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Sistemi zootecnici e pastorali alpini Prof. Michele Corti ... - Ruralpini

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18 contratti di soccida per una sola vacca ciascuno. Nel caso delle pecore tutti i contratti hanno<br />

durata triennale e comportano il versamento al soccidante della lana ricavata da una tosa ogni anno<br />

(PENSOTTI, 1976). E’ interessante notare che lo stesso notaio, nel medesimo periodo, registrò anche<br />

due contratti di affitto di greggi In un caso vennero affittate 36 pecore, nell’altro 23, sempre per 20<br />

soldi e 12 once di lana e per la durata di tre anni. L’affitto di bestiame, compresi gli ovini, è<br />

documentato in contratti dell’inizio del XIV secolo in Valseriana (ALEMANNI, 1983).<br />

Attualmente sono ancora utilizzate delle forme di “mezzadria” che consistono nell’affido di un<br />

gregge ad un conduttore con l’impegno a dividerlo dopo 3 anni. Alcuni piccoli proprietari danno<br />

ancora “a fida” le loro pecore corrispondendo al pastore, che normalmente è proprietario della<br />

maggior parte degli animali che conduce, dalle 200 alle 220 lire al giorno. Spesso due pastori si<br />

associano per poter condurre insieme i loro animali. Rispetto al passato sono quasi scomparsi i casi<br />

di ricchi imprenditori operanti in altri rami di attività proprietari di numerosi greggi. Diversi<br />

macellatori e commercianti, essi stessi in passato pastori, risultano proprietari di migliaia di capi,<br />

ma, normalmente, anche in questo caso, qualche membro della famiglia continua ad esercitare<br />

l’attività pastorale o mantiene comunque la qualifica di imprenditore agricolo.<br />

La commercializzazione. Il BENEDINI (1976) riferendosi alla situazione bresciana dell’ ‘800 riferiva<br />

che: “Della lana si fanno depositi a Brescia, presso due o tre commercianti, e a Sale Marasino e<br />

Marone (Mandamento di Iseo), centri della fabbricazione delle coperte di lana. I contratti di vendita<br />

della lana si fanno di consueto nella seconda domenica di marzo. Hanno però luogo anche in<br />

settembre, al momento stesso della tosatura”. I pastori in passato operavano prevalentemente<br />

nell’ambito dei mercati. Erano importanti quelli di Clusone, primo, secondo e terzo lunedì di<br />

settembre, Albino, 10 settembre, Oggiono in settembre, Madonna del Bosco, il 4 Marzo. In tempi<br />

più recenti i pastori partecipavano anche alle fiere di Novara e di Brescia. Oggi la maggior parte<br />

delle contrattazioni si svolge per telefono e la partecipazione alle manifestazioni specializzate del<br />

settore è finalizzata alla vendita e all’acquisto di riproduttori di pregio.<br />

Rapporti tra pastori e agricoltori. Già si è detto circa il cresce dell’ostilità degli agricoltori verso la<br />

pastorizia transumante bergamasca. Mano a mano che nuove aree venivano valorizzate dal punto di<br />

vista agricolo, che i diritti di proprietà divennero esclusivi, che venivano introdotte nuove<br />

coltivazioni, lo spazio per i pastori si restringeva e sempre meno valevano di fronte per gli<br />

agricoltori il “grasso” lasciato dalle pecore e quello che i pastori offrivano in cambio dell’utilizzo<br />

dei pascoli. Ancora negli anni ‘30 i pastori camuni potevano “tenere buoni” i piccoli coltivatori con<br />

delle coti di terza qualità ma con gli agricoltori della “bassa” i rapporti andarono peggiorando tanto<br />

più quanto aumentava il patrimonio bovino e le misure di profilassi sanitaria. I greggi venivano<br />

sono stati spesso accusati di essere dei vettori di gravi malattie infettive del bestiame trasmissibili<br />

dall’ovino al bovino quali Afta epizootica e Brucellosi. Oggi i pastori tendono a stabilire accordi<br />

con almeno una parte degli agricoltori della batìda.<br />

Il Gaì. Utilizzato dai pastori transumanti dell’area alpina (bergamaschi, biellese, bresciani, trentinotirolesi,<br />

veronesi) serviva per non farsi comprendere dagli estranei e per favorire la comprensione<br />

tra pastori provenienti da aree con dialetti e lingue differenti. Fino agli anni ’50 parlare gaì era<br />

condizione per essere riconosciuti come pastori e un pastore non otteneva risposta da un altro se non<br />

gli si rivolgeva in gaì. La convulsa e per certi versi disastrosa modernizzazione degli anni ‘50-’60<br />

non ha mancato di sconvolgere anche il mondo dei pastori, un mondo che, come abbiamo visto,<br />

non è mai stato immutabile, separato ed arcaico. Nel giro di una generazione il gaì è passato dalla<br />

condizione di lingua viva a quella di lingua (quasi)morta. E’ interessante, però, che molti pastori più<br />

o meno giovani abbiano sentito l’esigenza di riappropriarsi del gaì studiando anche il lessico ed i<br />

frasari riportati dalle varie opere a stampa e in particolare quella del FACCHINETTI (1921), una<br />

specie di “oggetto di culto”. L’ibridazione con la parlata locale e la povertà del lessico sono segni<br />

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