine costruite esclusivamente in pietra della zona prealpina ai bàit costruiti esclusivamente in legno dell’Alta Valtellina alla prevalente soluzione mista: il piano terra in pietra e la parte superiore in legno). La struttura sviluppata orizzontalmente o verticalmente in funzione dello spazio disponibile, della morfologia del terreno ecc. prevede una piccola stalla al piano terreno (capienza massima 10-12 capi) e un fienile al piano superiore. La stalla è di solito parzialmente interrata per 64

agevolare la conservazione del calore animale nei periodi freddi primaverili e autunnali. Il fienile invece è posto invariabilmente al piano superiore dove può ricevere una migliore ventilazione evitando i rischi di surriscaldamento, gravi nel caso di costruzioni totalmente o parzialmente in legno e comunque tali da compromettere la qualità del fieno ottenuto. Molto raramente le stalle e i fienili sono separati. Anche se la tipologia delle singole costruzioni è molto simile è possibile distinguere maggenghi isolati (con costruzioni sparse) e maggenghi “a villaggio”. I primi sono nettamente più frequenti. Nei maggenghi dove spesso non si trasferisce che una parte della famiglia e dove il periodo di occupazione stagionale è più breve non esistono locali adibiti al riposo degli alpigiani come accade invece negli alpeggi. Per il riposo notturno veniva utilizzato il fienile stesso (che a volte serviva per anche per la lavorazione del latte). Nel maggengo spesso, oltre al governo degli animali (regulà), spesso utilizzato anche nella forma italianizzata “regolare le bestie”) e alla fienagione (segà) si praticava la lavorazione del latte quando non era possibile (per la distanza) portarlo a valle e lavorarlo nel caseificio (di solito turnario) del paese o privatamente. Se il latte doveva essere lavorato sul posto all’interno della baita si ricavava un rudimentale locale per la lavorazione. Non era presente, invece, un locale per la stagionatura dfal momento che il formaggio era portato regolarmente a valle. Normalmente i maggenghi sono maggiormente oggetto di abbandono delle alpi. I motivi sono diversi ma riconducibili alle caratteristiche del tipo di gestione “unifamiliare” e a quelle morfologiche e vegetazionali delle zone ove erano stati ricavati. Spesso i maggenghi si trovano disseminati lungo i versanti delle vallate collocati in posizione intermedia tra il fondovalle e la fascia delle alpi (collocate nei pianori al di sotto delle vette , nelle conche alla testata delle valli, o sul piano culminale). Nelle zone dei maggenghi la pendenza è normalmente più elevata e la vegetazione climax è costituita da formazioni arboree (faggeta o pecceta); si diceva infatti che i maggenghi erano “rubati al bosco”. Mentre le alpi occupano la fascia superiore della vegetazione arborea, ma anche fasce di prateria alpina, il maggengo è tutto all’interno della fascia di vegetazione arborea. Dal momento che l’avanzata del bosco è molto più rapida verso il basso che verso l’alto (il processo di ricolonizzazione delle fasce al limite superiore della vegetazione arborea è molto più lento per ragioni bioclimatiche, disseminazione ecc.) è evidente che in assenza di utilizzo i maggenghi sono presto inghiottiti dalla foresta. Contribuisce all’abbandono dei maggenghi il fatto che le superfici a modesta pendenza sono poco estese o del tutto assenti e quindi scoraggiano una gestione pascoliva di un qualche significato economico da parte delle aziende zootecniche attuali. In passato i maggenghi venivano raggiunti a piedi o con i muli, oggi, tranne nelle situazioni più “fortunate” (dove i maggenghi hanno a volte subito anche la trasformazione in “seconde case” e in vere e proprie villette 21 ) l’impossibilità di tracciare una strada o solo una pista svolge un ruolo decisivo nell’indurre gli allevatori a “dimenticare” i maggenghi. Il cambiamento delle strutture zootecniche, che hanno visto la sparizione dei piccoli e piccolissimi allevamenti e la concentrazione del patrimonio bovino in allevamenti di decine di capi, rende inoltre impossibile l’utilizzazione dei maggenghi non solo in base a considerazioni relative della disponibilità foraggera (ed idrica) e alla pendenza, ma anche alle caratteristiche dei ricoveri per il bestiame che, tradizionalmente, erano di ridotte dimensioni e non si prestano, tranne che in alcuni casi, ad essere ristrutturati senza pesanti 21 solo negli ultimi anni si sta diffondendo la pratica del recupero “conservativo” o quantomeno nel rispetto delle forme architettoniche tradizionali dei fabbricati dei maggenghi; ciò sia per una maggiore consapevolezza culturale sia per l’adozione da parte dei comuni più avveduti di regolamenti edilizi. Dagli anni ‘60 ad oggi, invece, si è assistito ad un “camuffamento” delle cascine in pseudo-chalet e “villette” in modo quasi sempre goffo e banalizzante. Queste “trasformazioni” che mortificano i valori paesistici e tradizionali della montagna sono state eseguite da “cittadini” ma anche dagli stessi proprietari che si sono lanciati in una emulazione in negativo per nascondere il carattere rurale delle architetture anche sotto orpelli edilizi di pessimo gusto (per non parlare delle piantumazioni con essenze esotiche nei giardinetti rigorosamente cinti da altrettanto brutte cancellate). Questi ed altri guasti rispecchino la diffusione di una sottocultura “simil-cittadina” coincidente con l’(auto)esproprio della cultura tradizionale che ha inciso pesantemente su molti altri aspetti della gestione del territorio montano e sulle stesse condizioni di vitalità e continuità delle attività agricole e zootecniche. 65

alpi piede limite superiore<br />

basse 1.000-1.500 2.000<br />

formano i torrenti o dei ripiani glaciali; al di fuori della catena alpina vera e propria le alpi possono<br />

comprendere aree di larghi crestoni erbosi o di solo versante sfruttando selle o ripiani per la<br />

localizzazione delle casere. Nelle zone calcaree la collocazione dei fabbricati d’alpe è condizionata<br />

dalla presenza delle rare sorgenti o delle “bolle” (“lavaggi”).<br />

Il numero di stazioni è compreso tra 1 e 5, più frequentemente 2-3. Il dislivello tra le stazioni va da<br />

un minimo di 100-150 m ad un massimo di 700, quello tra il “piede” dell’alpe e le zone più alte di<br />

pascolo può superare i 1.000 m come in Valle Albano (Como). In passato la lavorazione del latte<br />

era più frequentemente eseguita nei semplici fabbricati con coperture temporanee presenti in ogni<br />

stazione (il calécc delle valli del Bitto rappresenta un esempio di persistenza di questa tipologia).<br />

Mancando un locale per l’affioramento della panna era regola utilizzare il latte intero. Con la<br />

diffusione della produzione di burro la lavorazione del latte si è concentrata presso le “casere”<br />

attrezzate con locali dove il latte veniva e viene tuttora posto in bacinelle di rame immerse in acqua<br />

di sorgente corrente.<br />

Maggenghi (“cascine di monte”)<br />

I maggenghi (denominati localmente anche monti, prati, prati di monte, masi, cascine)<br />

rappresentano come nel caso delle “alpi” un insieme di fabbricati <strong>zootecnici</strong> e di superfici a pratopascolo.<br />

Sono collocati nelle Alpi centrali in una fascia altimetrica che va dai 900 ai 1.800 metri.<br />

La differenza tra “maggenghi” e “alpi” è legata alla modalità dell’utilizzo delle risorse foraggere.<br />

Presso i maggenghi sono prevalenti i prati falciabili (“segatizi” dal termine lombardo segà =<br />

falciare il fieno). Presso i maggenghi il fieno ottenuto era utilizzato sopratutto come scorta per<br />

l’annata successiva quando, a primavera, il bestiame si spostava dalle sedi invernali alle “cascine di<br />

monte” (maggenghi). In misura più limitata il fieno ottenuto nei maggenghi era portato a valle per<br />

costituire scorte per l’inverno. Il pascolo nei maggenghi era praticato nelle aree marginali ( spesso<br />

di proprietà comunale) al limite dei boschi o, molto spesso, sotto il ceduo stesso. Alla discesa dagli<br />

alpeggi (e comunque dopo lo sfalcio) il bestiame utilizzava il ricaccio dei prati. Nelle zone<br />

prealpine meno elevate il bestiame trascorre tutto il periodo estivo presso i maggenghi dal momento<br />

che questi sono collocati sul piano culminale e non è possibile disporre di stazioni più elevate. Per<br />

maggengo si intende sia il periodo trascorso dal bestiame presso queste località che, per estensione,<br />

il luogo fisico costituito dall’insieme di prati-pascoli e stalle-fienili. I maggenghi al contrario delle<br />

alpi, spesso gestite in forma indivisa, sono sempre gestiti in forma privata famigliare e i fabbricati<br />

insistono normalmente su terreni di proprietà privata costituiti da prati-pascoli situati al limite<br />

(inferiore) di boschi e pascoli di proprietà comunale che, come visto servono ad integrare la<br />

produzione foraggera dei prati falciabili.<br />

In ragione di una maggiore uniformità dei sistemi di conduzione la tipologia dei fabbricati rurali che<br />

si può trovare presso i maggenghi è molto più uniforme. Varia il tipo di materiale (dalle cassine<br />

costruite esclusivamente in pietra della zona prealpina ai bàit costruiti esclusivamente in legno<br />

dell’Alta Valtellina alla prevalente soluzione mista: il piano terra in pietra e la parte superiore in<br />

legno). La struttura sviluppata orizzontalmente o verticalmente in funzione dello spazio<br />

disponibile, della morfologia del terreno ecc. prevede una piccola stalla al piano terreno (capienza<br />

massima 10-12 capi) e un fienile al piano superiore. La stalla è di solito parzialmente interrata per<br />

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